Premessa:
A causa di svariati impegni personali che prenderanno il via dalla prossima settimana, potrebbe purtroppo capitare che gli aggiornamenti non seguano una linea precisa come avvenuto finora.
Ciò non significa assolutamente che abbandonerò la storia, anzi. Non è nella mia natura lasciare dei progetti incompiuti, soprattutto quelli legati alla scrittura e, in questo caso, uno così avvincente dove sto ricevendo grande sostegno da chi mi legge e commenta ad ogni capitolo. Questa sarà una situazione temporanea e farò di tutto per far sì che non vada ad inficiare questa bellissima avventura.
Spero che tutti/e coloro che mi seguono fin dall'inizio capiranno e continueranno ad offrirmi il loro supporto che per me significa moltissimo.
Ora vi lascio alla lettura di questo nuovo capitolo, di transizione dove l’introspezione fa da protagonista. Non accadono grandi sviluppi ma è importante per ciò che avverrà a breve. Questo capitolo è dedicato a voi tutti/e che mi seguite dal principio, vi voglio un gran bene e il vostro sostegno significa tutto per me.
A presto,
Vostra Maya.
La fiamma della candela illuminava flebilmente la stanza scarsamente arredata.
Si stropicciò gli occhi, avvertendo il peso della stanchezza.
Aveva trascorso l’intera giornata a rammendare e ad occuparsi di Claudette.
La piccola ora stava riposando placidamente sul divanetto poco distante dal tavolo a cui era seduta.
Osservò il suo corpicino minuto afflitto dalla malattia… La sua povera petite perle… Se c’era una cosa che detestava era vederla soffrire.
Si passò la mano sulla fronte, pensando febbrilmente ad un modo per poterla curare… Il medico era stato chiaro, aveva bisogno di una medicina specifica altrimenti non sarebbe riuscita a vedere l’alba di un nuovo giorno.
Aveva reagito con furia a quella notizia, minacciando il dottore di farlo arrestare se non avesse curato la sua piccola e solo l’intervento provvidenziale di Philippe aveva impedito che la situazione degenerasse.
Maledizione… Maledizione! Doveva trovare i soldi e doveva farlo subito…
“Dove si è cacciato Philippe? Doveva essere di ritorno già un'ora fa!”
Il ticchettio delle lancette dell'orologio non faceva che far aumentare la sua ansia, tanto che quasi stropicciò il foglio di carta poggiato sul tavolo.
Una forte emicrania stava facendo capolino, contribuendo a peggiorare il suo stato mentale.
Un lieve mugolio si levò dalle labbra della bambina, facendo scattare immediatamente lo sguardo della donna su di lei.
Si alzò con una rapidità fulminea a dispetto della stanchezza e la raggiunse inginocchiandosi al suo capezzale.
Le accarezzò delicatamente la fronte, sfortunatamente sempre più ardente. Avrebbe versato delle lacrime se non fosse stato che in quel momento ciò che le premeva era mantenere la lucidità.
“Non preoccuparti, ma petite perle… Philippe sarà presto di ritorno con la medicina. Non temere, non lascerò che ti accada nulla.”
Aveva giurato a sé stessa anni prima quando era stata allontanata da Versailles e ripudiata dalla sua famiglia che mai e poi mai avrebbe permesso a qualcuno o qualcosa di portarle via l'unica ragione di vita che le era rimasta.
La sua piccola Claudette… Era un vero angelo, sembrava una bambolina di porcellana, così fragile e dolce… Più la guardava e più vedeva riflesso il volto di suo padre in lei.
All'inizio aveva sofferto nel notare quelle somiglianze, così evidenti e dolorose.
Il colore degli occhi, dei capelli… Sembrava uno scherzo del destino quello di averle dato una figlia identica a quel padre che mai aveva conosciuto.
Era proprio in momenti come quelli che desiderava con tutta sé stessa averlo al suo fianco. Quei lunghi anni di separazione forzata le erano pesati come macigni nel suo cuore afflitto, ma poi aveva saputo andare avanti cavandosela egregiamente.
Nonostante tutto, però, non aveva dimenticato l’uomo che era stato capace di donarle il regalo più prezioso che avesse mai potuto ricevere.
Era accaduto tutto troppo in fretta, all'epoca non era che una ragazzina… Lui pure era giovane, ma era più maturo di lei e insieme avevano esplorato il mondo dei sentimenti aprendosi e donandosi l’anima l’uno all'altro, convinti che avrebbero vissuto per sempre fianco a fianco.
O, almeno, lo aveva creduto lei visto come si erano evoluti gli eventi.
Aveva provato delusione, ira… Di tutto, talmente potente da farle indurire quel suo cuore che da ragazza era stato pieno d’amore e di speranze. Tutte andate in frantumi, facendola diventare apparentemente di ghiaccio.
Eppure, non importava quanto cocente fosse stata la delusione… Le mancava ancora, e soprattutto avrebbe voluto averlo accanto alla loro figlia.
Che gioiello si stava perdendo…
Chissà come stava, cosa stava facendo… O meglio, sapeva cosa faceva, ma non sapeva più nulla della sua vita oltre la carriera. La pensava anche lui? Si ricordava ancora di lei? L’aveva mai cercata?
Probabilmente no.
La bambina si mosse nel sonno, girandosi sul fianco destro e lei le prese la mano rovente per accarezzargliela.
Si lisciò le pieghe del vestito di mussolina ormai sbiadito… E chi poteva preoccuparsi degli abiti in un momento simile?
Era stanca, tanto stanca… I fardelli che era stata costretta a portare sulle sue spalle in quegli anni l’avevano indurita, facendole perdere quella spontaneità e gaiezza di gioventù.
Un rombo di tuono fece vibrare i vetri delle finestre e sussultare Claudette che spalancò i suoi occhietti azzurri alla ricerca della madre.
“Maman… Philippe non è ancora tornato?”- com’era debole la sua voce…
“No, ma chérie, ma non temere… Presto sarà qui.”- le sorrideva fiduciosa, ma dentro di sé sentiva crescere la paura. Paura che potessero arrivare troppo tardi, che il male che aveva afflitto la sua bambina fosse tiranno e la portasse via senza poter fare nulla per impedirlo.
Doveva funzionare… Doveva funzionare per forza ciò che aveva escogitato.
“Maman… Mi dispiace per il tuo medaglione. Per colpa mia hai dovuto farlo via…”- a quelle parole, si voltò sconvolta e davvero faticò a frenare le lacrime.
Il suo piccolo angelo, così indifeso e prezioso, si scusava per averle dovuto far vendere il suo medaglione affinché potessero ricavare i soldi necessari per le medicine…
La sollevò delicatamente, facendo attenzione a non muoverla bruscamente per non privarla del calore della coperta e se la strinse in grembo.
“Ma petite perle…Non pensare a nulla, devi solo guarire. Del resto se ne occupa maman… Tranquilla.”- la cullò come quando era neonata.
Fuori aveva cominciato a piovere, il buio della notte spezzato solo dai lampi che si susseguivano a intermittenza.
“Philippe, dove sei? Possibile che non sia riuscito a fare ciò che dovevi?”- oh, se solo non avesse dovuto pensare a tutto da sola, non avrebbe avuto queste noie.
Quanta rabbia provava, quanta rabbia… Ma al contempo, lo amava ancora, purtroppo il suo cuore era ancora prigioniero del suo primo amore.
Non aveva neanche potuto dirgli di essere in attesa della loro bambina, non ne aveva avuto il tempo.
Ma forse a lui non era neanche importato il fatto che d’improvviso non si fossero più visti, dato che non aveva fatto nulla per trovarla in quegli anni.
Le erano rimaste due cose di lui dopo la separazione: Claudette e il medaglione dorato su cui era incisa una frase latina-”Hic ipso tecum consumerer aevo.”*
Gliel’aveva donato lui la notte in cui si erano amati la prima volta, nella stanza da letto del Palazzo di lui, con solo la luna e le stelle come testimoni.
Lo aveva custodito gelosamente in tutti quegli anni e difatti, fino a quel giorno, era stato l’unico oggetto di valore rimastole dopo essere stata diseredata e ripudiata.
Venderlo le era costato un grande sforzo, non poteva negarlo… Ma per sua figlia non avrebbe esitato di fronte a nulla.
Sentiva le palpebre abbassarsi ma non poteva crollare tra le braccia di Morfeo.
Lasciò vagare la sua mente, che la riportò ancora una volta a ripensare a lui, così affascinante e ammaliante.
Lo aveva cercato quando si era recata di nascosto alla Reggia la settimana precedente, sperando di intravedere il suo volto fra quello dei membri delle Guardie Reali, ma invano.
Aveva, però, intravisto la figura alta ed agile del Comandante. Oscar François de Jarjayes… Probabilmente l'unica persona di cui conservava un ricordo puro e affettuoso.
Era rimasta estremamente affascinata dalla sua personalità da ragazza, nonostante si fossero viste pochissime volte e conversato forse in un'unica occasione.
“Che ingenua ero… Mi dissi che sarei voluta diventare come lei una volta adulta. Volevo essere tenace, forte, indipendente esattamente come lei, e invece…”- sorrideva amaramente, pensando a quanto sfortunato fosse stato il suo destino.
La stimava e non si capacitava di come un animo buono e altruista come il suo potesse sopravvivere ogni giorno alla meschinità e all'ipocrisia della Reggia di Versailles.
“Una vera liberazione non esserci dovuta più andare… Probabilmente l’unica cosa buona di questa situazione.”- si disse.
Il sonno stava facendo sempre più breccia in lei, ma poi il rumore della porta che si apriva la fece ridestare di colpo.
Finalmente Philippe era tornato.
“Allora, hai portato la medicina?”- gli si avvicinò di corsa.
“Eccola, è qui. Il medaglione l’ho venduto, valeva venti monete d’oro.”
Non poteva soffermarsi sul valore sentimentale del dono, ciò che contava era somministrare immediatamente la medicina a Claudette, poiché ogni secondo che passava poteva essere fatale.
“Apri la bocca, mon amour, maman ha qui la medicina per te, come promesso.”- le tenne il capo sollevato abbastanza da farle bere la cura per quella febbre violenta che da due giorni le affliggeva il corpo.
Philippe, intanto, se ne stava col busto poggiato allo stipite della porta, ancora bagnato ed infreddolito per la pioggia.
“C’è della zuppa se vuoi, è ancora calda. Sulla sedia c’è anche una coperta, asciugati con quella.”
“Non ho fame, ti ringrazio. Piuttosto… L’hai scritta?”- e la guardò con intensità.
I loro occhi si incontrarono, poi quelli di lei si spostarono in direzione del tavolo su cui era adagiato un foglio di carta leggermente stropicciato ai lati.
“Sì… Domani portala al suo Palazzo. Sii discreto, mi raccomando, non farti vedere da nessuno.”
“Non l’hai firmata, vedo.”
“No, non serve. Conosce la mia calligrafia. Non potrà dubitare di chi si tratti.”
“Credi ne ricaverai qualcosa?”
“Sono una donna piena di risorse, Philippe, ormai dovresti averlo capito. Non mi arrendo finché non le ho provate tutte. Sono passati quasi otto anni, ma devo capire… Devo sapere chi fu ad ordire la congiura contro di noi, perché quando l’avrò fatto… Mi vendicherò senza farmi scrupoli.”- e il luccichio sinistro che le illuminò gli occhi non lasciava spazio all'immaginazione e questo Philippe lo sapeva bene.
Ma quella era una notte strana per tanti altri. Era malandrina, sembrava divertirsi Morfeo a negare il dolce tepore del sonno a coloro che lo bramavano. Forse era la pioggia, forse le suggestioni degli eventi futuri, stava di fatto che quella notte si dilettava a giocare brutti scherzi.
Se ne stava seduto sulla poltrona di velluto blu Fersen, posizionata accanto all'ampia finestra che affacciava lungo una delle strade principali di Parigi.
In casa regnava un silenzio tombale, interrotto solo dallo scrosciare interminabile della pioggia.
Sembrava che anche il clima rispecchiasse il suo stato d'animo.
Era solo, il suo unico maggiordomo si era ritirato nella propria stanza da diverse ore ormai, lasciandogli come unica compagnia la bottiglia di vino rosso adagiata sul tavolino in noce dinnanzi alla poltrona.
Le braci del camino si stavano affievolendo, ma non vi badava.
Si era tolto la giacca, mettendosela sulle spalle a mo' di coperta, restando in camicia e pantaloni.
Aveva visto giorni migliori… I capelli erano scarmigliati, il volto solcato dalle occhiaie, la camicia sgualcita… Sì, decisamente non una delle sue serate d’élite. Probabilmente la mano destra poggiata da un tempo incalcolabile sulla fronte aveva lasciato un segno.
Lasciò uscire un profondo sospiro e bevve un nuovo sorso di vino… Aveva perso il conto ormai, ma andava bene lo stesso.
Le notizie che giungevano dalla Svezia non aiutavano il suo morale depresso, poiché sua sorella Sophie gli aveva scritto di un nuovo malessere che aveva colpito il loro padre.
Si lasciò andare in una posa ben poco elegante sulla poltrona, tenendo gli occhi chiusi.
I pensieri nella sua mente si susseguivano inesorabili, senza dargli tregua.
L’orologio a pendolo all'ingresso del salone segnava lo scoccare della mezzanotte.
Era cominciato ufficialmente il giorno precedente la partenza della sua amata Maria Antonietta.
Quanto aveva sofferto il suo cuore quando gli aveva dato la notizia! E lui, da povero sciocco qual era stato non aveva neanche provato a farla desistere da questa sua iniziativa.
Oh, se solo contemplava la prospettiva di non rivederla per settimane… Sarebbero stati giorni infiniti, come lo erano stati quelli che aveva trascorso lui in America.
Perché, perché non era riuscito a dimenticarla? Sarebbe stato tutto più semplice, ma niente… Per quanti sforzi facesse, proprio non riusciva ad impedire al suo cuore di ardere di desiderio e amore ogni qualvolta immaginava il suo volto etereo.
Aveva paura di quel viaggio… Temeva potesse capitare qualcosa di spiacevole, aveva ormai ben inteso che i cittadini non si facevano scrupoli davanti a niente e che stavano diventando sempre più irruenti nei confronti di coloro che avrebbero dovuto amare ed onorare.
Poi, però, quei timori si dissipavano quando ripensava a colei che avrebbe guidato la spedizione in Austria… Il suo migliore amico, Oscar François de Jarjayes.
Se c’era una persona a quel mondo a cui si sarebbe sentito al sicuro nell'affidare la propria incolumità, era senz’altro lei.
Che persona magnifica era, dotata di un coraggio ed una forza d’animo invidiabili, qualità che a lui mancavano nettamente a confronto con lei.
L’aveva sempre ammirata per queste sue doti, per come affrontava ogni giorno gli ostacoli della vita, sempre con tenacia nonostante tutto.
La sua mente continuò a vagare e a soffermarsi su Oscar, poiché erano diversi giorni che era pervaso da un dilagante dubbio: l’ultimo ballo a cui aveva presenziato poche settimane prima, e la danza con quella Contessa venuta dall'estero.
Non appena l’aveva vista si era sentito attratto da lei quasi magneticamente e non ne intese il perché immediatamente.
Sentì l’impellente volontà di condividere un valzer con lei, nonostante non si fossero neanche rivolti la parola.
Aveva sentito qualcosa mentre la stringeva fra le braccia, ma non capiva cosa… Aveva ballato con tante donne nella sua vita, ma nessuna gli aveva suscitato le emozioni contrastanti che gli aveva provocato lei.
Era di una bellezza eterea, probabilmente solo Maria Antonietta poteva eguagliarla in quel senso.
Ma non era stata la bellezza fisica ad attrarlo, no… Era qualcosa di più profondo ma che sembrava sfuggirgli.
Quando aveva ballato con Maria Antonietta la prima volta che si erano incontrati era scattato l’amore immediato, ma con questa fanciulla la situazione era diversa… Forse perché sentiva di conoscerla benché non si fossero mai visti.
Lei non aveva proferito neanche una parola, evitando quasi di guardarlo, come se avesse temuto di incrociare il suo sguardo. Ma lo aveva ascoltato con attenzione, lo aveva sentito.
Era rimasto ammaliato dai suoi capelli biondi e i suoi occhi azzurri, gli avevano immediatamente portato alla mente l’immagine di Oscar, di cui aveva poi parlato proprio a quella dama.
Man mano che il ballo proseguiva si era detto che era solo una spiccata somiglianza, che si stava lasciando andare alle suggestioni poiché non c’era modo che fra le sue braccia ci potesse essere davvero… No, impossibile, ne era certo.
Poi, però, era accaduto qualcosa di sconvolgente: aveva definito Oscar come il suo migliore amico e la dama aveva improvvisamente perso l’equilibrio rischiando di inciampare.
L’aveva presa per il polso, lui, per non farla cadere ed allora i loro occhi si erano inevitabilmente incrociati come mai avevano fatto durante il valzer.
Il respiro gli si era mozzato in gola, la mente aveva fatto i salti mortali, la logica tentava di negare, ma l’evidenza era lì, chiara davanti a sé… Ma se aveva ancora il minimo dubbio, questo si era dissipato completamente nell’esatto momento in cui la dama era fuggita dal salone dopo che lui aveva mostrato di averla riconosciuta.
L’aveva osservata sconvolto correre via, con lo sguardo afflitto, incerto se seguirla o meno.
Forse, col senno di poi, avrebbe dovuto farlo, ma lo stupore era stato talmente tanto da impedirgli qualunque movimento.
“Possibile… Possibile che quella dama fosse davvero Oscar?”
Ne era praticamente certo, ma la vera domanda era un'altra…
“Se davvero era lei… Perché indossava quell'abito? Non si era mai mostrata agli altri in vesti femminili, da sempre orgogliosa del ruolo che ricopriva benché il suo essere donna. Perché aveva voluto indossare proprio quell'abito?”
Ecco cosa lo tormentava.
Bevve un altro sorso di vino, scervellandosi per capire cosa potesse averla spinta a compiere un gesto simile.
Era chiaro che il suo gesto era stato progettato per avvenire in incognito, eppure… C’era qualcosa che non tornava.
Oscar non avrebbe mai compiuto un simile passo se non ci fosse stato un motivo ben preciso dietro.
Se avesse voluto trascorrere una serata come una dama qualunque avrebbe potuto dirglielo una volta iniziato il valzer, invece aveva taciuto per tutto il tempo, scappando non appena aveva capito che lui stava per riconoscerla.
Si alzò dalla poltrona e andò a posizionarsi dinnanzi l’ampia vetrata ad osservare la pioggia scrosciante.
Oscar non aveva voluto farsi riconoscere, era evidente, ma perché? Temeva forse che lui avrebbe potuto rivelare la sua identità agli altri partecipanti?
No, non poteva essere…
“É fuggita da me… É fuggita da…Me? Possibile che la ragione sia stata proprio io? Perché? Cosa aveva…”
E poi lo capì.
E la rivelazione lo sconvolse più di quanto avesse mai fatto un evento in vita sua.
Il suo migliore amico… Il suo migliore amico.
Era inciampata dopo che lui aveva detto quella frase rivolta, inconsapevolmente, a lei.
E i suoi occhi, lo aveva guardato come… Se il suo cuore fosse appena andato in mille pezzi.
E in mille pezzi andò anche il calice di cristallo fra le sue mani, impregnando il tappeto orientale di vino cremisi.
Si appoggiò tremante alla parete, non riuscendo a credere a ciò che aveva realizzato.
Che gli venisse un colpo…
“Mio Dio… Mio Dio, è davvero possibile che… No, non può essere, non può essere possibile, eppure…”- la sua voce non era che un flebile sussurro.
Il fuoco nel camino era fioco, ma dentro di sé le fiamme divampavano, travolgendolo.
“Può davvero essere che Oscar fosse… Innamorata… Di me?”
Era un pensiero inaudito, trascendeva ogni cosa che aveva conosciuto di lei, eppure…
Come aveva potuto essere così ignaro? La risposta era proprio davanti a lui, cristallina.
“Oscar… Voi… Avete indossato quell'abito per me… E io non l’ho neanche capito. Come ho potuto essere così sciocco?”
Aveva messo da parte per la prima volta nella sua vita il suo ruolo di soldato, tramutandosi in una magnifica dama, il cui unico desiderio era venire notata dall'uomo oggetto di desiderio del suo cuore, e lui cosa ne aveva fatto di quel cuore?
Lo aveva infranto senza neanche accorgersene.
“Oscar… Vi ho fatta soffrire e non vi ho compresa. Non potevo neanche immaginare l’idea che voi poteste provare un sentimento del genere per me… Mio Dio, perché non vi ho inseguita? Se non vi avessi lasciata andare, allora…”
Allora cosa? Ammettendo pure che le fosse corso dietro, che avrebbe fatto poi? Avrebbe cambiato la sua opinione e le avrebbe dato ciò che voleva?
No… No, probabilmente era stata l’unica scelta sensata quella di lasciarla andare, poiché non avrebbe fatto altro che accrescere la sua delusione.
Non avrebbe certo potuto darle ciò che cercava. Ma com’era stato possibile che non si fosse accorto di nulla?
Dopo tutti quegli anni di conoscenza, amicizia… Non era stato capace di percepire un simile cambiamento…
Eppure gli era sembrata sempre uguale quando l’aveva rivista al suo ritorno dall'America.
Ma evidentemente si sbagliava.
Non c’era dubbio, la Contessa straniera di quell’unica notte era lei e quell'incantevole abito da ballo era stato indossato appositamente per lui, nel tentativo di farlo rendere conto dei suoi sentimenti per lui.
Ma quei sentimenti non era stato neanche in grado di riconoscerli.
Si sentiva in colpa, Fersen, tremendamente in colpa per il dispiacere che aveva arrecato ad Oscar, anche perché su quella scia di pensieri, giunse ad una disarmante consapevolezza.
La bottiglia di vino era ormai finita, la testa gli girava, ma non poteva permettersi di crollare.
Si mise il capo fra le mani, passandosele con frustrazione tra i capelli indomiti, nel tentativo di riacquistare lucidità.
Fu come un'illuminazione, che gli mise davanti una realtà che mai prima di quel momento aveva considerato.
Nonostante i quasi vent'anni di conoscenza, Fersen realizzò quanto poco conoscesse davvero Oscar.
Si era lasciato trarre in inganno da quel suo carattere forte, fiero, inscalfibile, che dava l’idea di non accennare neanche a pensieri legati alla sfera sentimentale.
“E dire che glielo avevo anche chiesto una volta… Sì, quando venne da me per intimarmi a tornare in Svezia in modo da preservare la reputazione di Maria Antonietta… Le chiesi se avesse intenzione di trascorrere l’intera vita con indosso l’uniforme e lei mi disse di sì, che non si era mai sentita sola o a disagio in quelle vesti… Com’è possibile che questo sia cambiato senza che io me ne accorgessi?”
La sua mente correva, correva veloce ripercorrendo le ultime volte in cui si erano visti… Ora acquisiva tutto un senso, quel suo entusiasmo per il suo ritorno, lei che lo invita a rimanere tutto il tempo che voleva a Palazzo Jarjayes, e quel vestito…
Dio, com’era stata bella quella sera, sembrava divina… Al punto che gli venne da pensare che se non avesse mai incontrato Maria Antonietta, forse…
“Oscar… Mia cara amica, sono stato uno sciocco nel non rendermi conto di ciò che provavate per me, vi ho causato così tanto dolore…”
Purtroppo le sue convinzioni erano rimaste ferme a quel pomeriggio di quindici anni prima, quando lei gli aveva fatto intendere che non si sarebbe mai innamorata in vita sua.
Ma era stato stolto nel lasciarsi convincere, poiché bisognava ammetterlo, un cuore lo aveva anche lei ed era impossibile che restasse assopito per sempre.
“E il destino ha voluto che si destasse proprio per me… Per me che non potrò mai ricambiarlo, poiché già prigioniero di quello della mia amata Regina. Perché… Perché è dovuto andare così?”
Mentre faceva quelle riflessioni, si rese conto che aveva cominciato a camminare come un forsennato in cerchio nell'ampio salone.
Lo stupore per quanto scoperto era ancora troppo forte, al punto che sentiva di star perdendo completamente quel briciolo di razionalità rimastagli.
“Devo vederla, devo assolutamente andare da lei, devo parlarle, capire…”
Si lanciò a capofitto giù per lo scalone della residenza facendo quasi cadere sul pavimento il vaso di cristallo posto sulla colonnina in marmo e, giungendo di corsa davanti alla porta d’ingresso, aveva appena preso il mantello quando si rese conto dell'assurdità del gesto che stava per fare.
Sospirò rumorosamente, scuotendo il capo sconsolato.
“No… Ma cosa sto facendo… È notte fonda, è quasi l’una, non posso presentarmi a quest'ora a Palazzo Jarjayes, sarebbe uno scandalo… E per dirle cosa poi… Come potrei iniziare?”
Ma era disperato, poiché rifletté sul fatto che il giorno dopo Oscar sarebbe partita per Vienna e sarebbero trascorse settimane prima che si rivedessero.
Non poteva lasciarla andare così, doveva chiarire la situazione, capire cosa…
In effetti c’era ben poco da capire e lo sapeva.
Solo una candela illuminava l’ingresso della casa e usò quella luce per recarsi sul gradino della scalinata, dove si lasciò cadere sconsolato.
Sarebbe andato a Versailles non appena sarebbe spuntato il sole, di sicuro lei sarebbe stata lì.
Avrebbe colto l’occasione per parlarle.
Poi, senza fare nulla per impedirlo, probabilmente accentuato anche dall'effetto del vino, lasciò che le lacrime gli solcassero le guance.
C’era una ragione dietro quel pianto… La triste consapevolezza che al crepuscolo avrebbe perso per sempre la sua migliore amica, l’unica persona con la quale era stato libero di parlare del suo amore impossibile per Maria Antonietta, e tutto perché quella sua stessa amica era rimasta intrappolata nel vile gioco del destino.
Contemporaneamente ai tormenti di Fersen, anche un’altra donna non riusciva a trovare il conforto delle braccia di Morfeo.
Era scesa nella cucina di servizio Oscar, con l’intento di prepararsi una tazza di cioccolato caldo, dopo essersi rigirata per ore nel letto nel vano tentativo di prendere sonno.
Aveva camminato cheta, per non rischiare di svegliare Nanny.
Poi, però, giunta in cucina le era di colpo passata la voglia di quella bevanda, forse condizionata dal vuoto e dal silenzio che aveva trovato in quella stanza dove solitamente trovava sempre una presenza pronta a farle compagnia e a risollevarle il morale.
Ma anche quella sera André era uscito con la scusa di voler fare una lunga cavalcata, nonostante il freddo pungente e la pioggia scrosciante.
Queste sue uscite stavano diventando sospette, sia per la cadenza che per le scarse motivazioni da cui erano accompagnate.
Sentiva che si stavano allontanando e si rese conto che la cosa le dispiaceva non poco, soprattutto quando ripensava di nuovo all’agghiaccinte prospettiva di una possibile separazione futura fra loro per proteggerlo in caso di caduta dei nobili.
Vagò per minuti interminabili nei corridoi dell'ala est di Palazzo, quelli in cui era solita recarsi da bambina con André quando si dilettavano a giocare a nascondino negli anfratti più nascosti della tenuta.
Quanti bei ricordi… Dov’era finita la spensieratezza di quegli anni?
Dormivano tutti, suo padre, i domestici… Camminava silenziosa, ma dentro di sé sentiva crescere la sensazione di essere quasi un fantasma.
Aveva uno strano presentimento, qualcosa di ignoto che le partiva dalle viscere e si dipanava per tutto il corpo.
Stava per capitare qualcosa, qualcosa di significativo… Amava le sfide, elaborare strategie, ma se c’era una cosa che odiava erano i pensieri provocati da eventi ignoti.
Non le permettevano di avere il controllo e questo le causava frustrazione.
Si morse il labbro, un gesto che le capitava solo quando era nervosa.
Maneggiò lo stiletto che portava sempre con sé, passandolo da una mano all'altra come esercizio di rilassamento.
Continuava a camminare nel frattempo, lasciandosi guidare dalla memoria e dall'istinto, immersa nel buio della notte.
Non aveva mai amato i temporali, le avevano sempre suscitato profonda inquietudine.
Da bambina ogni qualvolta se ne verificava uno, si recava di nascosto nella camera di André per trascorrere la notte insieme.
Si sentiva al sicuro lì con lui, spesso finivano per addormentarsi a ridosso dell'alba dopo aver trascorso ore intere a leggere, parlare e divertirsi.
Crescendo, avevano perso quell'abitudine… Era sconveniente per entrambi condividere il letto e d’altronde fra i tanti accadimenti chi ci aveva più pensato ai temporali?
C’era evidentemente stata una notte in cui avevano condiviso quell'esperienza per l’ultima volta senza neanche esserne consapevoli.
Non se lo ricordava nemmeno…
Ironico, lei, l’integerrimo e glaciale Colonnello Oscar François de Jarjayes, non esitava davanti a battaglie o duelli all'ultimo sangue, ma si lasciava condizionare da un banale fenomeno atmosferico.
Davvero strana la sua mente…
Svoltò nel corridoio che portava alle stanze dove un tempo avevano risieduto le sue sorelle.
Non c’era quasi mai andata da quella parte, in effetti… Suo padre non voleva che trascorresse troppo tempo con loro, convinto che non avrebbe giovato alla sua condizione “maschile”.
Difatti, aveva pochi ricordi con loro, ma alcuni erano davvero belli… Soprattutto quelli legati ad Hortense, con cui aveva sempre avuto un bel rapporto nonostante la lontananza.
Un rombo di tuono la fece sussultare.
L’orologio poggiato sul davanzale del camino nel corridoio segnava l’una e trenta di notte.
Probabilmente sarebbe stata un’intera notte in bianco… Possibile che André non fosse ancora rientrato? Magari si era fermato in qualche locanda per ripararsi dal maltempo.
Un lampo illuminò l’intera zona come fosse stato giorno, causandole profonda irritazione.
Possibile che si stesse lasciando mettere in scacco da un insulso acquazzone! Doveva riacquistare la sua fermezza distintiva e non lasciarsi scalfire dagli scherzi che la sua mente voleva giocarle.
Certo, l’indomani sarebbe dovuta partire con la Sovrana e i Principi per l’Austria, ma era assolutamente insensato lasciarsi andare a futili preoccupazioni.
Aveva addestrato alla perfezione i suoi soldati, lei stessa era perfettamente in grado di gestire qualunque situazione e avrebbe avuto sempre André al suo fianco.
Non c’era nulla fuori posto.
“Allora perché il mio cuore sembra volermi uscire dal petto?”
Scese lo scalone e si ritrovò nell'ampio salone in cui erano esposti tutti i ritratti della famiglia Jarjayes.
Si mise ad osservarli uno per volta: c’era quello di suo Padre nella sua uniforme da Generale, uno dei suoi genitori nel giorno del matrimonio, uno per ognuna delle sue sorelle, uno con l’intera famiglia al completo… Quello era l’unico quadro in cui appariva anche lei, seppur praticamente neonata all'epoca della realizzazione.
Non aveva mai amato farsi ritrarre, ragion per cui era la sola della famiglia a non avere un proprio quadro personale.
A nulla erano valsi i tentativi della sua famiglia di convincerla a lasciarsene fare uno, non avrebbe mai cambiato idea.
Era lì, in carne ed ossa, tutti potevano vederla, quindi perché posare per ore al fine di realizzare un oggetto inanimato senza alcun significato?
I suoi occhi si soffermarono su quello dedicato esclusivamente a sua Madre.
Era magnifica in quel ritratto, l’emblema della bellezza sobria, distinta ed elegante. Era giovanissima in quell'immagine, probabilmente aveva appena partorito Hortense.
I suoi lunghi capelli castani ricadevano sciolti lungo le spalle come sottili fili di bronzo, i suoi occhi azzurri brillavano d’emozione e un sobrio ma elegante abito verde smeraldo le conferiva un'atmosfera di pura regalità.
Tutt'intorno, era circondata da rose variopinte, in un turbine che pareva mescolarsi con la sua figura facendola apparire come la Dea della Natura in persona.
Il suo sorriso, poi, era il tocco di classe… Delicato, non smagliante, ma che lasciava trasparire l’immensa bontà d’animo che la caratterizzava.
Da ragazza aveva guardato spesso quel quadro, così come quello appeso nella sua stanza.
Non lo aveva mai ammesso apertamente a nessuno, ma osservarli le dava conforto.
Forse perché in cuor suo aveva sentito la mancanza di un rapporto più stretto con sua madre, o forse perché anche senza parlarle, lei sembrava suggerire ad Oscar quali scelte intraprendere.
Si avvicinò ancora di più alla tela, ringraziando la fiamma della candela posta sul camino che le permetteva di discernere ogni più piccolo dettaglio di quel ritratto.
Lo toccò con la punta delle dita della mano destra, con la sinistra reggeva ancora lo stiletto.
Fu un tocco fugace, più simile ad uno sfioramento in verità, ma fu sufficiente ad innescare una strana sensazione dentro di sé.
Perché continuava a pensare che quel giorno sarebbe capitato qualcosa di spiacevole? Davvero era solo una suggestione favorita dal temporale?
Allontanò la mano dal dipinto e se la portò al petto, dentro al quale il cuore seguitava a battere all'impazzata.
C’era troppo silenzio in quel Palazzo.
Normalmente lo avrebbe apprezzato, poiché per natura anelava la quiete, ma stavolta era diverso.
Non era un silenzio piacevole, ma opprimente.
Un pensiero si fece strada nella sua mente e strinse il pugno destro, frustrata da quella sua improvvisa perdita di autocontrollo.
Non si riconosceva, non capiva le ragioni dietro quelle sue riflessioni che, tuttavia, sembravano diventare sempre più definite.
Alzò gli occhi in alto, incrociando lo sguardo con quello inanimato di sua madre e realizzò che per la prima volta, il solo contemplare la sua immagine non le arrecava più il medesimo conforto di sempre.
Il suo cuore chiedeva qualcosa di più, voleva… La voleva lì con lei come mai prima d’ora.
“Perché mi sento così? Come se fossi un fantasma… Tutti mi vedono ma al tempo stesso non lo fanno davvero. Cosa mi spinge a pensare in questo modo, e soprattutto perché mi interessa? Non ho mai desiderato che nessuno concentrasse la propria attenzione su di me, a parte Fersen e i risultati sono stati fallimentari, quindi perché adesso sento che… Mi manca… Qualcosa?”
Era proprio vero che da quella notte del ballo qualcosa in lei era cambiato, probabilmente senza che lei neanche se ne accorgesse.
I pensieri che albergavano nella sua anima erano solo il preludio di una serie di consapevolezze sempre maggiori che avrebbe raggiunto col tempo, ma lei ancora non lo sapeva.
Tutto ciò che sapeva quella notte, lì da sola dinnanzi a quel quadro, era che il suo cuore improvvisamente si era nuovamente destato bramando il desiderio di essere visto da qualcuno.
Non era ancora pronta per scoprirlo chiaramente lei, ma in una piccola e spoglia locanda parigina, seduto su una vecchia seggiola in legno, sedeva un uomo dagli occhi smeraldo e i capelli corvini che non aveva chiuso occhio pensando perennemente alla donna dei suoi sogni.
Smeraldo e zaffiro si erano incontrati e, oltre l’intera coltre di nubi temporalesche, riconosciuti.
Il cuore di Oscar bramava qualcuno che lo vedesse, ignaro del fatto che quello di André lo avesse fatto da anni, ormai, e che fosse solo questione di tempo prima che questa verità vedesse la luce.