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Autore: My Pride    26/11/2021    2 recensioni
Jon non aveva capito bene cos'era successo, ma quel giovane tritone l'aveva salvato e non aveva fatto in tempo a ringraziarlo che, così com'era apparso, alla fine era sparito. Rammaricato, il giorno successivo era tornato a quell'insenatura con la speranza di rivederlo, e così aveva fatto il giorno dopo e il giorno dopo ancora, e aveva quasi perso le speranze di rivederlo quando, facendo timidamente capolino dal pelo dell'acqua, la testa mora di quel tritone si era fatta finalmente vedere, e Jon aveva sorriso radioso nel saltare sugli scogli per raggiungerlo.
Genere: Avventura, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Put your lips on me_4 Titolo: Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo quattro: 3192 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Zatanna Zatara, Giovanni Zatara, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst

Avvertimenti: Mermaid!AU, Accenni slash, Hurt/Comfort


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Puntellandosi sui talloni, Clark affondò la mano nella sabbia, sollevando il capo per fissare il mare in tempesta davanti a sé, le cui onde che si infrangevano sugli scogli e  spumeggiavano rabbiose. Pioveva a dirotto e aveva i capelli completamente appiccicati al viso, ma non sembrava importargli.
    Da quando aveva trovato Jon su quella spiaggia in compagnia di quel ragazzo, Damian, non aveva fatto altro che chiedersi cosa avesse spinto suo figlio a giungere fin laggiù. Era notoriamente una zona che veniva evitata da chiunque in città, a causa della maledizione che sembrava portarsi dietro. Non che lui ci credesse, ovviamente, o non si sarebbe mai trovato lì. Però, da quando nel corso degli anni più di una persona era tornata a casa completamente ricoperta di ustioni, nessuno aveva più provato ad avvicinarsi e quella diceria aveva preso forma nella bocca di tutti. Allora perché Jon era andato laggiù, per di più senza alcuna rete di sicurezza, e si era calato in quell’insenatura?
    Clark aggrottò la fronte, afferrando un pugno di sabbia umida prima di passarsi le dita dell’altra mano fra i capelli fradici per ravvivarli all’indietro. Tra tutti i posti, mai avrebbe pensato di ritornare lì proprio a causa di suo figlio. I ricordi del passato gli attanagliavano le viscere, e avrebbe preferito chiuderli in un forziere e gettarli in quell’oceano che sembrava farsi beffe di lui.
    «Clark?»
    A quella voce, alla quale fece eco il rombo di un tuono, Clark sgranò gli occhi. Aveva quasi paura di essersela immaginata, di aver sognato ad occhi aperti a causa delle sensazioni che quella stupida spiaggia stava facendo riaffiorare dentro di lui, e fu quindi deglutendo che si voltò con attenzione, preparandosi mentalmente al fatto che dietro di lui non ci sarebbe stato nessuno. Ma si sbagliava. In piedi a pochi passi da lui, con la camicia bagnata completamente aderente al petto e i capelli appiccicati alla fronte, c’era l’ultimo uomo che avrebbe mai creduto di poter incontrare.
    «Bruce?» chiamò incerto, ma il modo in cui lui irrigidì le spalle non lasciò spazio a fraintendimenti. «Oh, Dio, Bruce… credevo…»
    «…che mi fossi trasformato in schiuma di mare?» Il tono con cui pronunciò quelle parole suonò più freddo dell’aria che li avvolgeva, persino il suo viso, finora disteso, divenne marmoreo. «Non funziona come nelle favole, Clark».
    Con mille emozioni che lottavano sul suo volto, Clark si alzò e fece un passo verso di lui, fermandosi quando sentì la sabbia tremare e sollevarsi davanti a lui, creando degli spuntoni; guardò di nuovo l’uomo, la cui mascella serrata malcelava la rabbia che sembrava portarsi dentro. «Sei sparito davanti ai miei occhi».
    «Me ne sono andato», corresse Bruce in tono incolore. Non lo guardò oltre mentre si incamminava verso l’oceano, strappandosi letteralmente la camicia di dosso sotto lo sguardo stranito di Clark; i bottoni volarono ovunque mentre lui slacciava anche i pantaloni, senza dar peso alla cosa. «Avevi reso fin troppo chiare le cose».
    «Non è così, Bruce. Quel giorno non hai voluto ascoltarmi, io--»
    «Zitto», lo frenò, non avendo intenzione di sentirlo continuare a parlare oltre. «Non dovresti essere qui, piuttosto». Lanciò sulla sabbia anche i pantaloni, rivelando di non indossare l’intimo e di non curarsi del fatto di essere completamente nudo mentre una tempesta infuriava intorno a lui. «Nessuno di voi dovrebbe venire fin qui».
    Clark aprì la bocca per replicare, zittendosi per un momento. Si era perso ad osservare il corpo di Bruce, quella bellezza marmorea che mostrava senza alcuna forma di vergogna mentre parlavano; poi, come se gli avesse letto nel pensiero, Bruce si voltò per fulminarlo con lo sguardo, arrampicandosi sugli scogli scivolosi per lanciarsi direttamente in acqua e sparire fra la schiuma e le onde rumorose. Risalì solo una manciata di secondi dopo, schioccando le dita della mano destra per far sì che l’acqua ribollisse intorno a lui, e la lunga coda emerse dal pelo dell’acqua per sferzare le gocce di pioggia che continuavano a cadere.
    «Perché sei tornato, se pensavi che fossi morto?»
    La domanda creò un incerto stato di imbarazzo al quale nessuno dei due seppe porre fine. Sotto la pioggia battente, con i lampi che squarciavano il cielo e lo illuminavano a giorno, si limitavano ognuno a fissare il volto dell’altro come se lo vedessero per la prima volta. Clark non aveva nemmeno bisogno di avvicinarsi per sapere che gli occhi di Bruce erano di un azzurro ghiaccio così chiaro che sarebbero potuti sembrare bianchi, o che le creste sulle sue braccia, a dispetto di quanto sembrassero appuntite, erano morbide e vellutate al tatto, dalle svariate sfumature violacee come la coda di un pesce combattente. Per quanto fossero passati anni e fosse ormai andato avanti, in quel momento si sentiva nuovamente il diciottenne che era stato un tempo. Lo stesso diciottenne che, uscendo in barca con suo padre, aveva visto il furbo sorriso che quel tritone gli aveva rivolto al di sotto del pelo dell’acqua, facendolo sobbalzare. Erano stati altri tempi, tempi decisamente più semplici e meno logorati da quello strano odio.
    «Volevo capire cosa avesse spinto mio figlio a venire fin qui», affermò infine, e non gli sfuggì il modo in cui la punta della coda di Bruce si contorse, quasi si fosse irrigidito.
    «Tuo figlio?»
    «Jonathan».
    Clark non se ne rese conto, ma il mondo di Bruce in quel momento si sgretolò. La sua giovinezza corse davanti ai suoi occhi con la stessa rapidità con cui i fulmini sopra di loro sfrecciavano nel cielo e fra le nuvole, e per un attimo persino la pioggia smise di cadere, fermata in un momento di stasi; confuso, Clark sbatté le palpebre senza capire, lo sguardo puntato sul volto incredulo di quel tritone.
«Bruce?» lo richiamò, preoccupato nonostante tutto. Qualunque cosa fosse successa tra loro… quel cambiamento così repentino l’aveva lasciato interdetto.
    «Vattene».
    «Bruce, cosa…»
    Bruce non gli diede il tempo di continuare, sferzando l’aria col braccio destro per lanciare contro di lui una raffica di spine, vedendolo sussultare. «Non tornare mai più qui», sentenziò con un ringhio guttare dal fondo della gola, tuffandosi in acqua prima ancora che Clark potesse rendersi conto di cosa fosse appena successo.
    Con un’imprecazione, Bruce nuotò il più rapidamente possibile verso il fondo, con la testa colma di mille pensieri. Prima di intraprendere quel viaggio nel mondo, aveva provato una sola volta ad avvicinarsi agli umani senza confondersi fra loro. Una sola. E tutto ciò che aveva guadagnato era stato il rischiare di essere catturato e venduto come un fenomeno da baraccone.
    Clark gli era sembrato… diverso, un giovane pescatore che non aveva mai cercato di fargli del male, almeno fino al giorno in cui l’aveva visto su quella stessa spiaggia in compagnia di pescatori armati di reti e fiocine. Bruce, che era appena emerso dal pelo dell’acqua, aveva sgranato gli occhi e aveva provato a scappare, ma quegli uomini gli avevano gettato contro le reti non appena l’avevano notato; aveva gridato e al suo grido avevano fatto eco anche le urla di Clark, mentre veniva trascinato a riva e tenuto fermo con una fiocina dietro la schiena. Dibattendosi letteralmente come un pesce fuor d’acqua, aveva visto gli occhi sbarrati di Clark, il modo in cui aveva strattonato alcuni degli uomini lì presenti, e lui aveva sentito il cuore battere all’impazzata quando si era reso conto che volevano farlo uscire dall’acqua.
    Ricordava le urla di giubilo alla sua cattura, le risate quando le fiocine affondavano nella sua coda, il modo in cui uno di loro aveva strappato a mani nude la sua pinna dorsale e l’aveva fatto urlare di dolore, tutto sotto lo sguardo di Clark che cercava di farsi lasciare per corrergli incontro e aiutarlo. Ma era stato proprio a quel punto che le cose erano degenerata. Terrorizzato, con gli occhi brucianti di lacrime, il dolore che si irradiava nel suo corpo e il sangue che si diluiva nell’acqua salata… aveva sprigionato il suo potere. Le fiocine erano esplose con uno scoppio in mille schegge di legno e acciaio, le grida di gioia si erano trasformate in urla spaventate; uno degli uomini era caduto in acqua e aveva annaspato per raggiungere la riva, ma Bruce ricordava di essersi alzato letteralmente in piedi e di aver stretto la mano lungo il fianco solo per un attimo prima che il pescatore cominciasse a soffocare dinanzi a lui dopo aver vomitato acqua ed alghe. Lo avevano seguito poco dopo tutti coloro che lo avevano attaccato, persino quelli che tenevano stretti Clark.
    Col viso in fiamme, il respiro affannato e il cuore che batteva all’impazzata per ciò che aveva fatto… Bruce aveva guardato Clark, a pochi passi da lui. Quando aveva incontrato il suo sguardo, aveva visto quegli occhi azzurri ingigantiti dalla paura e aveva perso un battito; aveva provato a fare un passo verso di lui, ad aprire la bocca per dirgli che non era stata sua intenzione, ma quando lo aveva visto ritrarsi, qualcosa dentro Bruce si era spezzato.
    Dritto sui suoi piedi, le gambe tremolanti e il corpo nudo e ferito, Bruce aveva chiuso gli occhi solo per un attimo e se n’era andato. Le lacrime a cui aveva dato vita si erano confuse con la vastità dell’oceano e le aveva nascoste persino a sé stesso, reprimendo dentro di sé il dolore e la rabbia. Come il giovane e stupido tritone che era, si era tenuto tutto dentro e aveva raccontato ad Alfred, il suo tutore, che aveva avuto uno spiacevole incontro con dei pesci spada… ma, se Alfred aveva capito qualcosa, non lo aveva mai detto. Si era solo limitato a farlo sedere sull’enorme conchiglia dell’infermeria e aveva cominciato ad applicargli la pastura di alghe e plancton sulle ferite, ed era stato proprio a quel punto che Bruce aveva preso la decisione di partire.
    Sapere quindi che suo figlio Damian aveva cominciato a frequentare inconsciamente proprio il figlio di Clark… aveva riaperto in Bruce quella vecchia ferita che credeva ormai rimarginata da anni. E a quel pensiero imprecò, nuotando più velocemente mentre le correnti si impossessavano delle sue membra e della sua coda, raffreddandogli il viso o scaldandolo a seconda di quale corrente lo carezzasse. Avrebbe portato via Damian quel giorno stesso, se solo avesse potuto. A causa della sua natura ibrida, purtroppo, le cose diventavano ben più complicate e la sua coda non sarebbe potuta tornare con un semplice schiocco di dita. Non sarebbe nemmeno dovuta comparire, a voler essere sincero con se stesso.
    A quel pensiero imprecò e un grido animalesco gli sfuggì dalle labbra mentre aumentava la velocità di nuoto, superando pesci e grossi squali ai quali ringhiò contro, ricordando loro qual era il loro posto; si inoltrò nelle profondità marine che solo i pesci lanterna osavano varcare, ma la sua furia era tale da richiedere la sua presenza in luoghi che non avrebbe mai visitato se non fosse stato necessario. Così, con le mani chiuse a pugno e la lunga coda che sembrava emettere elettricità, batté furente le pinne contro la roccia che si ritrovò ben presto davanti, gli occhi letteralmente fiammeggianti d’ira.
    «Zatara!» gridò con voce gutturale, facendo tremare le pareti di pietra di quella caverna; un branco di pesci nuotò fuori e gli sfrecciò ai lati della faccia, ma non se ne curò, agitando furente la lunga coda squamosa per sferzare l’acqua. «Dove diavolo sei, Zatara!» urlò ancora, con la rabbia che montava dentro di lui come un mare in tempesta. E fu quando l’acqua nella grotta cominciò a ribollire che Bruce vide finalmente il guizzare di una piccola coda dorata, poi il volto di Zatanna, la figlia dello stregone Zatara, fece capolino oltre uno dei cunicoli.
    «Bru-- mio re?» si corresse accigliata, sbattendo più volte le palpebre mentre nuotava verso di lui. I lunghi capelli neri le fluttuavano intorno al viso, incorniciandolo, e la piccola lanterna che aveva sul capo rendeva i suoi occhi ancora più bianchi e luminosi. «Cosa ci fai qui? Mio padre… al momento non c’è».
    «Dov’è andato?» domandò nervoso, e Zatanna poté benissimo sentire l’acqua scaldarsi come non mai. Erano anni che non lo vedeva così arrabbiato.
    «Cos’è successo?»
    «Non ho tempo da perdere, Zee. Si tratta di Damian».
    Stavolta la donna si fece attenta e parve persino spaventata, fissandolo in viso con estrema attenzione. «Sta bene?» chiese, scrutando la sua espressione.
    Lei e suo padre, oltre alla grande famiglia di Bruce, erano gli unici a conoscere la vera natura del potere di Damian. Erano stati loro stessi a porre un sigillo su di lui quando era solo poco meno di un avanotto, così da bloccare i poteri che avrebbe potuto sviluppare a causa della sua natura ibrida; per quanto riuscisse a manipolare l’acqua intorno a sé, quando era appena nato aveva dato un tale sfoggio di potenziale che Bruce stesso era stato costretto a contenerlo per evitare che potesse fare del male a sé stesso e a qualcun altro. Ed era anche uno dei motivi per cui lo aveva strappato dalle grinfie di sua madre, la quale aveva visto un’opportunità non indifferente per sfruttarlo per i suoi scopi.
    «Il contatto con la terra ferma gli ha fatto spuntare le gambe, Zee. Esattamente come sarebbe accaduto a chiunque altro della nostra razza». La sentenza di Bruce la freddò seduta stante. «Tu e tuo padre mi avevate assicurato che non sarebbe successo».
Zatanna sbatté le palpebre. «Io… non mi spiego come sia possibile», ammise sconcertata.
    «Farete meglio a capire in fretta cosa è andato storto, perché mio figlio è in superficie e non è al sicuro».
    «Menti sapendo di mentirci». La voce improvvisa di Zatara rimbombò fra tutte le pareti di roccia, come se il potente mago fosse ovunque e da nessuna parte in particolare, e ci volle un momento di troppo per vederlo comparire davanti a loro in una nube di denso fumo liquido, lo sguardo nascosto dal pesante elmo della conoscenza che spesso indossava. «Ho scrutato gli anfratti e letto le perle, conosco bene il luogo in cui riposa tuo figlio».
    Zatanna rimase interdetta, facendo scorrere lo sguardo su entrambi gli uomini prima di soffermarsi su suo padre. «Che significa, papà?» le venne spontaneo chiedere, ma Zatara indugiò, gli occhi al di sotto dell’elmo fissi sulla figura di Bruce, il loro re.
    «Il nostro principe è nelle mani fidate del nipote di Jonathan Kent».
    «Quel Jonathan Kent?» replicò immediatamente Zatanna, sgranando i grandi occhi bianchi. La lampada sulla sua testa divenne più luminosa, quasi a voler riflettere la sua incredulità mentre l’acqua tornava a ribollire intorno a loro.
    «Ragione in più per riportarlo sott'acqua, Zatara». La voce di Bruce suonava tesa e nervosa, la sua coda non aveva smesso di muoversi avanti e indietro e a colpire l’acqua. «La tua magia aveva una falla. Esigo che tu faccia tornare Damian esattamente come prima».
    «Non mi è possibile», sentenziò l’anziano mago, ignorando le occhiate incredule che gli vennero rivolte da entrambi.
    «Cosa diavolo significa che non ti è possibile?» berciò Bruce nel far esplodere una roccia alla sua destra con l’energia scaturita dal suo corpo, ma il mago non ne parve impressionato.
    «Significa, mio re», cominciò, enfatizzando soprattutto sull’ultima parola, «che qualcosa ha interferito con la mia magia e ha permesso al principe di spezzare il sigillo che non consentiva alla sua coda di scindersi. Qualunque cosa fosse, è risultata più potente persino della mia stessa magia».
    Il silenzio che susseguì fu più terrificante della furia stessa del re. Nessuno dei tre proferì ulteriormente parola, osservandosi con attenzione come se il solo pensiero che la magia di Zatara, il mago più potente del fondale marino da quando era entrato in possesso dell’elmo del Dottor Fate, fosse stata infranta fosse oltremodo inverosimile. E, qualunque cosa stesse pensando Bruce in quel momento, non era sicuramente qualcosa di piacevole.
    «…cosa possiamo fare?» chiese infine Bruce, con la voce ridotta ad un lieve sussurro. La sua rabbia era ancora presente, ma sembrava essersi in parte sgonfiata al pensiero che persino uno stregone come Zatara non aveva idea di cosa fosse accaduto.
    Nuotando verso di lui con la lunga coda nera, Zatara osò sfiorargli la fronte con la punta delle dita, premendo l’indice contro il centro di essa. «Controllarlo e assicurarci che stia bene, mio re», replicò Zatara. «Riponga fiducia nei Kent come l’aveva riposta in loro vostro padre».
    «I Kent mi hanno già tradito una volta, Zatara».
    «Apra il suo cuore e capirà che le cose non sono sempre come sembrano, sire», affermò nel nuotare all’indietro qualche momento dopo, il tutto sotto lo sguardo stranito della figlia che non aveva proferito parola. «Ora vada. Non cerchi qui risposte che non ci sono, il tempo stringe. Protegga il ragazzo».
    La sua voce divenne un’eco lontana, uno strano strato di polvere e sabbia si innalzò fra loro e, mulinando nell'acqua, avvolse completamente Bruce, il quale cercò di muovere le braccia per scacciare quei granelli che gli si infilavano in bocca e nel naso, facendolo tossire mentre cercava di urlare il nome di Zatara; quando tutto finì, Bruce si rese conto di trovarsi nel grande salone del palazzo, riverso sul pavimento ricoperto di conchiglie levigate e con delle voci che gli riempivano le orecchie. Gli ci volle un po’ per mettere a fuoco le figure che torreggiavano su di lui, e una di esse trasse un lungo sospiro nel vederlo sveglio.
    «Accidenti, vecchio, ci hai fatto prendere un colpo», grugnì quella che registrò come la voce di Jason. «Si può sapere che diavolo ti è preso?»
    «Co… cosa?» riuscì a dire nel deglutire rumorosamente, sentendo la gola secca e ferita. Era come se quei granelli di sabbia gli avessero perforato la trachea.
    «Ti abbiamo trovato qui disteso mentre urlavi», spiegò la voce di Tim, e Bruce lo sentì aiutarlo a tirarsi su e a nuotare verso il trono con attenzione. «La tua coda era così arricciata che Alfred è stato costretto a mantenerla».
    Bruce si prese un momento, accasciandosi sul trono e accettando di buon grado la coppa che gli venne porta da Dick prima di cominciare a bere avidamente, senza azzardarsi a proferire una sola parola finché non ebbe finito tutto fino all’ultima goccia. «Ho parlato con Zatara». Un brusio sconnesso si agitò intorno a lui come un’onda, ma sollevò subito la mano per fermare ogni replica che i figli avrebbero potuto fare. «Non può aiutarci con Damian».
    Dick digrignò i denti, le pinne sul suo dorso fremettero come se avessero una vita a sé stante. «Allora cosa possiamo fare?» chiese, sentendo su di sé lo sguardo degli altri fratelli. Erano tutti preoccupati, ma come si faceva a dar loro torto? Il minore di loro era praticamente bloccato in superficie.
    «Non lo so», ammise Bruce nello stringere una mano sul bracciolo del trono. «Ma, qualunque cosa sia, è magia che nemmeno il più grande mago tra noi può infrangere», sentenziò.
    E proprio in quel momento, in superficie, gli occhi di Damian si spalancarono.






_Note inconcludenti dell'autrice
Ed ecco che qualche nodo sta cominciando a venire al pettine, ma tanti altri se ne stanno creando e stanno lasciando qualche dubbio che sembrava essersi dissipato... oltre al apssato di Bruce, che non è stato esattamente facile (aveva un'nfatuazione per Clark e quello che è successo ha irrigidito in parte il suo cuore), che cosa sanno tutti che Damian non sa? E che cosa succederà la prossima volta?
Stanno cercando di tenerlo all'oscuro per proteggerlo da sua madre, certo... ma non tutte le cose stanno andando come avevano sperato, quindi come avrà fatto Damian a sciogliere in parte l'incantesimo di Zatara?
Anche questa è una domanda alla quale non si avrà presto risposta, ma spero che la storia fino a questo momento vi abbia interessati e che vi abbia fatto venir voglia di continuare a leggere
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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