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Autore: Neamh Moonstar    12/12/2021    3 recensioni
Il cielo sopra di lui era una piatta tavola dalle sfumature bluastre che si estendeva oltre l'orizzonte, ancor più in là delle nuvole sulle quali era inginocchiato. Era come un blocco vuoto e spento sopra il suo capo riccioluto; una blanda superficie che scorreva tutta uguale davanti ai suoi occhi azzurri.
Eppure Azraphel non riusciva a smettere di osservarla, muovendo lo sguardo verso ogni immaginario angolo di quella volta infinita. Sapeva che qualcosa sarebbe accaduto, prima o poi.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Guerra, Morte
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
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“È lecito inventare verbi nuovi? Voglio regalartene uno: io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente, per amarti senza confini.”

- Frida Kahlo

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    Sotto di Lei si consumava la battaglia.

    Lame fiammanti cozzavano l'una contro l'altra, squarciavano vesti, distruggevano auree e perforavano ali. Il terreno venne innaffiato di bordeaux e oro, diventando sempre più secco e rotto. 

    Morire o cadere: questo il grido che, dolorante, squarciava l'aria.

    Il primo aveva già scavato un solco nelle profondità del cosmo. Le sue ali erano bruciate al punto da diventare nere come la cenere e, con un sorriso sul volto, si era allontanato da Lei per creare il suo stesso regno. Lì avrebbe raccolto coloro che adesso, l'uno dopo l'altro, stavano facendo la sua stessa fine. Avrebbe costruito l'armata capace di distruggere il Bene e l'Amore del paradiso. Sarebbe stato l'unico e indiscusso signore delle tenebre.

    E Lei, Lei non poteva fermarlo. Era troppo tardi, ormai: avrebbe dovuto farlo quando aveva visto lui e i suoi farsi sempre meno convinti e sempre più restii a crederLe.

Aveva lasciato che i suoi angeli se ne andassero. Aveva lasciato che diventassero qualcos'altro, qualcosa che Lei non avrebbe mai voluto. Qualcosa di sbagliato.


    Tra le Sue braccia c'era una bambina dai lunghi capelli rossi. Stava guardando il tutto con lo sguardo rapito e la bocca semi aperta, seguendo con interesse la traiettoria delle spade, assaporando il modo in cui ponevano fine alla pace che aveva regnato fino a quel momento. «Che meraviglia» commentò. «Vorrei non finisse mai.»

    Ma tutto ciò che inizia, ha una fine e Morte, ora alla sinistra di Dio, lo sapeva meglio di chiunque altro.

«Lo avevamo capito sin da subito, Mia Signora» disse, osservando anch'egli verso il basso. «Ovunque ci sia il bene, ci sarà sempre il male. Ovunque Tu creerai la vita, io verrò per portarla via. È così che deve andare.»

    Dio annuì: «Sai che ti ho sempre dato ragione a riguardo. Eri già designato a prendere posto nel mio progetto, e adesso...» Indugiò, guardando la bambina. «Adesso so che non sarai solo.»

    Morte fece un segno d'assenso e strinse la sua falce. «Dove vanno gli angeli quando muoiono, Mia Signora?»

    «Non preoccuparti di questo. Pensa a raccogliere le loro essenze: al resto penserò io.»

Detto ciò, Dio posò la bambina e lasciò che prendesse posto tra le buie ed eteree braccia di Morte.

    Contrariamente a quanto si pensa, non furono gli umani ad inventare la guerra. Guerra nacque nel momento in cui gli angeli fedeli e quelli ribelli decisero che doveva essere per forza lei l'unica soluzione.

Morte, invece, nacque il giorno in cui Dio creò la prima stella. La bella e pulsante sfera visse finché poté e poi esplose, lasciando dietro di sé un lunga scia di detriti. Aveva completato un ciclo: il primo di tanti. In futuro, tutti gli esseri viventi avrebbero subìto la stessa sorte.

    Gli angeli avrebbero dovuto essere immortali e, in un certo senso, lo erano. Poche cose potevano scalfirli: Dio, che non lo avrebbe mai fatto, e le armi che aveva creato. Mai avrebbe pensato potesse essere necessario; eppure, ora che osservava la battaglia, capì che non avrebbe potuto fare altrimenti. Era stata la volontà stessa delle Sue creature a portare a ciò, e Lei non sarebbe mai andata contro i loro desideri.

Le si stringeva l'ipotetico cuore ogni volta che vedeva le candide piume annerire e i Suoi amori precipitare nel fuoco e nell'oscurità.


    Ad un certo punto, la bambina allungò un pallido dito davanti a sé e chiese: «Cosa sta facendo?»

    Dio e Morte si voltarono all'unisono verso la direzione da Guerra indicata, e sussultarono. 

    Uno degli angeli non stava combattendo, anzi. Vagava per il campo di battaglia alla ricerca di qualcosa.

Alla ricerca di qualcuno.

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    Azraphel trascinava la sua spada come fosse il peggior fardello che avrebbero mai potuto mettergli tra le mani, ed effettivamente lo era. Non aveva nessunissima intenzione di utilizzarla; peccato che nessun altro pareva condividere le sue intenzioni.

Attorno a sé si stava consumando uno spettacolo terribile. Più volte si ritrovò involontariamente in mezzo ai colpi, i quali gli causarono più tagli. Uno di essi, in particolare, gli aveva procurato una lunga e sanguinolenta linea lungo tutto il fianco. Da essa fuoriuscivano tante sottili strisce dorate che macchiavano la sua veste bianca; dorate come le iridi che stava disperatamente cercando di trovare nel bel mezzo del disastro.

    «Raphael?» Gridò, cercando di sovrastare i suoni del conflitto. Aveva cercato l'arcangelo in lungo e in largo ormai, dando un'occhiata a tutte le figure rivolte a terra che aveva incontrato sul suo cammino. Ogni volta, scostava le loro ali macchiate di sangue con il terrore di scorgervi, al di sotto, le familiari ciocche rossastre. Altre volte ancora, posava lo sguardo su coloro che venivano risucchiati dalle voragini che si aprivano sotto i loro piedi, terrorizzato. 

    Morire fisicamente o moralmente: non c'era altra via d'uscita da quell'ammasso di clangori, urla e puzza di bruciato.


    L'angelo stava per riprendere a chiamare, stavolta così forte che le sue corde vocali avrebbero urlato pietà, se le avesse avute.

Non fece in tempo, però, perché sentì un peso arrivargli in picchiata sulla schiena. Cadde, rotolò più volte, sentì il terreno graffiargli le guance e, alla fine, una mano si strinse attorno al suo collo. C'era un angelo che non riconobbe sopra di lui: la sua spada era pronta a colpire, lo sguardo rabbuiato dal desiderio di violenza e le ali che gli si stavano lentamente ma inesorabilmente annerendo.

«Cosa c'è, raggio di sole? Ti sei perso?» Chiese lo sconosciuto, la voce rauca ridotta ad un ringhio. «Dov'è Dio, eh? Perché non è qui a salvarti?»

    Azraphel lo fissò con terrore. Come aveva potuto una creatura da Lei creata finire in quel modo? E per cosa, poi? Dubbi, domande.

La sua mente tornò a Raphael. Spesso aveva temuto di non trovarlo perché forse era già-

    Il terreno sotto di loro si crepò e il ribelle sorrise: «A quanto pare, verrai giù con me.»

    L'angelo di luce scosse più volte la testa, prendendo a dimenarsi. La spada doveva essergli caduta; proprio adesso che avrebbe volentieri voluto usarla per tirarsi fuori da quella situazione. 

A nulla valsero i suoi sforzi.

    Il ribelle fece un unico, veloce e fluido movimento del braccio. La sua lama affondò nel petto di Azraphel con una facilità innaturale, spaccandone in due l'essenza.

    L'angelo non emise un suono. Sbarrò ulteriormente gli occhi, le pupille ridotte a due puntini neri persi nell'azzurro cielo delle sue iridi. Sentì un fiotto caldo fuoriuscire dal solco che la spada aveva creato, e il suo sguardo si perse nel vuoto.

Per la prima volta si chiese perché. Perché tutto cio? Perché Dio aveva lasciato che accadesse? Perché?

    Domande.

    Dubbi.

    Qualcuno che urlava il suo nome.

    Il ribelle venne violentemente sbalzato via dal suo stomaco. Voltando lentamente la testa, Azraphel vide una familiare figura alta, dai bei capelli di fuoco, prendere il ribelle e sbatterlo al suolo sotto al quale sparì. I suoni si erano fatti così ovattati che non riuscì a capire cosa fossero gli urli che gli rimbombavano in testa. Il mondo attorno a sé stava iniziando a ridursi ad un ammasso informe di ombre.

    Qualcuno gli prese la testa tra le mani. Un paio di occhi dorati pieni di lacrime lo stavano fissando addolorati. Fino a qualche tempo prima erano così belli, seppur così insicuri... Perché finire così?

Sorrise appena, ricacciando indietro un coagulo che gli si era formato in bocca. «Ti stavo cercando.»

    Raphael lo raccolse, iniziando a singhiozzare: «E io stavo cercando te. Credo di aver fatto un disastro. Tutto questo è anche colpa mia.»


    Per un po', Raphael aveva iniziato a parlare sempre di più con un gruppo di angeli che ad Azraphel avevano sempre messo un po' di inquietudine. Lo aveva confessato all'arcangelo, il quale aveva fatto un movimento noncurante con la mano, dicendo: «Non sono pericolosi: hanno solo idee un po' strane.»

Poi, come sempre faceva sotto al "loro" angolo di infinito, si era messo a prendersi cura di lui.

Era diventata prassi incontrarsi, parlare, discutere del più e del meno, per poi finire a guardare le stelle. Avevano creato il loro piccolo, personale universo: un posto in cui Raphael tornava felice e in cui Azraphel poteva rilassarsi del tutto.

Quando stavano assieme, il resto spariva. Stavano così bene l'uno accanto all'altro... Si erano fatti sempre più vicini. Le loro mani si cercavano da sole, le loro ali srtrisciavano l'una sull'altra, intralciandosi. Era tutto così perfetto, così caldo, così inusuale. 

E adesso rischiava di finire nel sangue.


    Lasciando che le magre braccia dell'altro lo avvolgessero, Azraphel disse: «Allora è questo che succede a chi fa le cose sbagliate.»

La sua voce era ridotta ad un flebile lamento e la sua luce aveva iniziato ad affievolirsi.

    «Ti prego» pianse Raphael stringendolo sempre più a sé. «Non andartene. Non puoi farlo! Facciamo che è un ordine?»

    L'angelo rise appena, facendo scivolare ancor più fiotti dorati dal suo petto. «Un ordine da parte tua?»

    L'altro annuì, ormai completamente colto dagli spasmi e dal pianto. «Tu non capisci. Sei l'unica cosa che mi tiene attaccato a Dio. Sei l'unico rimedio alla curiosità che mi sta mangiando. Se tu te ne vai, io non avrò più ragione di esistere.»

    Azraphel si ritrovò a scuotere la testa e chiuse gli occhi, sapendo che prima o poi l'avrebbero fatto da soli, per sempre. «Promettimi che non cadrai» chiese, raccogliendo le ultime forze che gli restavano. «Raggiungimi ovunque vadano gli angeli quando muoiono, piuttosto.»

Era una richiesta così egoista, se ne rendeva conto. Avrebbe voluto dare un'occhiata migliore all'arcangelo prima di sparire chissà dove, anche solo per avere la conferma che ciò che stava dicendo non era del tutto infattibile. 

    Raphael lo strinse così forte da far sfiorare il suo petto contri la lama. «Non te ne andare» ripeté, la voce null'altro che un rantolo di dolore. «Io ti amo. Ti amo più di quanto ami Dio.»

    Oh, quanto l'angelo avrebbe voluto replicare. Quanto avrebbe voluto dirgli che provava le stesse cose, anche se forse era sbagliato. Ma che differenza avrebbe fatto? Ormai sentiva tutto il suo essere svanire nel vuoto, andando ad abbracciare l'ignoto.

Sentì le labbra sottili dell'altro posarsi dapprima sulla sua fronte, poi sulle sue guance rigate dalle lacrime e dal sangue. Era una sensazione così bella... Non avrebbe potuto immaginare un modo migliore di andarsene.

    «Mi ami anche tu, vero?» Chiese Raphael.

Ma non ottenne risposta se non dal suono delle grida, delle spade e del terreno che si apriva a tratti.


    La sua luce alata si era spenta. Al suo posto erano rimaste una pozza dorata e un ammasso di candide piume, circondanti un volto pallido e privo di emozioni.

    Qualcosa dentro l'arcangelo si ruppe. Fu come se qualcuno avesse finalmente sbloccato la voragine dentro di lui, lasciando che il suo contenuto si riversasse tutto insieme e tutto nello stesso istante.

Dov'era Dio? Perché non li stava aiutando? Perché non stava mettendo fine a tutto ciò? Perché aveva lasciato che il suo angelo più bello finisse in quel modo? Perché era sbagliato voler sapere cosa Le passasse per la testa? Come poteva sapere cosa fosse sbagliato se nemmeno sapeva quali fossero le cose giuste?

Perché?

Perché?!

    Poggiò ciò che rimaneva di Azraphel al suolo e, in silenzio, si alzò. Si pulì il viso dalle lacrime e si allontanò, diretto verso un punto imprecisato del campo di battaglia.

Che senso aveva continuare a credere se l'unico in cui credeva era morto? Che senso aveva continuare a combattere se non aveva nessuno da proteggere?

Forse, se non si fosse mai messo a parlare con gli angeli sbagliati, tutto ciò non sarebbe accaduto. Ma ormai era tardi.

    Sentì un bruciore pervadergli le scapole e si fermò. Spostò un'ala per guardarla e notò che si stava annerendo, accompagnata da più volute di fumo e sprazzi di scintille.

Il terreno sotto di lui si spaccò. Le crepe lo circondarono, pronte a spalancarsi come fauci.

    «E sia» disse, rivolgendo il suo sguardo al cielo. «Fallo. Distruggi anche la sua ultima speranza, già che ci sei. Fammi cadere.»

    Lassù, da qualche parte, nascosta tra il grigio pallido delle nubi, c'era la stella di Azraphel. Non "sua" perché l'aveva fatta lui, no. "Sua" perché gli apparteneva e sempre gli sarebbe appartenuta, anche se Dio non voleva. Era tutto ciò che rimaneva della spettacolare luce che era stato.

    L'ustione arrivò velocemente alla punta dell'ultima delle sue piume. Il candore sparì, lasciando al suo posto il nero di una notte senza stelle.

La bocca della terra si aprì e Raphael sentì un calore insopportabile, seguito dal terribile odore del fumo e dello zolfo. Chiuse gli occhi e sentì le vertigini avvolgerlo, circondandolo man mano che iniziava a sentire il vuoto tutt'attorno a sé. Era impotente mentre prendeva a precipitare verso il basso, le sue ali ferite si rifiutarono di iniziare a sbattere per stabilizzarlo.

Si rigirò più volte a mezz'aria, gli occhi iniziarono a bruciargli. Era così che sarebbe finita: con lui che piombava in mezzo a chi aveva fatto la cosa sbagliata. Eppure non se ne pentiva. Aveva chiesto e aveva amato: ne era valsa la pena.


    Fu allora che tutto si fermò.

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    «Perché l'hai fatto?» Piagnucolò Guerra. «Era tutto così bello.»

    La battaglia si era bloccata. Le spade erano rimaste alzate nell'aria e l'intero universo era ammutolito. Dio aveva ancora un braccio davanti a sé, il palmo aperto e gli occhi fissi nel vuoto.

    Morte si volse verso di Lei. «Mia Signora? Cosa succede?»

    «Non crucciarti, ombra mia» rispose Lei. «Non ho intenzione di riprendermi ciò che ora è tuo. E non piangere, tenera goccia di sangue» disse, rivolgendosi a Guerra. «Non sparirai ora che sei comparsa.»

Fissò mesta sia i guerrieri, che i morti, che Raphael. Era ancora lì, tra il cielo e le profondità della terra, sospeso tra ciò che era stato e ciò che era diventato.

«Non cancellerò ciò che è avvenuto» continuò. «Lascerò che lo scontro avanzi e lascerò che il mio arcangelo cada. Ti darò quel che ti spetta, Morte. Ogni singola anima. Tutte tranne una.»

    «Ciò che state chiedendo non rientra nelle mie corde, Mia Signora» disse il mietitore.

    «Ma rientra nelle mie. Preserva l'angelo di luce: al resto penserò io.»

    Morte acconsentì con un cenno del capo: «Se questo è ciò che volete.»

    «È ciò che voglio, ciò che ti chiedo e ciò che ti ordino» affermò Dio.

    Guerra inclinò la testa, confusa: «Significa che sbloccherai il tempo? Voglio vedere come va a finire.»

    Lei annuì. Richiuse lentamente il suo palmo e fece ricominciare il clangore.

    Le spade ripresero a cozzare, il calore a disperdersi, le urla a risuonare. Sangue dorato si riversò ulteriormente tra le crepe del terreno arido e Raphael completò la sua rovinosa discesa, sparendo alla vista di Dio.

    Molti candidi corpi avvolti dalle loro stesse ali erano ancora sparsi per il campo di battaglia. C'erano tutti coloro che, pur di non allontanarsi da Lei, avevano deciso di soccombere alla violenza di coloro che erano stati i loro stessi fratelli; gli stessi con i quali avevano condiviso le gioie del Paradiso.

C'erano tutti. Tutti tranne uno.

    «Grazie, Morte» disse Dio, sorridendo al mietitore. «Il tuo gesto non verrà dimenticato.»

    «Sono e sarò sempre al vostro servizio, Mia Signora.»


    Dio, Guerra e Morte attesero.

    Gli angeli vinsero e i demoni nacquero. Da quel momento in poi ci sarebbero stati un Sopra e un Sotto, il Bene e il Male, il Giusto e lo Sbagliato, il Paradiso e l'Inferno.

Quella battaglia cambiò tutto in modo radicale. Persino i piani di Dio cambiarono: si fecero più lungimiranti e più complicati. Ma soprattutto, Lei doveva ora tenere da conto quel rapporto che ancora non era riuscita a spiegarsi. Il rapporto che aveva deciso di voler salvare.

    «Non è la fine» disse alle altre due identità. «È un nuovo, incredibile inizio.»

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    Era una bella giornata. Tutte le giornate erano belle.

Ce n'erano state sette prima di allora.


    Dio sorrise, gli occhi puntati sul muro orientale dell'Eden.

    Adamo ed Eva avevano imparato una bella lezione e gliel'aveva insegnata un serpente. Erano dovuti fuggire, fortunatamente non a mani vuote: Azraphel aveva dato loro la sua spada di fuoco. La cosa non La stupì granché: l'angelo l'aveva odiata sin dalla prima volta che l'aveva presa in mano. Pensò di chiedergli dove l'avesse messa, così da scoprire come avrebbe risposto.

Era cambiato così tanto ma allo stesso tempo non era cambiato per niente. Di certo si era fatto più complicato: i suoi pensieri erano sempre costellati di tacite considerazioni e domande. Le ricordava molto ciò che Raphael era stato.

In quanto al suo ruolo, quello era rimasto invariato: Dio avrebbe sempre voluto che fosse un guardiano. Col tempo, il suo lavoro avrebbe avuto più risvolti e più senso; nel frattempo, però, aveva già fatto la cosa che qualsiasi guardiano che si rispetti avrebbe fatto: aveva dato la possibilità ai suoi protetti di difendersi, anche se non sapeva se fosse la cosa giusta da fare o meno.

Il suo aspetto era sempre quello che Lei gli aveva dato. Lo aveva fatto nascere pensando alla rotondità, alla morbidezza e al candore delle nubi; il tutto immerso nella potente e calda luce del sole. La sua luce c'era ancora, ma era nascosta perché sulla Terra le regole erano diverse, e gli umani non avrebbero sopportato quel candore divino. 


    Adesso erano rimasti nel giardino solo lui e... Aveva un nome diverso da quando era caduto: Crawly o qualcosa del genere. Era un po' strano, pensò Dio, ma gli donava. 

Nemmeno lui era cambiato poi tanto: aveva un bel paio di ali corvine, certo, ma lo stesso fisico magro e affilato, gli stessi capelli e persino gli stessi occhi. Questi, però, erano adesso il riflesso della sua nuova natura. Lei non poté fare a meno di sorridere: un serpente, ma certo. Che altro avrebbe potuto diventare se non le creature che lui stesso aveva creato quando ancora viveva in Paradiso?

    «Oh, sono tornati» disse Morte, affiancandoLa e mettendosi ad osservare la scena. «Non è strano? Un angelo e un demone che parlano del bene e del male?»

    Dio sorrise, scuotendo il capo: «Non per loro, no.»

    «È un peccato che non si ricordino l'uno dell'altro» commentò il mietitore. «Da quel che ho potuto capire, sembravano volersi bene.»

    «Era necessario» affermò Dio. «Il loro rapporto era l'unica cosa che doveva sopravvivere alla guerra e al fuoco dell'Inferno. Questo era l'unico modo.»

    «Mi sarà mai concesso saperne il motivo, Mia Signora?»

    Azraphel parve indignato da qualcosa che Crawly aveva detto e Dio non poté fare a meno di ridere, una mano davanti alla bocca. C'era ancora quel qualcosa tra di loro, solo che stavolta avrebbe avuto bisogno di tempo e pazienza per sbocciare. Recupereranno, si disse, recupereranno.

«So che potrà sembrarti strano, ombra mia» disse, rivolgendosi a Morte con lo sguardo di una madre fiera più che mai dei suoi figli. «Ma l'amore che c'è tra di loro, che c'è stato e ci sarà, è così grande che nemmeno io riesco a coglierne le sfaccettature.»

    «Capisco. Una chimica così particolare dev'essere preservata» intuì il mietitore.


    Si mise a piovere. Azraphel alzò un'ala e Crawly vi sì mise al di sotto; gesti naturali, immediati, istintivi. Loro non potevano saperlo, ma altro non erano che l'ombra di ciò che era stato; ciò che rimaneva di un rapporto di cui nessuno, tranne Dio e Morte, ricordava i particolari.

    «Li incontrerai, un giorno» disse Lei al suo oscuro compagno. 

    Morte si illuminò, metaforicamente parlando. «Oh, sono quasi impaziente all'idea. Ciò significa che c'è un nuovo Piano ben pensato.»

    «Nei minimi particolari. Preciso ma ineffabile.»

    «"Ineffabile", Mia Signora?»

    «Troppo grande e alto da poter essere espresso a parole» spiegò Dio. Poi indicò l'improbabile coppia in piedi sul muro e disse: «Come loro due.»


    Quando la notte scese, facendo calare il deserto nell'oscurità, Adamo ed Eva si ritrovarono soli, al freddo e al buio. C'erano solo due fonti di luce a guidarli: la spada di fuoco e una stella. 

Tra le tante sparse nel cielo, quella era così evidente da far sembrare le altre dei miseri puntini colorati immersi nel blu. Così, la coppia decise di seguirla e, ben presto, trovarono un posto sicuro dove stare.

    Con il tempo, quella stella divenne la guida di tanti altri umani. Quando nacquero i navigatori, essi iniziarono ad usarla come punto di riferimento. 

Visto che era tanto bianca e splendente, la chiamarono Stella Polare. Divenne importante: divenne una bussola, un punto fisso, una speranza per chi si perdeva nel buio.

    Nessuno avrebbe potuto immaginare che quella stella era stata creata dalle luminose mani di un angelo, aiutato da un arcangelo che ora non lo era più. Nessuno avrebbe potuto sapere che era nata dall'amore di due esseri che ancora adesso si amano infinitamente, seppur in modo diverso. 

    Nessuno avrebbe mai saputo di Azraphel, Raphael e di ciò che era accaduto sotto quell'angolo di infinito.

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Fine

   
 
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