“Un governante
dovrebbe mantenere le promesse
solo quando gli
portano un guadagno.”
CAPITOLO 2
IL PRIMO PASSO
Tutti i nobili
amavano il tè.
Era la bevanda dei
ricchi e dei colti, costosissima da importare e da comprare, e la lontana terra
di Maharadi aveva costruito la propria ricchezza sul
suo commercio.
Ma Daemon era
diverso.
Lui apprezzava
un’altra bevanda, più densa e scura, originaria del Torian;
era amara, ma in modo spiacevole, ma a lui non importava, e anzi diceva che più
era forte e più gli dava sollievo, perché gli permetteva di stare sveglio a
lungo ad occuparsi dei suoi molti compiti.
La gente
dell’Impero e non solo trovava quella roba così sgradevole al gusto da non
averle mai neanche dato un nome, così gliene aveva dato uno lui.
«Chi ha preparato
questo caffè, una salamandra ubriaca?» protestò sorseggiandone un po’ nel bel
mezzo della riunione. «D’accordo che lo apprezzo forte, ma così è praticamente
bruciato.»
Non che qualcuno
gli stesse prestando attenzione; erano tutti troppo impegnati a discutere tra
di loro.
Una settimana dopo
la vittoria di Mistvale la situazione era
sostanzialmente congelata; il nemico, che nel mentre aveva anche ricevuto
rinforzi, era ancora trincerato a Grote Muren, e non sembrava avere alcuna intenzione di andarsene
da lì.
I contatti con
l’esterno ormai erano ridotti al solo ponte sullo Jesi, ma il perdurare dello
stato di guerra pesava in modo sempre più pesante sui commerci e sulla fiducia
dei mercanti per il futuro dello Stato Libero.
Occorreva una
soluzione, ed era proprio su questo che anche dopo sette giorni di discussioni
l’Assemblea non riusciva ancora a mettersi d’accordo, con gli interventisti da
una parte capitanati da Oldrick e gli attendisti
dall’altra raccolti attorno a Mary.
Ormai la sala
delle riunioni del municipio di Basterwick era
diventata un’arena per i combattimenti.
«Non riesco a
capire perché proprio voi, lady Wallace, vi ostiniate a voler lasciare le cose
come stanno.» disse Oldrick «In quanto ministro
dell’economia dovreste essere la prima a comprendere la gravità della
situazione.»
«Questo non
giustifica ciò che volete fare.» disse Rutte. «Invadere Eirinn sarebbe una
follia!»
«E che cosa
dovremmo fare? Aspettare che ci attacchino di nuovo?»
«Sono d’accordo
con il Governatore Tielde.» disse Lyrney,
avvocato e Ministro della Giustizia. «Quella scheggia impazzita di Victor la
conosciamo tutti. Se suo padre ha fatto di tutto per non doverlo designare come
successore ci sarà pure un motivo.»
«Una cosa è sicura,
questa situazione non può continuare.» disse Borg. «La tensione politica e
l’indecisione sono più dannose della guerra, e i mercanti amano questo Paese
soprattutto perché qui le decisioni si prendono in fretta. Se aspettiamo ancora
molti di loro se ne andranno.»
«State parlando di
un’invasione in piena regola!» esclamò Zorech con
insolita veemenza. «Non importa come la vogliate definire, la sostanza non
cambia.»
«Messer Zorech ha ragione.» disse Mary. «Abbiamo creato tutto
questo con la speranza di dare a tutti i nostri amici un futuro migliore. Ma la
guerra non porta un futuro migliore, solo lutti e miseria.»
«Non l’abbiamo
voluta noi questa guerra, ragazza mia. D’altronde se non facciamo niente, lo
Stato Libero potrebbe cessare di esistere. Vuoi davvero tornare indietro a
quello che c’era prima? Io no di certo.»
«Il ministro Passe
ha ragione.» disse Adrian. «E anche se condivido il tuo pensiero Mary, quello
in cui viviamo non è il mondo delle favole. Non siamo stati noi ad iniziare
questa guerra, ma possiamo decidere come farla finire.»
«Abbiamo
dimostrato la nostra forza. Ora sanno che possiamo difenderci. Forse se
accettassimo di negoziare…»
«Negoziare? Con
Victor?» disse Tielde «Se avesse voluto negoziare
l’avrebbe già fatto, invece solo ieri sono arrivati alla fortezza altri duemila
uomini. Mi sembra chiaro che si sta preparando a riprovarci.»
«E noi lo
respingeremo ancora e ancora, se sarà necessario.» disse Rutte «Ma se
attacchiamo Eirinn diventeremo noi gli invasori. Questo andrebbe contro a tutto
ciò che è scritto nella nostra dichiarazione di indipendenza. Noi difendiamo il
diritto alla libertà, non lo minacciamo.»
«Il problema è che
quando si ha a che fare con chi non vuole sentire ragioni, la violenza è
l’unica risposta possibile.» rispose funereo Adrian. «D’altra parte non
rispondere ad un’invasione così plateale e in spregio ad ogni trattato ci
farebbe apparire deboli.»
«Eirinn tutto
sommato è un pesce piccolo.» incalzò Oldrick «Vi
ricordo che abbiamo l’Unione a sud e l’Impero a nord. Mostrarsi indolenti
sarebbe come ammettere che qualsiasi atto di aggressione contro di noi non
avrebbe alcuna conseguenza. Se passa questo messaggio, presto altri potrebbero
decidere di fare la loro mossa.»
Daemon, che per
tutto quel tempo non aveva aperto bocca, si alzò in piedi, e a quel punto tutti
si zittirono.
«La guerra è un
inferno. Ma è anche una maledizione. Gaia, nella sua infinita saggezza, ne ha
fatto un trionfo dell’orrore proprio perché in caso contrario gli uomini si
divertirebbero troppo a praticarla. E l’ultima cosa che volevo quando ho dato
vita alla Rivoluzione era vedere la nostra nazione trascinata in un conflitto
che non ha voluto. D’altronde però ci sono delle occasioni in cui l’utilizzo
della forza è giustificato, e talvolta garantire il bene di una nazione
significa anche annichilire chi ha dimostrato di essere una minaccia per lei.»
«Daemon…» disse Zorech come se non volesse credere a ciò che stava sentendo
«La vittoriosa
difesa della nostra terra ha dimostrato a tutti la nostra forza. Ora è tempo di
mostrare la nostra risolutezza. Manderemo un messaggio forte e chiaro, e tutti
d’ora in poi sapranno che attaccarci o minacciarci avrà delle conseguenze.»
«Sei davvero
sicuro che non ci sia altra soluzione?»
«Mi dispiace,
Mary. So che per te non deve essere una decisione facile, e non ti biasimo se
non sei d’accordo con me. Ma è la nostra sopravvivenza ad essere a rischio, e
non solo perché Victor potrebbe attaccarci ancora da un momento all’altro. Come
ha detto Borg, questa guerra potrebbe distruggere la nostra economia. Eirinn è
la nostra porta verso l’oriente. Anche se non dovessero attaccarci ancora,
saremo destinati alla rovina se quelle rotte commerciali non dovessero essere
riaperte al più presto. Per questo, chiedo all’Assemblea di autorizzare
l’inizio di una campagna militare contro Eirinn.»
«Eirinn è un
alleato dell’Impero.» disse mestamente Rutte. «Se lo attacchiamo sarebbe come
dichiarare guerra allo stesso Ademar.»
«Vi ricordo che
quella che occupiamo è una terra che formalmente appartiene proprio all’Impero.
Francamente dubito che i nostri rapporti con loro potrebbero essere peggio di
così. Dico bene, Daemon?»
«Dici benissimo, Tielde. Sappiamo tutti che prima o poi l’Impero si muoverà
contro di noi, ed è molto probabile che questa decisione li spingerà ad agire.
Ma come ho detto, a volte proteggere una nazione significa anche dover correre
dei rischi. Allora? Qual è la vostra decisione?»
Per la prima volta
in cinque mesi la votazione non si concluse con una decisione unanime, anche se
alla fine fu solo Zorech ad esprimere un voto
contrario.
«Vi ringrazio per
la vostra fiducia. Voglio precisare che non è mia intenzione reclamare terre
che non siano già nostre, e qui davanti a voi mi impegno a cessare le ostilità
nel momento in cui il nemico deciderà di negoziare.»
«C’è solo un
problema.» disse Adrian. «Victor e il suo esercito controllano ancora Grote Muren, e l’impegno che ci
abbiamo messo per ammodernare quella fortezza ora ci si ritorce contro.»
«Ha ragione.»
disse Oldrick. «Rischiamo di subire perdite
considerevoli fin da subito attaccando la fortezza frontalmente, visto che il
Passo di Gael sarà sicuramente ancora troppo bloccato
per oltrepassarlo agilmente.»
«Qualcosa ci
inventeremo. Nel frattempo voglio quanto prima un resoconto dettagliato dello
stato delle nostre forze. Contate fino all’ultimo uomo di cui disponiamo, e
assicuratevi che tutti abbiano armamenti e vettovaglie a sufficienza.
Naturalmente il bando su saccheggi e razzie resterà valido, e chiunque
trasgredirà pagherà con la forca.»
Chiusa nella sua cella, Athreia aveva
avuto tanto tempo per pensare.
E i suoi non erano
certo pensieri felici.
Anche se si
sforzava di credere che ciò che le era stato detto non poteva essere vero, le parole
di Scalia su quanto accaduto su quella montagna le martellavano incessantemente
la testa togliendole la fame, il sonno e la ragione.
Come era solita
fare in situazioni come quella cercava di mantenere il controllo con la
meditazione o l’esercizio, ma nessuna di queste cose era facile da fare chiusa
in un buco dove a stento riusciva a muovere qualche passo.
Se non altro
origliando i discorsi delle guardie aveva capito, o forse aveva voluto
convincersi di aver capito che sua sorella era sopravvissuta anche alla
battaglia di Mistvale, e questo serviva a darle
almeno un motivo per voler restare in vita.
Ma i giorni
passavano, e sembrava che a nessuno importasse più niente di lei.
Poi una sera la
porta della cella si aprì; in un primo momento pensò fossero la guardia e il
secondino che le portavano da mangiare e non interruppe nemmeno la propria
meditazione, salvo accorgersi che il passo di uno dei due era troppo leggero
per appartenere a quel canide scontroso e al suo amico cinghiale.
«Lei viene con me.
E naturalmente tu non ne sai niente, sono stato
chiaro?»
«Sì Daemon, non
preoccuparti.»
Come se stesse
accompagnando un’amica piuttosto che una prigioniera Daemon guidò Athreia fuori
dalle prigioni.
«Ormai ti sarai
ripresa, suppongo.» disse il ragazzo montando a cavallo «E se vuoi un
consiglio, evita di fare scherzi. Dovresti averlo capito che sarebbe inutile,
inoltre ci sono pattuglie e soldati ovunque, quindi non andresti lontano.»
E Athreia,
accondiscendente in un modo che sorprese perfino lei, fece come le era stato
detto, accodandosi al suo carceriere nella loro silenziosa marcia verso le
porta della città. In giro non si vedeva anima viva, e attorno a loro tutto era
immerso nel silenzio della notte.
«Abbiamo imposto
il coprifuoco dopo il tramonto. Non avevo voglia di dare troppe spiegazioni a
Scalia o a qualche altro di quei rompiscatole dei miei consiglieri. Ma anche se
qualcuno dovesse vederti, finché sei con me puoi stare tranquilla.»
E in effetti
nessuno, neanche i soldati che facevano la guardia alle porte, fecero domande,
permettendo al loro comandante di andarsene portandosi dietro la prigioniera
senza dire una parola.
Lasciata la città
procedettero a passo abbastanza sostenuto verso ovest; una galoppata come
quella normalmente per Athreia sarebbe stata una cosa da nulla, ma i molti
giorni chiusa in prigione e la convalescenza pesavano sul suo fisico.
«Basta così.»
disse quindi Daemon dopo qualche ora. «Riposiamoci fino al sorgere del sole.»
«Posso ancora
continuare.» disse la centaura con aria quasi risentita
«Non chiedere
troppo a te stessa. Inoltre non mi va di trascinarti appresso. Sei piuttosto
pesante, lo sai?»
Con l’abilità che
solo qualcuno abituato a vivere nella natura selvaggia poteva avere Daemon
montò un accampamento, e una volta acceso il fuoco mise a scaldare un po’ di
cibo preso fuori dalla bisaccia della sella.
«Meglio se mangi
qualcosa.» disse il ragazzo notando che la sua ospite esitava a consumare le
verdure che le aveva messo a disposizione. «Domani dobbiamo inerpicarci su per
le montagne.»
Fu solo a quel
punto che Athreia ebbe il coraggio di fare la fatidica domanda.
«Dove mi state
portando?»
«C’è una cosa che
voglio che tu veda.»
«Non importa cosa
mi farete vedere o cosa mi direte. Io non intendo tradire i miei compagni.»
«Cosa ti fa
pensare che voglia questo da te?»
«Ho sentito i
discorsi delle guardie. Umani e mostri che combattono insieme. È evidente che
avete un grande potere di persuasione. Ma io so in cosa e in chi riporre la mia
lealtà. Sono un soldato dell’esercito imperiale, e tale resterò fino al termine
dei miei giorni.»
Daemon la guardò
negli occhi, e per la prima volta dalla morte di suo padre Athreia si sentì
pervadere da uno strano senso di soggezione.
«Sei mai stata
fuori dell’Impero?»
«Cosa!? … Beh, no…
Da bambina ho visitato le terre libere degli elfi.»
«E tra di voi
c’erano dei centauri provenienti da altre nazioni?»
«Impossibile.
Proveniamo quasi tutti dalla stessa regione. I pochi di noi che non sono
originari della Vanlia sono nativi di altre province
dell’Impero. Perché me lo chiedete?»
«Era solo
curiosità.»
Quindi, appena
finito il suo pasto, Daemon si coricò.
«Farai il primo
turno di guardia. Svegliami fra tre ore.»
Athreia non
riusciva davvero a capire come facesse quel ragazzo si fidasse di lei fino a
questo punto; forse confidava nella sua paura del bind, o forse era solo un
completo sciocco.
Aveva perfino
lasciato la spada in bella vista accanto al giaciglio; le sarebbe bastato
allungare una mano per prenderla, tagliargli la gola e scappare.
E invece fece
proprio quello che le era stato chiesto; dopo aver mangiato, montò
diligentemente la guardia ben oltre l’ora designata, tanto che quando Daemon si
svegliò ormai cominciava ad albeggiare.
«Avresti dovuto
chiamarmi.»
«Non avevo sonno.
Ho dormito molto in cella.»
Daemon preparò
quindi quella sua strana bevanda amara a base di chicchi tostati e tritati
messi a infuso nell’acqua bollente.
«Vuoi assaggiare?
Ti avviso che è parecchio forte.»
E lo era davvero,
tanto che ad Athreia bastò un sorso per sentire il cerchio alla testa e le
orecchie che tremavano.
«Come fate voi
umani a bere questa roba?»
«In realtà per
adesso da queste parti la bevo solo io. Ma sto cercando di diffonderla
nell’esercito. Come hai notato è ottima per tonificare il corpo e tenere la
mente lucida.»
Ora Athreia
cominciava a capire come mai quel ragazzo all’apparenza così normale fosse
stato capace di soverchiarli in modo tanto plateale. Il modo in cui si
preoccupava per i suoi soldati e tutti i suoi sudditi, e il rispetto che loro
avevano per lui, non erano normali, soprattutto per un governante umano.
«Con il dovuto
rispetto, ma non sembrate davvero una persona che ha preso il comando di una
nazione solo da qualche mese.»
«Chissà.» ammiccò
il ragazzo. «Magari in una vita precedente sono stato un generale. O perfino un
imperatore, chi può dirlo?»
Athreia non era
particolarmente devota, ma le veniva quasi da domandarsi se non potesse essere
vero.
Dopo aver smontato il campo Daemon e
Athreia si rimisero in cammino, incamminandosi come predetto lungo un sentiero
che li portò nel cuore delle montagne, lì dove il bosco si faceva meno fitto
lasciando posto a grandi pascoli.
«Ci siamo quasi.»
disse Daemon dopo alcune ore di cammino indicando poco lontano un agglomerato
di case rannicchiato alla base di un costone di roccia.
«Che cos’è?»
«Un ritrovo di
pastori. Un tempo lo usavano durante l’alpeggio estivo, ma adesso è
abbandonato.»
«Eppure a vederlo
da qui si direbbe ancora abitato.»
«Infatti lo è. Tra
poco capirai.»
Ma ciò che Athreia
vide una volta che finalmente furono arrivati fu tale da lasciarla senza
parole.
Il villaggio era
effettivamente abitato, tanto che molte case erano state risistemate, ma i suoi
abitanti non erano esseri umani.
Centauri.
Quel posto era
pieno di suoi simili.
Dovevano essere
almeno duecento di tutte le età, specie e provenienza, dai puledri delle steppe
settentrionali ai massicci colossi dell’estremo ovest, che giocavano,
conversavano e lavoravano assieme come se fosse stata la cosa più naturale del
mondo.
I primi ad
accorgersi dei nuovi arrivati furono un tre bambini che si esercitavano nella
guerra sul vasto prato antistante il villaggio, e che corsero sorridendo verso
di loro agitando le loro spade e lance giocattolo.
«Master Daemon!
Siete tornato!»
«Salve, ragazzi.
Sono felice di rivedervi.»
«Ci avete portato
qualcosa di buono?»
«Mi dispiace, oggi
no. Prometto di portavi qualcosa la prossima volta. Ma voi però non la finite
mai di prendervi a legnate?»
«Vogliamo
diventare forti e imparare a combattere! Così quando saremo grandi potremo
batterci al vostro fianco!»
«Ammiro la vostra
determinazione. La mia speranza è che per quando voi sarete cresciuti le guerre
saranno solo un brutto ricordo. Ma ciò non significa che non dobbiate diventare
forti, cosicché un giorno possiate proteggere i vostri amici e tutto il vostro
popolo.»
«Lo faremo di
sicuro!»
«Master Daemon,
chi è questa signorina?» chiese l’unica bambina del gruppo. «Anche lei si
fermerà qui con noi? Il vecchio Lasik ha appena
finito di risistemare un’altra casa, ci sarà sicuramente posto anche per lei.»
«Non abbiamo
ancora deciso. Ma le ho parlato di questo posto e voleva vederlo. Ora però
tornate a giocare.»
Athreia era
talmente senza parole da non riuscire ad aprire bocca, e più si aggirava per il
villaggio più aumentava il suo stupore.
«Come immaginerai
i centauri non sono esattamente i benvenuti qui. Ho creato questo insediamento
per dare loro un posto dove stare, e nel mentre introduco alcuni di loro
nell’apparato amministrativo per abituare gli altri mostri alla loro presenza.»
«Ma perché sono
qui? Voglio dire, perché un centauro dovrebbe voler venire in un posto come
questo?»
D’un tratto
Athreia si sentì chiamare, e giratasi vide un attempato centauro dall’aria
gentile venirle incontro trascinandosi appresso una slitta piena di tronchi
appena tagliati.
«Lady Athreia,
siete davvero voi. Incredibile, siete identica a vostra madre. Scusate, forse
non vi ricordate di me. Mi chiamo Lasik, ero il
luogotenente di vostro nonno molto tempo fa.»
«Mi ricordo di
voi. Siete scomparso nel nulla molti anni fa, quando ero solo una bambina.
Dicevano che eravate morto.»
«Ci sono andato
vicino. Mi hanno catturato durante le dispute di confine. Sono stato portato
nell’Unione, dove sono stato per molto tempo schiavo in una piantagione del
sud.»
«Schiavo!?»
«Sì, lady Athreia.
Quasi tutti coloro che ora abitano qui erano schiavi. Quando abbiamo saputo che
lo Stato Libero era pronto ad accogliere anche noi, siamo scappati e ci siamo
rifugiati qui. Master Daemon ci ha dato questo posto e ci ha restituito la
libertà.»
«Ma non è
possibile. Io sapevo che i centauri non potevano essere schiavizzati. Gli umani
ci considerano loro pari.»
«Nell’Impero forse
sì, ma altrove è diverso. Nell’Unione, a Torian e
persino in Volkova noi centauri siamo considerati
mostri né più né meno di qualunque altra specie, e come tali possiamo essere
ridotti in schiavitù. Una volta chi poteva fuggiva a Connelly o nell’Impero, ma
ormai è diverso tempo che entrambe le nazioni rifiutano di accoglierci.
Comunque sono felice di rivedervi. Quando abbiamo saputo di cosa era successo
sul Passo di Gael ho temuto per la vostra vita.
Vedrete che vi troverete bene qui, Messer Daemon ha sempre posto per chi ha del
talento, dico bene?»
«Hai detto
benissimo, amico mio. Grazie per occuparti di questa gente in modo così
premuroso.»
«Grazie a voi, per
averci restituito la dignità.»
Quando dopo poco Lasik se ne andò portandosi dietro il suo pesante fardello,
Athreia sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
«Capisci ora
perché ti avevo chiesto se fossi mai stata fuori dall’Impero?»
«Questo… questo è
crudele. Mi fate vedere queste cose così da farmi dubitare di ciò su cui ho
basato tutta la mia vita.»
«Non definirei
l’aprire gli occhi a qualcuno sulle bugie che gli sono state raccontate per
anni crudele. E se proprio vuoi saperlo, molti abitanti di questo villaggio
vengono proprio dall’Impero. Non ti domandi il perché?»
Athreia però era
ancora troppo sconvolta e atterrita per avere anche solo la forza di pensarci.
«L’Impero forse
non considera i centauri allo stesso livello di tutti gli altri mostri, ma di
certo vi ha sempre visti come nient’altro che efficaci macchine da guerra. Un
soldato o un legionario che rimanga ferito, invalido, o che semplicemente non
sia reputato in grado di servire nell’esercito può comunque sperare di trovare
un altro scopo nella vita o percepire un generoso sussidio. Ma un centauro che
non può combattere non ha alcun valore. Se non fai parte o non hai mai fatto
parte di un’unità militare di qualunque tipo non hai diritto a possedere una
casa, della terra, e tanto meno ad avere una tua attività. Tutto quello che ti
è concesso fare è metterti al servizio di un umano, che potrà disporre di te a
suo piacimento. E non pensare che i feriti o gli invalidi se la passino meglio;
il sussidio che percepiscono basta a malapena per sopravvivere, e ti lascio
immaginare quanto sia facile per loro trovare un lavoro. E tutto questo senza
contare che i centauri non hanno il diritto di voto, ad esclusione di quello
per l’elezione dei propri rappresentanti nei governi municipali, che però
devono essere sempre approvati dal governatore. Ora dimmi sinceramente in cosa
tutto questo differisca dall’essere uno schiavo.»
Era più di quello
che Athreia poteva sopportare, e nascondendo il volto tra le mani la ragazza
corse via perdendosi ben presto tra i vicoli.
Tutto quello che
ottenne vagabondando su e giù senza sapere dove andare fu ritrovarsi faccia a
faccia con decine di suoi simili che felici e sorridenti si godevano la loro
ritrovata libertà, e che al suo passaggio la osservavano quasi con
compatimento.
La stessa bambina
di poco prima la vide mentre, esausta e atterrita, si abbandonava contro il
muretto di una malga poco fuori il villaggio, bagnando con le proprie lacrime
l’erba ai suoi piedi.
«Non piangere,
signorina.» le disse offrendole una mela. «Vedrai che tutto si sistemerà. Ora
sei libera.»
Ma cosa voleva
dire essere liberi?
Per tutta la vita
Athreia era stata sicura di esserlo.
Poteva andare dove
voleva, ma il suo destino era mai stato davvero nelle sue mani?
Essere un soldato
non era forse l’unico scopo che la sua vita avesse mai avuto? C’era mai stata
una volta in cui si fosse chiesta se avesse voluto essere qualcos’altro?
No, per il
semplice fatto che non gliene era stata data l’occasione.
Credeva che quella
vita le piacesse per il semplice fatto che era stata educata a ritenere che per
un centauro non vi fosse altra aspirazione all’infuori della guerra, la sola
cosa per cui la vita era degna di essere vissuta.
Ma quelle persone
erano diverse. Alcuni, bastava guardali, erano stati loro stessi dei guerrieri,
ma in quel villaggio lontano dalla guerra sembravano aver trovato uno scopo
diverso.
Ora erano felici.
E lei invece, lo era? O lo era mai stata?
Tutto d’un tratto
le tornavano in mente tutti gli sguardi ostili, i gesti di insofferenza, le
palesi mancanze di considerazione che aveva sempre fatto finta di non vedere,
convincendosi che si trattasse di singoli casi che non rispecchiavano ciò che
gli umani davvero pensavano della sua specie.
Un verso stridulo
e insopportabile, reso più forte dall’eco delle montagne tutto attorno, le
trapanò la testa facendola quasi svenire.
Tutti nel
villaggio lo sentirono, ma solo in pochi capirono di cosa si trattava; e
Daemon, con la sua esperienza da cacciatore, era uno di questi.
«Maledizione,
ditemi che sto sbagliando.»
Invece purtroppo i
suoi sospetti trovarono conferma quando da dietro la cima più alta comparve una
specie di enorme drago, con il corpo ricoperto di scaglie blu e l’addome di un
colore rosso opaco, diretto proprio verso il villaggio.
«Lo sapevo, è una viverna! Lasik, suona la campana!
Portate tutti nelle grotte!»
«E voi cosa
farete?»
«Io cercherò di
allontanarla da qui! Fate come vi ho detto!»
Purtroppo quella viverna volava con tale velocità che in molti non fecero in
tempo a mettersi in salvo venendo raggiunti, uccisi e in molti casi mangiati.
Per fortuna quella
bestia non si concentrò sul villaggio, preferendo piuttosto accanirsi su coloro
che si trovavano all’esterno, magari isolati e senza posti vicini dove potersi
nascondere; peccato solo che anche Athreia e la bambina fossero tra questi.
«Mettiti in salvo,
piccola!»
Athreia ai mise
quindi a correre a zigzag nella speranza di attirare l’attenzione della viverna, che però sfortunatamente preferì subito rivolgere
le sue attenzioni alla bambina, talmente spaventata da restare pietrificata per
la paura mentre quel mostro le veniva addosso con le fauci spalancate.
A quel punto, la
centaura fece la prima cosa che l’istinto le suggerì: proteggere un’innocente.
Caricando come un
toro, colpì quel bestione cinque volte più grande di lei sulla guancia con
tutta la forza che aveva un attimo prima che potesse ghermire la bambina,
riuscendo a sbilanciarlo e a scaraventarlo al suolo in un turbinio di polvere.
Questo
effettivamente distolse una volta per tutte l’attenzione della viverna dalla bambina che si decise finalmente a mettersi
in salvo, ma ebbe anche l’effetto di fare infuriare la creatura.
Athreia recuperò
perciò da terra un forcone e tentò di difendersi, scoprendo però ben presto che
avere un corpo così massiccio e imponente a volte poteva rivelarsi un ostacolo,
specie quando si cercava di schivare colpi d’ala, frustate di coda, o affondi
di mascelle fulminei come quelli di un serpente.
Oltretutto quella
dannata bestia aveva scaglie dure come la roccia, e per quanto Athreia ci
provasse non c’era verso di riuscire a ferirla.
«Sprechi il tuo
tempo!» gridò Daemon arrivando a darle manforte armato di arco e lanciandole l’unica
spada che era riuscito a trovare. «Gli unici punti deboli sono gli occhi,
l’interno della bocca e il ventre.»
«Quindi che
facciamo?»
«Dobbiamo riuscire
a farla ribaltare.»
La fortuna era che
quella bestiaccia cadendo doveva essersi rotta un’ala, perché il suo tentativo
di spiccare nuovamente in volo si risolse in un saltello sgraziato.
Iniziò quindi una
specie di gioco dell’acchiapparella, con la viverna
che lanciava artigliate, codate e affondi di denti in tutte le direzioni e le
sue due prede che le giravano attorno, schivando tutti i colpi alla ricerca di
un varco.
Il lavoro di
squadra alla fine sembrò ripagare, perché ad un certo punto la viverna a forza di girare su sé stessa iniziò ad andare nel
pallone, barcollando come se fosse ubriaca e diventando sempre meno precisa nei
suoi attacchi.
Intravista
un’apertura Athreia non stette a pensarci troppo lanciandosi in un attacco a
dir poco azzardato, che infatti la mise per un istante a tu per tu con la bocca
spalancata della creatura. Ma nonostante la sua stazza la centaura prima schivò
l’assalto e quindi, mettendoci tutta la forza che aveva, colpì la parte
terminale dell’ala che la viverna usava per
puntellarsi al suolo, facendole perdere l’equilibrio e riuscendo finalmente a
farla ribaltare.
Daemon colse
subito l’attimo e si arrampicò sul corpo del mostro, riuscendo faticosamente a
restare in equilibrio.
«Bonne nuit, salope!» urlò prima di
piantarle venti centimetri di lancia dritta nel cuore.
La creatura lanciò
un ultimo, terrificante urlo di dolore prima di esalare l’ultimo respiro ed
accasciarsi senza vita sull’erba, che iniziò subito a tingersi di rosso.
«Sembra che ce
l’abbiamo fatta.» disse Daemon riprendendo fiato. «In qualche modo.»
«Devo ricredermi
sul vostro conto. Credevo foste bravo solo a dare ordini da lontano, invece
sapete anche come combattere.»
«E tu invece tieni
fede alla reputazione delle Furie.»
«Ad ogni modo,
credevo che le viverne vivessero solo sulle montagne più alte.»
«Nella catena del Khoral ce ne sono parecchie, ma è la prima volta che si
spingono così a valle. Deve esserci stata una moria di prede considerevole nel
corso dell’ultimo inverno.»
Cessato il
pericolo gli abitanti del villaggio iniziarono timidamente ad uscire dai loro
nascondigli, e alla vista della viverna ormai senza
vita circondarono i loro salvatori riempiendoli di ringraziamenti.
«Messer Daemon, vi
dobbiamo tutti la vita. Avete fatto per noi più di chiunque altro.»
«Non è con me che
dovete congratularvi Lasik, ma con Athreia. Senza di
lei non penso che ne sarei uscito vivo.»
Quella era la
prima volta che Athreia veniva ringraziata per il proprio lavoro da qualcuno
che non fosse un membro del suo gruppo, e vedersi celebrata in quel modo fu una
sensazione stranissima.
«Quindi, ora siamo
al sicuro?»
«Voi si.» disse
mestamente il ragazzo. «Ma temo di non poter dire lo stesso per altri.»
«Che intendete
dire?» chiese Athreia
«Le viverne sono
monogame, e si spostano sempre in coppia. Questa era la femmina, quindi il
maschio deve essere da qualche altra parte.»
«E dove potrebbe
essere?»
«Purtroppo c’è un
solo posto nei dintorni abbastanza popoloso da poter attirare l’attenzione di
una creatura tanto grossa e affamata.»
Daemon si fece
quindi portare in tutta fretta il suo cavallo.
«Quella viverna è venuta da nord. Anche ipotizzando che il maschio
si trovi ancora al nido probabilmente è solo questione di ore prima che arrivi
al Castello. Devo andare lì, avvertirli e organizzare le difese.»
«E io cosa farò?»
domandò Athreia quasi con timore
«Tu resterai qui.
Per il momento questa sarà la tua casa. Per qualsiasi cosa, chiedi a Lasik.» e senza aggiungere altro se ne andò, lasciando la
centaura da sola in compagnia dei suoi simili e dei suoi dubbi.
In tutta la mia carriera di cacciatore non
avevo mai avuto a che fare con una viverna, più che
altro perché ci tenevo alla pelle e non mi andava di rischiarla combattendo con
uno di quegli scherzi di madre natura.
Mi era capitato
spesso di vederle da lontano, e negli anni mi ero ben guardato dall’avvicinarmi
troppo a uno dei loro nidi o ai loro territori di caccia.
Tra stambecchi,
camosci e altri mammiferi d’alta montagna non gli era troppo difficile trovare
da mangiare, per non parlare delle carcasse, ma avrei dovuto prevedere che
l’ultimo inverno doveva aver spinto verso valle anche le loro abituali fonti di
cibo.
Avevo passato
molto tempo a studiare quelle bestie, e anche se non ne avevo mai cacciata una
sapevo più o meno come andavano approcciate e quale fosse il loro comportamento
abituale. Vista la loro stazza tendevano a prediligere luoghi in cui vi fosse
un’alta concentrazione di prede, e dal momento che ingurgitavano praticamente
di tutto anche un villaggio all’occorrenza poteva diventare un bersaglio
invitante.
Come se non
bastasse con buona parte dell’esercito già mobilitato in vista dell’invasione
non era stato per niente facile mettere insieme abbastanza uomini e
attrezzature per ciò che avevo in mente, ma nelle giuste circostanze un abile
mago vale quanto un’intera compagnia di soldati comuni.
E fortunatamente il
maschio se la prese più comoda del previsto, arrivando in vista del Castello
solo all’alba del giorno successivo.
L’esca era già
pronta: dieci delle migliori vacche di razza contiana.
Il solo pensiero di doverle sacrificare per fare da cena ad un drago malriuscito
mi faceva uscire dai gangheri, ma meglio dieci vacche che qualche centinaio tra
soldati e civili.
Per sicurezza
avevamo portato tutti gli abitanti nei sotterranei, ma l’odore che quei manzi
mandavano era così forte che la viverna semplicemente
non seppe resisterci, fiondandosi sulla piazza d’armi del castello e iniziando
a ingoiarli praticamente interi uno dopo l’altro.
Era così presa dal
suo banchetto che non si accorse di nulla.
«Adesso!»
Al mio comando
Sylvie sbucò fuori dal suo nascondiglio in cima alla torre, già avvolta da
un’aura luminosa.
«Holy Chain!»
Una vera e propria
rete di luce comparve dal nulla sopra la piazza, piombando sulla viverna e schiacciandola al suolo; qualsiasi altra creatura
non sarebbe riuscita neanche a muoversi vista la potenza e l’efficacia di
quell’incantesimo, ma quel mostro era talmente grosso e forte che sembrava solo
una questione di tempo prima che riuscisse a liberarsi.
«Non diamole il
tempo di reagire!»
Zypax e gli altri ragazzi
delle fonderie avevano lavorato tutta la notte per finire di inastare sui loro
affusti i nuovi cannoni da dodici libbre e portarli fino a lì da Dundee, e
quella sarebbe stata un’ottima occasione per collaudarli.
Ad un mio cenno
gli artiglieri si affrettarono a lasciare i loro nascondigli, e in pochi
secondi quella bestiaccia si ritrovò dieci bocche da fuoco nuove di zecca
puntate contro da ogni direzione.
La prima scarica
di cannonate non sortì grande effetto, ma già alla seconda i proiettili cominciarono
a perforare le sue scaglie d’acciaio riempiendo il suo corpo di buchi.
Quando questa storia sarà finita dovrò fare due
chiacchiere con Oldrick. Sono ancora troppo lenti nel
caricamento.
In un certo senso
avevo sempre desiderato di capire meglio le viverne, ed era un peccato che
nessuno fosse mai riuscito a trovare il modo di addestrarle. Per questo l’idea
di ucciderne una, per quanto necessario, non mi faceva impazzire.
Quasi non mi
sorprese che anche dopo aver ricevuto almeno un centinaio di colpi, sforacchiata
in ogni dove, quella creatura trovasse ancora la forza di agitarsi nel
tentativo di liberarsi dall’incantesimo vincolante o di aggredire qualcuno dei
cannoni.
Speravo di poter
risolvere la questione senza dover ricorrere nuovamente alla magia, ma a quel
punto non mi sembrò giusto prolungare ancora la sua agonia.
«Lady Valera,
tocca a voi!»
Vorrei dire che il
vortice di fuoco che quella ragazza evocò e che mise fine ad ogni velleità di
resistenza del nostro nemico mi lasciò indifferente, ma sarebbe una bugia.
Per quanto mi
fossi abituato a vedere di cosa fosse capace la magia di quel mondo, i poteri
di Sylvie erano talmente grandi che ogni volta restavo senza parole.
Il suo Burning Blaze fu così potente da
far annerire persino le pietre della piazza, e quando quella specie di inferno
di fiamme si estinse la viverna era ormai ridotta in
uno stato pietoso, una bestia agonizzante che aspettava solo il colpo di
grazia.
«Scusa amico,
niente di personale. Ma sei venuto a caccia nel posto sbagliato.»
«Fermatevi!»
Quella voce così
perentoria mi fermò subito prima che estraessi la spada, ma fu solo quando lei
mi passò davanti che realizzai di chi fosse.
«Cosa ci fai qui, Xylla? Dovresti essere nei sotterranei.»
«Ma non vi
vergognate a ridurre in questo stato un animale tanto bello?»
«Era una questione
di vita o di morte. Non puoi ragionare con le viverne.»
«Ti sbagli.»
Quando la vidi
avvicinarsi, seppur con precauzione, al muso di quella bestia ferita e
abbrustolita, ma non per questo meno pericolosa, mi aspettai di vederla finire
mangiata da un momento all’altro.
«Buono, bello. Lo
vedi? Va tutto bene. Non voglio farti del male.»
Invece la viverna, dopo qualche momento di agitazione, sembrò
calmarsi, prendendo ad uggiolare come un cagnolino ubbidiente mentre Xylla la accarezzava.
«Che mi prenda un
colpo.» dissi con sincero stupore «Xylla, voi arpie
potete parlare con le viverne!?»
«Sono secoli che
condividiamo con loro le cime più impervie di questo mondo. Abbiamo imparato a
capirci gli uni con gli altri.»
Di colpo mi venne
in mente un’idea che chiunque, a cominciare dal vecchio me stesso, avrebbe
potuto considerare a buon diritto assolutamente folle.
«Lady Sylvie,
potete curare questa viverna?»
«Cosa!? Ma, Messer
Daemon…»
«Vi prego,
fidatevi di me. Se ho ragione, con il suo aiuto e quello di Xylla
salveremo moltissime vite.»
Tutti a Grote Muren, dall’ultima delle reclute fino allo stesso Victor,
erano consapevoli che quella calma surreale venutasi a creare nella zona attorno
al forte fin da subito dopo la disfatta di Mistvale
era solo apparente.
Era come se
nessuno volesse arrischiarsi a fare il primo passo.
I ribelli,
consapevoli di quanto potesse essere pericoloso assaltare un forte che loro
stessi avevano provveduto a rendere quasi inespugnabile, avevano semplicemente
ripreso il pieno controllo della regione, mentre dall’altra parte del fronte le
truppe di Eirinn negli ultimi dieci giorni erano aumentate costantemente di
numero.
Ma era uno stallo
che non poteva durare, ed era sul modo in cui doveva finire che tra Victor e i
suoi consiglieri non c’era comunione di vedute. Al punto che alla fine Lefde si era risolto a fare qualcosa che mai avrebbe
pensato di dover un giorno fare.
«Come ti permetti,
maledetto insolente?»
Il Generale non si
scompose neanche quando Victor gli tirò contro il proprio calice, restando
immobile a prendersi il colpo che tinse di rosso l’acciaio della sua armatura.
«Dovrei farti
impiccare! Non solo abbiamo perso, ma ti avanza pure da fare una richiesta del
genere?»
L’oggetto della
contesa era la pergamena che il Generale aveva appena appoggiato sul tavolo, e
al giovane Montgomery era bastato leggerne le prime righe per uscire
letteralmente di testa.
«Capisco la vostra
rabbia Mio Signore, ma ciò nonostante vi chiedo umilmente di firmare quel
documento.»
«Voi mi state
chiedendo di autorizzarvi ad assumere il comando assoluto del nostro esercito,
in pratica esautorando me stesso dal ruolo di comandante supremo?»
«Questa è
insubordinazione in piena regola!» disse Philippe. «Fin dai tempi di Gearld Montgomery, il ruolo di comandante supremo è sempre
appartenuto solo ed esclusivamente al Granduca.»
«Con il dovuto
rispetto Conte di Hatlen, nessuno dei venerabili
antenati di Sua Eccellenza ha mai avuto a che fare con un nemico del genere.
Daemon Haselworth è un avversario come non se ne sono mai visti nella storia
del nostro Paese. E avversari straordinari richiedono misure straordinarie.»
«Mi state dicendo
che non mi considerate in grado di misurarmi con lui? È questo che intendete?»
Se solo il vecchio
Generale avesse potuto dire apertamente quello che pensava…
«Voi siete il
nostro sovrano, Mio Signore. In questa ora buia, tutti noi cerchiamo la vostra
luce per trovare riparo dalle tenebre che ci minacciano. Ma da questo momento
in poi ogni battaglia potrebbe essere l’ultima. Qualsiasi cosa succeda, io
voglio poter essere sicuro che Sua Eccellenza sarà in grado di mettersi al
sicuro. La mia vita sarebbe un piccolo prezzo da pagare per la salvezza di
Eirinn, ma la perdita del Granduca significherebbe la fine di questa nazione.
Qualora ci dovessimo trovare ancora in una situazione come quella accaduta a Mistvale sarà necessario che il comandante dell’armata
possa contare su di una catena di comando solida e preparata, che tenga
indietro il nemico in modo da dare a Voi il tempo di mettervi in salvo.»
Detto questo il
Generale si sfilò il pugnale intarsiato poggiandolo sul tavolo.
«Voi siete il Mio
Signore, e a Voi io devo il massimo rispetto e obbedienza. Ma in tutta
coscienza non posso e non voglio dover scegliere tra la fedeltà alla Vostra
famiglia e quella verso la nostra patria. Pertanto, se ritenete di non poter
accogliere la mia richiesta, allora sono pronto a rassegnare qui e ora le mie
dimissioni. Se lo richiederete, vi offrirò anche la mia stessa vita.»
Philippe guardava
il nipote come se non desiderasse altro che vederlo dare a Lefde
l’ordine di piantarsi quella lama nel cuore.
Invece Victor
digrignò i denti, fissando il Generale con sguardo che sapeva di furente
rassegnazione; quindi, versata un po’ di cera sulla pergamena, vi batté
rabbiosamente il proprio anello ducale.
«Vi ringrazio, Mio
Signore.»
«Spero tu sia
consapevole che in caso di sconfitta userò questo documento per accendere la
tua pira.»
«Avete la mia
parola che darò fino all’ultima goccia di sangue per la nostra patria.»
Sistemata la
questione venne il momento di fare il bilancio della situazione.
«Ormai abbiamo
quasi completamente riassorbito le perdite subite a Mistvale.
Onestamente non capisco perché vi ostiniate a non voler lanciare una nuova
offensiva, Generale Lefde.»
«Ci vuole ancora
un po’ di tempo. I nuovi soldati per la maggior parte sono giovani reclute e
coscritti. Dobbiamo finire di impartire loro un addestramento almeno basilare,
altrimenti tanto varrebbe mandarli in battaglia nudi e disarmati.»
«Ogni giorno che
passa è un giorno in più che diamo al nemico per rafforzarsi.» disse Victor.
«Quel Daemon è maledettamente preparato, ormai l’ho capito. Se non lo
incalziamo, chissà cos’altro potrebbe scatenare contro di noi.»
«Purtroppo la
battaglia ci ha dato la prova che le voci sul suo conto non erano affatto
esagerate, Mio Signore. Attaccare in maniera avventata come abbiamo fatto a Mistvale finirebbe solo per indebolire ulteriormente il
nostro esercito.»
«Tuttavia, le
perdite fino ad ora si contano solo tra i mercenari e i reparti meno esperti. I
nostri veterani e le unità meglio addestrate sono ancora sostanzialmente
intatte. Quindi sono d’accordo con mio zio sul fatto che sarebbe sciocco
rimandare la nuova offensiva solo per dare a queste reclute qualche giorno di
addestramento in più. Se è l’esperienza che gli serve, sul campo di battaglia
ne avranno quanta ne vogliono.»
«Parole sagge, Mio
Signore.» disse Philippe. «Generale Lefde, abbiamo
aspettato tutti questi giorni senza muoverci solo perché ci avete convinti ad
aspettare i nuovi rinforzi, ma ora il tempo è scaduto. È giunto il momento di
attaccare di nuovo.»
Nonostante la
forza datagli dalla nuova posizione appena ottenuta Lefde
sapeva di non poter tirare troppo la corda, almeno in una situazione così
apparentemente favorevole.
Anche perché,
proprio in quel momento, giunse un messaggero recando una notizia tutto sommato
attesa fin troppo a lungo.
«Truppe nemiche in
movimento, Mio Signore.»
«Quanti sono?»
«All’incirca
trentamila, Generale Lefde.»
«È quasi
incredibile con quanta facilità riescano a compensare le perdite che subiscono.
Immagino abbiano mobilitato fino all’ultimo soldato disponibile.»
Sembrava un
esercito perfino troppo grande per cingere d’assedio un singolo forte, ma Lefde non volle nemmeno pensare a quale poteva essere il
motivo dietro ad un simile spiegamento di forze.
«Il nemico si è
indubbiamente impegnato molto nel rinforzare questo castello.» disse
illustrando il suo piano «Le mura sono solide, il pozzo è pieno e protetto da
eventuali infiltrazioni. Io suggerisco di rafforzare le nostre posizioni qui,
qui e qui. Queste tre piazzeforti tra noi e Mistvale
sono collegate al forte tramite la Via Imperiale. Haselworth dovrà per forza
conquistarle tutte per poter assediare Grote Muren senza doversi guardare costantemente le spalle. Se le
usiamo come baluardi da cui coordinare assalti mirati alle sue truppe possiamo
logorare un po’ per volta il suo esercito in preparazione della
controffensiva.»
Le ultime parole
famose.
«Generale! Mio
Signore!» gridò un secondo messaggero «Il nemico ci ha attaccati!»
«Arrivi tardi, lo
sappiamo già. Trentamila unità in arrivo da Basterwick.»
«No Mio Signore,
non intendevo quello! L’attacco è avvenuto a est, ad Eirinn! Todlen è caduta!»
Nota dell’Autore
Salve a tutti!
Ecco qui dunque il secondo capitolo del
Quarto Volume.
Come avrete notato questi capitoli sono
mediamente più lunghi rispetto a quelli dei volumi 1, 2 e 3, ma per evitare
buchi narrativi ho preferito evitare di condensarli troppo o tagliare più di
quanto avessi già fatto.
Già con il Volume 5 dovremmo tornare ad una
lunghezza meno marcata.
A presto!^_^
Cj Spencer