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Autore: robyzn7d    05/01/2022    3 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXIV 
Qualcuno da proteggere 

 
 
 
 
 
 
Era paralizzata.
Riusciva a stento a respirare, figurarsi parlare o muovere il corpo. Assalita dalla rabbia per via di quell’agguato vigliacco indirizzato a una delle persone a lei più care, e senza nemmeno rifletterci a lungo sopra, era corsa contro l’assalitore della mora senza porsi deboli quesiti sul fatto che poi sarebbe potuta crollare al suolo esausta. Non aveva riflettuto abbastanza, non aveva coordinato i movimenti, poggiando per troppo tempo tutto il peso della spada sul braccio sano, portandosi da sola allo sfinimento. E questo, lo sapeva, era senza dubbio un tratto che irreparabilmente condivideva con i genitori. 
Infatti, la sua avventatezza, l’aveva da subito incastrata in una trappola: dopo aver abbattuto l’uomo, un soldato di livello superiore, si era trovata in un faccia a faccia con un’altro nemico, l’unico che non avrebbe potuto sconfiggere, nemmeno se non fosse stata così ammaccata com’era, Akainu.
L’uomo freddo e dallo sguardo calcolatore fece un movimento sospetto allarmando i presenti, ma, con sorpresa, aveva invece preso per il colletto della camicia un suo sottoposto, alzandolo all’altezza del suo volto.
“Vuoi farmi credere che questa mocciosa ha messo k.o il mio plotone?” 
L’uomo spaventato stringeva i denti tremanti, annuendo sicuro di ciò che aveva visto, venendo però scaraventato a terra dallo stesso, per non aver saputo difendersi da una pulce. 
“Allora?” disse il marine riguardando quella bambina negli occhi “Tu chi diavolo saresti?” 
 
 
 
Parte dei cittadini che abitavano il paese si lasciarono andare a grida di spavento e altri si rifugiarono sotto ai tetti delle case, temendo per la battaglia imminente. Diversi calcinacci si trovavano ora a terra, caduti dalle pareti poiché qualcosa stava creando un certo scompiglio in prossimità del porto.
I resti di alcune mura avevano rivelato la forza di una figura minuta che con una spada sguainata aveva affrontato numerosi soldati della Marina, uomini più grandi di età e di stazza, che venivano abbattuti con una destrezza e facilità impressionabili. Non era alta, e nemmeno imponente, ma grazie alla sua determinazione e spirito combattivo era capace di rubare la scena e tenere testa a intere divisioni nemiche. 
C’era stata una differenza sostanziale nelle reazioni di quegli uomini: i primi sottoposti avevano naturalmente sottovalutato e screditato quella mocciosa alta un cecio, dalle braccia e gambe esili; i secondi si erano irrigiditi e dato fiato alla rabbia per via di quell’affronto umiliante, vedendo come la stessa era riuscita ad abbattere più uomini insieme; e gli ultimi avevano iniziato ad averne timore, capendo di non poter più ridere di lei e di non stare così tanto al sicuro. 

Ma, nonostante la prestanza e la resistenza fisica, rimaneva pur sempre una bambina, che, in mancanza di aiuto, iniziava a stancare il fisico, a perdere lucidità, tra l’altro con quel braccio ancora ingessato che supplicava pietà. Ne aveva abbattuti così tanti di soldati, che il sudore iniziava a scenderle copiosamente dalla fronte, con le mani diventate scivolose che perdevano aderenza sull’impugnatura della spada. “Accidenti!” Aveva sibilato dalle sue labbra aperte. “Perché non sono più forte?” 
Una persona urlò, quando un fendente di un’arma appuntita sembrava stesse per trafiggere la bambina guerriera nell’addome, proprio nel momento in cui aveva abbassato la guardia, ma grazie alla prontezza e all’intervento di una donna dai capelli neri paratale al fianco, pronta a difenderla con la vita, si evitò il peggio, si evitò il peso di una ferita che le avrebbe impedito di difendersi, o che l’avrebbe fatta crollare definitivamente al suolo. 
Robin e Rin scattarono immediatamente sull’attenti, decise ad aprirsi un varco e tornare alla Sunny immediatamente, ma qualcosa, o meglio, qualcuno, lo aveva loro impedito, colpendo la mora alle spalle e facendola cadere a terra col sangue che le sgorgava a fiotti lungo tutto il braccio destro. 

 
 
 
 
 
 
 
Si portò una mano al petto, Nami, proprio dove aveva il cuore, come fosse divenuto una pietra così pensante, che, non solo le affaticava il respiro, ma pareva volerla del tutto calpestare. 
L’atmosfera del paese s’era fatta cupa e buia, da cui provenivano, arrivando alle sue orecchie, grida e boati spaventosi e ben poco rassicuranti; lo stesso paese ove la sera prima s’era fatta festa e dove adesso si presentava uno scenario ben diverso, un campo di battaglia, in cui aveva fatto capolinea dopo una corsa forsennata. 
Era stata precipitosa e stupida, forse si, lo pensava lei stessa, ma l’istinto aveva preso il sopravvento nel suo essere, non lasciandole poi molta altra scelta. 
Una volta arrivata in porto la situazione era diventata immediatamente chiara ai suoi occhi. Parte degli abitanti se l’erano data a gambe nelle proprie case, naturalmente, lasciando le strade libere per il probabile scontro. 
Robin era a terra, ferita e arrabbiata per il fatto di aver fallito nel suo intento di proteggere Rin ad ogni costo. 
Sanji si era appena parato davanti a lei, con il viso che gridava rabbia da ogni poro, fuori di testa col Marine che l’aveva colpita, e arrabbiato con sé stesso per non essere riuscito ad arrivare in tempo, dal momento che al palesarsi dei nuovi ‘ospiti’, che avevano attraccato al porto principale, senza ancora saperlo, si era allontanato per vuotare la vescica. Non aveva potuto perciò risparmiarle quella ignobile ferita, infuriandosi nell’istante in cui aveva capito cosa era capitato in sua assenza, ma anche allertato per la vicinanza del Grandammiraglio alla bambina. L’unica nota positiva di quella situazione era aver avuto la possibilità di contattare gli altri compagni sulla spiaggia e preparare la Sunny alla partenza. 
Rin aveva difeso e vendicato la zia prima ancora dell’arrivo del cuoco, ricevendo da lui un segno di assenso e gratitudine. Aveva scaraventato numerosi soldati semplici e ufficiali, facendo il lavoro sporco da sola, fintanto che anche Chopper e Usop si erano uniti a loro, rimasti troppo a lungo in una locanda poiché ignari di ciò che stava succedendo al di fuori. 
Nonostante la facilità iniziale, anche la fatica era accresciuta in lei, e aveva iniziato a risentirne man mano che erano aumentati i nemici di livello combattivo superiore. E nonostante questo, era comunque riuscita a tenere a bada la situazione, con l’unico obiettivo di salvaguardare Robin, la sua stessa vita, ed evitare di mettere in mezzo Nami. Sperava di riuscire a fuggire prima ancora del suo arrivo, di cui non aveva bisogno di conferme per sapere che sarebbe arrivata come una furia. 
Ma ora davanti aveva Akainu. Proprio lui. Il suo incubo fin da quando ne aveva memoria. E contro quell’uomo, lo sapeva, niente poteva fare. Anche uno come suo padre, in questo frangente del passato, non era ancora pronto per lui, lo sapeva molto bene. 
Usop e Chopper, fortunatamente vicini, non la perdevano di vista un secondo, pronti a buttarsi tra le fiamme se lui avesse alzato un dito contro di lei. 
Sanji aveva fatto dei passi avanti cercando di mantenere la concentrazione e il sangue freddo, nonostante stesse ribollendo fino ai piedi, riservando al Marine la sua stessa freddezza. 
“Concentrati su quelli del tuo calibro!” 
Facendo roteare solamente le pupille senza muovere nemmeno una parte del corpo, l’uomo scrutò il biondo mugiwara dalla testa ai piedi, senza proferire parola, con la certezza che gli sarebbe bastato un solo colpo e lo avrebbe steso a terra; per poi tornare a concentrarsi su Rin.
“Che ci fa una bambina con i cappello di paglia?” Aveva chiesto con quella voce grossa e l’espressione truce. “Ti hanno rapita? E perché hai attaccato la Marina e ora punti la spada contro di me?” 
 
 
 
 
C’era una sola minuscola possibilità che loro avrebbero potuto vincere contro Akainu? Lo stesso che alla guerra di Marineford aveva tolto la vita Ace e distrutto Rufy? 
Nami lo sapeva che erano appena finiti nel girone dell’inferno, ma in quel momento pensava solo ai Nami e Zoro del futuro e a quanto sarebbe stato grande il loro dolore se lei non avesse salvato la loro bambina. Era una sensazione così orribile quella che quel pensiero le lasciava addosso, e non poteva in nessun modo fallire in questa prova, probabilmente anche a costo della sua vita. Non avrebbe mai rovinato quelle loro vite future, anche se sarebbero state felici solo lì, in quel futuro che adesso sembrava così lontano. 
Quando era arrivata in paese, e aveva sentito quelle parole, il suo cuore era imploso, si era sentita come in uno spazio chiuso senza ricambio d’aria; anzi, più respirava, più stava peggio. 
L’ansia l’aveva colta immediata, provocandole paura, ma anche disgusto, e non solo per la brutale situazione in cui aveva deciso di cacciarsi. 
D’istinto, era arrivata fino a Rin, attirandola prima a sé con entrambe le mani e poi parandosi davanti a lei del tutto, ma promettendosi di tenerla ferma. 
Chiamarla ‘scelta’, a dirla tutta, era osare troppo. Ma poteva rifiutarsi? No. Non l’avrebbe fatto anche se in pericolo ci sarebbe finita lei per prima. Stavolta non si poteva nascondere, non poteva trovare un escamotage per svignarsela. Quella bambina era la sua responsabilità, era la sua vita del futuro, un messaggio di speranza di una bella esistenza a cui mai avrebbe rinunciato. 
Nami era così finita catapultata per sua volontà in un tu per tu con quell’uomo violento e pericoloso, che minacciava, e avrebbe minacciato in futuro, la sua felicità.
Non lo aveva mai visto se non sui quotidiani che leggeva regolarmente. Quella faccia non le aveva mai sprizzato simpatia. E non sopportava il suo modo imponente di parlare di giustizia e prodigarsi paladino della legge. E odiava ciò che aveva fatto a Rufy; già solo per questo l’avrebbe odiato per sempre. 
Nami era davanti a lui, all’incubo di Rin, all’incubo del suo capitano, improvvisamente senza paura, senza un briciolo di remora, con uno sguardo di sfida che nient’altro poteva fare se non irritarlo ulteriormente. 
Talmente concentrata sull’uomo da non sentire la voce di Robin che le diceva di andare via, da non vedere l’espressione terrorizzata di Rin alle sue spalle, e a non sentire il cuore di Sanji, che si era fermato. 
Quella era una faccia che non sorrideva mai. Un volto truce, diabolico; dalla personalità stravagante e cattiva. Un uomo che non faceva altro che parlare di giustizia ma che la metteva in pratica nei modi più vergognosi. 
E anche adesso, con gli occhi fissi su quella scena che aveva attirato la sua attenzione, con la sicurezza che con un solo colpo avrebbe ucciso chiunque dei presenti davanti a lui. E la strafottenza che lo avrebbe fatto senz’altro. 
“Tieni giù le tue sanguinose mani da lei!” Aveva sbottato Nami, attirando di più la curiosità del marine sulla questione. 
Ringhiosa, la navigatrice dei cappello di paglia guardava l’ammiraglio fisso negli occhi senza distogliere mai lo sguardo dalle sue pupille nere. Affatto rassicuranti come quando scontrava il suo sguardo con Zoro, e affatto imperscrutabili, poiché sprigionavano solamente un sentimento riconoscibile, l’odio. Quella non era casa, non era sicurezza, non era protezione, e, soprattutto, non era giustizia in cui credere per avere un leale confronto. 
“Da quando i pirati proteggono i bambini dalla Marina?” 
La situazione diventava più tesa ogni volta che quell’uomo spaventoso apriva bocca. “Che cosa vi lega?” 
Ma nel momento stesso in cui lo aveva chiesto, l’ammiraglio iniziò a constatare della somiglianza tra la Gatta ladra e la bambina misteriosa, portando la questione ad ancora un più alto tasso d’interesse. “Non può essere…”, qualcosa era pur riuscita a fargli cambiare quell’espressione truce, anche se di poco. “Quanti anni hai? 17?18?20? Come è possibile che tu…” 
Vedendo come la rossa stava sfoderando gli artigli in quella posa inequivocabile di protezione, per l’ammiraglio c’erano pochi dubbi. “Che cosa vi lega, ho detto !?” Aveva alzato la voce, nervoso, in attesa di scoprire qualcosa di più.
“Maledetti pirati…” 
L’incurvatura delle labbra di Nami diventava sempre più rigida, provocandole persino un dolore al muscolo facciale, ma senza nemmeno sentirlo. “Pirati e il vostro sangue schifoso” continuava ad insultarli sempre più infastidito.
“Basta!” Rin era riuscita a liberarsi in parte della sua paralisi, affiancando Nami con le mani tremanti e la spada a mezz’aria, con cui purtroppo aveva perduto la sua aria minacciosa “Combatti contro di me!”
Le sopracciglia della navigatrice si alzarono all’insù, gli occhi si inasprirono, la bocca tramutò il suo broncio arrabbiato in una espressione di sorpresa e panico. Quella bambina poteva farla impazzire proprio come sapeva fare Zoro in queste situazioni. Completamente frastornata, decise di intervenire e provare a far cadere ogni traccia di indizio sul legame tra loro. 
“Lei non é nessuno per noi! É una civile. Lasciala andare!” 
Rin inspirò a pieni polmoni, preferendo tornare a fissare avanti a sé piuttosto che far intendere alla madre che quelle parole l'avevano irrimediabilmente ferita.
“Bene” sillabò in tono deciso l’ex ammiraglio, facendo capire di voler chiudere lì la questione - o facendo finta. “Allora perché mi sta puntando una spada contro?” 
Provando un raccapricciante brivido percorrerle la schiena, Nami cominciò a fare una veloce analisi dell'ultimo scambio di battute e arrivò alla conclusione che Akainu non era scemo, aveva già intuito tutto, e, se non ancora tutta la verità, c’era quasi. L’idea che quella bambina potesse essere sua figlia aveva attirato la sua attenzione più di quanto avrebbe mai immaginato; e la paura più grande adesso si costruiva tutt’attorno all’arrivo di Zoro, che avrebbe sicuramente confermato quei dubbi e, allora, in quel momento, lui avrebbe sicuramente voluto fare del male a Rin quasi per certo. 
Inghiottì un magone pieno di dolore, capendo perfettamente i sentimenti di sua madre quando dovette negare di avere una famiglia per poter salvare le sue figlie e iniziando a capire del perché poi non era riuscita a portare a termine la missione fino in fondo. Faceva male, faceva dannatamente male. 
Rin aveva indirettamente acconsentito al gioco, appoggiandola in quella finzione per proteggerla, seppur inaspettatamente le facesse male fino in fondo alle viscere. 
“Ti sto dicendo la verità!” 
Sentiva la gola bruciare, le mani sudare, i piedi reggere sempre meno quella posizione da guerriera sulla difensiva. “Lasciala semplicemente andare! È una civile senza colpa! Ha solo paura. Non può essere mia figlia, fai due conti tu stesso.” 
Il cuore di Rin si era fermato, ma la posizione di difesa era rimasta lo stesso intatta. 
Non sperava di convincerlo così, anzi, non credeva neanche lei in quello che diceva, però, Nami sapeva che era sempre meglio provare di tutto con le parole per evitare uno scontro fisico.
Le mani strette in due pugni, che ogni tanto trasudavano angoscia, e tremavano leggermente, seppur riuscisse a rimanere salda e fiera per la maggior parte del tempo. 
“Vedete” un sorriso macabro che richiamava il sangue, approdava ora su quel volto odioso, “non posso fare finta di niente dopo che ha attaccato il mio plotone. É stato un affronto alla Marina, perciò è in arresto proprio come voi!” 
La figura possente davanti a lei si guardò attorno solo un attimo, pronto ad attaccare, e quando il suo sguardo catturò l’obiettivo che si era prefissato, ovvero togliere di mezzo prima Nami, scattò come un animale feroce: “Ma inizio proprio da te, Gatta Ladra!” 
Nami sbiancò. “Io? Perché io?!” esclamò incredula, non aspettandosi minimamente quel risvolto. “Che diavolo vuoi da me!”
Ma nonostante le sue parole urlassero paura da ogni parte del suo corpo, con tanto di lacrimoni che andavano a formarsi sotto ai suoi occhi, il suo fisico suggeriva tutt’altro, dal momento che aveva aperto le braccia in segno di protezione per la bambina, superandola, e che dietro di lei aveva iniziato a scalpitare e ad urlare il suo dissenso. Nami viveva dell’unica certezza che la rincuorava, Akainu sarebbe prima dovuto passare sul suo corpo per prenderla. 
Pronta a ricevere un attacco mortale, la navigatrice aveva chiuso gli occhi, e, immaginando una figura nitida davanti a sé, prima un ragazzo col cappello di paglia, e poi un altro uomo più muscoloso e dalla capigliatura verde, sospirò qualcosa che le uscì flebile dalle labbra semiaperte
 “perdonami”
Ma Rin non era rimasta con le mani in mano a farsi proteggere senza venir prima interpellata, superano la madre e parandosi davanti a lei con la spada puntata verso Akainu, in una presa sicura e decisa. Non avrebbe mai permesso a Nami di sacrificarsi. 
Pronto a colpirle entrambe con il suo corpo diventato magma in alcune parti, Akainu aveva certamente sbagliato a fare i suoi conti, ritrovandosi invece a scontrarsi con una gamba nera. 
Nami rinsavì, ma non smettendo di essere in panico, dal momento che aveva visto cosa sua figlia aveva cercato di fare, e ringraziando il cielo di essere ancora vive, ma anche e soprattutto ringraziando il suo angelo custode, come sempre pronto a salvarla da ogni pericolo, tirò un sospiro di sollievo. 
“Sanji - Kun…” le uscì, con la voce tremante e lo sguardo che brillava. Si sentì stretta sul braccio da Rin, che l’aveva affiancata facendo un passo indietro. 
Una difesa eccellente, una prontezza unica, un sacrificio che era d’obbligo per lui; il cuoco dallo sguardo nero come la sua gamba, ora affrontava a tu per tu l’ammiraglio più pericoloso. 
“Ti è sfuggito qualcosa, feccia della Marina”. 
L’aveva respinto, Sanji era riuscito a respingere l’attacco con la sola forza del suo calcio. “Hai pensato davvero che ti avrei permesso di toccarle?” 
 
 
 
 
 
 
 
 
Correva. Correva come uno scemo impazzito. La strada era facile, era solo un sentiero lungo e rettilineo, lo ricordava bene - dannazione al suo senso dell’orientamento - ma era riuscito a perdersi lo stesso. 
Perché adesso!?
Aveva dovuto fare una scelta, una scelta di cui nemmeno si capacitava. Anche se non era poi così sicuro che quella era stata una scelta vera o una strategia di difesa. Aveva dovuto seguire il suo istinto, o forse il suo cuore, disubbidendo al suo ruolo di vice capitano. Era lui che faceva le veci di Rufy quando non era in sé, o quando non era presente. E adesso aveva fallito? Aveva fallito come compagno, come secondo, come…amico? 
Lo aveva lasciato con Franky, sapendo comunque che il povero cyborg non sarebbe riuscito a tenerlo fermo a lungo. Ma aver preso del vantaggio per portare via Rin, e tenere così buona Nami, era tutto ciò che il suo cuore gli aveva suggerito di fare. Un vantaggio, naturalmente, che stava perdendo come uno stupido. E solo lui poteva darsi dello stupido, perciò quella volta lo era davvero. 
Brook era sulla Sunny, che iniziava a preparare per la partenza mentre aspettava Franky, e loro avevano davvero pochissimo tempo per cercare di resistere all’ex ammiraglio e scappare. 
Si sentiva così arrabbiato. E la sua rabbia era tutta indirizzata alla rossa, la fonte di ogni suo problema di questo tipo. Come aveva potuto fargli questo? Come aveva potuto farlo preoccupare così in quel modo che detestava provare? Non era da lui agitarsi, pensare al peggio…aver paura. Ma lei era riuscita anche in questo, laddove ben molteplici nemici avevano fallito: gli aveva fatto provare un sentimento che cercava sempre di evitare!
La sola idea che quella scema avesse potuto mettersi nei guai per testardaggine o per un’azione insensata, messa a punto senza riflettere, lo mandava in bestia. Sentiva tutti i muscoli del corpo contrarsi, duri come pietra, con le venature ingrossate. La gola era secca, la mano stringeva già l’elsa della Wado, iniziando a sentire una certa pressione sulle dita. Voleva estrarla, voleva estrarla subito! 
Eppure, sapeva che Nami era una che scappava, che sapeva fuggire nei modi più bizzarri, capace di trovare sempre un modo per svignarsela. Ma stavolta aveva fatto il contrario, stavolta era corsa incontro al pericolo, stavolta era lei che aveva imboccato la direzione sbagliata.  
Ma poi perché non lo aveva aspettato? 
Perché non lo si era deciso insieme il da farsi? 
Che tu sia dannata!
Un boato spaventoso, e soprattutto luminoso, interruppe bruscamente nei suoi pensieri, facendogli provare un brivido lungo alla schiena ma anche ritrovare la strada verso lo scontro. 
Non te lo perdonerò mai! Hai capito? Non te la perdonerò mai questa maledetta paura che mi hai riversato addosso!
 
 
 
 
 
 
Chopper e Usop erano riusciti ad avvicinarsi a Robin, e il cecchino a caricarla poi sulla groppa del medico tramutato in forma d’alce. Sotto le parole di dissenso di un’archeologa contrariata, Usop cercava di spingere l’amico a tornare sulla Sunny, mentre lui avrebbe protetto la loro fuga, guardando loro le spalle. “Usop non puoi gestirli tutti…” 
Ma il cecchino, che cercava di farsi forza e non dar a vedere il suo terrore persistente, non voleva sentir ragioni, allontanano con la fionda i marines che cercavano di avvicinarsi al loro punto coperto, mentre la mora dissentiva con un “ voglio rimanere qui e aiutare”. 
Tre sguardi terrorizzati erano puntati verso Sanji, che per la terza volta veniva scaraventato a terra e colpito di striscio dal magma che riusciva a schivare, e poi su Nami e Rin, che cercavano di fuggire dal magma che le aveva accerchiate, come dentro una trappola ideata per non farle uscire, in una lotta continua per la sopravvivenza contro alcuni soldati intrappolati insieme a loro. Videro Nami estrarre lentamente il bastone dalla fascia che portava stretta attorno alla coscia e puntarlo prima davanti ai nemici e poi verso il cielo, con le mani salde sull’impugnatura. 
“Gigantesco mano!” urlò la mora anticipandola, abbattendo i soldati, schiacciandoli sul pavimento, e aprendo un varco d’uscita alle due chiuse dentro il cerchio di fuoco, in un attacco troppo debole per far sì che il suo effetto potesse rimanere a lungo. 
“Robin tu sei ferita…” Usop continuava ad eliminare i soldati con la fionda, cercando di non far scoprire la sua posizione. “Devi tornare alla Sunny…e Chopper, è meglio che tu non venga ferito…non so se ne usciremo interi!”
 
 
 
 
 
Sanji era a terra. La gamba piena di magna di Akainu era a due centimetri dal suo volto. 
L’espressione truce che continuava a sghignazzare la sua vittoria anticipata. “Congratulazioni, allora sei tu il primo!” gli diceva, vedendolo impossibilitato a muoversi. Ma quando quello si accese la sigaretta sfruttando il suo potere, si irritò infastidito, peggiorando solamente la situazione. 
“Sanj!!!…” Urlava il suo nome, Nami, con la voce smorzata, che riuscendo ad uscire dalla trappola di magma grazie all’intervento di Robin, aveva per un attimo lasciato la presa sulla bambina, alla quale per tutto il tempo, aveva fatto scudo con il suo corpo, tenendola ancorata e stretta tra le sue braccia, nonostante il dolore per via delle bruciature fresche sulla pelle. 
Provò ad alzarsi, dolorosamente, incitando la bambina a fare lo stesso. 
“Lascialo!!!”
Ancora quella voce smorzata, accompagnata dal ringhio nervoso di Usop che avanzava arrabbiato in direzione dell’ex ammiraglio puntando verso la sua testa la fionda. 
Rise diabolico, alla richiesta coraggiosa e, per lui umiliante, della rossa. “Sei ridicola a chiedermi questo!” 
Nami strinse i polsi dal nervoso, sentendosi totalmente impotente. Ma sapeva di non potersi arrendere, e anche se i suoi colpi sarebbero bastati anche solo a prendere tempo, ne sarebbe valsa la pena. Puntando il Clima Tact sul Marine, Nami assunse una posizione di attacco, seppur le forze le sentisse già mancare. E Usop, che provava gli stessi sentimenti, era già pronto ad affondarla, e le avrebbe provate tutte per cercare di salvare Sanji da un attacco mortale. 
“Pensate davvero di potermi battere? Non vi ha raccontato di me il vostro capitano? Al tal proposito, dove si trova adesso? Avrei voluto vedere la sua faccia mentre uccido gamba nera!”
Ma né le uova per accecarlo, né il Flash Dial, il Breath Dial e le sue migliori stelle Verdi, riuscirono a fare niente, fintanto che con un Impact Wolf e il Gust Sword di Nami, riuscirono a distrarlo abbastanza per far catapultate il cecchino nella sua direzione e tirare via Sanji da sotto alla sua gamba, mentre la navigatrice continuava poi imperterrita ad attaccarlo con delle Black Ball. 
“Thundercloud Rod” aveva urlato nel momento in cui Usop aveva malamente afferrato Sanji, facendolo urlare dal dolore mentre lo trascinava via. 
Per aver abbassato la guardia, ed essere stato imbrogliato, dal momento che l’intenzione dei due - in questo caso i più talentosi della ciurma - era stata solo quella di allontanare il compagno, e non di tentare a sconfiggere lui, il Grandammiraglio perse davvero la pazienza, attaccando entrambi i mugiwara, in distanze differenti, con il Ryusei Kazan, permettendo un incessante pioggia di magma su di loro e per tutto il campo di battaglia. 
Usop fece scudo con il suo corpo a quello ferito e indebolito di Sanji, e Nami con gli occhi sbarrati si era accovacciata sopra Rin che, invece, da contrariata si dimenava sotto di lei urlandole di lasciarla. 
“Andrà tutto bene”, le sussurrava in risposta mentre le prime tracce di magma le sfioravano la pelle. Il suo respiro era corto e affannato, il dolore la stordiva, su quella pelle, ora in carne viva, lacerata sulle cosce e le braccia, e con la paura di non riuscire a proteggere quella creatura che non le rendeva certamente le cose facili. 
“Smettila di proteggermi!” La colpiva piano, Rin, con i pugnetti chiusi. “Non farlo! Non devi sacrificarti per me. Io posso combattere!” Aveva sotto gli occhi due lacrimoni che cercava di trattenere, ma che diventavano sempre più grandi quando sentiva Nami emettere un mugolio di dolore. “Basta! Fammi combattere!”
Ma liberarsi da quella protezione e correre verso Akainu con la wado stretta in mano, era la sfida più ardua e difficile della sua vita. Avrebbe dovuto fare del male alla sua mamma del presente, interferendo maggiormente nel suo dolore anche psicologico, non pronta a vedere sua figlia prodigarsi per lei. 
“Devi lasciarmi andare!” ma stavolta il suo lamento era diventato più flebile, quasi arrendevole, consapevole della sua debolezza contro quell’uomo imponente. Si strinse a Nami, facendo esplodere quelle lacrime, aggrappandosi sotto di lei al suo petto, e poggiandoci il volto per nascondere quella paura. Ne assorbiva il calore e l’odore, con l’angoscia e il panico di perdere sua madre, sperando, come sempre, nell’intervento salvavita di suo padre. 
 
Dove diavolo sono finiti quei deficienti?
Pensava la rossa mente aveva in testa un solo e unico obiettivo. 
“Rin” chiamò, ormai arresa agli eventi. La sentiva fremere e tremare insieme sotto di sé, e si maledì per la sua impotenza, per non essere riuscita a fare di più. “Adesso ti devi impegnare... Devi fare uno sforzo…e andare nel passato o nel futuro… tu devi salvarti…e non ci rimane molto tempo!”
La sentiva dissentire con la testa “no…”, continuava a muoverla sotto di lei aggrappandosi al suo vestito con rabbia e nervosismo, “no…no…no” continuava a rifiutare l’opzione di abbandonare lì sua madre. “Io devo proteggerti!”
“Hai sentito cosa ho detto, Rin?”  
La pioggia di magma, che aveva formato delle pozze ormai su quasi tutta la superficie, avrebbe dovuto continuare ancora per molto tempo, visto come Akainu non aveva addosso nessun danno, e non risentiva di nessuna fatica. Ma anziché sentirla cadere scrosciante sulla sua pelle come prima, Nami dovette rendersi conto di non sentire più bruciori, oltre quelli già presenti sulla sua carne, e, dal momento che a un certo punto anche il silenzio era caduto loro tutt’intorno, alzò la testa di scatto, sentendosi coperta da qualcosa, come da un’ombra, e, con sorpresa, uscendo da quel nido d’amore che aveva costruito usando solo il suo corpo ferito, aveva sgranato gli occhi esterrefatta. 
Il fiato corto era cessato per dare spazio alla totale mancanza d’aria. In fondo lo sapeva che sarebbe arrivato prima o poi, lo aveva sempre saputo. Ma quando vide che il suo compagno di vita, arrivato stranamente in modo alquanto silenzioso, stava impegnandosi a deviare il magma che cadeva sulle loro teste usando le sue tre spade, e rimanendo lui stesso scoperto e vittima della materia derivata dal frutto rogia, ebbe un mancamento, e rilasciò un mugolio che non riuscì a reprimere, portandosi una mano alla bocca. 
Da quanto era lì? Nami non lo sapeva con certezza, ma notando quanto la sua pelle fosse già piena zeppa di ferite, si sentì male per lui. 
“…Zoro, tu…” 
Era, quello del magma che cadeva dal cielo e baciava il suolo, l’unico rumore che si udiva intorno a loro. 
Lo spadaccino guardava fisso verso il marine con quella voglia di sangue che solo lui era capace di far notare senza cambiare troppo espressione. Non le rispose, accecato da fin troppe emozioni che non gli appartenevano. Nami lo sapeva, che Zoro avrebbe sicuramente affrontato Akainu, e iniziava ad averne paura. 
“Spostatevi da qui!” 
Non la guardava, era arrabbiato. E Nami, lo sapeva, lo poteva sentire con il cuore, che non lo era solo con Akainu. 
La voce di quest’ultimo risuonò per tutto il porto. “Il cacciatore di pirati si fa vivo!” Osservando attentamente l’espressione sul viso e come proteggeva le due femmine dietro di lui, che si stavano rialzando, fu propizio per il Marine notare come Zoro e la bambina avessero lo stesso identico fodero della spada, legato al fianco, facendo così due più due con il dato di fatto che quella pulce era anche stata una abile spadaccina. 
“Fammi indovinare…é arrivato papino?”
Nami sgranò gli occhi, confermandogli la teoria, impaurita dall’odio di quell’uomo per i figli di pirati. 
“Rin devi fare subito quello che ti ho detto!” Le sussurrò, con la bocca socchiusa e parandosi davanti a lei, quasi al fianco di Zoro. Ma lui, che continuava a gettar loro occhiate, accertandosi che fossero abbastanza lontane dal magma, si gettò a capofitto verso l’uomo, cercando di tenerlo occupato sotto gli occhi di Nami, ancora sbarrati per l’angoscia che le aveva incusso. 
 
 
Ciò che le faceva male, ora, ciò che le faceva mancare l’ossigeno, ciò che le opprimeva il cuore e le dava un senso di schiacciamento su tutto il corpo, era proprio quella: la paura di non riuscire a proteggere. L’idea di perdere Rin le aveva annebbiato il cervello, ma se avesse perso un suo compagno? E se avesse perso proprio Zoro? 
Eppure, lei aveva già deciso, da egoista, di salvaguardare la felicità dei loro due del futuro, decidendo di mettere a repentaglio anche la loro vita nel presente. Ma ora si domandava, Nami, mentre vedeva Zoro a terra, avvolto dal magma, lei ne aveva il diritto? Aveva il diritto di prendere questa decisione? Aveva il diritto di lasciarsi morire per non sopportare il dolore di perderlo?   
La sola cosa di cui poteva esser certa, era che il suo cuore doveva smetterla di battere per lui in quel modo quasi inquietante, sembrava uscirle dal petto con una propria volontà, e concentrarsi invece solo sulla salvezza di Rin. Ma per quanto ci provasse, per quanto se lo imponesse, non ci riusciva.  
Aveva mollato la presa sulla bambina per un solo attimo, urlandole contro di fare quello che le aveva detto, riprendendo il clima tack in mano e attaccando il marine, ancora una volta per prendere tempo e fare da esca per distrarlo. Ma la tecnica che aveva funzionato una volta, non avrebbe funzionato anche la seconda, trovando un Akainu preparato nel colpire Nami in pieno sull’addome e scaraventarla a terra incastrandola in una trappola di magma, che però teneva Rin all’esterno. 
“Ma guarda un po’, tra i cappello di paglia c’è una patetica famigliola che non fa altro che sacrificarsi l’uno per l’altro…” ignorando Zoro, che cercava ancora di liberarsi del magma, e ignorando Nami, bloccata in una trappola che l’avrebbe soffocata, si velocizzò su Rin, stravolta a terra, che prendeva la spada in mano pronta a difendersi, con però le mani che tremavano sull’elsa. 
“Nessun legame, eh?” Puntualizzò ironico, arrivato a un metro da lei. “I figli di pirati del genere non posso proprio permettermi di lasciarli in vita…”
 
Non riesco più… a muovermi…non riesco più…a respirare…maledizione!
A conferma dei suoi timori, Nami si ritrovò a lasciare la presa sul bastone diventato bollente, che cadde a terra con un tonfo. Riprovò a prenderlo, con la gola secca e il naso quasi chiuso, sopportando il dolore, mentre il magma intorno a lei prendeva terreno, e il vestitino bianco iniziava a liquefarsi. 
Gli occhi erano gonfi sia a causa della situazione in cui si trovava; quindi, dell’ambiente che aveva cambiato l’atmosfera tutta intorno, e sia per il panico subentrato in ogni parte di lei; per Rin, rimasta sola ad affrontare il Marine; e per Zoro, che lei non era riuscita ad aiutare; e per Usop e Sanji, che vedeva stesi a terra. 
Cercando di usare il suo potere per raffreddarsi, mentre tossiva ripetutamente, si ritrovò a darsi della stupida. Aveva fallito. Aveva fallito come madre e come compagna, e non era la prima volta che succedeva. L’unica cosa che era ancora in grado di muovere, erano gli occhi, così li abbassò e rincarò la dose di insulti contro se stessa. E anche contro quel dannato del suo compagno che normalmente era più forte di così, più resistente, più invincibile. 
“Perché non ti alzi, Zoro? Perché diavolo non ti alzi?”
Senza rendersene nemmeno conto lo aveva urlato ai quattro venti, con le lacrime agli occhi che le inondavano il volto.
Stava davvero piangendo in quel modo?
Aveva fatto così tanto la dura per tutto quel tempo che nemmeno si era resa conto dei suoi veri sentimenti, dell’amore che provava per lui, e che nonostante fosse cosciente della sua forza, non voleva vedere a terra ridotto in quel modo. 
 
Ma senza aspettarlo, presa da un ulteriore mole di coraggio, decise di gettarsi in mezzo al magma, uscire di lì, e portare via Rin in una corsa corposa che sarebbe stata quasi impossibile da mettere in atto. Ma in fondo, lei si era allenata tanto per fuggire dai nemici, e questa era la sua unica rassicurazione. Non guardò più in direzione di Zoro, ormai aveva solo un’ultima carta, per non buttare via tutti quei sacrifici, e doveva giocarla! 
Ma proprio mentre il Grandammiraglio aveva gettato la wado della bambina dall’altra parte del terreno, pronto ad afferrarla per i capelli, e proprio mentre Nami stava per buttarsi sul magma che la circondava, una voce acuta irrompe sulla battaglia, urlando il nome del Marine con una rabbia e furia senza precedenti. 
Ciò che si sentì dopo era il tonfo di un uomo dalla stazza non indifferenze che strisciava sul terreno. 
Un “Era ora!” uscì dalle labbra di Nami, Zoro, Usop e Sanji; contenti di poter sospirare un attimo di tregua, ma al contempo in ansia per ciò che avrebbe potuto combinare…
 
Rufy colpì Akainu con violenza, con una cattiveria che usava di rado, riuscendo a ferirlo e a fermare per un po’ parte della continua fuoriuscita di magma. Non lo aveva certo sconfitto o steso per davvero, ma la rabbia era stata tanta da indurlo a ferirlo. 
Il capitano dei cappelli di paglia riprovò con un secondo agguato, senza volergli dare nemmeno il tempo di alzarsi, ma con quello gli sfuggì, mancandolo, e finendo catapultato, per colpa della eccessiva forza utilizzata, dietro la parete di una struttura portuale che era già distrutta, ma rimettendosi immediatamente in piedi fuori dai resti della parete principale dell’edificio. 
Udì dei movimenti alle sue spalle, ma sapendo che si trattava degli amici e che sarebbero riusciti a proteggersi a vicenda, non si volse, preferendo piuttosto continuare a correre verso il Grandammiraglio. Doveva colpirlo ancora, e doveva farlo subito. E non solo per non mettere a repentaglio l’incolumità dei suoi compagni e la sua, bensì per vendicare suo fratello, almeno un colpo letale soltanto, almeno un affronto, una ferita, anche se non sarebbe mai stata grande quando la sua. 
L’uomo, però, aveva un enorme vantaggio su di lui, ancora, nonostante tutto il tempo di allenamento. 
Fu per questo che la sua corsa durò appena una manciata di secondi, cioè fino a quando il Marine non gli tagliò la strada. 
Quel dannato di Akainu era stato in grado di batterlo, una volta, era vero, di ferirlo, di rovinargli la vita, ma si era preso la sua rivincita in un certo modo salvandosi la pelle e dimostrando di essere degno di essere in vita, e più forte e combattivo di prima, coraggioso di affrontarlo. 
“Devi riconoscere la mia superiorità e forza fisica rispetto alla tua” aveva ribadito, nonostante i colpi incassati, guardando Rufy di sbieco. “E che inutile perdita di tempo mi stai facendo subire”
Akainu sbuffò e tornò a fissare il suo sguardo verso il cielo, “lo sai benissimo chi avrà la meglio!” 
Come se non fosse già abbastanza seccante uno scontro con la Marina, e gli ammiragli già di per sé, la situazione in cui si era, suo malgrado, ritrovato, lo portava a dover faticare più del previsto, dal momento che quello non era un nemico qualunque, non era un Marine che semplicemente svolgeva il suo lavoro, era l’assassino di suo fratello.
“Questo combattimento non è fatto per dimostrare chi è il più forte.”
Gli rispose serio in volto, Rufy, come lo era raramente e nei momenti più difficili. 
 
 
Nami provò a sviare nuovamente il magma, sollevata dell’essere stata in un certo modo salvata, ma costatando che era lo stesso in trappola, dal momento che l’aria stava terminando, e anche lo spazio sicuro sotto ai suoi piedi, iniziando così a voltarsi da una parte all’altra per cercare di fuggire. 
Ma la situazione si rendeva ancora più chiara adesso, era incresciosa, tutte le sue vie di fuga erano chiuse, e lei era bloccata in un angolo con il magma che colava ovunque sulla strada, sui muri. Poteva provare a spegnerne un po’, ma non era sicura che avrebbe funzionato per davvero, anche perché non aveva più aria, le faceva male il corpo, sentiva i polmoni schiacciati, le bruciava la pelle. Messa con le spalle al muro, la ragazza si sentì perduta. Almeno, finché qualcosa non fendette l’aria sulla sua testa. 
Nami non riuscì a realizzarlo nemmeno quando accadde, poiché anche solo l’idea che Zoro fosse riuscito ad alzarsi in piedi e avere energia sufficiente per sfoderare un attacco come quello e tagliare il magma in due le faceva pensare che lo stava solo immaginando. 
Nel suo panico interiore, restò con gli occhi chiusi e il respiro assente, pronta a lasciarsi cadere sul campo di battaglia, con una forza di volontà improvvisamente venutale a mancare, probabilmente per il fatto di aver pensato che Zoro non si fosse salvato. Ma mentre perdeva l’ambizione e il senso di sopravvivenza, si sentì afferrata per il busto, sollevata da terra e portata via con un salto e conseguente caduta, come fosse stata ben agganciata da due braccia e due gambe. 
“Ti porto via” disse quella voce ferma e rassicurante che conosceva così bene, insieme a quel profumo che stava indistintamente arrivandole alle narici, ma soprattutto la consistenza di quel corpo caldo e solido, che le dava conforto, tanto da farle appena aprire la bocca. 
 “Zoro…sei davvero tu…” balbettò la ragazza, sorpresa e felice, poiché aveva avuto paura che non lo sarebbe stata mai più. 
Ma anche senza vederlo bene, percepiva che lui era freddo, con il viso rigido, la mascella aperta ma immobile, i denti uniti. Non le rivolse nessun sorriso poiché ciò che aveva prevalso in lui più di tutte le altre volte era stata la paura, il terrore di perderla.
“Zoro…?” 
Quello fu l'affondo che il giovane pirata diede al cuore di Nami, già tanto provato, che subito perse il ritmo del respiro che stava riacquistando a rilento a contatto con l’aria, rendendolo più lieve. 
“Tieniti forte a me!” 
Preso lo slancio, si librò in aria con l’ausilio delle sue spade, allontanandosi dal cerchio mortale di magma e anche dallo scontro di Rufy. 
Quando ritenne di aver messo sufficiente distanza fra loro e quella che aveva tutta l’aria di essere una guerra, Zoro si lasciò cadere sul terreno sicuro, fatto di erba e pietre, ergendosi come cuscino salvavita per Nami, che senza forze, era totalmente in balia di lui, con le braccia strette al suo collo. 
 
Per Nami, Zoro non voleva proprio saperne di tentare a salvaguardarsi, doveva fare sempre e solo il superuomo. 
Sollevata per essere stata salvata ma allo stesso tempo in preda alla preoccupazione più devastante quando, al tocco delle dita sulla pelle bollente e bronzea di lui, sentiva i segni freschi di ferite molteplici.  Le sopracciglia le ricaddero sugli occhi stanchi e la mascella era moscia, con le labbra leggermente aperte con cui cercava di parlare, ma era davvero difficile farlo senza prima riprendere a respirare aria pulita. 
Erano sul terriccio, lei spalmata per intero sul compagno che le aveva fatto prima da scudo e poi da materasso per l’atterraggio, raschiando tutta la schiena su di esso, dopo la brutale e poco curata discesa.   
 
“Sei impazzita? Volevi fare l’eroina?”
 
Nami dovette trovare la lucidità e la forza per contrattaccare, dal momento che non poteva continuare a stare zitta dal momento che l’aveva già fatta imbestialire per aver usato quel tono antipatico.  
“Senti da chi viene la predica!” Tossì forte, aggrappandosi inconsciamente più a lui, che di risposta mugugnò sofferente. “Zoro…le tue ferite…! Come al solito non sei capace di pensare anche a proteggerti!” Diceva la sua voce stanca che voleva però essere forte e sicura di se. 
“Pensa alle tue!” Lui si lamentò ostinato nella sua severità, lanciando un’occhiata sbieca alla compagna che, ancora intontita, sembrava non avere intenzione di rimettersi in piedi tanto presto. La strinse con le mani sulla cute, respirandole i capelli senza però nascondere il gesto, ma mantenendo comunque un’espressione seria con tanto di mascella serrata e sopracciglia incurvate all’ingiù. “Sei una dannata irresponsabile!”
“Tu perché diavolo ci hai messo così tanto? Non ti sarai mica perso?!” 
Lo sentì allontanarsi dai suoi capelli in un gesto rapido e scocciato, colto in fragrante nei suoi punti deboli. Anche senza vederlo in faccia, Nami, con un sorriso che esprimeva sollievo per il fatto che era vivo, seppur malconcio, era sicura che era irritato, perdendo anche quel minimo di gentilezza che le aveva riservato per un attimo. 
“Sta’ zitta!” 
Era certa che non gli sarebbe passata poi tanto presto.  
 
“Come Scusa?” s’indispettì la ragazza, puntando il dito sulla fronte di Zoro. “Non dire stupidaggini, dovevo pensare a Rin!”
Quando si accorse del suo sguardo omicida, si indispettì un poco, notando una serietà che aveva visto solo in momenti molto delicati che li riguardavano da vicino, fin da quando si erano imbarcati per mare insieme.  
Nami alzò comunque gli occhi al cielo, preferendo lasciar cadere il discorso che non accennava a terminare da un tempo infinito. Ma fu costretta a rivalutare la sua posizione, quando sentì le due mani del compagno sulle sue guance che, con un gesto secco, le riportavano il viso faccia a faccia con il suo. 
Lo sentì stringere la presa, ed era davvero raro che uno come lui la forzasse in quel modo, cosa che la preoccupò. 
La fissò negli occhi in modo intenso, ma al contrario delle altre volte quello sguardo adesso rivelava qualcosa di profondo, qualcosa che prima non c’era ma che adesso si era insediata in lui. 
“Zoro…” 
Era strano per Nami riuscire a leggerci finalmente qualcosa, oltre alla sicurezza di quegli occhi sempre enigmatici. 
“É colpa tua!” lo sentì acido, con quel tono di disappunto nella voce. 
Benché fosse conscia di non avere alcuna colpa per ciò che era accaduto, si sentiva lo stesso in qualche modo responsabile di quel dolore che scorgeva nello sguardo di lui. 
Sapeva di essere importante per Zoro, tuttavia sperava che non lo fosse fino a questo punto da fargli perdere il controllo.
“Hai avuto…paura?” gli chiese indugiando con titubanza “per me?” Voleva sapere, avere una conferma, anche se, accortasi del suo strano umore, avrebbe dovuto tentare in qualche modo di tirarlo su anziché infierire. 
Ma lui non rispose più, avvicinando, sempre con quel gesto secco, le sue labbra alle sue, baciandole violento, sotto gli occhi interdetti della rossa. 
Quella era la sua risposta, dunque? 
Lei allora, per ripicca, non ricambiò quel bacio, rifiutandosi di quell’attacco pieno di rabbia e guardandolo male, ma vedendo che invece lui non accennava a piantarla di fare il capriccioso. 
“Non fare così!” 
Ma di risposta, lui fece nuovamente la stessa cosa, andandoci giù ancora più pesante, stringendo la mano sulla sua mandibola, e divorandole nuovamente le labbra, appropriandosi di esse con veemenza. Con una spinta si era alzato dal terreno senza però perdere la presa, continuando a riversarsi in lei e in quel contatto pieno di desiderio. 
A questo giro però Nami aveva riposto con la stessa moneta, sfogandosi come aveva bisogno di fare da giorni, ma soprattutto dopo quel momento, dopo averlo visto riverso a terra, inondato dal magma su tutta la sua pelle. E mentre lei riversava in quel bacio audace e aggressivo la sua angoscia, lui ci buttava dentro tutta la paura che aveva vissuto, che gli era entrata fin dentro al cuore, quello che aveva sempre tenuto lontano da sentimenti così ‘inutili’ come quelli. 
Nami lo aveva stretto sulle spalle, spingendo involontariamente le mani sulle sue ferite fresche, provocandogli dolore. Lo stesso che provava lei adesso alla mandibola, dal momento che ancora la teneva stretta in un pugno. Quella rude avventatezza le donò un brivido lungo tutto il corpo e istintivamente schiuse le labbra con ferocia sopra quelle del compagno. 
Era questo di cui aveva bisogno? Di un Zoro così predominante e rude? 
Lui non esitò a far forza e infilare la lingua attraverso di esse, con prepotenza, scivolando sopra di lei e imprigionandola tra le sue braccia. 
Continuava a baciarla avidamente mentre i loro corpi ricoperti di ferite, quando sanguinanti, quando solo superficiali, si attorcigliavano uno con l’altro. 
“Sei…” ansimò sofferente, lasciandosi però trasportare da quel piacevole dolore, sopraffatto dalla sua sensualità “sei stata una stupida…” senza nemmeno accorgersi le aveva allargato le cosce, insinuandosi col suo corpo al loro interno, “…irresponsabile…testarda…pericolosa!” 
Si lasciò sfuggire uno strano ruggito a vederla chiudere gli occhi e gemere silenziosamente per un secondo, al contatto con quelle mani così vicine alla sua intimità, apparentemente incurante del suo dolore, ma in realtà accorto più di quanto la stessa Nami potesse esserlo per sé stessa. 
“Smettila di frignare, Zoro…” gli sussurrò con voce stranamente lieve all’orecchio, stringendo le gambe attorno a lui. “Siamo…vivi…” un altro gemito prese forma dalle sue labbra proprio in quel momento, ricalcando la sua ultima parola pronunciata. Questo a causa dello spadaccino irruente, che preso dalla foga della rabbia e del desiderio, aveva rafforzato la presa sulle gambe di lei, stringendone i lembi di pelle più carnosi e accarezzando senza dolcezza il suo interno coscia. 
Nami riaprì gli occhi e lo guardò in viso, notando che era catturato da diverse emozioni che si mischiavano insieme.
“Sei proprio arrabbiato, eh?” le uscì spontaneo, ma il suo tono diventò ben presto ironico, “eppure ti ho sempre fatto arrabbiare, ma non ho mai ottenuto un risultato come questo!” 
Stringendole con ancora più forza la pelle, ma senza provocarle dolore, Zoro, anziché rispondere, la baciò ancora, fiondandosi però sul collo libero, e leccandole una ferita superficiale in cui si era imbattuto nel suo percorso, provocandole una strana sensazione tra il piacere e lo strano, seppur non fosse per la ferita in sé, quanto per il contatto con la saliva calda. Iniziò a rabbrividire, contorcendosi, e, istintivamente allontanandolo dal punto preso di mira e guardandolo in faccia rossa in viso per ciò che si era messo a farle. Ma il suo sguardo era diverso da prima, iniziava a scorgerci altre emozioni, tra le ferite inferte e subite, la battaglia ancora in corso, un nemico terrificante poco distante da loro e la rabbia per aver provato emozioni forti che tutto quell’insieme aveva scaturito in lui, Zoro era eccitato come non lo era mai stato.
La guardava ancora serio, mentre si umidiva le labbra, seppur i suoi occhi avessero ormai tradito l’enorme piacere che stava provando, ma di questo, ora, non gli importava. 
“Sei arrabbiato perché ti sei preoccupato…” gli aveva sussurrato all’orecchio. 
“Vuoi ancora fare dell’ironia sulla questione?” Poggiò le sue labbra su quelle di lei ancora una volta, guardandola però dritta negli occhi in un accenno di incomprensibile sfida. Lei aveva risposto al gioco tenendoli aperti anch’ella e guardandolo mentre si muoveva dentro la sua bocca. Sorrise, lui, trasformando quel contatto in un ghigno. 
Non aveva ancora perso ogni tipo di razionalità, ma c’era vicino. Come se fosse finito catapultato in un sogno, e l’aver provato ultimamente emozioni sempre più forti, aveva rivelato davanti ai suoi occhi, la verità. Voleva combattere, voleva vincere, e voleva non provare più quella dannata paura.
Baciarla, morderla, intrappolarla, era sembrato l’unico modo per incanalare tutta la rabbia e preoccupazione che aveva provato, e che non poteva riversare in altro modo su di lei. La pressione del sangue gli rimbombava nelle orecchie come non gli era gli mai successo prima, nemmeno durante il faccia a faccia con l’ex ammiraglio. Lui era avvezzo a combattere, era abituato al sangue, al dolore fisico, e anche alla perdita…ma non alla sua. Non a rinunciare a lei. Non avrebbe mai potuto vederla sacrificarsi, nemmeno per la loro figlia. Non sarebbe sopravvissuto stavolta al dolore di perdere un’amica, la sua prima amica dopo Kuina, e che ora era diventata anche qualcosa di molto più prezioso. 
Non avrebbe mai rinunciato a lei. 
E non le avrebbe mai permesso andarsene per prima. 
Staccandosi per l’ennesima volta da quelle labbra morbide e calde, alzò il volto a tre centimetri dal suo, in modo da incrociarne gli occhi, che divampavano di piacere ed esprimevano confusione.
“…avremmo dovuto agire insieme, come compagni…come coppia…” 
“Come coppia?” 
Lo prese in giro lei, incurvando la bocca. 
Ma lui era impassibile e serio, nonostante le sue intenzioni diventate chiare. “Ci deve essere fiducia…Nami!” 
Le iridi nere erano ridotte a due fessure. Il busto lo aveva innalzato maggiormente verso l’alto, mettendo più distanza tra i loro visi provati. “Non puoi più decidere per te in questi casi di pericolo! Mi hai sentito?” 
In risposta, lei aveva stretto le braccia di Zoro, i cui palmi erano impiantati sul terreno, alle estremità delle sue spalle adagiate a terra. “Tu sei l’ultimo che può avanzare simili pretese!” Riusciva sempre e comunque a spiazzarla. 
“Io posso permettermi di affrontare quello smidollato di un Marine!” Le aveva urlato in faccia, nervoso, convinto che il suo discorso valesse solo per Nami, dal momento che nella vita lui era ufficialmente un guerriero, prendendosi sempre quei pesi e quelle responsabilità senza dividerle mai con nessuno altro. 
“Come le proteggi le persone che vuoi proteggere, se muori in modo stupido?” Nami lo guardò, in un misto tra l’essere arrabbiata, un pizzico di essere furiosa e uno spicchio di nervosismo. Era sempre il solito superuomo che faceva la morale quando era l’ultimo con il diritto di farla. 
Sapeva che in parte aveva ragione, ma la infastidiva questa sua sagacia e arroganza che toglieva fuori in quei momenti in cui lei si lasciava più andare all’emozione senza riuscire a manipolare la situazione, o le persone. Ma l’entità di quell’unione, di quello sguardo, la portata di quel dispetto e disappunto, rendevano lo stesso tutto così estremamente eccitante. 
Stavolta fu lei a tirarlo per il colletto e immergersi nuovamente in lui, svogliata ma determinata nelle sue azioni, assaggiandolo ancora come fosse la prima volta; poiché la sua veste dolce e calda le piaceva assai, ma anche quel lato impetuoso ed energico, ai confini del violento - poiché vigeva una fiducia senza pari - non le dispiaceva per niente. 
 
“Ma dico! Siete impazziti? Il magma vi è entrato dalle orecchie fino nel cervello? Ma dico io, vi pare normale? Ma che diavolo state facendo!!! Siete due irresponsabili senza speranza! Pronto? C’è una guerra qua, siamo ancora in pericolo di vita! Siamo circondati dal magma, dalle urla, dai botti dello scontro e voi…e voi…ma che cavolo avete nella testa? Eh???” 
Rin aveva dato inizio ad una ballata nevrotica, muovendosi scoordinata prima a destra e poi a sinistra, colpendo la schiena del padre con la sua Wado recuperata e messa nel fodero bianco. L’espressione allibita, le gote bordeaux, l’atteggiamento da bambina imbarazzata ma arrabbiata allo stesso tempo. 
“Smettetela subito di fare certe cose adesso! Ma vi pare il caso?” 
Continuava a colpire il genitore, che staccato dalle labbra di Nami, emetteva gridolini di dolore, poiché la bimba andava a infierire sulle sue ferite. 
“Siete due zombie che camminano, ridotti male come siete, e vi mettete a fare queste zozzerie? Ma perché? Ma cosa fate, si può sapere?!” 
Annunciò voltandosi dall’altra parte indemoniata, mentre dava il tempo ai due di rimettersi in piedi. 
I due protagonisti si guardarono ansimanti, forse uscendo dalla bolla in cui erano entrati da soli; resuscitando da uno stato di shock che realizzavano solo in quel momento. Senza perdere il contatto con gli occhi di Nami, Zoro si alzò da sopra lei, mettendosi seduto e allungandole una mano per incitarla a fare lo stesso. Lo seguì a ruota, accettando l’aiuto e rendendosi effettivamente conto che erano ridotti davvero male. Il contatto visivo durò ancora un po’, quella volta fu la più difficile, la più pericolosa, la più irrinunciabile unione mancata. Fin quando i rumori della realtà tornarono a far ronzio nelle loro orecchie, evidentemente rimaste sorde per un bel pezzo. 
Videro il magma occupare gran parte del porto, e Akainu finalmente provato dallo scontro. Ma la soddisfazione ebbe durata breve, dal momento che il loro capitano era ora nelle peggiori condizioni.
“Sta cercando di farlo cadere in mare” Rin riassunse loro la situazione mentre in piedi osservava la battaglia, “basta anche una cospicua quantità d’acqua per indebolirlo efficacemente…” 
Un rumore alle loro spalle gli fece voltare allarmati, portando Zoro a mettersi definitivamente in piedi in posizione di difesa davanti a Nami e Rin, con la spada già estratta. 
Ma i tre sospirano, quando videro sbucare da un cespuglio il nasuto che trascinava a peso morto il corpo di Sanji, ancora intontito e incapace di muoversi. 
“Sono io!”
Tossì, riprendendosi solo ora dall’attacco di prima.
“Stai bene?” 
Gli chiese Zoro, vedendo lo stato in cui erano stati ridotti, con altrettante ferite e bruciature sulla pelle. 
“Si…per lo meno, sto meglio di Sanji.” 
“Sanji kun!” Nami si avvicinò a lui, provando a risvegliarlo con piccole pacche sul volto. “…se non fosse stato per lui, ora…” si strinse nelle spalle, alzando la testa e guardando Zoro negli occhi, voleva fargli capire del gesto importante di Sanji, ma anche non far del tutto intendere che l’aveva salvata da una morte certa. 
Ma una mano si posò sulla guancia della rossa accarezzandole il viso. “Oh…come esplode di gioia questo cuore a sentire queste parole d’amore… è una dichiarazione, Nami-San?” 
Ma il povero cuoco fu costretto a bestemmiare interiormente, quando il pugno della compagna infierì sulla sua ferita al petto. 
“Stai bene! Eccome se stai bene!”
Non finì di dirlo che qualcosa di molto bollente e pericoloso sfiorò la testa di Zoro, rischiando di prenderlo in pieno, se Rin non gli avesse urlato di abbassarsi. 
Il giovane si voltò appena in tempo per vedere Akainu contrattaccare con Rufy ma nel frattempo puntare su di loro. Così, parandosi accanto alla figlia, si mi se in posizione di difesa con due spade in mano, ritrovando la lucidità che aveva perso. 
 “Vi distruggerò uno per uno!” Aveva urlato il Marine, convinto di essere comunque in vantaggio.
Ma Zoro si gettò su di lui prima di vederlo avvicinarsi a loro; ora che erano arrivati a questo punto dello scontro, non avrebbe rischiato più che la compagna potesse finire invischiata in qualche attacco mortale, riuscendo a scansarsi dalla traiettoria dell’avversario e, al contempo, preparare l’attacco contro di lui dando tempo a Rufy di riprendersi. 
“TECNICA A DUE SPADE, NIGIRI: TORO SAMON!” 
 
Vedendolo lanciarsi in quel modo avventato, Nami si alzò in piedi lanciando un grido silenzioso e disperato, soffocato nel momento stesso in cui lo vide affrontare l’ex ammiraglio alla pari, senza cadere. 
Tutt’intorno si levò un’esclamazione di stupore, infatti, ma Zoro non vi fece caso e continuò a spingere e imprimere più forza nell’attacco, poiché proteggere i suoi amici, e ora anche la sua altra famiglia, era tutto ciò che per prima cosa doveva tutelare, e impedire alla sua compagna di commettere sciocchezze era la seconda. 
Quando Akainu arretrò, rimasto fastidiosamente colpito da quella forza di volontà e dallo sguardo e l’aurea nera che Zoro aveva ed emanava, iniziò a capire il perché della sua fama tanto temuta, ritrovando verità in quelle numerose parole che non erano solo servite per dare aria alle bocche. 
 
“Zoro!!!” 
Nami lo aveva chiamato, approfittando di quel momento di confusione e realizzazione. 
“Non puoi morire prima che concludiamo il nostro…affare…!” 
 
Quella é diventata tutta scema! 
 
Il giovane non poteva voltarsi, non poteva abbassare la guardia in quel momento, ma con gli occhi sbarrati per tale affermazione, rispose, completamente allibito, sentendo il sangue affluire al viso. L’aveva fatto arrossire in piena battaglia!
 “Sei proprio una sciagurata!!!” 
Ma sentendola ridere alle sue spalle, una risata che celava una forte preoccupazione per lui che stava nascondendo con quell’aria da dura, recuperò la sua dignità e compostezza, sorridendo anche lui sornione, mentre si preparava a sferrare anche un secondo attacco, ritrovando prima il respiro. 
 
“Allora non morirò!” 
 
 
 
Mentre la Sunny era poco lontana dal porto, pronta alla partenza fulminea, i mugiwara assistevano alla battaglia come spettatori pieni d’angoscia, di un’opera di cui naturalmente non conoscevano il finale, seppur potessero fare delle ipotesi realistiche. 
Mentre Rufy aveva avuto necessità di alcuni minuti per riprendersi e tornare in forma normale, Zoro era l’unico in grado di poter ‘intrattenere’ il Marine; con sulle spalle una inimmaginabile responsabilità.
Era caduto a terra più volte, ma era successo allo stesso Akainu, cosa che gli aumentava il fastidio. 
I suoi uomini non erano tutti fuggiti, ma quasi tutti al tappeto o nascosti, troppo mal ridotti per combattere. E lui era rimasto solo. 
Zoro iniziava a prendere consapevolezza che non avrebbe resistito ancora a lungo, cercando di prendere più tempo possibile, schivando alla fine solo gli attacchi, esausto. 
“Pensi di fregarmi così?” Akainu era pronto a mettere fine a quel gioco, rivelando la sua potenza. “Dai Funka” 
E mentre quel pugno diventava un enorme arto di magma, più grande di lui, mettendo in mostra la sua imponenza, lo spadaccino, senza distogliere gli occhi, rinfoderò la seconda spada, tentando la sua ultima e ormai debole difesa. 
Aveva sentito la voce stridula di Nami venire dalle sue spalle, e il cuore si era chiuso in una morsa. Le aveva promesso che non sarebbe morto. 
Come aveva promesso a Kuina di diventare il migliore spadaccino. 
Iniziava a chiedersi se forse non stesse esagerando con promesse impossibili. 
La stessa scena si ripeteva per la terza volta, una volta con Ace, in cui era andata a segno, e due volte in quella lunga nottata. Seppur gli altri non l’avessero vista con i loro occhi, quella volta, sapevano come era morto pugno di fuoco. 
No, lui non sarebbe morto. Aveva una promessa da mantenere e un “affare” da suggellare.
Sorrise. 
“TECNICA A UNA SPADA, DAISHINKAN!” 
Tra Zoro che cercava di disabilitare il rogia con la sua forza di volontà, anche se, troppo debole per affrontare anche un avversario minore, in  quel momento, e Akainu che voleva spingere il suo pugno in quell’addome martoriato, il campo di battaglia diventò confusionario, alzando polvere e sabbia, in mezzo al vortice che si era creato in prossimità del porto. 
Con una mano sulla bocca, Nami cercava di nascondere ogni gemito di paura, e gridolino che le veniva fuori incontrollato. Non riusciva a correre verso di lui, non poteva venire nuovamente meno a quella fiducia. Nonostante l’iniziale riluttanza a quelle parole, Nami, l’aveva ascoltato e l’aveva preso sul serio, anche se non lo avrebbe ammesso. 
No, no, la morte di Zoro, che ad un certo punto realizzava per davvero, non era affatto più contemplata. 
Non sarebbe rimasta incolume ad essa. 
Era stata stupida e superficiale anche solo per averlo pensato. 
Sarebbe sopravvissuta, si, ma non avrebbe voluto farlo. 
 
“Questa battaglia non serve per dimostrare chi dei due è più forte”, Rufy era in piedi tra quel pugno di magma e Zoro, fermandolo con il suo gear second. “Ma per dimostrarti la vera forza che sta nell’atto di proteggere chi si ama!” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice___________________
Ok, che non so descrivere gli scontri s’è capito, no? 
Lo dimostra il come ho saltato alcuni affronti, anche per alleggerire il racconto, e da come ho scritto banali escamotage di salvezza. Che dirvi? Quando non scrivo esclusivamente di Zoro e Nami, io mi annoio e mi sembra di non riuscire a trovare la voglia di terminare quel capitolo che vede loro non del tutto in primo piano. 
Questo me lo stavo portando dietro da Natale, non finiva più. Non trovavo mai la voglia per concluderlo. Mi annoiava…fintanto che finalmente poi sono arrivata alla parte ZoNami ovviamente, e allora ho ritrovato l’entusiasmo. 
Rileggendolo adesso, infatti, sembra anche più scorrevole e meno noioso, nonostante la lunghezza e i movimenti intricati, e la mia pessima capacità di scrivere di scontri. Vi giuro che mentre lo buttavo giù,  all’inizio, già mi pentivo di essermi ficcata in una situazione di battaglia. 
Spero più che altro di non essere stata eccessivamente cringe. 
Come sempre, 
vi aspetto! 
Roby
 
   
 
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