Rieccomi! Scusate l'attesa! Il tempo per riguardare i capitoli da pubblicare ultimamente scarseggia, cercherò di tornare a pieno regime come sempre!
Tasmi e Valarde appoggiarono le mani al solido cristallo e ritentarono l’approccio. Due soli Immortali sui quattro richiesti, a confronto dell’infinità dell’apeiron, erano un tentativo ridicolo, ma non potevano rinunciare.
«Nessuna certezza» mormorò Kalemi, sfiorando la parete rubino della piramide «E il signore dei Khai non si è risvegliato. Non resta che seguire i consigli del Custode e prepararci alla lotta.»
«E in fretta» suggerì Manawydan, sollevando il braccialetto cesellato che conteneva la Chiave Oceanica «L’ergon si è accresciuto.»
«Un effetto dell’approssimarsi dell’eclissi» illustrò Tasmi «Elkira è andato a Mardan ma non è ancora riuscito a penetrare i sogni del principe Rhenn. È inspiegabile che un mortale resista allo sforzo di un dio.»
«No, se da oltre duecento anni Belker lo alleva come devoto discepolo. Chiamiamola barriera mentale» considerò tetro il dio del Mare «Avete pensato al fratello minore?»
«Sì, il rischio è che la rivalità divampi. Abbiamo visto cos’è successo quando Mahati ha saputo delle divinazioni. Abbiamo bisogno che facciano fronte comune, non che si ammazzino tra loro.»
«A questo proposito» intervenne il sovrano celeste «Chi di voi sta fornendo a Rhenn indizi probanti sulla perissologia e sulla prossima catastrofe?»
I presenti si guardarono, sorpresi che nessuno se ne dichiarasse artefice.
«Belker, non c’è dubbio!» brontolò seccata Valarde.
«Sempre ad accusare gli assenti, non vi stancate mai?»
La voce sprezzante investì l’udito dei Superiori come un tuono inatteso.
Il dio della Battaglia si materializzò in abiti da guerra, l’arco nella sinistra e lo sguardo fiammeggiante. La piuma di fenice era rovente sulla fronte incorniciata dalla chioma rossa.
«Ardisci impugnare l’arco davanti al principe celeste!?» ruggì Manawydan, riavendosi per primo dalla meraviglia.
«Fossi in voi, rifletterei prima di attaccare» sogghignò l’altro.
Alle sue spalle la piramide scintillò minacciosa nella quiete dell’apeiron.
«Dov’è mia sorella?» si fece avanti Kalemi.
«Dove pensate che sia e dove è destinata a restare. Unita a me per sempre, abbiamo celebrato le nozze mischiando la linfa vitale.»
«Come hai potuto costringerla!?» sbottò furente Valarde.
«Ah, mi deludi! Proprio tu escludi l’amore come spinta alle azioni! Ma ti rendo atto, crede di salvarmi da me stesso, chi sono io per dissuaderla? Ora siamo marito e moglie, siete impotenti davanti a questo! Davanti a me!»
Il potere ancestrale deflagrò, investendo i convenuti con micidiale ferocia.
Manawydan levò una colonna d’acqua, ma l’apeiron l’assorbì e fu una difesa vana. L’emanazione incandescente trapassò l’essenza delle divinità, assestando tuttavia danni limitati.
«La prossima volta non peccherò d’indulgenza.»
«Come ha fatto a colpirci?» ansimò la dea della Montagna, la mano stretta al petto per arginare il dolore dilagante «Perché il divenire non lo ostacola?»
«Perché lo riconosce come parte di sé» affermò Tasmi «Non dimenticate che ora possiede acqua, quiete e amore, l’infinito non intralcia se stesso.»
«Eccellente deduzione» elogiò ironico Belker «Posso eliminarvi in un sospiro senza attendere l’eclissi. I vostri poteri nell’abisso primigenio non funzionano.»
«Non mettermi alla prova, bamboccio!» ruggì il dio del Mare «Il corallo nero della mia spada non è congenito! Libera Azalee e combatti da Immortale!»
Tutt’altro che impressionato, Belker levò un dito: le epharat si materializzarono al suo fianco, le lamine sulle scapole tese come ali di metallo, pronte al combattimento.
«Insistendo otterrai pane per i tuoi denti.»
«Non mi sono mai tirato indietro!»
«Fermi!»
Kalemi sollevò la mano imperioso, fissando il dio ribelle con gelida collera.
«Hai mia sorella e il suo amore eterno. Non è ciò che vuoi? Riconoscerò il matrimonio e ti assicurerò la grazia, se desisterai dalla tua folle impresa.»
«Ma mio signore…!» protestò Manawydan.
«Silenzio! Che ne dici, Belker?»
L’interpellato schiuse le labbra in una lieve risata.
«Vi siete ridotto a mercanteggiare, principe del pantheon? Ciò che offrite non è niente rispetto a quanto sono in grado di ottenere in autonomia. Il vostro è fiato sprecato, le concessioni sono indegne sulla bocca di un sovrano.»
«Come osi!?» esplose Valarde «Credi che temiamo la tua arroganza?»
«Sì. Essa e la risolutezza che al regno eterno manca da tempo!»
Kalemi scosse la testa con sincero dispiacere.
«Non desideravo si giungesse a questo. Non ci lasci scelta.»
«Oh sì, una. Potete genuflettervi, giurarmi fedeltà e adorarmi.»
Il sovrano degli Immortali sollevò uno sguardo tempestoso: neppure suo padre era riuscito a scatenare in lui una collera tanto ponderosa.
«Preferisco verificare se Almaktti ha assegnato bene i ruoli. In guardia, Belker!»
Strategie alla prova
Il sentore d’erba era manifesto nonostante quello preponderante della neve.
L’algore della mattina vantava l’ostinazione dell’inverno ma per la prima volta da quando era precipitato, Eskandar percepì una difformità.
Anche le ore di luce incrementano. L’alba è in anticipo.
Avvertì l’impellenza di portare a compimento i piani, unita alla frenesia di lasciare per sempre quel buco sepolto tra i picchi e i boschi.
Mosse la mano, osservando compiaciuto la portata degli artigli: le ferite e la slogatura sanavano, il corpo reagiva, la complicazione del cibo era stata ovviata. Non restava che attendere che l’Irravin affrettasse la primavera.
Fece per scostare la lunga ciocca risparmiata dal coltello dei secondini minkari, ma incontrò la treccia che la regina aveva stretto.
Anche il problema della soddisfazione fisica è risolto da tempo.
Gettò un’occhiata alla donna assopita tra le pellicce dopo l’accoppiamento selvaggio che avevano condiviso. Negare che gli piacesse spingersi dentro di lei e sentirla gemere di piacere sarebbe stato ipocrita.
Il vero riscontro verrebbe dall’opportunità di scelta, qui non ci sono femmine Khai.
In verità era accaduto più spesso di quanto previsto e la finalità ultima era scesa in secondo piano rispetto all’appagamento carnale. Il risveglio della natura gli ricordava che era il momento di serrare il laccio decisivo.
Giocò con i nodi elaborati che gli acconciavano la chioma. Si costrinse a smettere.
Amshula aveva accostato il giaciglio al suo, scaldando le coltri con il contenitore delle braci. Infilarsi nel letto tiepido era gradevole, soprattutto dopo un pasto sostanzioso.
Eskandar si era domandato come sfruttare il veleno senza spaventarla. Come indurla ad accettare un graffio senza che lo intendesse come un’aggressione.
«Ti dà noia? Potrei accorciarlo.»
La domanda lo aveva riscosso mentre spostava il ciuffo ribelle dietro l’orecchio.
«Sono abituato ai fermagli ma sopravviverò. Crescerà e legherò i capelli.»
Lei si era avvicinata e aveva passato le dita tra le ciocche irregolari che gli sfioravano il collo, umide per il lavacro. Aveva sentito una scossa di piacere. Era raro che le guerriere con cui spartiva il giaciglio indulgessero in delicate affettuosità, inoltre non avere una compagna fissa privava il rapporto dei contorni superflui alla soddisfazione reciproca. Come la guerra e il suo ruolo di generale.
«Sempre bianco o nero» aveva sorriso la Minkari «Che ne è delle altre gradazioni?»
«Territorio diplomatico, io sono un reikan.»
«Anche a casa tua o in questo momento?»
«La richiesta sta a significare che quaggiù non sei più la regina o che non t’importa di tuo figlio?» aveva replicato inarcando un sopracciglio.
Le mani della donna avevano iniziato a districargli la capigliatura.
«No. Indica che comandare o essere madre non sono i soli aspetti di me. Sono anche Amshula, è grazie a te che l’ho compreso e accettato. Strano tu non lo distingua.»
«È un raffronto poco pertinente. I Khai vivono per Belker, io per il mio principe.»
«Questo vale per la caccia, il ripararsi, il risparmiare un avversario» pattuì lei isolando la ciocca più lunga «Ma è per il tuo dio o per Mahati che fai l’amore con me?»
Eskandar aveva frenato la negazione del rivoltante concetto di ahaki, che gli avrebbe fatto perdere il terreno conquistato.
«Fa parte della mia natura» aveva replicato brusco.
«Quindi, al di là della fedeltà e della devozione, sei anche un uomo » aveva concluso la regina, stringendo i nodi «Né bianco né nero, una sfumatura di te.»
«Mh, un demone maschio non rifiuta quanto gli viene offerto. Le ceneri dei miei avi diverrebbero bufera, se arrestassi l’istinto ereditato dai daamakha.»
Amshula gli aveva sistemato la treccia sulla spalla, ammirando il risultato.
«Così mi offendi. Se non ti piacessi neanche un po’, mi porteresti a letto?»
Lui aveva pensato all’insignificante sguattera che si era sbattuto nei sotterranei della capitale e alle torture subite per smascherare il kori, vagliando che il mezzo non faceva testo in vista del fine. Però affermarlo ad alta voce sarebbe stato vanificare gli sforzi, alla luce del fatto che nessun essere vivente gioirebbe nell’apprendere di contare meno di zero.
«La questione non si pone» aveva borbottato saggiando il complicato intreccio.
La ciocca non era recisa e non lo infastidiva: “grigio”, una via di mezzo soddisfacente che gli aveva dato contro. Era stato tentato tentato di disfarla, ma l’intelletto lo aveva ammonito. Insistere per la ragione quando si ha torto sarebbe risultato segno di ignoranza e presunzione.
«Perché?» aveva chiesto Amshula con sincera curiosità.
«Perché mi attrai. Mi piace sentirti sotto di me.»
«Non le mandi a dire» era avvampata lei, pur gratificata dall’apprezzamento.
«Il sistema minkari è ricusare realtà? Non mi sorprenderei.»
«La realtà di cui parli mi è piovuta addosso con una discreta veemenza. Non so come funziona per il resto del creato.»
Eskandar l’aveva fissata pensieroso, poi aveva sorriso scaltro.
«Il pagliericcio accostato al mio non è un invito sottinteso?»
«C’è un solo contenitore per le braci, così li scaldo entrambi.»
«Ma davvero? Spiega certo le pulsazioni del tuo corpo e l’odore della tua pelle!» aveva ironizzato «Il tuo inconscio sa che questo è il momento in cui abbiamo fame reciproca e si prepara a saziarla. Soffocarlo con superflui vaniloqui è insensato.»
«È… è un’illazione! Ho pensato fosse gentile sistemarti i capelli poiché tu mi assisti in altri ambiti, poi un discorso ha trascinato l’altro. Hai travisato!»
«Nae. Ho compreso l’antifona, ora non rimangiartela dacché ti assegno la ragione.»
La regina aveva sgranato gli occhi, cercando una nota canzonatoria e non ne aveva rinvenute.
«Quanto agli ambiti cui alludi» aveva aggiunto lui socchiudendo le palpebre «So perfettamente quali sono e come ti ho aiutata. Ridicolo considerarli sconvenienti.»
«C-cosa dovrei dirti, allora!? Che preferisco dormire con te!?»
«Dormire? Se hai sonno o freddo usa pure la dialettica minkari.»
«Come preferisci!»
Si era alzata con risentimento e aveva ritirato le braci, attizzando il focolare in vista della notte. Poi si era spogliata e ripulita con provocante lentezza.
Il reikan aveva beneficiato dello spettacolo, una palese istigazione, con la flemma di chi conosce il finale: un predatore a godersi la premessa in attesa che la preda si lasci ghermire.
Amshula era tornata sui suoi passi, lasciando cadere il telo bagnato e il ritegno.
«Eskandar… ti voglio da morire.»
Lui aveva steso il braccio e l’aveva trascinata a sé, mostrando quanto il gioco di seduzione avesse funzionato nonostante gli scopi sottesi e l’esperienza.
Si erano avvinghiati tra le coltri accelerando i preliminari, aizzati dal confronto e impazienti di raggiungere l’estasi. L’aveva rovesciata al primo cenno, impedendole di issarsi su di lui, sfruttando i sensi in fiamme per penetrarla e dissuaderla attraverso il piacere dell’amplesso.
«Non osare starmi sopra.»
«Perché?» aveva ansato lei senza ribellarsi al corpo aitante che le premeva addosso.
«Così è l’unico modo in cui mi va.»
La regina gli aveva stretto le braccia al collo e si era arcuata nella morsa sensuale, gemendo allo stringersi del contatto.
«Ti trattieni, demone» gli aveva sussurrato all’orecchio, usando l’anonima definizione per istigarlo «Lo fai ogni volta.»
«Cosa?»
«Non sei il primo, lo avverto.»
«Sei già stata con un Khai?»
«No. Solo con uomini che avevano qualcosa di sporco da nascondere. Tranne uno.»
L’affermazione lo aveva infastidito oltre misura, non perché era sembrata mettere in dubbio le sue doti maschili bensì per il confronto cui lo aveva sottoposto.
«Evito di farti male. Lo scopo della carnalità è l’esatto opposto.»
«Lo è anche per te. Non voglio che ti freni. Sei intenso, istintivo in ciò che compi, non brutale. Reggerò l’impatto.»
Lui aveva osservato le labbra schiuse che lo anelavano, le guance arrossate, i riccioli sparsi sulle pellicce. Era troppo facile, un via libera servito su un piatto d’argento che avrebbe scagionato le scalfitture d’artigli e molto altro. Si era preparato a rubarle la volontà attraverso un gesto passionale e si era scoperto desideroso di abbandonare la padronanza di sé, di lasciarsi libero senza lo schermo della moderazione.
«Tu non hai idea…» aveva mormorato tra le zanne.
«Baciami» aveva ordinato lei trascinandolo giù per la treccia.
Eskandar aveva sibilato un’imprecazione e l’aveva travolta, incendiandosi ai sospiri, accavallando la sinistra alla sua, liberando la destra dall’abbraccio per regalarle nuovi brividi. Prima di arrivare al culmine aveva percorso la linea provocante del suo ventre, incidendo un solco leggero sulla pelle accaldata e ancora sulla spalla e sulla linea morbida del collo.
Lei aveva fremuto, gli aveva serrato le gambe ai fianchi impedendogli di lasciare il viluppo di membra.
«Resta.»
«Che…!?»
«Non posso più avere figli.»
Vero o meno aveva ormai sorpassato il confine dell’autocontrollo. Era deflagrato in un’effusione di benessere, che si era espansa in onde prepotenti e prolungate, rammentandogli quanto fosse in grado di ottenere, procurare e provare dopo aver scelto una compagna della sua stirpe.
Amshula lo aveva guardato negli occhi con il respiro accelerato, le iridi brune velate per la tossina che era entrata in circolo. Le aveva risposto con un sogghigno, lambendo le minuscole stille di sangue che sbocciavano dai graffi.
«È solo l’inizio.»
Si era sfogato, coinvolgendola finché le forze non erano mancate. Si era ingiunto di non dormire per verificare quanto le avrebbe estorto con la dose leggera di veleno e decidere il seguito.
«A che pro confessarlo ora?» le aveva domandato.
«Oh non… non saprei. Ho pensato che così ti piacesse di più.»
«Ottima deduzione. Le altre volte hai giocato a farmi divertire a metà?»
«No. Sei il primo cui chiedo di fare l’amore, non ha senso se non avviene per intero.»
«È l’eccezione di oggi?»
«Tu lo sei. Non ho ancora completato il tentativo di accettarlo.»
Eskandar aveva riso, stirando le braccia nello sforzo di restare sveglio.
«Spero tu sia certa della tua infecondità. Non gradisco sorprese in tale ambito.»
«Certissima» aveva sospirato lei girandosi sul fianco.
Non l’aveva mollata. L’aveva riportata nell’abbraccio, ignorando la nota malinconica.
Continuò ad accarezzarla, impedendole di rifugiarsi tra i sogni.
«È accaduto per le percosse di tuo marito?»
Una domanda indelicata che non avrebbe mai osato con una Khai, ma che avrebbe messo alla prova i suoi freni inibitori.
«Il parto è stato complicato. Erasht… il medico del re ha detto che ero molto giovane e provata dai trascorsi. Non ho ragione di diffidare della diagnosi, il mio ciclo fertile si è arrestato.»
Pur non avendo chiara tale nozione, lui si inoltrò nell’argomento scomodo.
«Mi stupisce che tu sia rimasta incinta nonostante l’assunzione delle erbe. Inoltre…»
«Capisco il disgusto» proseguì lei «Concepire la progenie di uno dei miei persecutori è l’apice dell’orrore. Ma ti prego, non giudicarmi senza conoscere.»
«Ti ascolto.»
«Un giorno, dopo mesi di reclusione, il guaritore mi ha parlato in privato con la scusa di accertare il mio stato di salute. Ha detto che Namta stava cercando una nuova ragazza per incanalare la depravazione dei suoi accoliti. Ho creduto stesse indorando la pillola per prepararmi all’ultimo viaggio. Sbagliavo.»
«Il re è incapricciato di te, Amshula. Non è dello stesso avviso degli altri e pensa di renderti sua esclusiva. Non è mai successo, è un’occasione insperata.»
Si era chiesta quale, se non quella di prolungare l’odiosa esistenza di schiava.
«Spetta a te scegliere se compiacere Namta finché avrà voglia di picchiarti da sobrio e stuprarti da ubriaco. Oppure se porre sul trono tuo figlio.»
Lei si era sentita mancare.
«Mio…?»
«Tuo e mio. Namta lo crederà suo, come medico lo persuaderò della paternità e non avrà motivo di dubitare. Dirò che il preparato anticoncezionale che assumi non ha avuto effetto per via di una nausea improvvisa e lo convincerò a riconoscere il bambino. Il vino non aiuta a procacciare la discendenza, chiarirò che potrebbe essere la sua unica opportunità.»
«Come potrebbe essere dichiarato legittimo? Manco da mesi, tutti mi credono morta. Forse mia cugina non riesce a generare e volete che partorisca per lei?»
«Parli di Nadissa?» aveva mormorato mellifluo l’uomo «Namta l’ha disonorata e poi l’ha spedita al tempio, facendo credere a tutti che non fosse illibata. Mi stupisco che sia riuscito a copulare da sobrio, forse per eccitarsi ha pensato a te. A quanto pare sei il suo chiodo fisso.»
Gli occhi di Amshula si erano riempiti di lacrime nell’apprendere la sorte della cugina e il guaritore l’aveva accarezzata con licenziosità, inoltrandole le mani sotto gli abiti.
«Ho pensato a tutto. Diremo che il sovrano ti ha ritrovata dopo lunga ricerca e che si è innamorato di te a prima vista. Ricambiato. Ovviamente ha ucciso il tuo rapitore, ma purtroppo i complici sono sfuggiti e tu non sei in grado di riconoscerli.»
Lei aveva compreso: il particolare avrebbe giustificato la scomparsa di altre giovani donne e la storia non sarebbe mai finita. Era stata sul punto di rifiutare.
«Pensaci. Ti sposerà rendendoti regina dell’Irravin e l’erede al trono crescerà vicino a te. Purtroppo il povero Namta non assisterà al lieto fine, stroncato da un male incurabile. Ma non preoccuparti, sceglierai me in seconde nozze, metteremo al sicuro la successione e saremo felici. Anch’io voglio l’esclusiva e uno stuolo di marmocchi con il mio sangue.»
«Perché tuo marito è sopravvissuto fino a incontrare la mia spada, se hai accettato?»
«È scoppiata la guerra, tutto è cambiato. Era sempre circondato dalla guardia reale o con Danyal a disporre le difese della città. Ha iniziato a paventare tutto e tutti, a servirsi di un assaggiatore. Impossibile ucciderlo. Ma non pensare che io abbia acconsentito per paura.»
«Onorevole, se è stata la vendetta a muoverti. Certo io avrei agito senza affidare il riscatto dell’onore a un altro infido verme.»
«Ho accettato perché ero già incinta.»
Eskandar spalancò gli occhi e la obbligò a voltarsi.
«Quindi Shaeta è davvero figlio di Namta!?»
«No. Né suo né di Erasht.»
«Con tutti gli uomini che ti hanno posseduta è impossibile distinguere il seme!»
«Il guaritore mi ha illuminata quando ha tirato in ballo il voltastomaco. Mi è successo davvero, non ho pensato a reintegrare le erbe. O così o un miracolo.»
Il cavaliere del cielo rimase senza parole. Il veleno funzionava, ammettere davanti al nemico che Shaeta era illegittimo ne era la prova: l’Irravin era senza un successore. Renderlo pubblico avrebbe generato una lotta interna per la corona e avrebbe facilitato le cose a Mahati. Decise di spingersi oltre.
«Sembri certa del padre.»
«Sì.»
«Chi?»
«Non mi va di parlarne. Shaeta crede di essere figlio di Namta. Non ha bisogno di apprendere le circostanze in cui è venuto al mondo.»
«Tenerlo all’oscuro, tra le piume, è la soluzione ideale secondo te!?»
«Non mi va di parlarne!»
«Se è davvero il principe che la tua terra merita, combatterà a prescindere dal sangue che gli scorre nelle vene!»
«No! Con questo discorso stai pensando al tuo Kharnot, al secondogenito che servi e che non regnerà! Non occuparti di mio figlio!»
«Nemmeno il ragazzino che hai partorito siederà sul trono! Ha diritto di sapere la verità prima di restituire l’anima al celeste Reshkigal! Chi è il padre!?»
Amshula lo fissò disperata, sbiancando per l’affermazione minacciosa e perentoria. Lui si maledisse per essersi lasciato forzare la mano dalla collera, temendo di aver incrinato la fiducia faticosamente conquistata.
«Perché siamo in guerra» aggiunse meno aspro «Non ci sono certezze. Non puoi proteggerlo per sempre.»
La regina si rilassò nella sua stretta, il respiro accelerato dalla paura e dal veleno.
«Non mi va di parlarne» ripeté.
Eskandar si raddrizzò su un gomito, squadrandola severo, e rinunciò a indagare. La volta successiva avrebbe sondato le componenti del kori con lo stesso sistema, studiando come portare lì il discorso.
Avverrà presto, anche se il mio modo di pensare la destabilizza. Il desiderio fisico percorre un sentiero diverso da quello della razionalità.
«Di cosa vorresti discorrere allora?» borbottò riottoso.
«Mi sento come ubriaca, le parole fuggono come nuvole. Altrimenti parlerei di te.»
«Mi conosco da più di tre secoli, sfioreresti l’ovvio.»
Lei lo fissò con gli occhi socchiusi, le ciglia a disegnare ombre sul viso ambrato.
«Generale Eskandar, ti hanno certo detto che sei un guerriero impavido, un valoroso cavaliere, un focoso amante, forse un indispensabile sostegno per Mardan.»
«Ebbene?»
«Non ti hanno mai detto “ti amo”?»
«Tsk! Sei davvero ubriaca! Di sesso giacché non abbiamo vino!»
Tirerei in lizza la tossina, ma non ha rivelato il nome del padre di Shaeta!
Quando lei gli prese il viso tra le mani e lo baciò, si rese conto che c’era qualcosa che non dipendeva dalla coercizione di una sostanza.
«Ti amo» sussurrò Amshula prima di cedere al sonno.
Il sentore d’erba era manifesto nonostante quello preponderante della neve.
L’algore della mattina vantava l’ostinazione dell’inverno ma per la prima volta da quando era precipitato, Eskandar percepì una difformità.
Anche le ore di luce incrementano. L’alba è in anticipo.
Avvertì l’impellenza di portare a compimento i piani, unita alla frenesia di lasciare per sempre quel buco sepolto tra i picchi e i boschi.
Mosse la mano, osservando compiaciuto la portata degli artigli: le ferite e la slogatura sanavano, il corpo reagiva, la complicazione del cibo era stata ovviata. Non restava che attendere che l’Irravin affrettasse la primavera.
Fece per scostare la lunga ciocca risparmiata dal coltello dei secondini minkari, ma incontrò la treccia che la regina aveva stretto.
Anche il problema della soddisfazione fisica è risolto da tempo.
Gettò un’occhiata alla donna assopita tra le pellicce dopo l’accoppiamento selvaggio che avevano condiviso. Negare che gli piacesse spingersi dentro di lei e sentirla gemere di piacere sarebbe stato ipocrita.
Il vero riscontro verrebbe dall’opportunità di scelta, qui non ci sono femmine Khai.
In verità era accaduto più spesso di quanto previsto e la finalità ultima era scesa in secondo piano rispetto all’appagamento carnale. Il risveglio della natura gli ricordava che era il momento di serrare il laccio decisivo.
Giocò con i nodi elaborati che gli acconciavano la chioma. Si costrinse a smettere.
Amshula aveva accostato il giaciglio al suo, scaldando le coltri con il contenitore delle braci. Infilarsi nel letto tiepido era gradevole, soprattutto dopo un pasto sostanzioso.
Eskandar si era domandato come sfruttare il veleno senza spaventarla. Come indurla ad accettare un graffio senza che lo intendesse come un’aggressione.
«Ti dà noia? Potrei accorciarlo.»
La domanda lo aveva riscosso mentre spostava il ciuffo ribelle dietro l’orecchio.
«Sono abituato ai fermagli ma sopravviverò. Crescerà e legherò i capelli.»
Lei si era avvicinata e aveva passato le dita tra le ciocche irregolari che gli sfioravano il collo, umide per il lavacro. Aveva sentito una scossa di piacere. Era raro che le guerriere con cui spartiva il giaciglio indulgessero in delicate affettuosità, inoltre non avere una compagna fissa privava il rapporto dei contorni superflui alla soddisfazione reciproca. Come la guerra e il suo ruolo di generale.
«Sempre bianco o nero» aveva sorriso la Minkari «Che ne è delle altre gradazioni?»
«Territorio diplomatico, io sono un reikan.»
«Anche a casa tua o in questo momento?»
«La richiesta sta a significare che quaggiù non sei più la regina o che non t’importa di tuo figlio?» aveva replicato inarcando un sopracciglio.
Le mani della donna avevano iniziato a districargli la capigliatura.
«No. Indica che comandare o essere madre non sono i soli aspetti di me. Sono anche Amshula, è grazie a te che l’ho compreso e accettato. Strano tu non lo distingua.»
«È un raffronto poco pertinente. I Khai vivono per Belker, io per il mio principe.»
«Questo vale per la caccia, il ripararsi, il risparmiare un avversario» pattuì lei isolando la ciocca più lunga «Ma è per il tuo dio o per Mahati che fai l’amore con me?»
Eskandar aveva frenato la negazione del rivoltante concetto di ahaki, che gli avrebbe fatto perdere il terreno conquistato.
«Fa parte della mia natura» aveva replicato brusco.
«Quindi, al di là della fedeltà e della devozione, sei anche un uomo » aveva concluso la regina, stringendo i nodi «Né bianco né nero, una sfumatura di te.»
«Mh, un demone maschio non rifiuta quanto gli viene offerto. Le ceneri dei miei avi diverrebbero bufera, se arrestassi l’istinto ereditato dai daamakha.»
Amshula gli aveva sistemato la treccia sulla spalla, ammirando il risultato.
«Così mi offendi. Se non ti piacessi neanche un po’, mi porteresti a letto?»
Lui aveva pensato all’insignificante sguattera che si era sbattuto nei sotterranei della capitale e alle torture subite per smascherare il kori, vagliando che il mezzo non faceva testo in vista del fine. Però affermarlo ad alta voce sarebbe stato vanificare gli sforzi, alla luce del fatto che nessun essere vivente gioirebbe nell’apprendere di contare meno di zero.
«La questione non si pone» aveva borbottato saggiando il complicato intreccio.
La ciocca non era recisa e non lo infastidiva: “grigio”, una via di mezzo soddisfacente che gli aveva dato contro. Era stato tentato tentato di disfarla, ma l’intelletto lo aveva ammonito. Insistere per la ragione quando si ha torto sarebbe risultato segno di ignoranza e presunzione.
«Perché?» aveva chiesto Amshula con sincera curiosità.
«Perché mi attrai. Mi piace sentirti sotto di me.»
«Non le mandi a dire» era avvampata lei, pur gratificata dall’apprezzamento.
«Il sistema minkari è ricusare realtà? Non mi sorprenderei.»
«La realtà di cui parli mi è piovuta addosso con una discreta veemenza. Non so come funziona per il resto del creato.»
Eskandar l’aveva fissata pensieroso, poi aveva sorriso scaltro.
«Il pagliericcio accostato al mio non è un invito sottinteso?»
«C’è un solo contenitore per le braci, così li scaldo entrambi.»
«Ma davvero? Spiega certo le pulsazioni del tuo corpo e l’odore della tua pelle!» aveva ironizzato «Il tuo inconscio sa che questo è il momento in cui abbiamo fame reciproca e si prepara a saziarla. Soffocarlo con superflui vaniloqui è insensato.»
«È… è un’illazione! Ho pensato fosse gentile sistemarti i capelli poiché tu mi assisti in altri ambiti, poi un discorso ha trascinato l’altro. Hai travisato!»
«Nae. Ho compreso l’antifona, ora non rimangiartela dacché ti assegno la ragione.»
La regina aveva sgranato gli occhi, cercando una nota canzonatoria e non ne aveva rinvenute.
«Quanto agli ambiti cui alludi» aveva aggiunto lui socchiudendo le palpebre «So perfettamente quali sono e come ti ho aiutata. Ridicolo considerarli sconvenienti.»
«C-cosa dovrei dirti, allora!? Che preferisco dormire con te!?»
«Dormire? Se hai sonno o freddo usa pure la dialettica minkari.»
«Come preferisci!»
Si era alzata con risentimento e aveva ritirato le braci, attizzando il focolare in vista della notte. Poi si era spogliata e ripulita con provocante lentezza.
Il reikan aveva beneficiato dello spettacolo, una palese istigazione, con la flemma di chi conosce il finale: un predatore a godersi la premessa in attesa che la preda si lasci ghermire.
Amshula era tornata sui suoi passi, lasciando cadere il telo bagnato e il ritegno.
«Eskandar… ti voglio da morire.»
Lui aveva steso il braccio e l’aveva trascinata a sé, mostrando quanto il gioco di seduzione avesse funzionato nonostante gli scopi sottesi e l’esperienza.
Si erano avvinghiati tra le coltri accelerando i preliminari, aizzati dal confronto e impazienti di raggiungere l’estasi. L’aveva rovesciata al primo cenno, impedendole di issarsi su di lui, sfruttando i sensi in fiamme per penetrarla e dissuaderla attraverso il piacere dell’amplesso.
«Non osare starmi sopra.»
«Perché?» aveva ansato lei senza ribellarsi al corpo aitante che le premeva addosso.
«Così è l’unico modo in cui mi va.»
La regina gli aveva stretto le braccia al collo e si era arcuata nella morsa sensuale, gemendo allo stringersi del contatto.
«Ti trattieni, demone» gli aveva sussurrato all’orecchio, usando l’anonima definizione per istigarlo «Lo fai ogni volta.»
«Cosa?»
«Non sei il primo, lo avverto.»
«Sei già stata con un Khai?»
«No. Solo con uomini che avevano qualcosa di sporco da nascondere. Tranne uno.»
L’affermazione lo aveva infastidito oltre misura, non perché era sembrata mettere in dubbio le sue doti maschili bensì per il confronto cui lo aveva sottoposto.
«Evito di farti male. Lo scopo della carnalità è l’esatto opposto.»
«Lo è anche per te. Non voglio che ti freni. Sei intenso, istintivo in ciò che compi, non brutale. Reggerò l’impatto.»
Lui aveva osservato le labbra schiuse che lo anelavano, le guance arrossate, i riccioli sparsi sulle pellicce. Era troppo facile, un via libera servito su un piatto d’argento che avrebbe scagionato le scalfitture d’artigli e molto altro. Si era preparato a rubarle la volontà attraverso un gesto passionale e si era scoperto desideroso di abbandonare la padronanza di sé, di lasciarsi libero senza lo schermo della moderazione.
«Tu non hai idea…» aveva mormorato tra le zanne.
«Baciami» aveva ordinato lei trascinandolo giù per la treccia.
Eskandar aveva sibilato un’imprecazione e l’aveva travolta, incendiandosi ai sospiri, accavallando la sinistra alla sua, liberando la destra dall’abbraccio per regalarle nuovi brividi. Prima di arrivare al culmine aveva percorso la linea provocante del suo ventre, incidendo un solco leggero sulla pelle accaldata e ancora sulla spalla e sulla linea morbida del collo.
Lei aveva fremuto, gli aveva serrato le gambe ai fianchi impedendogli di lasciare il viluppo di membra.
«Resta.»
«Che…!?»
«Non posso più avere figli.»
Vero o meno aveva ormai sorpassato il confine dell’autocontrollo. Era deflagrato in un’effusione di benessere, che si era espansa in onde prepotenti e prolungate, rammentandogli quanto fosse in grado di ottenere, procurare e provare dopo aver scelto una compagna della sua stirpe.
Amshula lo aveva guardato negli occhi con il respiro accelerato, le iridi brune velate per la tossina che era entrata in circolo. Le aveva risposto con un sogghigno, lambendo le minuscole stille di sangue che sbocciavano dai graffi.
«È solo l’inizio.»
Si era sfogato, coinvolgendola finché le forze non erano mancate. Si era ingiunto di non dormire per verificare quanto le avrebbe estorto con la dose leggera di veleno e decidere il seguito.
«A che pro confessarlo ora?» le aveva domandato.
«Oh non… non saprei. Ho pensato che così ti piacesse di più.»
«Ottima deduzione. Le altre volte hai giocato a farmi divertire a metà?»
«No. Sei il primo cui chiedo di fare l’amore, non ha senso se non avviene per intero.»
«È l’eccezione di oggi?»
«Tu lo sei. Non ho ancora completato il tentativo di accettarlo.»
Eskandar aveva riso, stirando le braccia nello sforzo di restare sveglio.
«Spero tu sia certa della tua infecondità. Non gradisco sorprese in tale ambito.»
«Certissima» aveva sospirato lei girandosi sul fianco.
Non l’aveva mollata. L’aveva riportata nell’abbraccio, ignorando la nota malinconica.
Continuò ad accarezzarla, impedendole di rifugiarsi tra i sogni.
«È accaduto per le percosse di tuo marito?»
Una domanda indelicata che non avrebbe mai osato con una Khai, ma che avrebbe messo alla prova i suoi freni inibitori.
«Il parto è stato complicato. Erasht… il medico del re ha detto che ero molto giovane e provata dai trascorsi. Non ho ragione di diffidare della diagnosi, il mio ciclo fertile si è arrestato.»
Pur non avendo chiara tale nozione, lui si inoltrò nell’argomento scomodo.
«Mi stupisce che tu sia rimasta incinta nonostante l’assunzione delle erbe. Inoltre…»
«Capisco il disgusto» proseguì lei «Concepire la progenie di uno dei miei persecutori è l’apice dell’orrore. Ma ti prego, non giudicarmi senza conoscere.»
«Ti ascolto.»
«Un giorno, dopo mesi di reclusione, il guaritore mi ha parlato in privato con la scusa di accertare il mio stato di salute. Ha detto che Namta stava cercando una nuova ragazza per incanalare la depravazione dei suoi accoliti. Ho creduto stesse indorando la pillola per prepararmi all’ultimo viaggio. Sbagliavo.»
«Il re è incapricciato di te, Amshula. Non è dello stesso avviso degli altri e pensa di renderti sua esclusiva. Non è mai successo, è un’occasione insperata.»
Si era chiesta quale, se non quella di prolungare l’odiosa esistenza di schiava.
«Spetta a te scegliere se compiacere Namta finché avrà voglia di picchiarti da sobrio e stuprarti da ubriaco. Oppure se porre sul trono tuo figlio.»
Lei si era sentita mancare.
«Mio…?»
«Tuo e mio. Namta lo crederà suo, come medico lo persuaderò della paternità e non avrà motivo di dubitare. Dirò che il preparato anticoncezionale che assumi non ha avuto effetto per via di una nausea improvvisa e lo convincerò a riconoscere il bambino. Il vino non aiuta a procacciare la discendenza, chiarirò che potrebbe essere la sua unica opportunità.»
«Come potrebbe essere dichiarato legittimo? Manco da mesi, tutti mi credono morta. Forse mia cugina non riesce a generare e volete che partorisca per lei?»
«Parli di Nadissa?» aveva mormorato mellifluo l’uomo «Namta l’ha disonorata e poi l’ha spedita al tempio, facendo credere a tutti che non fosse illibata. Mi stupisco che sia riuscito a copulare da sobrio, forse per eccitarsi ha pensato a te. A quanto pare sei il suo chiodo fisso.»
Gli occhi di Amshula si erano riempiti di lacrime nell’apprendere la sorte della cugina e il guaritore l’aveva accarezzata con licenziosità, inoltrandole le mani sotto gli abiti.
«Ho pensato a tutto. Diremo che il sovrano ti ha ritrovata dopo lunga ricerca e che si è innamorato di te a prima vista. Ricambiato. Ovviamente ha ucciso il tuo rapitore, ma purtroppo i complici sono sfuggiti e tu non sei in grado di riconoscerli.»
Lei aveva compreso: il particolare avrebbe giustificato la scomparsa di altre giovani donne e la storia non sarebbe mai finita. Era stata sul punto di rifiutare.
«Pensaci. Ti sposerà rendendoti regina dell’Irravin e l’erede al trono crescerà vicino a te. Purtroppo il povero Namta non assisterà al lieto fine, stroncato da un male incurabile. Ma non preoccuparti, sceglierai me in seconde nozze, metteremo al sicuro la successione e saremo felici. Anch’io voglio l’esclusiva e uno stuolo di marmocchi con il mio sangue.»
«Perché tuo marito è sopravvissuto fino a incontrare la mia spada, se hai accettato?»
«È scoppiata la guerra, tutto è cambiato. Era sempre circondato dalla guardia reale o con Danyal a disporre le difese della città. Ha iniziato a paventare tutto e tutti, a servirsi di un assaggiatore. Impossibile ucciderlo. Ma non pensare che io abbia acconsentito per paura.»
«Onorevole, se è stata la vendetta a muoverti. Certo io avrei agito senza affidare il riscatto dell’onore a un altro infido verme.»
«Ho accettato perché ero già incinta.»
Eskandar spalancò gli occhi e la obbligò a voltarsi.
«Quindi Shaeta è davvero figlio di Namta!?»
«No. Né suo né di Erasht.»
«Con tutti gli uomini che ti hanno posseduta è impossibile distinguere il seme!»
«Il guaritore mi ha illuminata quando ha tirato in ballo il voltastomaco. Mi è successo davvero, non ho pensato a reintegrare le erbe. O così o un miracolo.»
Il cavaliere del cielo rimase senza parole. Il veleno funzionava, ammettere davanti al nemico che Shaeta era illegittimo ne era la prova: l’Irravin era senza un successore. Renderlo pubblico avrebbe generato una lotta interna per la corona e avrebbe facilitato le cose a Mahati. Decise di spingersi oltre.
«Sembri certa del padre.»
«Sì.»
«Chi?»
«Non mi va di parlarne. Shaeta crede di essere figlio di Namta. Non ha bisogno di apprendere le circostanze in cui è venuto al mondo.»
«Tenerlo all’oscuro, tra le piume, è la soluzione ideale secondo te!?»
«Non mi va di parlarne!»
«Se è davvero il principe che la tua terra merita, combatterà a prescindere dal sangue che gli scorre nelle vene!»
«No! Con questo discorso stai pensando al tuo Kharnot, al secondogenito che servi e che non regnerà! Non occuparti di mio figlio!»
«Nemmeno il ragazzino che hai partorito siederà sul trono! Ha diritto di sapere la verità prima di restituire l’anima al celeste Reshkigal! Chi è il padre!?»
Amshula lo fissò disperata, sbiancando per l’affermazione minacciosa e perentoria. Lui si maledisse per essersi lasciato forzare la mano dalla collera, temendo di aver incrinato la fiducia faticosamente conquistata.
«Perché siamo in guerra» aggiunse meno aspro «Non ci sono certezze. Non puoi proteggerlo per sempre.»
La regina si rilassò nella sua stretta, il respiro accelerato dalla paura e dal veleno.
«Non mi va di parlarne» ripeté.
Eskandar si raddrizzò su un gomito, squadrandola severo, e rinunciò a indagare. La volta successiva avrebbe sondato le componenti del kori con lo stesso sistema, studiando come portare lì il discorso.
Avverrà presto, anche se il mio modo di pensare la destabilizza. Il desiderio fisico percorre un sentiero diverso da quello della razionalità.
«Di cosa vorresti discorrere allora?» borbottò riottoso.
«Mi sento come ubriaca, le parole fuggono come nuvole. Altrimenti parlerei di te.»
«Mi conosco da più di tre secoli, sfioreresti l’ovvio.»
Lei lo fissò con gli occhi socchiusi, le ciglia a disegnare ombre sul viso ambrato.
«Generale Eskandar, ti hanno certo detto che sei un guerriero impavido, un valoroso cavaliere, un focoso amante, forse un indispensabile sostegno per Mardan.»
«Ebbene?»
«Non ti hanno mai detto “ti amo”?»
«Tsk! Sei davvero ubriaca! Di sesso giacché non abbiamo vino!»
Tirerei in lizza la tossina, ma non ha rivelato il nome del padre di Shaeta!
Quando lei gli prese il viso tra le mani e lo baciò, si rese conto che c’era qualcosa che non dipendeva dalla coercizione di una sostanza.
«Ti amo» sussurrò Amshula prima di cedere al sonno.
☼
Tasmi e Valarde appoggiarono le mani al solido cristallo e ritentarono l’approccio. Due soli Immortali sui quattro richiesti, a confronto dell’infinità dell’apeiron, erano un tentativo ridicolo, ma non potevano rinunciare.
«Nessuna certezza» mormorò Kalemi, sfiorando la parete rubino della piramide «E il signore dei Khai non si è risvegliato. Non resta che seguire i consigli del Custode e prepararci alla lotta.»
«E in fretta» suggerì Manawydan, sollevando il braccialetto cesellato che conteneva la Chiave Oceanica «L’ergon si è accresciuto.»
«Un effetto dell’approssimarsi dell’eclissi» illustrò Tasmi «Elkira è andato a Mardan ma non è ancora riuscito a penetrare i sogni del principe Rhenn. È inspiegabile che un mortale resista allo sforzo di un dio.»
«No, se da oltre duecento anni Belker lo alleva come devoto discepolo. Chiamiamola barriera mentale» considerò tetro il dio del Mare «Avete pensato al fratello minore?»
«Sì, il rischio è che la rivalità divampi. Abbiamo visto cos’è successo quando Mahati ha saputo delle divinazioni. Abbiamo bisogno che facciano fronte comune, non che si ammazzino tra loro.»
«A questo proposito» intervenne il sovrano celeste «Chi di voi sta fornendo a Rhenn indizi probanti sulla perissologia e sulla prossima catastrofe?»
I presenti si guardarono, sorpresi che nessuno se ne dichiarasse artefice.
«Belker, non c’è dubbio!» brontolò seccata Valarde.
«Sempre ad accusare gli assenti, non vi stancate mai?»
La voce sprezzante investì l’udito dei Superiori come un tuono inatteso.
Il dio della Battaglia si materializzò in abiti da guerra, l’arco nella sinistra e lo sguardo fiammeggiante. La piuma di fenice era rovente sulla fronte incorniciata dalla chioma rossa.
«Ardisci impugnare l’arco davanti al principe celeste!?» ruggì Manawydan, riavendosi per primo dalla meraviglia.
«Fossi in voi, rifletterei prima di attaccare» sogghignò l’altro.
Alle sue spalle la piramide scintillò minacciosa nella quiete dell’apeiron.
«Dov’è mia sorella?» si fece avanti Kalemi.
«Dove pensate che sia e dove è destinata a restare. Unita a me per sempre, abbiamo celebrato le nozze mischiando la linfa vitale.»
«Come hai potuto costringerla!?» sbottò furente Valarde.
«Ah, mi deludi! Proprio tu escludi l’amore come spinta alle azioni! Ma ti rendo atto, crede di salvarmi da me stesso, chi sono io per dissuaderla? Ora siamo marito e moglie, siete impotenti davanti a questo! Davanti a me!»
Il potere ancestrale deflagrò, investendo i convenuti con micidiale ferocia.
Manawydan levò una colonna d’acqua, ma l’apeiron l’assorbì e fu una difesa vana. L’emanazione incandescente trapassò l’essenza delle divinità, assestando tuttavia danni limitati.
«La prossima volta non peccherò d’indulgenza.»
«Come ha fatto a colpirci?» ansimò la dea della Montagna, la mano stretta al petto per arginare il dolore dilagante «Perché il divenire non lo ostacola?»
«Perché lo riconosce come parte di sé» affermò Tasmi «Non dimenticate che ora possiede acqua, quiete e amore, l’infinito non intralcia se stesso.»
«Eccellente deduzione» elogiò ironico Belker «Posso eliminarvi in un sospiro senza attendere l’eclissi. I vostri poteri nell’abisso primigenio non funzionano.»
«Non mettermi alla prova, bamboccio!» ruggì il dio del Mare «Il corallo nero della mia spada non è congenito! Libera Azalee e combatti da Immortale!»
Tutt’altro che impressionato, Belker levò un dito: le epharat si materializzarono al suo fianco, le lamine sulle scapole tese come ali di metallo, pronte al combattimento.
«Insistendo otterrai pane per i tuoi denti.»
«Non mi sono mai tirato indietro!»
«Fermi!»
Kalemi sollevò la mano imperioso, fissando il dio ribelle con gelida collera.
«Hai mia sorella e il suo amore eterno. Non è ciò che vuoi? Riconoscerò il matrimonio e ti assicurerò la grazia, se desisterai dalla tua folle impresa.»
«Ma mio signore…!» protestò Manawydan.
«Silenzio! Che ne dici, Belker?»
L’interpellato schiuse le labbra in una lieve risata.
«Vi siete ridotto a mercanteggiare, principe del pantheon? Ciò che offrite non è niente rispetto a quanto sono in grado di ottenere in autonomia. Il vostro è fiato sprecato, le concessioni sono indegne sulla bocca di un sovrano.»
«Come osi!?» esplose Valarde «Credi che temiamo la tua arroganza?»
«Sì. Essa e la risolutezza che al regno eterno manca da tempo!»
Kalemi scosse la testa con sincero dispiacere.
«Non desideravo si giungesse a questo. Non ci lasci scelta.»
«Oh sì, una. Potete genuflettervi, giurarmi fedeltà e adorarmi.»
Il sovrano degli Immortali sollevò uno sguardo tempestoso: neppure suo padre era riuscito a scatenare in lui una collera tanto ponderosa.
«Preferisco verificare se Almaktti ha assegnato bene i ruoli. In guardia, Belker!»


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