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Autore: Aaeru    14/03/2023    10 recensioni
Su suggerimento dell'amica Chiara, ho provato a dare un seguito alla narrazione di "La sola cosa da fare": qui si entra nel territorio impervio del "What if" ma spero comunque di non aver tradito lo spirito dei personaggi originali. Mi saprete dire...
Un ringraziamento particolare a Xwaterice per la consulenza medica! ;-)
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dunque, André ha ceduto, pur con la prudenza circospetta della bestia selvatica.  I primi giorni li ha passati a letto, facendosi scudo della sofferenza fisica per non dire, o fare, più di quanto si era ripromesso. Lei è sempre andata a trovarlo nei momenti liberi, ma, più che parlare, si è goduta la sua presenza, il loro esserci di nuovo. Mano a mano che André riacquistava  forze e voce, hanno cominciato timidamente a discorrere mescolando ironia e gravità, con lo sguardo rivolto al passato più innocuo per sollevarsi da un presente opprimente. Un equilibrio fragile e farlocco che, lo sapevano entrambi, non poteva durare. Infatti, è stato spezzato dall´ennesimo incidente, che stavolta ha colpito l’artefice delle loro assurde esistenze.

Strozzata dall’angoscia, in maniera assai poco marziale, lei è crollata al capezzale paterno e se l’è ritrovato davanti, con il sorriso ammaccato e un impeccabile fazzoletto di batista per asciugare le  lacrime. Com’era sempre stato e come avrebbe sempre dovuto essere. 

Non hanno avuto modo di assaporare il momento, sciupato dalle miopi pretese  del Generale, e ora rischiano di smarrirsi ancora. 

Oscar s’è voltata in tempo per cogliere l´occhio buono di André che si sgranava e poi riparava sotto il capo chino. 

Perché non rifiuti?, domanda muta e reciproca, persa tra le raccomandazioni del ferito e gli ammonimenti di Nanny, che li ha invitati a lasciare la stanza per permettere al padrone di riposare.

 Perché non hai rifiutato?, stava per chiedere Oscar, fuori dalla camera, vedendo André incamminarsi docilmente verso il piano inferiore. 

Le è uscito tutt’altro: “Perché indossi l’uniforme qui, in casa?” Cancellando ogni illusione, avrebbe voluto aggiungere.

André si è fermato, ha girato appena la testa verso di lei, con aria falsamente stupita: “E me lo chiedi proprio tu che, a momenti, con l’uniforme ci vai pure a dormire?!”, ha risposto scoppiando nella sua indimenticata risata discola. 

Ma c’era ben poco da scherzare. È tornato indietro di qualche passo, affinché lei potesse leggere chiaramente il suo viso mentre le diceva con voce ferma e un sorriso lieve: “Serve a ricordarmi quale sia il mio posto ora”. 

Perché non hai rifiutato?, sarebbe stato il suo turno di chiederlo ma non se l’è sentita e l’ha lasciata sola a sostenere il peso della recente rivelazione.

Adesso, però, mancano due giorni al rientro in caserma, ci ha dormito sopra e ha capito di non poter rimandare oltre. Si augura che valga lo stesso per Oscar, assorta nel tentativo di cogliere cosa lui e Girodelle si stessero dicendo poco prima del suo arrivo.

“Oscar, ti andrebbe di tirare un po’ di scherma?”

“Scherma?! Non ti sembra di correre troppo? Hai cominciato a muoverti sul serio solo due giorni fa…”

“Sì, ma fra poco rientro in caserma e non potrò certo battere la fiacca: ho bisogno di riattivare la muscolatura!”

“E va bene”, acconsente lei, poco convinta, “ma ti avverto: non ci andrò leggera! Non aspettarti trattamenti di favore perché sei convalescente!”

“Esattamente quello che voglio!”

Escono in giardino con i fioretti in mano e i polmoni che si dilatano avidi della brezza profumata dai narcisi. Oscar è grata al caldo sole di fine aprile che obbliga André a levarsi quella giubba blu, diventata fonte di inquietudine. Ma  i movimenti cauti con cui lui sfila piano la manica del lato ferito impongono nuovamente il dubbio: “Sicuro che riuscirai ad andare in affondo col braccio destro?”

“In effetti, hai ragione, non l´avevo considerato”, conviene André sfregandosi il mento. Un sorriso furbo affiora sulle labbra.

 “Ad ogni modo, con la faticaccia che ho fatto per diventare ambidestro”, prosegue passandosi l’elsa dalla mano destra alla sinistra, “dovrò pur avere qualche vantaggio,  non ti pare?”

Per un momento,  Oscar lo osserva stupita menare all’aria fendenti decisi con la mano “del diavolo”, poi ricorda che André sarebbe mancino: è stato il loro primo precettore, père Lagarde, a imporgli l’uso della destra a suon di bacchettate ed esorcismi in latino. E il Generale non si è opposto, in quanto usare la sinistra, in una realtà dominata da spadaccini destrorsi, avrebbe posto il ragazzo in una condizione di inferiorità rispetto agli avversari.

“Mi rendo conto che lo stile lasci un po’ a desiderare, ma anche il sinistro è forte: lo tengo allenato alternando le mani quando lavoro”, spiega André orgoglioso.

Lei stavolta non dubita perché ha saggiato la forza di quel braccio che l’ha sorretta al termine di ognuna delle loro risse, di quella mano che l’ha trattenuta tante volte dal cadere nelle intemperanze del suo carattere fumantino. Ne avverte ancora il calore sulla propria, rievocando l’ultima alba della loro infanzia. 

Quanto hai dovuto cambiare di te stesso, André, per stare al mio fianco?

Ha esaurito la già scarsa voglia di battersi, ma André è entrato in prima posizione e la invita a farsi sotto con un cenno della mano libera. Combattono specularmente: l´ombra è divenuta riflesso. I movimenti sono netti sebbene non particolarmente rapidi, l’esitazione pensosa di lei è bilanciata dagli affondi sorprendenti di lui.  Le lame si incrociano e si respingono, i corpi avanzano l’uno contro l’altro e subito sfuggono. Gli sguardi, invece, sono saldamente intrecciati, come un tempo. 

“Così non va, Oscar: avevi detto che non ti saresti risparmiata!”, lamenta André tra una parata e una botta dritta. 

“Non mi era mai capitato di combattere contro un mancino”, si giustifica Oscar, scartando di lato per effettuare una cavazione, “oltretutto uno scellerato la cui salute sta più a cuore alla sottoscritta che al diretto interessato!”

“Niente scuse”, incalza André aumentando il ritmo. Il riposo forzato ha giovato alla vista: le immagini risultano meno sfuocate, nessuna traccia di diplopia, per il momento. Cerca di portare Oscar al limite perché sa che, nella smania del combattimento, lei non può nascondersi. Non da lui.

Quando arriva il momento è il cuore gonfio di adrenalina a gridarlo. 

“Allora, andrai a quel ballo?”, domanda stringata, perché i muscoli intercostali sono ancora rigidi e il fiato è già troppo corto. 

“Cos…? Ma che razza di domanda è?!”, si schermisce lei che quasi inciampa, ma subito è costretta ad arretrare per evitare un fuetto.

“Una di quelle semplici. Nel caso, potrei dover chiedere un cambio di turno, perciò gradirei saperlo prima”, logica tagliente che offende al pari della lama che obbliga  l’altra a una seconda cavazione.

“Quindi lo faresti davvero? Davvero mi accompagneresti?”,  contrattacca Oscar, preparandosi a una presa di ferro. Tuttavia, non le riesce di spiazzarlo.

 “Sono un servo, Oscar, la mia volontà conta poco. E, comunque, tutto dipende da cosa sceglierai tu”, ribatte André azzardando una frecciata, ma una fitta improvvisa gli fa perdere l’equilibrio ed è un attimo travolgere anche lei. Rovinano nell’erba, le braccia di lui serrate d’istinto per attutirle l’impatto con il terreno, visi e cuori irrealmente vicini.

“André, ti sei fatto male?”,  chiede Oscar allarmata. 

“Tutto a posto”, risponde lui, ma una smorfia lo tradisce mentre la libera del proprio peso ruotando sul fianco sano.

“Direi che per oggi abbiamo finito”, sentenzia Oscar aiutandolo a rialzarsi.  Poi si accomoda sul bordo della fontana maggiore. André la raggiunge con un po’ di fatica, gli sguardi vagano per il giardino in attesa che il respiro torni regolare.

 

“André… Obbedirai davvero all’ordine di mio padre?”, chiede Oscar senza voltarsi.

“Gli devo tutto: se non fosse per il Generale non avrei avuto una casa, un’istruzione, un lavoro. Senza contare che non ti avrei mai conosciuta…” 

Forse sarebbe stato meglio per te non avermi mai incontrata…

“E, ribadisco, tutto dipende da cosa farai tu: se deciderai di andare al ballo io obbedirò, altrimenti sarò impossibilitato a farlo.”

“Giusto. Non ci avevo pensato.”

“Dunque?” 

Perché tanta esitazione, Oscar? Hai paura di dirmi che lo farai?

“Ma come fai?”,  svicola lei.

“A fare cosa?”, stringe lui.

“A sopportare che gli altri ti impongano sempre il peso delle proprie scelte?”, Oscar scatta in piedi come morsa da un’aspide, gli occhi saettano d’indignazione. E di pena.

Curioso, potrei farti la stessa domanda…

André sospira guardando di fronte a sé: “ Devo molto a tuo padre…”

“L’hai già detto. Ma come potresti accompagnarmi se non vuoi? Solo per obbedire a un ordine?”, domanda assurda da rivolgere a un servo ma pronunciata all’apice della stizza.

Il tono di voce si alza di un’ulteriore ottava mentre agita i pugni stretti, le unghie conficcate nei palmi: “Tu non vuoi che io mi sposi, lo so, ti ho sentito! Allora come puoi pensare di farlo?!”

Ma che importanza ha, Oscar?

“Rispondi, André!”, ordina quasi sprezzante.

“Lo sai…” 

“No, non lo so…”, insiste testarda. 

“Perché non ho scelta, Oscar, dannazione! NON HO SCELTA!È questo che vuoi sentirmi dire?”, sbotta André alzandosi per fronteggiarla, “O preferisci che ti preghi in ginocchio di non andare? Meglio svenuto sul pavimento dell’armeria mentre mormoro il tuo nome? Sarebbe INUTILE!”

Il ricordo di lui riverso e incosciente la inchioda. André ora la sovrasta, furente.

Perché ti diverti a giocare con me, Oscar?

“Perché sono solo un servo, sì, ma soprattutto perché non posso importi la mia volontà, quello è un “privilegio” che lascio ad altri! Malgrado i miei sentimenti, ti voglio, e ti ho sempre voluta, LIBERA!”, allarga le braccia per resistere alla tentazione di stringerla a sé.

“Ecco perché sarebbe corretto, da parte tua, dirmi chiaramente che cos’hai intenzione di fare. Anche se un’idea ce l’ho, purtroppo”, affonda amaro.

“Che intendi dire?”

“Beh, rifiuti Girodelle, l’unico tra quei nobili con cui hai  un minimo di affinità, per acconsentire a un ballo di cicisbei imbellettati che ti ronzeranno attorno come mosche sul miele…”

“Ma io non ho mai detto nulla del genere!”

“Non l’hai nemmeno negato, Oscar. Se non ci vuoi andare perché non l’hai detto chiaramente a tuo padre?”

“Perché lui è ferito e…”

“E tu non volevi deluderlo. Mi pare chiaro che non sono il solo a subire il peso delle scelte altrui”, conclude André, la rabbia compressa nei tratti tesi del volto. 

Lei tace, in cerca di parole che non vogliono farsi trovare.

Ti prego, Oscar, di’ qualcosa!

Allora l’altro si fa avanti, la affianca, le stringe la mano sinistra nella sua. Sente che è l’ultima occasione per chiarire la sua verità. 

“Oscar, io ho sempre saputo di non poter ambire al ruolo di pretendente ma, purtroppo, non ho potuto fare a meno di innamorarmi di te. E non vivrò abbastanza per scontarlo. Del resto, i miei sentimenti sono un problema che riguarda unicamente il sottoscritto. Tu devi solo promettermi che non ti sposerai, a meno che tu non lo voglia davvero, perché meriti molto di più di un matrimonio di convenienza. So che non avrei diritto di chiedere dopo ciò che ho fatto, ma credimi quando dico che desidero solo il meglio per te. E il meglio non è sicuramente un damerino impomatato che non ha la benché minima idea di chi davvero sia Oscar François de Jarjayes”.  

È tutto. Senza attendere risposta indossa la giubba e si avvia verso il palazzo. Sta valutando l’idea di chiedere un rientro anticipato, quando si sente afferrare per la manica sinistra.

“André, io… io non credo che mi sposerò tanto facilmente”, le parole sussurrate dalla voce da contralto alle sue spalle gli scivolano addosso come le carezze che ha potuto solo sognare. 

André sorride: capisce che l’ha davvero perdonato. E ora può perdonare se stesso.  

   
 
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