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Autore: aubrunhair    22/02/2024    9 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Si era pentita di essersi recata da lui. Dio, se se n’era pentita! Il momento dopo essere uscita da casa sua già rimpiangeva aver lasciato palazzo Jarjayes. 

Non un grande modo per terminare l’anno. La fine di dicembre peggiore che avesse mai immaginato.

Ma che cosa le era passato per la testa? 

Cosa voleva dimostrare? 

Amicizia? Non lo aveva già fatto fin troppe volte da quando si erano conosciuti?

Doveva fermarsi lì. 

E invece no. Testarda. Era andata di proposito a chiedergli se fosse davvero sicuro che fuggire sarebbe servito a dimenticare ogni sofferenza.

Doveva rimanere a casa.

E invece il cuore, prima della testa, l’aveva condotta lì. Dove era rimasta troppo a lungo. Dove aveva lasciato un pezzo di sé, o forse anche tutta se stessa. 

Doveva dirgli di no.

E invece gli aveva fatto capire di sì. Per la verità, la domanda non c’era stata. Lei era già quasi sulla porta, gli occhi lucidi a trattenere lacrime per qualcuno che sarebbe presto diventato un fantasma.

Non poteva mantenersi l’algida, distaccata, altera di sempre? Non c’era proprio bisogno di mostrare il lato nascosto della luna. 

Il tutto per tutto, come se spogliarsi dell’armatura da guerriero avrebbe potuto far cambiare idea su qualcosa. Partire stava partendo. Soffrire per amore stava soffrendo. A lei, a Oscar, non erano rimaste che le briciole. E le conseguenze delle sue fugaci attenzioni.

Seduta rannicchiata in lacrime sulla poltrona della camera da letto, si coprì il viso con le mani. Si maledisse, maledisse l’aver ceduto e l’aver pensato come una donna innamorata orgogliosa del proprio sentimento. 

Fino a poche ore prima se ne era vergognata. Un soldato non si lascia scalfire dall’amore. Un vero uomo non ha certe debolezze. Si era lasciata andare al suo abbraccio inaspettato, che forse gli sarebbe mancata davvero e non aveva senso impedirgli di dimostrarle un po’ di affetto se lo voleva. 

Le aveva sentite bene le sue mani sulla schiena e talvolta, nei giorni successivi, ne aveva avuto nostalgia. Come dimenticarle? Se solo fosse riuscita… Era pur sempre vero che anche cancellando dalla memoria quella sera nello specifico, non sarebbe servito a nulla a quel punto. 

Aveva guardato troppo al presente, a ciò che la disperazione la spingeva a desiderare. O a credere di desiderare. 

Non aveva più difese lì, tra le sue braccia e maledetto quando era capitato nella sua vita e se stessa che non si era impuntata. Se le avesse chiesto di indossare un abito da sera sarebbe corsa a metterselo.

Si era accorta in ritardo che quella stretta non era più il saluto di due amici. Perché l’aveva tenuta a sé un po’ troppo a lungo e intensamente. Perché aveva respirato tra i suoi capelli e lei aveva chiuso gli occhi e pregato Dio che non la lasciasse proprio adesso. 

Non l’aveva lasciata. Al contrario, le aveva accarezzato la schiena e poi le braccia. Le aveva posato le labbra sul collo e lei subito si era irrigidita, ma poi il cuore le aveva detto che non doveva spaventarsi e che lui non le avrebbe fatto niente che l’avrebbe ferita. 

E così era stato. Non l’aveva obbligata e lei non si era sentita obbligata. Lo aveva voluto. Il mito aveva un corpo adesso, non era più solo gesti, voce e personalità. Si era persa con lui, dentro di lui.

Oscar si alzò veloce dalla poltrona. Non voleva tornare di nuovo lì, sempre lì. Ormai il danno era fatto e anche ripetendosi quanto fosse stata stupida ad abbassare la guardia e quanto si pentisse ancora, non c’erano alternative. Non si scappa.

Era già buio fuori mentre si cambiava in fretta, ché non voleva vedere più un lembo di pelle almeno per qualche ora ancora. 

Spazzolò i capelli e cominciò a pensare che erano passati troppi giorni perché fosse solo un problema momentaneo. Non poteva attendere oltre. Il mutismo non l’avrebbe cavata via dall’impiccio. Anzi, l’avrebbe cacciata sempre più a fondo, perché non ne sapeva quasi niente e cosa avrebbe dovuto fare lei a quel punto era un’incognita. 

Le venivano in mente solo i divieti che avrebbe di sicuro ricevuto dal dottore e alla nonna. Togliere tutto, rimanere a casa e riposarsi. Basta cavalcate, basta Guardie Reali, basta spade e pistole. Basta tutto. Solo tranquillità. 

Ma Oscar non era tranquilla, non lo sarebbe mai stata. Ovunque voltasse il pensiero trovava soltanto porte aperte sul baratro. E il più profondo, il più terrorizzante era l’unico che contava. 

La nonna l’avrebbe aiutata dopo una sonora ramanzina, André l’avrebbe supportata, le sorelle un po’ compatita ma la lontananza avrebbe attutito. Suo padre… Suo padre l’avrebbe obbligata a chiudersi in un convento, confinata nella villa in Normandia e guai a uscire, l’avrebbe fatta allontanare dalla reggia e mai più rientrare. Nemmeno dalla porta sul retro, nemmeno per chiuderla in uno sgabuzzino. 

Traditrice, vergogna della famiglia, dai costumi troppo facili!

E dire che l’aveva cresciuta con dei sani principi, lui. Invece eccola lì, la peccatrice. Nemmeno capace a darsi un contegno. Non è così che si comportano i soldati.

E come si comportano, padre? Io vi giuro che adesso non lo so più. Forse non l’ho neanche mai saputo ed è per questo che adesso sono qui.

Più ancora di dovergli rivelare, di lì a tre mesi, che nella loro casa sarebbe arrivato un bambino – il primo dalla sua nascita ad abitare a palazzo Jarjayes – la spaventava l’idea di dirgli chi fosse il padre.

Si erano incontrati talmente poche volte quei due che non potevano dire di conoscersi. Eppure il signor generale un’opinione precisa  di quell’uomo se l’era fatta benissimo passando le giornate a Versailles, perché anche tra i soldati certi pettegolezzi circolavano. E aveva deciso che l’altro non fosse la migliore compagnia che potesse frequentare la propria figlia. 

Si parlava troppo di lui a corte e non nei termini che il generale avrebbe voluto vicini alla propria erede. Troppe chiacchiere dietro i ventagli delle dame, troppe gomitate nei fianchi tra galantuomini quando passava per i corridoi della reggia.

Pensava questo l’uomo del padre del futuro nipote anche se ancora non sapeva niente. D’altronde, lo pensava già prima che avvenisse tutto. 

Oscar guardò le lancette nere sul quadrante bianco sulla mensola della libreria, distesa sul letto. Una mano istintivamente finì sul ventre, ma quando se ne accorse la tolse subito. 

Piano ad affezionarti.

Le sette e quarantacinque. Tanto non avrebbe comunque cenato, l’agitazione le aveva chiuso lo stomaco e aver passato l’intera giornata a Versailles con la testa che pareva sul punto di scoppiare non era stato d’aiuto. 

A quell’ora Lassonne l’avrebbe ancora visitata e cominciare a consultarsi con il dottore era l’unica cosa da fare per il momento. 

Era in procinto di alzarsi quando si ricordò che il medico era stato chiamato a corte poco prima che lei andasse via per una delicata questione riguardante il re e di certo non lo avrebbe trovato disponibile. 

E poi avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni al piano di sotto, non ne aveva la minima voglia di inventarsi una scusa. 

- Ci andrò domani. - bisbigliò. - Domani mattina, appena sveglia.

Se lo sentiva ancora addosso quell’uomo per cui tanto aveva pianto, specialmente quando rimaneva da sola al buio. Percepiva ancora i suoi movimenti, la sua pelle, i suoi baci e mordeva il labbro ricordandosi che non sarebbe mai più accaduto con lui e che invece ci sarebbero state chissà quante altre donne al suo posto, mentre lei rimaneva con le solite briciole e una vita da riorganizzare. 

Che se ne stesse alla larga, allora! Che si trasformasse davvero in un fantasma, sparisse e a mai più rivedersi! In altri casi la corazza dell’orgoglio di essere chi era sarebbe riapparsa ben prima, ma ora… Sorrise amaramente di quanto fosse stata ingenua quando credeva che il dolore più grande lo portasse custodire un sentimento inespresso e inesprimibile. Avrebbe dato tutto pur di tornare indietro e fermare il tempo a dicembre. 

E pur di imparare a perdonarsi. Non avrebbe potuto chiedere scusa al padre per l’errore commesso se prima non avesse accettato le proprie scuse. Una via lunga la sua, lastricata di ostacoli dalla nascita a cui ne aveva appena aggiunto un altro alto quanto una montagna. 

Ho bisogno di tempo, anche se non ce n’è. Solo un po’ di tempo.


Note: grazie a chi continua, la storia è solo all’inizio. In questo capitolo ho dovuto forzare un po’ la direzione in cui sensei Ikeda ha pensato la storia. Si tratta di un alternate universe e come tale diverge nei punti nevralgici. Perdonate, perciò, se alcuni elementi vi sembrano out of character o troppo differenti rispetto all’originale. È per capitani coraggiosi.


   
 
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