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Autore: Gaia Bessie    16/12/2021    2 recensioni
Ginny Weasley è inquieta nel proprio matrimonio perfetto.
Draco Malfoy è inquieto nel proprio matrimonio (meno) perfetto.
[Draco/Ginny, Mini-long di otto capitoli | Partecipa al "Calendario dell'avvento" organizzato da Cora Line sul forum Ferisce più la penna].
[Cap. 6]: Ginny Weasley non sa scrivere composta, non ha niente della fredda calma della Granger o della spensieratezza con cui la Lovegood faceva dondolare le gambe sulla sedia. Lei sbuffa, gratta l’orecchio, cambia posizione, intreccia le caviglie, si macchia d’inchiostro il polso.
E, quando finalmente le vengono le parole, sorride come se avesse trovato la chiave di volta per la vita eterna. Un po’ la invidia.
È così che si spiega perché la tiene così in alta considerazione, nonostante le sue scelte matrimoniali (chiaramente sbagliate), nonostante il suo cognome, nonostante il passato che l’avvolge come un velo opaco. Opachi, i pensieri che Draco deve riordinare per averci a che fare.
La invidia per davvero – ne invidia la tranquillità con cui s’approccia a sé stessa, quando un tremore le squarcia il viso, l’angolo della bocca che spinge per contrarsi in una smorfia: ma Ginny Potter sorride e, in lei, non s’intravede nulla di quell’inquietudine che Draco conosce.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Ginny Weasley | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria, Draco/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Stelle di cannella



6.
Disincanto
 
[Ossessione]
 
Ginny comincia a pensarci, alla sera, quando il sonno pesa sulle palpebre e inizia ad aver posto in sé per le fantasie: comincia a vagare con la mente, accarezzando quella possibilità come fa con la testolina di James quando corre ad abbracciarla (dopo aver combinato una marachella). Ci pensa e le squarcia la sanità mentale, alla mattina, quando prepara la colazione per sé e per il primogenito e, allora, le mani vagano ma è la mente ad abbracciare ogni nuova possibilità.
E ci pensa mentre lavora, mentre si trucca per uscire a cena fuori, mentre ascolta Hermione lamentarsi del disordine mentale di Ron, mentre Luna la guarda e ha il cipiglio di chi ha colto un petalo e intuito il resto del fiore. Costantemente, quel pensiero diviene la sua ossessione.
E lo condisce con sale e pepe a pranzo e lo versa come la salsa dell’arrosto, sul piatto, quello straborda e le cola tra i denti come speranze spezzate. Lo stende insieme ai panni, al pomeriggio, lo stira con la punta delle bacchette.
Qualche volta, muove le mani stancamente e cerca di cacciarlo via – ma niente, alla fine di tutto, quel pensiero è ancora lì, sepolto tra i ricordi: la consapevolezza che Astoria Greengrass riposa sotto un ciliegio dai rami spezzati e Draco Malfoy è libero di ricostruirsi da zero.
Cerca di non darci troppo peso – Malfoy torna a lavoro, a respirare e, quando lei lo guarda, sta sorprendentemente bene. Se non fosse che, talvolta, quando è troppo preso dal pezzo che sta buttando giù e i pensieri sfuggono dal suo controllo, un po’ si rabbuia. E lei lo sa, lo sente dannatamente come fosse sua la pelle che si tira in una smorfia scontenta, lo sente: sta pensando a quel fantasma che bussa a tutte le porte del suo appartamento di Londra, soffiando come il mare a Dover sulle scogliere.
Un giorno si presenta con la camicia slacciata e l’ombra di una chiazza di latte sui bottoni, facendo sorridere la stagista – Ginny, che pure ha due figli che le pesano addosso come un inestinguibile senso di colpa, lo guarda ed è lei, questa volta, a storcere la bocca.
Non gliela sa concedere, la possibilità di avere una famiglia, una vita che sia ancora legata al ricordo di sua moglie: Scorpius Malfoy è un neonato che pesa come una foglia accartocciata, eppure si frappone tra suo padre e Ginny come un ostacolo insormontabile.
E lui, di rimando, non le sa concedere l’opportunità di provare a ripararlo – buffo, gli sussurra lei una sera che escono insieme dalla redazione della Gazzetta del Profeta, che tua moglie t’importi così tanto adesso che non c’è più. Lui inghiotte una rispostaccia e un sorso di senso di colpa: non le dice che, in fondo a quel suo cuore bugiardo, sa che ha ragione.
Si allontana, lei ne ha percezione chiarissima: cosa fare per impedirglielo, che non sia palese supplica (e altrettanto disperata), non lo sa. Tutto in lei grida negazione.
Se l’orgoglio, quel terribile difetto che le scorre nel sangue e le sfigura il volto come quella matassa di capelli troppo rossi, glielo concedesse Ginny si getterebbe ai suoi piedi per domandargli di rimanere. Non lo fa.
Non lo fa e, quando Draco Malfoy inizia a decorare la propria scrivania con fotografie del proprio matrimonio, stringe i denti e non dice una parola: Astoria Greengrass sorride, dolcemente, in un abito color avorio. Sente Malfoy spiegarlo alla stagista – Astoria non aveva voluto l’abito bianco, lui non le ha mai domandato il perché.
Il bianco ingrassa, borbotta la ragazza con aria pensierosa, Draco sorride e scrolla le spalle.
Che verginità avrebbe dovuto dimostrare, pensa Ginny acidamente, che voti doveva pronunciare se s’era già votata a un’infelicità presofferta?
A lui non lo sa dire – Draco Malfoy accarezza le fotografie di sua moglie come lei fa con quel pensiero (può sorridere malinconicamente, lui, ma è evidente che Astoria non ci sia più) e, quando si rende conto che lo sguardo di Ginny indugia troppo sulle spalle, perforandogli il cuore dal retro, scuote il capo e non osa proferir parola.
A lui non lo sa dire, che la vita di ognuno è illuminata dai fantasmi di chi non riesce a rimanere – e qual è il tuo, potrebbe domandare Malfoy, alzando un sopracciglio.
Non direbbe Fred, Ginny: non avrebbe la forza di poter condividere anche suo fratello con Astoria Malfoy, né George le permetterebbe di appropriarsi di quel dolore che, sebbene sia condiviso, gli appartiene in larga parte.
Non direbbe Harry, Ginny – anche se suo marito, quando alla sera si corica in punta di piedi per non svegliarla, sospira tutta la propria esasperazione sul cuscino e si fa pallido e nevrotico quando si rende conto che tutto ciò su cui ha costruito la propria felicità è fragile come fil di lana bruciata.
E non direbbe nemmeno Draco, perché l’orgoglio se la mangia viva e lei non riesce a sentirne la mancanza, anche se lui manca anche quando le sta vicino e le chiede di passargli della pergamena o dell’inchiostro, anche se lui è mancanza quando la guarda e sa di non riuscire a trovare le parole. Ma non ne pronuncia mai il nome, nemmeno nei propri pensieri: se lo facesse, renderebbe reale quel pensiero che le pungola le fantasie e i sogni e, quando apre gli occhi, si imprime comunque nel retro delle palpebre.
Ma, il giorno in cui Draco Malfoy deve mangiarsi un bacile di lacrime (il patto di sangue che ha stretto dicendo quel sì, lo voglio) di fronte a un vassoio di stelle di cannella portate da una moglie di un collega, Ginny implode.
Ginny implode ma, quando le offrono un biscotto, ringrazia con un sorriso dolcissimo – e dentro urla basta, basta, basta.
Perché Draco Malfoy ha riscoperto l’amore nell’assenza e, adesso che Astoria Greengrass riposa sotto un cumulo di terra smossa, amarla risulta essere estremamente più facile – e, quando lo vede sbocconcellare lo spigolo di una stella biscottata, Ginny mangia un sospiro e s’alza per consegnare il proprio articolo al caporedattore.
Vado a prendere una boccata d’aria, sussurra – la tentazione di non tornare più le si staglia come una possibilità sconfinata e dolorosamente inattuabile.
 
***
 
Con la coda dell’occhio, Draco la vede – una macchietta d’inchiostro rosso che s’agita sulla sedia: Ginny Weasley non sa scrivere composta, non ha niente della fredda calma della Granger o della spensieratezza con cui la Lovegood faceva dondolare le gambe sulla sedia. Lei sbuffa, gratta l’orecchio, cambia posizione, intreccia le caviglie, si macchia d’inchiostro il polso.
E, quando finalmente le vengono le parole, sorride come se avesse trovato la chiave di volta per la vita eterna. Un po’ la invidia.
È così che si spiega perché la tiene così in alta considerazione, nonostante le sue scelte matrimoniali (chiaramente sbagliate), nonostante il suo cognome, nonostante il passato che l’avvolge come un velo opaco. Opachi, i pensieri che Draco deve riordinare per averci a che fare.
La invidia per davvero – ne invidia la tranquillità con cui s’approccia a sé stessa, quando un tremore le squarcia il viso, l’angolo della bocca che spinge per contrarsi in una smorfia: ma Ginny Potter sorride e, in lei, non s’intravede nulla di quell’inquietudine che Draco conosce così bene (d’altronde, gli appartiene).
A lei non lo confessa. Della sua convinzione di non sapere amare ma, al massimo, della consapevolezza d’esser sempre stato diviso tra odio e appartenenza: e con lei il punto della questione è esattamente questo – che la odia, ma sente d’appartenerle.
E la odia perché, Ginny Weasley, racchiude in sé tutto ciò che s’è sempre impegnato a disprezzare: racchiude l’amicizia della Granger, l’amore di Potter, racchiude ogni brandello di quel coraggio che lui non ha avuto mai. Per questo, quando ancora gli capita di scoprirsi l’avambraccio per non macchiare i polsini della camicia d’inchiostro, Draco sobbalza – può fingere d’esser cambiato, ma lui è ancora lì.
Il Marchio Nero non fa male, ma la ferita nell’anima è rimasta, nonostante tutto: il Mondo Magico dice d’aver perdonato, a piene mani, chi se lo meritava. Draco, che ha beneficiato di quella clemenza, quand’è uscito dall’aula del Wizengamot dopo il processo lo ha detto: non esistono pentiti, esistono i sopravvissuti, sì, e chi non sopravvivrà più.
Draco a volte se lo domanda – sopravvivrà finché non verrà la morte a stanarlo o toccherà ai Mangiamorte rimasti vendicare la promessa fatta a nostro Oscuro Signore?
Non c’è cura ai propri sbagli, ha sussurrato quando il Wizengamot s’è raccolto attorno a lui come una corona di spine, anche quando li hai commessi per il bene d’altri. La vita di Draco Malfoy s’è annodata a sedici anni e, adesso che con le forbici in mano cerca di districarne i fili, scopre che solamente un taglio netto vi porrebbe rimedio.
Astoria Greengrass ha intricato quel che rimaneva. Quando si siede davanti alla sua tomba, sporcandosi di terra o fango i pantaloni, Draco glielo dice che se n’è andata troppo presto – non amore, le sue complicanze. Crescere un figlio senza di lei, chiedere perdono per i propri peccati senza speranza di poter ricevere perdono o assoluzione.
Lei non risponde mai. Lui non lo ammetterà mai nemmeno con sé stesso che, quando gli hanno comunicato ch’era finita (e lui era dolorosamente libero) per un momento ha sperato che sua moglie tornasse come spettro a tormentarlo.
Ma, quando l’hanno sepolta nel parco della sua casa d’infanzia, la foto di Astoria sembrava suggerirglielo con un sorriso – che forse, più del suo tormento, sua moglie aveva bramato l’oblio.
Draco ci è dovuto venire a patti e, adesso che la sua vita è un biscotto da ricomporre inzuppandolo in glassa appiccicosa, si deve domandare come farà a tenere insieme tutto il resto: perché Ginny Weasley, che continua ad agitarsi sulla sedia come l’avesse punta una tarantola, è sempre più inquieta.
E non solamente per quel matrimonio che s’ostina a tenere in vita con deboli sorrisi e altrettanto scarne giustificazioni, ma perché si riflette in quell’ansia che assale Draco quando si rende conto che è arrivato esattamente dove più temeva. Al capolinea, in quel punto del mondo dove ci sono due strade e non ti puoi sdoppiare per percorrerle entrambe: scegli, sembra urlargli Ginny Potter, destra o sinistra?
Lui le decisioni non le sa prendere – mai stato in grado: è sempre stato un campione nel temporeggiare, nel prendersi il suo tempo e qualcosa di più. E, adesso che lei silenziosamente gli grida scegli me, Draco tentenna.
Si dice di non aver la coscienza sporca – macchiata, però, quando vi si siede davanti e scopre che il proprio riflesso è ombreggiato come la pelle sul suo braccio: non per Potter, si dice con astio, ma per tutto ciò che lei sa rappresentare. Ginny Weasley è una rottura che lui non sa come accettare, l’amore che crede di non poter meritare, uno iato dolorosissimo tra un prima e un dopo di cui non conosce anticipazione.
Sibilla Cooman gliel’aveva predetto in una fondina di tè – avrai sempre paura d’amare, signor Malfoy: e lui, che a quei tempi covava sentimenti perfino per i respiri di Pansy, non s’era posto alcuna domanda. Ma, adesso che la vita gli ha srotolato davanti il conto da pagare, la risposta gli è chiara.
Che quei giorni, quei momenti che le ha rubato dal suo matrimonio con Potter, alla fine di tutto non contano niente – che Ginny Weasley lo guarda pretendendo quell’amore che è conscia di meritare ma che lui, oh no, lui non sa come fare a restituirle.
E lui inizia a nascondersi dietro la gonna di Astoria, le foto del matrimonio, il sorriso triste di un vedovo inconsolabile. Ma, e lo sa come è conscio di avere una cicatrice nera sul braccio, lei non ci crede nemmeno un po’.
Non ci crede nemmeno il giorno in cui va via prima da lavoro, borbottando qualche scusa generica, e gli lascia sul tavolo un pacchettino di biscotti fatti in casa – e lei, a differenza di sua madre, detesta cucinare come poche altre cose al mondo.
Draco, che le nasconde in un cassetto della propria scrivania come fossero la lettera scarlatta e la propria condanna a morte, sospira tra i propri pensieri.
Sono stelle di cannella.
 
***
 
Quando finalmente si risolve a parlarle, Draco Malfoy perde il coraggio in un’occhiata: perché, appollaiata tra gli scogli, Ginny Weasley ha il sorriso di Astoria – quel misto di innocua rassegnazione e dolcissima speranza che, giorno dopo giorno, nei suoi ricordi gli ha svuotato il cuore a cucchiaiate, rendendolo cavo e inutile. E, adesso che ha posto dentro di sé per una nuova luce, Ginny s’è oscurata.
Si stringe nel proprio mantello azzurro chiaro, che sembra fare a pugni con il colore dei capelli e al contempo stesso volerli abbracciare, e non dice una parola: s’è Smaterializzata con i vestiti da casa e il mantello che usa per andare a lavorare, che cela un grembiule sporco di farina e zucchero a velo.
«James voleva fare i biscotti» commenta, quando lui si siede al suo fianco. «Dice di voler cucinare meglio della nonna, quando gli permetterò di avvicinarsi al forno: è buffo, sai, non sembra nemmeno così piccolo».
Lui vorrebbe domandarle quando s’è risolta ad essere madre di figli che forse ha desiderato ma che, sul finire di ogni favola in corso, le hanno solamente drenato via i rimasugli di amore che provava per suo marito. Ma, quando nomina il primogenito, c’è tenerezza in Ginny Weasley, c’è quel sapore di mamma che Draco ha talvolta visto nello sguardo della sua, di madre, che Astoria incinta emanava a ondate come l’odore di biscotti e cannella che la seguiva come una maledizione (qualche volta, lo sente ancora).
«Io…».
Ginny scuote il capo, facendo oscillare i capelli – è intenzionata, al pari di Astoria, a togliergli le parole dalla gola e le speranze della mente: come quel pensiero un po’ ossessivo che la anima, alla sera, la sua via di fuga. Se Draco parlasse, rovinerebbe ogni cosa.
«Non ti schieri mai, non è vero?» domanda lei, che s’è sempre schierata, con aria annoiata. «Nemmeno quando ti tocca, pare».
«Hai una famiglia» commenta Draco, cautamente. «Due figli e tu…».
La fa ridere – un sorriso che gli entra dentro, come una pugnalata, squarciandogli i pensieri: la fa ridere e Ginny, che ancora si sente sola come quel calzino spaiato che trova a ogni bucato, non ha più la volontà di fargli comprendere.
«Non pensavo fossi in grado di avere dei rimorsi di coscienza, Malfoy» risponde, quieta. «Pensavo che fossi viziato, egoista e abituato a prenderti ciò che volevi: ma che potessi voler tornare indietro, questo no».
Lui vorrebbe domandarglielo – quand’è che ti sei disincantata in questa maniera? – ma Ginny Potter ha la risposta scritta tra le efelidi che le colorano il viso.
Un matrimonio da favola che avrebbe reso felice chiunque, ma non lei che s’era sbiadita e scolorata nella tranquillità, prima, nell’abitudine, poi, e nella noia infine. Una vita costruita ad arte, di una perfezione sbalorditiva, un puzzle di diamante che non taglia mai.
Ma lei, che siede vicina al mare come se potesse entrar dentro la curva delle onde, vorrebbe urlarlo: tagliami, feriscimi, strappami a metà. Basta che tu mi faccia sentire qualcosa.
«Non è per la mia coscienza» balbetta lui, a disagio. «Ma per la tua».
«Oh, Malfoy» sussurra lei, senza scomporsi. «Penso sia tardi, per pentirmi: Harry è disposto a concedere il perdono a chiunque sia abbastanza bravo ad elemosinarlo. Ma io? Io saprei perdonarmi?».
Per aver preso i sogni della Ginny di undici anni e averli gettati via come carta straccia, per avere fatto a pezzi quell’amore sprecato per cui aveva lottato tutta la vita, per.
Siamo più predisposti a rovinare le persone cui teniamo per davvero, aveva confessato Hermione dopo una dura lite con Ron, perché diventiamo pazzi nel cercare di trattenerle sempre uguali: ma le persone cambiano, Ginny, e se non ti sai adeguare al cambiamento rischi di distruggere tutto quanto.
E lei, che aveva graffiato, combattuto e pregato per quell’amore amarissimo, alla fine aveva fatto esplodere i propri sogni di bambina, odiandone ogni singolo dannato coccio. A volte, quando quel pensiero (Astoria Greengrass è sparita) le s’affaccia in mente, se lo deve domandare: ad Harry importerebbe, capirebbe, ha già capito?
Harry che ha mandato un biglietto di condoglianze a Malfoy, Harry che le perdona anche quel che lei gli nasconde, che le perdona malumori, ansie, sfuriate. Harry.
«Potresti imparare a perdonarti» commenta Draco, quieto. «Tornare indietro. Noi… cosa stiamo distruggendo, Weasley? Astoria non meritava di essere ferita in questo modo».
«Lo so» concede lei, la voce piena di veleno. «D’altronde, diventa sempre più facile amare una persona dopo che è morta, non è vero?».
Lui spalanca gli occhi – quand’è che sei diventata così disincantata? – e realizza: che l’ha tesa, tormentata, sformata e, adesso, se Ginny Weasley di qualche mese fa si guardasse negli occhi, non saprebbe come fare a riconoscersi.
«Mi dispiace, Weasley. Mi dispiace davvero tanto».
Questa volta, è di lei la perplessità che sfregia i lineamenti come un’inutile ferita – perché Draco lo dice con sincerità imbarazzante, le porge quelle scuse che non ha saputo dedicare a sua moglie, e così le si confessa: ti ho strappato l’incanto del mondo dagli occhi e non so come fare a restituirtelo. Non per Potter, per me.
(Perché Draco si domanda come farà Ginny ad amare di nuovo, se rompe ogni cosa che s’azzarda a sfiorare, se morde e avvelena come biscia trasfigurata in vipera, se brucia tutto a ogni tocco, se).
Non aggiunge altro – Draco sospira, passandosi una mano tra i capelli, e muove un passo tra le rocce per smaterializzarsi in un sussurro.
Ginny rimane immobile, la schiena ritta nel vento che le taglia la pelle, a sentire l’eco della sua assenza che si spande a ondate (e sa di salsedine, con un retrogusto di biscotti alla cannella).
Non per un secondo, nemmeno per la frazione più minuscola e insignificante di tempo, Ginny si domanda se tornerà indietro.
Due cose muovono il mondo: l’incanto verso di esso, che lei ha smarrito sulla via per tornare a casa, e l’ossessione che Ginny nutre per l’idea dell’amore. Anche se, ormai, anche in quello inizia a far fatica a credere.

 

Aggiorno di volata, con un capitolo che ho scritto a tempo record (le l'ora e mezza più fast della mia vita), scusandomi se ancora non ho risposto alle recensioni: se qualcuno fosse accarezzato dal dubbio, no, ancora non sono riuscita a dormire e perdo metà giornata a domandarmi il perché AHAHAH
Però vi leggo sempre e sono felicissima che questa storia vi piaccia e, spero, sarà lo stesso per questo capitolo che, vi confesso, essere il mio preferito fino ad adesso.
Un bacio e buona notte, giorno o pomeriggio,
Gaia
   
 
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