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Autore: Cj Spencer    17/03/2024    1 recensioni
La battaglia di Mistvale è vinta.
L'invasione è scongiurata.
Ma questo è solo il primo atto. Daemon sa di non poter aspettare troppo tempo. Perché mentre loro esitano il nemico si riorganizza, e un nuovo attacco potrebbe avvenire in qualunque momento.
E' giunto il momento di mandare un segnale forte e chiaro a tutta Erthea: chi minaccia lo Stato Libero non resterà impunito.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Un governante dovrebbe mantenere le promesse

solo quando gli portano un guadagno.”


 

CAPITOLO 2

IL PRIMO PASSO

 

 

Tutti i nobili amavano il tè.

Era la bevanda dei ricchi e dei colti, costosissima da importare e da comprare, e la lontana terra di Maharadi aveva costruito la propria ricchezza sul suo commercio.

Ma Daemon era diverso.

Lui apprezzava un’altra bevanda, più densa e scura, originaria del Torian; era amara, ma in modo spiacevole, ma a lui non importava, e anzi diceva che più era forte e più gli dava sollievo, perché gli permetteva di stare sveglio a lungo ad occuparsi dei suoi molti compiti.

La gente dell’Impero e non solo trovava quella roba così sgradevole al gusto da non averle mai neanche dato un nome, così gliene aveva dato uno lui.

«Chi ha preparato questo caffè, una salamandra ubriaca?» protestò sorseggiandone un po’ nel bel mezzo della riunione. «D’accordo che lo apprezzo forte, ma così è praticamente bruciato.»

Non che qualcuno gli stesse prestando attenzione; erano tutti troppo impegnati a discutere tra di loro.

Una settimana dopo la vittoria di Mistvale la situazione era sostanzialmente congelata; il nemico, che nel mentre aveva anche ricevuto rinforzi, era ancora trincerato a Grote Muren, e non sembrava avere alcuna intenzione di andarsene da lì.

I contatti con l’esterno ormai erano ridotti al solo ponte sullo Jesi, ma il perdurare dello stato di guerra pesava in modo sempre più pesante sui commerci e sulla fiducia dei mercanti per il futuro dello Stato Libero.

Occorreva una soluzione, ed era proprio su questo che anche dopo sette giorni di discussioni l’Assemblea non riusciva ancora a mettersi d’accordo, con gli interventisti da una parte capitanati da Oldrick e gli attendisti dall’altra raccolti attorno a Mary.

Ormai la sala delle riunioni del municipio di Basterwick era diventata un’arena per i combattimenti.

«Non riesco a capire perché proprio voi, lady Wallace, vi ostiniate a voler lasciare le cose come stanno.» disse Oldrick «In quanto ministro dell’economia dovreste essere la prima a comprendere la gravità della situazione.»

«Questo non giustifica ciò che volete fare.» disse Rutte. «Invadere Eirinn sarebbe una follia!»

«E che cosa dovremmo fare? Aspettare che ci attacchino di nuovo?»

«Sono d’accordo con il Governatore Tielde.» disse Lyrney, avvocato e Ministro della Giustizia. «Quella scheggia impazzita di Victor la conosciamo tutti. Se suo padre ha fatto di tutto per non doverlo designare come successore ci sarà pure un motivo.»

«Una cosa è sicura, questa situazione non può continuare.» disse Borg. «La tensione politica e l’indecisione sono più dannose della guerra, e i mercanti amano questo Paese soprattutto perché qui le decisioni si prendono in fretta. Se aspettiamo ancora molti di loro se ne andranno.»

«State parlando di un’invasione in piena regola!» esclamò Zorech con insolita veemenza. «Non importa come la vogliate definire, la sostanza non cambia.»

«Messer Zorech ha ragione.» disse Mary. «Abbiamo creato tutto questo con la speranza di dare a tutti i nostri amici un futuro migliore. Ma la guerra non porta un futuro migliore, solo lutti e miseria.»

«Non l’abbiamo voluta noi questa guerra, ragazza mia. D’altronde se non facciamo niente, lo Stato Libero potrebbe cessare di esistere. Vuoi davvero tornare indietro a quello che c’era prima? Io no di certo.»

«Il ministro Passe ha ragione.» disse Adrian. «E anche se condivido il tuo pensiero Mary, quello in cui viviamo non è il mondo delle favole. Non siamo stati noi ad iniziare questa guerra, ma possiamo decidere come farla finire.»

«Abbiamo dimostrato la nostra forza. Ora sanno che possiamo difenderci. Forse se accettassimo di negoziare…»

«Negoziare? Con Victor?» disse Tielde «Se avesse voluto negoziare l’avrebbe già fatto, invece solo ieri sono arrivati alla fortezza altri duemila uomini. Mi sembra chiaro che si sta preparando a riprovarci.»

«E noi lo respingeremo ancora e ancora, se sarà necessario.» disse Rutte «Ma se attacchiamo Eirinn diventeremo noi gli invasori. Questo andrebbe contro a tutto ciò che è scritto nella nostra dichiarazione di indipendenza. Noi difendiamo il diritto alla libertà, non lo minacciamo.»

«Il problema è che quando si ha a che fare con chi non vuole sentire ragioni, la violenza è l’unica risposta possibile.» rispose funereo Adrian. «D’altra parte non rispondere ad un’invasione così plateale e in spregio ad ogni trattato ci farebbe apparire deboli.»

«Eirinn tutto sommato è un pesce piccolo.» incalzò Oldrick «Vi ricordo che abbiamo l’Unione a sud e l’Impero a nord. Mostrarsi indolenti sarebbe come ammettere che qualsiasi atto di aggressione contro di noi non avrebbe alcuna conseguenza. Se passa questo messaggio, presto altri potrebbero decidere di fare la loro mossa.»

Daemon, che per tutto quel tempo non aveva aperto bocca, si alzò in piedi, e a quel punto tutti si zittirono.

«La guerra è un inferno. Ma è anche una maledizione. Gaia, nella sua infinita saggezza, ne ha fatto un trionfo dell’orrore proprio perché in caso contrario gli uomini si divertirebbero troppo a praticarla. E l’ultima cosa che volevo quando ho dato vita alla Rivoluzione era vedere la nostra nazione trascinata in un conflitto che non ha voluto. D’altronde però ci sono delle occasioni in cui l’utilizzo della forza è giustificato, e talvolta garantire il bene di una nazione significa anche annichilire chi ha dimostrato di essere una minaccia per lei.»

«Daemon…» disse Zorech come se non volesse credere a ciò che stava sentendo

«La vittoriosa difesa della nostra terra ha dimostrato a tutti la nostra forza. Ora è tempo di mostrare la nostra risolutezza. Manderemo un messaggio forte e chiaro, e tutti d’ora in poi sapranno che attaccarci o minacciarci avrà delle conseguenze.»

«Sei davvero sicuro che non ci sia altra soluzione?»

«Mi dispiace, Mary. So che per te non deve essere una decisione facile, e non ti biasimo se non sei d’accordo con me. Ma è la nostra sopravvivenza ad essere a rischio, e non solo perché Victor potrebbe attaccarci ancora da un momento all’altro. Come ha detto Borg, questa guerra potrebbe distruggere la nostra economia. Eirinn è la nostra porta verso l’oriente. Anche se non dovessero attaccarci ancora, saremo destinati alla rovina se quelle rotte commerciali non dovessero essere riaperte al più presto. Per questo, chiedo all’Assemblea di autorizzare l’inizio di una campagna militare contro Eirinn.»

«Eirinn è un alleato dell’Impero.» disse mestamente Rutte. «Se lo attacchiamo sarebbe come dichiarare guerra allo stesso Ademar

«Vi ricordo che quella che occupiamo è una terra che formalmente appartiene proprio all’Impero. Francamente dubito che i nostri rapporti con loro potrebbero essere peggio di così. Dico bene, Daemon?»

«Dici benissimo, Tielde. Sappiamo tutti che prima o poi l’Impero si muoverà contro di noi, ed è molto probabile che questa decisione li spingerà ad agire. Ma come ho detto, a volte proteggere una nazione significa anche dover correre dei rischi. Allora? Qual è la vostra decisione?»

Per la prima volta in cinque mesi la votazione non si concluse con una decisione unanime, anche se alla fine fu solo Zorech ad esprimere un voto contrario.

«Vi ringrazio per la vostra fiducia. Voglio precisare che non è mia intenzione reclamare terre che non siano già nostre, e qui davanti a voi mi impegno a cessare le ostilità nel momento in cui il nemico deciderà di negoziare.»

«C’è solo un problema.» disse Adrian. «Victor e il suo esercito controllano ancora Grote Muren, e l’impegno che ci abbiamo messo per ammodernare quella fortezza ora ci si ritorce contro.»

«Ha ragione.» disse Oldrick. «Rischiamo di subire perdite considerevoli fin da subito attaccando la fortezza frontalmente, visto che il Passo di Gael sarà sicuramente ancora troppo bloccato per oltrepassarlo agilmente.»

«Qualcosa ci inventeremo. Nel frattempo voglio quanto prima un resoconto dettagliato dello stato delle nostre forze. Contate fino all’ultimo uomo di cui disponiamo, e assicuratevi che tutti abbiano armamenti e vettovaglie a sufficienza. Naturalmente il bando su saccheggi e razzie resterà valido, e chiunque trasgredirà pagherà con la forca.»

 

Chiusa nella sua cella, Athreia aveva avuto tanto tempo per pensare.

E i suoi non erano certo pensieri felici.

Anche se si sforzava di credere che ciò che le era stato detto non poteva essere vero, le parole di Scalia su quanto accaduto su quella montagna le martellavano incessantemente la testa togliendole la fame, il sonno e la ragione.

Come era solita fare in situazioni come quella cercava di mantenere il controllo con la meditazione o l’esercizio, ma nessuna di queste cose era facile da fare chiusa in un buco dove a stento riusciva a muovere qualche passo.

Se non altro origliando i discorsi delle guardie aveva capito, o forse aveva voluto convincersi di aver capito che sua sorella era sopravvissuta anche alla battaglia di Mistvale, e questo serviva a darle almeno un motivo per voler restare in vita.

Ma i giorni passavano, e sembrava che a nessuno importasse più niente di lei.

Poi una sera la porta della cella si aprì; in un primo momento pensò fossero la guardia e il secondino che le portavano da mangiare e non interruppe nemmeno la propria meditazione, salvo accorgersi che il passo di uno dei due era troppo leggero per appartenere a quel canide scontroso e al suo amico cinghiale.

«Lei viene con me. E naturalmente tu non ne sai niente, sono stato chiaro?»

«Sì Daemon, non preoccuparti.»

Come se stesse accompagnando un’amica piuttosto che una prigioniera Daemon guidò Athreia fuori dalle prigioni.

«Ormai ti sarai ripresa, suppongo.» disse il ragazzo montando a cavallo «E se vuoi un consiglio, evita di fare scherzi. Dovresti averlo capito che sarebbe inutile, inoltre ci sono pattuglie e soldati ovunque, quindi non andresti lontano.»

E Athreia, accondiscendente in un modo che sorprese perfino lei, fece come le era stato detto, accodandosi al suo carceriere nella loro silenziosa marcia verso le porta della città. In giro non si vedeva anima viva, e attorno a loro tutto era immerso nel silenzio della notte.

«Abbiamo imposto il coprifuoco dopo il tramonto. Non avevo voglia di dare troppe spiegazioni a Scalia o a qualche altro di quei rompiscatole dei miei consiglieri. Ma anche se qualcuno dovesse vederti, finché sei con me puoi stare tranquilla.»

E in effetti nessuno, neanche i soldati che facevano la guardia alle porte, fecero domande, permettendo al loro comandante di andarsene portandosi dietro la prigioniera senza dire una parola.

Lasciata la città procedettero a passo abbastanza sostenuto verso ovest; una galoppata come quella normalmente per Athreia sarebbe stata una cosa da nulla, ma i molti giorni chiusa in prigione e la convalescenza pesavano sul suo fisico.

«Basta così.» disse quindi Daemon dopo qualche ora. «Riposiamoci fino al sorgere del sole.»

«Posso ancora continuare.» disse la centaura con aria quasi risentita

«Non chiedere troppo a te stessa. Inoltre non mi va di trascinarti appresso. Sei piuttosto pesante, lo sai?»

Con l’abilità che solo qualcuno abituato a vivere nella natura selvaggia poteva avere Daemon montò un accampamento, e una volta acceso il fuoco mise a scaldare un po’ di cibo preso fuori dalla bisaccia della sella.

«Meglio se mangi qualcosa.» disse il ragazzo notando che la sua ospite esitava a consumare le verdure che le aveva messo a disposizione. «Domani dobbiamo inerpicarci su per le montagne.»

Fu solo a quel punto che Athreia ebbe il coraggio di fare la fatidica domanda.

«Dove mi state portando?»

«C’è una cosa che voglio che tu veda.»

«Non importa cosa mi farete vedere o cosa mi direte. Io non intendo tradire i miei compagni.»

«Cosa ti fa pensare che voglia questo da te?»

«Ho sentito i discorsi delle guardie. Umani e mostri che combattono insieme. È evidente che avete un grande potere di persuasione. Ma io so in cosa e in chi riporre la mia lealtà. Sono un soldato dell’esercito imperiale, e tale resterò fino al termine dei miei giorni.»

Daemon la guardò negli occhi, e per la prima volta dalla morte di suo padre Athreia si sentì pervadere da uno strano senso di soggezione.

«Sei mai stata fuori dell’Impero?»

«Cosa!? … Beh, no… Da bambina ho visitato le terre libere degli elfi.»

«E tra di voi c’erano dei centauri provenienti da altre nazioni?»

«Impossibile. Proveniamo quasi tutti dalla stessa regione. I pochi di noi che non sono originari della Vanlia sono nativi di altre province dell’Impero. Perché me lo chiedete?»

«Era solo curiosità.»

Quindi, appena finito il suo pasto, Daemon si coricò.

«Farai il primo turno di guardia. Svegliami fra tre ore.»

Athreia non riusciva davvero a capire come facesse quel ragazzo si fidasse di lei fino a questo punto; forse confidava nella sua paura del bind, o forse era solo un completo sciocco.

Aveva perfino lasciato la spada in bella vista accanto al giaciglio; le sarebbe bastato allungare una mano per prenderla, tagliargli la gola e scappare.

E invece fece proprio quello che le era stato chiesto; dopo aver mangiato, montò diligentemente la guardia ben oltre l’ora designata, tanto che quando Daemon si svegliò ormai cominciava ad albeggiare.

«Avresti dovuto chiamarmi.»

«Non avevo sonno. Ho dormito molto in cella.»

Daemon preparò quindi quella sua strana bevanda amara a base di chicchi tostati e tritati messi a infuso nell’acqua bollente.

«Vuoi assaggiare? Ti avviso che è parecchio forte.»

E lo era davvero, tanto che ad Athreia bastò un sorso per sentire il cerchio alla testa e le orecchie che tremavano.

«Come fate voi umani a bere questa roba?»

«In realtà per adesso da queste parti la bevo solo io. Ma sto cercando di diffonderla nell’esercito. Come hai notato è ottima per tonificare il corpo e tenere la mente lucida.»

Ora Athreia cominciava a capire come mai quel ragazzo all’apparenza così normale fosse stato capace di soverchiarli in modo tanto plateale. Il modo in cui si preoccupava per i suoi soldati e tutti i suoi sudditi, e il rispetto che loro avevano per lui, non erano normali, soprattutto per un governante umano.

«Con il dovuto rispetto, ma non sembrate davvero una persona che ha preso il comando di una nazione solo da qualche mese.»

«Chissà.» ammiccò il ragazzo. «Magari in una vita precedente sono stato un generale. O perfino un imperatore, chi può dirlo?»

Athreia non era particolarmente devota, ma le veniva quasi da domandarsi se non potesse essere vero.

 

Dopo aver smontato il campo Daemon e Athreia si rimisero in cammino, incamminandosi come predetto lungo un sentiero che li portò nel cuore delle montagne, lì dove il bosco si faceva meno fitto lasciando posto a grandi pascoli.

«Ci siamo quasi.» disse Daemon dopo alcune ore di cammino indicando poco lontano un agglomerato di case rannicchiato alla base di un costone di roccia.

«Che cos’è?»

«Un ritrovo di pastori. Un tempo lo usavano durante l’alpeggio estivo, ma adesso è abbandonato.»

«Eppure a vederlo da qui si direbbe ancora abitato.»

«Infatti lo è. Tra poco capirai.»

Ma ciò che Athreia vide una volta che finalmente furono arrivati fu tale da lasciarla senza parole.

Il villaggio era effettivamente abitato, tanto che molte case erano state risistemate, ma i suoi abitanti non erano esseri umani.

Centauri.

Quel posto era pieno di suoi simili.

Dovevano essere almeno duecento di tutte le età, specie e provenienza, dai puledri delle steppe settentrionali ai massicci colossi dell’estremo ovest, che giocavano, conversavano e lavoravano assieme come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.

I primi ad accorgersi dei nuovi arrivati furono un tre bambini che si esercitavano nella guerra sul vasto prato antistante il villaggio, e che corsero sorridendo verso di loro agitando le loro spade e lance giocattolo.

«Master Daemon! Siete tornato!»

«Salve, ragazzi. Sono felice di rivedervi.»

«Ci avete portato qualcosa di buono?»

«Mi dispiace, oggi no. Prometto di portavi qualcosa la prossima volta. Ma voi però non la finite mai di prendervi a legnate?»

«Vogliamo diventare forti e imparare a combattere! Così quando saremo grandi potremo batterci al vostro fianco!»

«Ammiro la vostra determinazione. La mia speranza è che per quando voi sarete cresciuti le guerre saranno solo un brutto ricordo. Ma ciò non significa che non dobbiate diventare forti, cosicché un giorno possiate proteggere i vostri amici e tutto il vostro popolo.»

«Lo faremo di sicuro!»

«Master Daemon, chi è questa signorina?» chiese l’unica bambina del gruppo. «Anche lei si fermerà qui con noi? Il vecchio Lasik ha appena finito di risistemare un’altra casa, ci sarà sicuramente posto anche per lei.»

«Non abbiamo ancora deciso. Ma le ho parlato di questo posto e voleva vederlo. Ora però tornate a giocare.»

Athreia era talmente senza parole da non riuscire ad aprire bocca, e più si aggirava per il villaggio più aumentava il suo stupore.

«Come immaginerai i centauri non sono esattamente i benvenuti qui. Ho creato questo insediamento per dare loro un posto dove stare, e nel mentre introduco alcuni di loro nell’apparato amministrativo per abituare gli altri mostri alla loro presenza.»

«Ma perché sono qui? Voglio dire, perché un centauro dovrebbe voler venire in un posto come questo?»

D’un tratto Athreia si sentì chiamare, e giratasi vide un attempato centauro dall’aria gentile venirle incontro trascinandosi appresso una slitta piena di tronchi appena tagliati.

«Lady Athreia, siete davvero voi. Incredibile, siete identica a vostra madre. Scusate, forse non vi ricordate di me. Mi chiamo Lasik, ero il luogotenente di vostro nonno molto tempo fa.»

«Mi ricordo di voi. Siete scomparso nel nulla molti anni fa, quando ero solo una bambina. Dicevano che eravate morto.»

«Ci sono andato vicino. Mi hanno catturato durante le dispute di confine. Sono stato portato nell’Unione, dove sono stato per molto tempo schiavo in una piantagione del sud.»

«Schiavo!?»

«Sì, lady Athreia. Quasi tutti coloro che ora abitano qui erano schiavi. Quando abbiamo saputo che lo Stato Libero era pronto ad accogliere anche noi, siamo scappati e ci siamo rifugiati qui. Master Daemon ci ha dato questo posto e ci ha restituito la libertà.»

«Ma non è possibile. Io sapevo che i centauri non potevano essere schiavizzati. Gli umani ci considerano loro pari.»

«Nell’Impero forse sì, ma altrove è diverso. Nell’Unione, a Torian e persino in Volkova noi centauri siamo considerati mostri né più né meno di qualunque altra specie, e come tali possiamo essere ridotti in schiavitù. Una volta chi poteva fuggiva a Connelly o nell’Impero, ma ormai è diverso tempo che entrambe le nazioni rifiutano di accoglierci. Comunque sono felice di rivedervi. Quando abbiamo saputo di cosa era successo sul Passo di Gael ho temuto per la vostra vita. Vedrete che vi troverete bene qui, Messer Daemon ha sempre posto per chi ha del talento, dico bene?»

«Hai detto benissimo, amico mio. Grazie per occuparti di questa gente in modo così premuroso.»

«Grazie a voi, per averci restituito la dignità.»

Quando dopo poco Lasik se ne andò portandosi dietro il suo pesante fardello, Athreia sembrava sul punto di scoppiare a piangere.

«Capisci ora perché ti avevo chiesto se fossi mai stata fuori dall’Impero?»

«Questo… questo è crudele. Mi fate vedere queste cose così da farmi dubitare di ciò su cui ho basato tutta la mia vita.»

«Non definirei l’aprire gli occhi a qualcuno sulle bugie che gli sono state raccontate per anni crudele. E se proprio vuoi saperlo, molti abitanti di questo villaggio vengono proprio dall’Impero. Non ti domandi il perché?»

Athreia però era ancora troppo sconvolta e atterrita per avere anche solo la forza di pensarci.

«L’Impero forse non considera i centauri allo stesso livello di tutti gli altri mostri, ma di certo vi ha sempre visti come nient’altro che efficaci macchine da guerra. Un soldato o un legionario che rimanga ferito, invalido, o che semplicemente non sia reputato in grado di servire nell’esercito può comunque sperare di trovare un altro scopo nella vita o percepire un generoso sussidio. Ma un centauro che non può combattere non ha alcun valore. Se non fai parte o non hai mai fatto parte di un’unità militare di qualunque tipo non hai diritto a possedere una casa, della terra, e tanto meno ad avere una tua attività. Tutto quello che ti è concesso fare è metterti al servizio di un umano, che potrà disporre di te a suo piacimento. E non pensare che i feriti o gli invalidi se la passino meglio; il sussidio che percepiscono basta a malapena per sopravvivere, e ti lascio immaginare quanto sia facile per loro trovare un lavoro. E tutto questo senza contare che i centauri non hanno il diritto di voto, ad esclusione di quello per l’elezione dei propri rappresentanti nei governi municipali, che però devono essere sempre approvati dal governatore. Ora dimmi sinceramente in cosa tutto questo differisca dall’essere uno schiavo.»

Era più di quello che Athreia poteva sopportare, e nascondendo il volto tra le mani la ragazza corse via perdendosi ben presto tra i vicoli.

Tutto quello che ottenne vagabondando su e giù senza sapere dove andare fu ritrovarsi faccia a faccia con decine di suoi simili che felici e sorridenti si godevano la loro ritrovata libertà, e che al suo passaggio la osservavano quasi con compatimento.

La stessa bambina di poco prima la vide mentre, esausta e atterrita, si abbandonava contro il muretto di una malga poco fuori il villaggio, bagnando con le proprie lacrime l’erba ai suoi piedi.

«Non piangere, signorina.» le disse offrendole una mela. «Vedrai che tutto si sistemerà. Ora sei libera.»

Ma cosa voleva dire essere liberi?

Per tutta la vita Athreia era stata sicura di esserlo.

Poteva andare dove voleva, ma il suo destino era mai stato davvero nelle sue mani?

Essere un soldato non era forse l’unico scopo che la sua vita avesse mai avuto? C’era mai stata una volta in cui si fosse chiesta se avesse voluto essere qualcos’altro?

No, per il semplice fatto che non gliene era stata data l’occasione.

Credeva che quella vita le piacesse per il semplice fatto che era stata educata a ritenere che per un centauro non vi fosse altra aspirazione all’infuori della guerra, la sola cosa per cui la vita era degna di essere vissuta.

Ma quelle persone erano diverse. Alcuni, bastava guardali, erano stati loro stessi dei guerrieri, ma in quel villaggio lontano dalla guerra sembravano aver trovato uno scopo diverso.

Ora erano felici. E lei invece, lo era? O lo era mai stata?

Tutto d’un tratto le tornavano in mente tutti gli sguardi ostili, i gesti di insofferenza, le palesi mancanze di considerazione che aveva sempre fatto finta di non vedere, convincendosi che si trattasse di singoli casi che non rispecchiavano ciò che gli umani davvero pensavano della sua specie.

Un verso stridulo e insopportabile, reso più forte dall’eco delle montagne tutto attorno, le trapanò la testa facendola quasi svenire.

Tutti nel villaggio lo sentirono, ma solo in pochi capirono di cosa si trattava; e Daemon, con la sua esperienza da cacciatore, era uno di questi.

«Maledizione, ditemi che sto sbagliando.»

Invece purtroppo i suoi sospetti trovarono conferma quando da dietro la cima più alta comparve una specie di enorme drago, con il corpo ricoperto di scaglie blu e l’addome di un colore rosso opaco, diretto proprio verso il villaggio.

«Lo sapevo, è una viverna! Lasik, suona la campana! Portate tutti nelle grotte!»

«E voi cosa farete?»

«Io cercherò di allontanarla da qui! Fate come vi ho detto!»

Purtroppo quella viverna volava con tale velocità che in molti non fecero in tempo a mettersi in salvo venendo raggiunti, uccisi e in molti casi mangiati.

Per fortuna quella bestia non si concentrò sul villaggio, preferendo piuttosto accanirsi su coloro che si trovavano all’esterno, magari isolati e senza posti vicini dove potersi nascondere; peccato solo che anche Athreia e la bambina fossero tra questi.

«Mettiti in salvo, piccola!»

Athreia ai mise quindi a correre a zigzag nella speranza di attirare l’attenzione della viverna, che però sfortunatamente preferì subito rivolgere le sue attenzioni alla bambina, talmente spaventata da restare pietrificata per la paura mentre quel mostro le veniva addosso con le fauci spalancate.

A quel punto, la centaura fece la prima cosa che l’istinto le suggerì: proteggere un’innocente.

Caricando come un toro, colpì quel bestione cinque volte più grande di lei sulla guancia con tutta la forza che aveva un attimo prima che potesse ghermire la bambina, riuscendo a sbilanciarlo e a scaraventarlo al suolo in un turbinio di polvere.

Questo effettivamente distolse una volta per tutte l’attenzione della viverna dalla bambina che si decise finalmente a mettersi in salvo, ma ebbe anche l’effetto di fare infuriare la creatura.

Athreia recuperò perciò da terra un forcone e tentò di difendersi, scoprendo però ben presto che avere un corpo così massiccio e imponente a volte poteva rivelarsi un ostacolo, specie quando si cercava di schivare colpi d’ala, frustate di coda, o affondi di mascelle fulminei come quelli di un serpente.

Oltretutto quella dannata bestia aveva scaglie dure come la roccia, e per quanto Athreia ci provasse non c’era verso di riuscire a ferirla.

«Sprechi il tuo tempo!» gridò Daemon arrivando a darle manforte armato di arco e lanciandole l’unica spada che era riuscito a trovare. «Gli unici punti deboli sono gli occhi, l’interno della bocca e il ventre.»

«Quindi che facciamo?»

«Dobbiamo riuscire a farla ribaltare.»

La fortuna era che quella bestiaccia cadendo doveva essersi rotta un’ala, perché il suo tentativo di spiccare nuovamente in volo si risolse in un saltello sgraziato.

Iniziò quindi una specie di gioco dell’acchiapparella, con la viverna che lanciava artigliate, codate e affondi di denti in tutte le direzioni e le sue due prede che le giravano attorno, schivando tutti i colpi alla ricerca di un varco.

Il lavoro di squadra alla fine sembrò ripagare, perché ad un certo punto la viverna a forza di girare su sé stessa iniziò ad andare nel pallone, barcollando come se fosse ubriaca e diventando sempre meno precisa nei suoi attacchi.

Intravista un’apertura Athreia non stette a pensarci troppo lanciandosi in un attacco a dir poco azzardato, che infatti la mise per un istante a tu per tu con la bocca spalancata della creatura. Ma nonostante la sua stazza la centaura prima schivò l’assalto e quindi, mettendoci tutta la forza che aveva, colpì la parte terminale dell’ala che la viverna usava per puntellarsi al suolo, facendole perdere l’equilibrio e riuscendo finalmente a farla ribaltare.

Daemon colse subito l’attimo e si arrampicò sul corpo del mostro, riuscendo faticosamente a restare in equilibrio.

«Bonne nuit, salope!» urlò prima di piantarle venti centimetri di lancia dritta nel cuore.

La creatura lanciò un ultimo, terrificante urlo di dolore prima di esalare l’ultimo respiro ed accasciarsi senza vita sull’erba, che iniziò subito a tingersi di rosso.

«Sembra che ce l’abbiamo fatta.» disse Daemon riprendendo fiato. «In qualche modo.»

«Devo ricredermi sul vostro conto. Credevo foste bravo solo a dare ordini da lontano, invece sapete anche come combattere.»

«E tu invece tieni fede alla reputazione delle Furie.»

«Ad ogni modo, credevo che le viverne vivessero solo sulle montagne più alte.»

«Nella catena del Khoral ce ne sono parecchie, ma è la prima volta che si spingono così a valle. Deve esserci stata una moria di prede considerevole nel corso dell’ultimo inverno.»

Cessato il pericolo gli abitanti del villaggio iniziarono timidamente ad uscire dai loro nascondigli, e alla vista della viverna ormai senza vita circondarono i loro salvatori riempiendoli di ringraziamenti.

«Messer Daemon, vi dobbiamo tutti la vita. Avete fatto per noi più di chiunque altro.»

«Non è con me che dovete congratularvi Lasik, ma con Athreia. Senza di lei non penso che ne sarei uscito vivo.»

Quella era la prima volta che Athreia veniva ringraziata per il proprio lavoro da qualcuno che non fosse un membro del suo gruppo, e vedersi celebrata in quel modo fu una sensazione stranissima.

«Quindi, ora siamo al sicuro?»

«Voi si.» disse mestamente il ragazzo. «Ma temo di non poter dire lo stesso per altri.»

«Che intendete dire?» chiese Athreia

«Le viverne sono monogame, e si spostano sempre in coppia. Questa era la femmina, quindi il maschio deve essere da qualche altra parte.»

«E dove potrebbe essere?»

«Purtroppo c’è un solo posto nei dintorni abbastanza popoloso da poter attirare l’attenzione di una creatura tanto grossa e affamata.»

Daemon si fece quindi portare in tutta fretta il suo cavallo.

«Quella viverna è venuta da nord. Anche ipotizzando che il maschio si trovi ancora al nido probabilmente è solo questione di ore prima che arrivi al Castello. Devo andare lì, avvertirli e organizzare le difese.»

«E io cosa farò?» domandò Athreia quasi con timore

«Tu resterai qui. Per il momento questa sarà la tua casa. Per qualsiasi cosa, chiedi a Lasik.» e senza aggiungere altro se ne andò, lasciando la centaura da sola in compagnia dei suoi simili e dei suoi dubbi.

 

In tutta la mia carriera di cacciatore non avevo mai avuto a che fare con una viverna, più che altro perché ci tenevo alla pelle e non mi andava di rischiarla combattendo con uno di quegli scherzi di madre natura.

Mi era capitato spesso di vederle da lontano, e negli anni mi ero ben guardato dall’avvicinarmi troppo a uno dei loro nidi o ai loro territori di caccia.

Tra stambecchi, camosci e altri mammiferi d’alta montagna non gli era troppo difficile trovare da mangiare, per non parlare delle carcasse, ma avrei dovuto prevedere che l’ultimo inverno doveva aver spinto verso valle anche le loro abituali fonti di cibo.

Avevo passato molto tempo a studiare quelle bestie, e anche se non ne avevo mai cacciata una sapevo più o meno come andavano approcciate e quale fosse il loro comportamento abituale. Vista la loro stazza tendevano a prediligere luoghi in cui vi fosse un’alta concentrazione di prede, e dal momento che ingurgitavano praticamente di tutto anche un villaggio all’occorrenza poteva diventare un bersaglio invitante.

Come se non bastasse con buona parte dell’esercito già mobilitato in vista dell’invasione non era stato per niente facile mettere insieme abbastanza uomini e attrezzature per ciò che avevo in mente, ma nelle giuste circostanze un abile mago vale quanto un’intera compagnia di soldati comuni.

E fortunatamente il maschio se la prese più comoda del previsto, arrivando in vista del Castello solo all’alba del giorno successivo.

L’esca era già pronta: dieci delle migliori vacche di razza contiana. Il solo pensiero di doverle sacrificare per fare da cena ad un drago malriuscito mi faceva uscire dai gangheri, ma meglio dieci vacche che qualche centinaio tra soldati e civili.

Per sicurezza avevamo portato tutti gli abitanti nei sotterranei, ma l’odore che quei manzi mandavano era così forte che la viverna semplicemente non seppe resisterci, fiondandosi sulla piazza d’armi del castello e iniziando a ingoiarli praticamente interi uno dopo l’altro.

Era così presa dal suo banchetto che non si accorse di nulla.

«Adesso!»

Al mio comando Sylvie sbucò fuori dal suo nascondiglio in cima alla torre, già avvolta da un’aura luminosa.

«Holy Chain!»

Una vera e propria rete di luce comparve dal nulla sopra la piazza, piombando sulla viverna e schiacciandola al suolo; qualsiasi altra creatura non sarebbe riuscita neanche a muoversi vista la potenza e l’efficacia di quell’incantesimo, ma quel mostro era talmente grosso e forte che sembrava solo una questione di tempo prima che riuscisse a liberarsi.

«Non diamole il tempo di reagire!»

Zypax e gli altri ragazzi delle fonderie avevano lavorato tutta la notte per finire di inastare sui loro affusti i nuovi cannoni da dodici libbre e portarli fino a lì da Dundee, e quella sarebbe stata un’ottima occasione per collaudarli.

Ad un mio cenno gli artiglieri si affrettarono a lasciare i loro nascondigli, e in pochi secondi quella bestiaccia si ritrovò dieci bocche da fuoco nuove di zecca puntate contro da ogni direzione.

La prima scarica di cannonate non sortì grande effetto, ma già alla seconda i proiettili cominciarono a perforare le sue scaglie d’acciaio riempiendo il suo corpo di buchi.

Quando questa storia sarà finita dovrò fare due chiacchiere con Oldrick. Sono ancora troppo lenti nel caricamento.

In un certo senso avevo sempre desiderato di capire meglio le viverne, ed era un peccato che nessuno fosse mai riuscito a trovare il modo di addestrarle. Per questo l’idea di ucciderne una, per quanto necessario, non mi faceva impazzire.

Quasi non mi sorprese che anche dopo aver ricevuto almeno un centinaio di colpi, sforacchiata in ogni dove, quella creatura trovasse ancora la forza di agitarsi nel tentativo di liberarsi dall’incantesimo vincolante o di aggredire qualcuno dei cannoni.

Speravo di poter risolvere la questione senza dover ricorrere nuovamente alla magia, ma a quel punto non mi sembrò giusto prolungare ancora la sua agonia.

«Lady Valera, tocca a voi!»

Vorrei dire che il vortice di fuoco che quella ragazza evocò e che mise fine ad ogni velleità di resistenza del nostro nemico mi lasciò indifferente, ma sarebbe una bugia.

Per quanto mi fossi abituato a vedere di cosa fosse capace la magia di quel mondo, i poteri di Sylvie erano talmente grandi che ogni volta restavo senza parole.

Il suo Burning Blaze fu così potente da far annerire persino le pietre della piazza, e quando quella specie di inferno di fiamme si estinse la viverna era ormai ridotta in uno stato pietoso, una bestia agonizzante che aspettava solo il colpo di grazia.

«Scusa amico, niente di personale. Ma sei venuto a caccia nel posto sbagliato.»

«Fermatevi!»

Quella voce così perentoria mi fermò subito prima che estraessi la spada, ma fu solo quando lei mi passò davanti che realizzai di chi fosse.

«Cosa ci fai qui, Xylla? Dovresti essere nei sotterranei.»

«Ma non vi vergognate a ridurre in questo stato un animale tanto bello?»

«Era una questione di vita o di morte. Non puoi ragionare con le viverne.»

«Ti sbagli.»

Quando la vidi avvicinarsi, seppur con precauzione, al muso di quella bestia ferita e abbrustolita, ma non per questo meno pericolosa, mi aspettai di vederla finire mangiata da un momento all’altro.

«Buono, bello. Lo vedi? Va tutto bene. Non voglio farti del male.»

Invece la viverna, dopo qualche momento di agitazione, sembrò calmarsi, prendendo ad uggiolare come un cagnolino ubbidiente mentre Xylla la accarezzava.

«Che mi prenda un colpo.» dissi con sincero stupore «Xylla, voi arpie potete parlare con le viverne!?»

«Sono secoli che condividiamo con loro le cime più impervie di questo mondo. Abbiamo imparato a capirci gli uni con gli altri.»

Di colpo mi venne in mente un’idea che chiunque, a cominciare dal vecchio me stesso, avrebbe potuto considerare a buon diritto assolutamente folle.

«Lady Sylvie, potete curare questa viverna

«Cosa!? Ma, Messer Daemon…»

«Vi prego, fidatevi di me. Se ho ragione, con il suo aiuto e quello di Xylla salveremo moltissime vite.»

 

Tutti a Grote Muren, dall’ultima delle reclute fino allo stesso Victor, erano consapevoli che quella calma surreale venutasi a creare nella zona attorno al forte fin da subito dopo la disfatta di Mistvale era solo apparente.

Era come se nessuno volesse arrischiarsi a fare il primo passo.

I ribelli, consapevoli di quanto potesse essere pericoloso assaltare un forte che loro stessi avevano provveduto a rendere quasi inespugnabile, avevano semplicemente ripreso il pieno controllo della regione, mentre dall’altra parte del fronte le truppe di Eirinn negli ultimi dieci giorni erano aumentate costantemente di numero.

Ma era uno stallo che non poteva durare, ed era sul modo in cui doveva finire che tra Victor e i suoi consiglieri non c’era comunione di vedute. Al punto che alla fine Lefde si era risolto a fare qualcosa che mai avrebbe pensato di dover un giorno fare.

«Come ti permetti, maledetto insolente?»

Il Generale non si scompose neanche quando Victor gli tirò contro il proprio calice, restando immobile a prendersi il colpo che tinse di rosso l’acciaio della sua armatura.

«Dovrei farti impiccare! Non solo abbiamo perso, ma ti avanza pure da fare una richiesta del genere?»

L’oggetto della contesa era la pergamena che il Generale aveva appena appoggiato sul tavolo, e al giovane Montgomery era bastato leggerne le prime righe per uscire letteralmente di testa.

«Capisco la vostra rabbia Mio Signore, ma ciò nonostante vi chiedo umilmente di firmare quel documento.»

«Voi mi state chiedendo di autorizzarvi ad assumere il comando assoluto del nostro esercito, in pratica esautorando me stesso dal ruolo di comandante supremo?»

«Questa è insubordinazione in piena regola!» disse Philippe. «Fin dai tempi di Gearld Montgomery, il ruolo di comandante supremo è sempre appartenuto solo ed esclusivamente al Granduca.»

«Con il dovuto rispetto Conte di Hatlen, nessuno dei venerabili antenati di Sua Eccellenza ha mai avuto a che fare con un nemico del genere. Daemon Haselworth è un avversario come non se ne sono mai visti nella storia del nostro Paese. E avversari straordinari richiedono misure straordinarie.»

«Mi state dicendo che non mi considerate in grado di misurarmi con lui? È questo che intendete?»

Se solo il vecchio Generale avesse potuto dire apertamente quello che pensava…

«Voi siete il nostro sovrano, Mio Signore. In questa ora buia, tutti noi cerchiamo la vostra luce per trovare riparo dalle tenebre che ci minacciano. Ma da questo momento in poi ogni battaglia potrebbe essere l’ultima. Qualsiasi cosa succeda, io voglio poter essere sicuro che Sua Eccellenza sarà in grado di mettersi al sicuro. La mia vita sarebbe un piccolo prezzo da pagare per la salvezza di Eirinn, ma la perdita del Granduca significherebbe la fine di questa nazione. Qualora ci dovessimo trovare ancora in una situazione come quella accaduta a Mistvale sarà necessario che il comandante dell’armata possa contare su di una catena di comando solida e preparata, che tenga indietro il nemico in modo da dare a Voi il tempo di mettervi in salvo.»

Detto questo il Generale si sfilò il pugnale intarsiato poggiandolo sul tavolo.

«Voi siete il Mio Signore, e a Voi io devo il massimo rispetto e obbedienza. Ma in tutta coscienza non posso e non voglio dover scegliere tra la fedeltà alla Vostra famiglia e quella verso la nostra patria. Pertanto, se ritenete di non poter accogliere la mia richiesta, allora sono pronto a rassegnare qui e ora le mie dimissioni. Se lo richiederete, vi offrirò anche la mia stessa vita.»

Philippe guardava il nipote come se non desiderasse altro che vederlo dare a Lefde l’ordine di piantarsi quella lama nel cuore.

Invece Victor digrignò i denti, fissando il Generale con sguardo che sapeva di furente rassegnazione; quindi, versata un po’ di cera sulla pergamena, vi batté rabbiosamente il proprio anello ducale.

«Vi ringrazio, Mio Signore.»

«Spero tu sia consapevole che in caso di sconfitta userò questo documento per accendere la tua pira.»

«Avete la mia parola che darò fino all’ultima goccia di sangue per la nostra patria.»

Sistemata la questione venne il momento di fare il bilancio della situazione.

«Ormai abbiamo quasi completamente riassorbito le perdite subite a Mistvale. Onestamente non capisco perché vi ostiniate a non voler lanciare una nuova offensiva, Generale Lefde

«Ci vuole ancora un po’ di tempo. I nuovi soldati per la maggior parte sono giovani reclute e coscritti. Dobbiamo finire di impartire loro un addestramento almeno basilare, altrimenti tanto varrebbe mandarli in battaglia nudi e disarmati.»

«Ogni giorno che passa è un giorno in più che diamo al nemico per rafforzarsi.» disse Victor. «Quel Daemon è maledettamente preparato, ormai l’ho capito. Se non lo incalziamo, chissà cos’altro potrebbe scatenare contro di noi.»

«Purtroppo la battaglia ci ha dato la prova che le voci sul suo conto non erano affatto esagerate, Mio Signore. Attaccare in maniera avventata come abbiamo fatto a Mistvale finirebbe solo per indebolire ulteriormente il nostro esercito.»

«Tuttavia, le perdite fino ad ora si contano solo tra i mercenari e i reparti meno esperti. I nostri veterani e le unità meglio addestrate sono ancora sostanzialmente intatte. Quindi sono d’accordo con mio zio sul fatto che sarebbe sciocco rimandare la nuova offensiva solo per dare a queste reclute qualche giorno di addestramento in più. Se è l’esperienza che gli serve, sul campo di battaglia ne avranno quanta ne vogliono.»

«Parole sagge, Mio Signore.» disse Philippe. «Generale Lefde, abbiamo aspettato tutti questi giorni senza muoverci solo perché ci avete convinti ad aspettare i nuovi rinforzi, ma ora il tempo è scaduto. È giunto il momento di attaccare di nuovo.»

Nonostante la forza datagli dalla nuova posizione appena ottenuta Lefde sapeva di non poter tirare troppo la corda, almeno in una situazione così apparentemente favorevole.

Anche perché, proprio in quel momento, giunse un messaggero recando una notizia tutto sommato attesa fin troppo a lungo.

«Truppe nemiche in movimento, Mio Signore.»

«Quanti sono?»

«All’incirca trentamila, Generale Lefde

«È quasi incredibile con quanta facilità riescano a compensare le perdite che subiscono. Immagino abbiano mobilitato fino all’ultimo soldato disponibile.»

Sembrava un esercito perfino troppo grande per cingere d’assedio un singolo forte, ma Lefde non volle nemmeno pensare a quale poteva essere il motivo dietro ad un simile spiegamento di forze.

«Il nemico si è indubbiamente impegnato molto nel rinforzare questo castello.» disse illustrando il suo piano «Le mura sono solide, il pozzo è pieno e protetto da eventuali infiltrazioni. Io suggerisco di rafforzare le nostre posizioni qui, qui e qui. Queste tre piazzeforti tra noi e Mistvale sono collegate al forte tramite la Via Imperiale. Haselworth dovrà per forza conquistarle tutte per poter assediare Grote Muren senza doversi guardare costantemente le spalle. Se le usiamo come baluardi da cui coordinare assalti mirati alle sue truppe possiamo logorare un po’ per volta il suo esercito in preparazione della controffensiva.»

Le ultime parole famose.

«Generale! Mio Signore!» gridò un secondo messaggero «Il nemico ci ha attaccati!»

«Arrivi tardi, lo sappiamo già. Trentamila unità in arrivo da Basterwick

«No Mio Signore, non intendevo quello! L’attacco è avvenuto a est, ad Eirinn! Todlen è caduta!»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Ecco qui dunque il secondo capitolo del Quarto Volume.

Come avrete notato questi capitoli sono mediamente più lunghi rispetto a quelli dei volumi 1, 2 e 3, ma per evitare buchi narrativi ho preferito evitare di condensarli troppo o tagliare più di quanto avessi già fatto.

Già con il Volume 5 dovremmo tornare ad una lunghezza meno marcata.

A presto!^_^

Cj Spencer

   
 
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