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Autore: Rhoy    05/01/2010    2 recensioni
"Mise del correttore per coprire le occhiaie, un filo di matita ed un lucida-labbra color rosa naturale.
Davanti allo specchio, come fosse in presenza della scuola intera, abbandonò la Pansy che solo lei conosceva.
Petto in fuori, pancia in dentro, si disse.
Espressione superba, sorrisino bastardo pronto a mostrarsi non appena ve ne fosse stata l'occasione. Braccia lungo i fianchi, in una posizione austera. Mento appena alzato.
Quella maschera aveva sempre funzionato. Un tempo non era neanche una maschera, in realtà.
Un tempo. Prima che tutte le sue certezze crollassero miseramente. Come quella di non avere un cuore."

Una Draco/Pansy a capitoli intrisa di frustrazione, malinconia, competizione... ma anche quel pizzico di rivincita, per permetterci di ricordare che niente è impossibile. Neanche contro quelli come Draco Malfoy.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si girò e prese a camminare lungo il tavolo, raggiungendo la porta. Mantenne il passo fiero e l’espressione indisturbata, sino a che non ebbe superato l’uscita dalla Sala Grande. Lì svoltò l’angolo e si fermò, respirando a fatica.
Era stato difficile. Ma di una cosa era certa: aveva funzionato.
Giocare su quel che per Draco Malfoy era importante (l’orgoglio, l’immagine, l’onore e la possessività) l’aveva fatta sfogare.
Il gioco era appena iniziato, lo sapeva: lui avrebbe risposto alla sua provocazione.
Ma se fosse riuscita a tirare fuori anche con lui la crudeltà del suo intimo, che non si faceva scrupoli a mostrare con gli altri, le armi dei due giocatori sarebbero state pari… o quasi.
Sì: avrebbe sofferto comunque, ogni volta che lo avrebbe visto camminare con un’altra o semplicemente… ogni volta che lo avrebbe visto.
Tuttavia stavolta non avrebbe solo patito, ma anche risposto.
E, soprattutto, non gli avrebbe permesso di tornare da lei. Avrebbe messo in chiaro che non era un giocattolo. Il suo giocattolo. E questo lo avrebbe mandato su tutte le furie.
Allora sì che il gioco sarebbe diventato degno di partecipazione. Nonostante il fatto di non poterlo avere più, per quanto quei momenti durassero poco e fossero costruiti su illusioni colossali, la uccideva.
Se quel gioco fosse stato contro chiunque altro, Pansy avrebbe detto “Allora sì che il gioco si fa eccitante”.
Ma Draco… con lui sarebbe stata un vera e propria guerra. Niente di cui ridere.
Lui, al contrario del resto del mondo, sembrava contare qualcosa per la fredda Parkinson.







Pozioni.
Ricordò quel’era la sua prima lezione, quella mattina, con un leggero disappunto.
Piton non insegnava più quella materia. Ora c’era quell’obeso di Lumacorno, il quale non faceva altro che elogiare San Potter e la sua amichetta dai capelli naturalmente cotonati.
Con Piton le sarebbe bastato uno sguardo. Lui le avrebbe detto che la sua pozione era perfetta. Sicuramente meglio di quella prodotta dai suoi compagni dalle divise bordeaux-oro. E lei avrebbe sorriso, devota, in sua direzione, per poi girare il volto verso i Grifondoro e trasformare l’espressione riverente in un ghigno di puro scherno. E lì i suoi compagni di Casata l’avrebbero appoggiata con piacere, iniziando un gioco di sguardi con i rivali della Casata di Godric Grifondoro.
Peccato che... il professor Lumacorno fosse sin troppo gentile con tutti. E se solo lei avesse toccato il suo prezioso Potter, si sarebbe guadagnata la sua antipatia. E la Parkinson era pratica, ma non stupida. Le interessava avere voti più che perfetti in tutte le materie: accattivarsi la simpatia dei professori era fondamentale.
Persino Draco aveva rinunciato a sfottere l’eroe del mondo magico apertamente. Anche se in realtà… il ragazzo non sembrava neanche in sé, quell’anno.
Era più arrabbiato, più sprezzante del solito, se possibile. Dedicava meno tempo a quelli che una volta riteneva diversivi –come prendere in giro Potter, i mezzosangue, i babbanofili, i figli di famiglie con disponibilità economiche alquanto basse.
Era dimagrito parecchio. Ed era alto. Lo era sempre stato. La sua magrezza si notava anche di più, ora.
Ogni tanto lo vedeva sovrappensiero –cosa assolutamente assurda per Draco Lucius Malfoy.
Era cambiato. Cresciuto, forse. Ma in lui non vi era solo maturità.
Pansy vi avrebbe messo la mano sul fuoco: era frustrato.
Questo non lo aveva privato della sua bellezza, tuttavia.
Era sempre perfetto, inimitabile. Nei movimenti, nelle parole, nei gesti, nell’aspetto. In tutto.
E –Pansy fremette, serrando gli occhi violentemente- neanche le sue abitudini erano cambiate. Forse proprio per sfogare la frustrazione, continuava ad incontrare le mille sciacquette che lo desideravano. Le usava e… bye bye.
Rivedeva i suoi fatidici ghigni solo quando cercava di nascondere il suo nuovo essere. L’essere disperato, stanco, che quell’anno era tornato ad Hogwarts, più scontroso di sempre.
Quando cercava di eclissarlo, se ne usciva con le sue espressioni, con quei mezzi sorrisi che facevano impazzire le ragazze ma terrorizzavano il disgraziato a cui erano diretti.
E Pansy non aveva idea di cosa avesse potuto cambiarlo a tal punto da doversi sforzare di essere quello di un tempo.
Il padre era stato arrestato, sì. Ed ora… il Signore Oscuro era furioso con la sua famiglia, di certo. E quando l’Oscuro aveva da ridire… non c’era niente da fare. Nessun rifugio possibile, nessuna frase salvatrice. L’unica cosa era abbassare la testa e scusarsi, sperando di convincerlo a non scatenare la sua furia di te.
Ma comunque: non era abbastanza, per togliere a Draco Malfoy il suo animo di divertita arroganza.
Era rimasta solo l’arroganza, di quello. Niente più divertimento.
Solo rabbia, disprezzo, crudeltà. Nient’altro.
Pansy raggiunse i sotterranei, entrando in aula e sedendo accanto a Millicent.
« Sei in ritardo » disse quella, posando lo sguardo su di lei.
I lunghi capelli castani e mossi ricadevano sulle spalle della ragazza, appena robusta. Gli occhi verdi indugiavano sul viso pallido della Parkinson.
« E allora? » chiese lei, senza neanche guardarla.
Con fare indifferente, si diede un’occhiata attorno. E si irrigidì all’istante.
Non notò Millicent alzare gli occhi al cielo per la sua solita indisponenza. Fece solo attenzione a riporre lo sguardo davanti a sé, sul professore che con la bacchetta faceva apparire sui tavoli di tutti il necessario per la lezione del giorno.
E cercò di evitare in maniera studiata gli occhi grigi che la scrutavano e che non si aspettava di trovare già in classe.
Sentiva il suo sguardo su di lei, perforarle la spalla sinistra, esile ed impotente contro quei punti grigi capaci di far provare dolori inimmaginabili.
Era arrabbiato. Ma la sua rabbia non si manifestava in reazioni avventate ed aggressive.
Draco Malfoy preferiva distruggerti con lentezza, dandoti un’idea di cosa significasse provocarlo e pian piano aumentando quella tortura, sino a renderti schiavo della sua crudeltà.
Hai deciso di sfidarlo. Ora devi farlo, sino alla fine. Altrimenti avrai già perso.
Pansy abbassò lo sguardo sul legno del tavolo di fronte a sé. Quando lo rialzò, con lentezza, era serio, indecifrabile.
Millicent la osservò stranita. Ma alla mora bastò puntare un attimo quello sguardo nero nel suo, perché la compagna decidesse di non pronunciare la minima parola.
Allora fallo. Prenditi la tua vendetta. Fai il suo stesso gioco.
Detto questo, dal guardare la compagna, giro il capo sino ad incontrare gli occhi di lui.
Poi girò tutto il corpo, appoggiando direttamente la schiena al tavolo ed incrociando le braccia al petto, in attesa, con fare di sfida.
Il suo sguardo era serio. Un sorriso lievissimo, appena percettibile, si aprì sulle labbra rosee ma non si estese agli occhi.
Allora, Malfoy?
Il viso del biondo era una maschera di gelo.
Blaise e Theodore lo guardavano, non azzardando una parola. Poi il loro sguardo passò su di lei. E Zabini scosse la testa, come a dire “L’hai fatta grossa”.
Il sorriso di Pansy si ampliò, ora più visibile.
So bene di averla fatta grossa, Zabini, gli rispose mentalmente, senza però staccare lo sguardo da quello di Malfoy.
Il professore le passò davanti, guardandola con gli occhi attenti ma socchiusi di chi ti crede distratto, ma non ha intenzione di farti una ramanzina perché sei tra i suoi studenti preferiti.
« Signorina Parkinson. E’ ora che lei inizi a lavorare sulla sua pozione » Gli occhi neri della ragazza si distolsero dal viso del biondo, che buttò aria dal naso, in una risata appena accennata, compiaciuto da quella che credeva sarebbe stata una figuraccia col professore.
Pansy si girò a guardare la lavagna, con tranquillità.
« Certamente, mi scusi. Stavo ripassando mentalmente la ricetta. » si girò a guardare Millicent con un sorriso complice « Dai, prepariamo questo Distillato di Morte Vivente »
La Bullstrode sorrise, sapendo benissimo che Pansy aveva letto il nome della pozione alla lavagna e che non stava certamente pensando a come farla, pochi attimi prima.
Millicent era l’unica. L’unica… niente. Era semplicemente l’unica.
Pansy la trattava come tutte le altre, non meglio, non peggio. Ma Millicent era l’unica a sapere certe cose di Pansy, per quanto lei non le raccontasse ad anima viva. Le capiva, semplicemente guardandola. Cosa non da tutti.
Era l’unica a sapere che stava male, nonostante la faccia tosta e la freddezza che mostrava in continuazione. L’unica a sapere che quando Pansy era assente, era perché pensava a Lui. O guardava Lui.
Trattava male quella ragazza. Eppure sapere che qualcuno, nonostante lei lo negasse con frasi sprezzanti quando quella glielo diceva con tranquillità, sapesse della sua condizione… la confortava.
Una sola persona. Più di una le avrebbe dato fastidio.
E lei evitava Millicent. La cacciava con le frasette velenose che riservava alla massa.
Ma alla fine, per qualche strano motivo, si ritrovavano sempre insieme. In banco, durante i pasti, per i corridoi. Non parlavano, ma sapevano cose dell’altra che il resto della gente ignorava. Ed era una certezza che a Pansy faceva comodo.
E poi… la Bullstrode le teneva sempre il gioco. Se non l’avesse fatto sarebbe stato peggio per lei, certo. Ma Millicent lo faceva con piacere, divertita da quello che non programmavano ma recitavano alla perfezione, per aiutare l’altra, telepatiche.
« Certo. A lavoro » disse, entusiasta, sorridendo alla moretta accanto a lei.

Dopo poco, loro si trovavavano con un Distillato di Morte Vivente, non perfetto come –Pansy notò con un’occhiata irritata- quello di Potter, ma comunque decente.
Da quando Potter sa fare pozioni? E’ sempre stato impedito.
Alzò un sopracciglio, ma si ricompose quando il professore passò accanto a loro, chiamato da Millicent, per controllare la pozione.
Lumacorno inclinò il viso paffuto, portandosi una mano al papillon, mentre studiava la pozione con attenzione. Poi estrasse una foglia dal sacchetto che teneva in mano e la lasciò cadere nel loro calderone.
Pansy e Millicent la osservarono sciogliersi in quella che sembrò un'eternità e tornarono a guardare l’insegnante, in attesa di un giudizio.
« Molto bene, ragazze. Non è come quella del nostro signor Potter, ma… » Pansy si girò ad osservare il moro, che alzò un lato delle labbra con fare compiaciuto « …comunque siete tra i pochi che sono riusciti a crearla. Probabilmente avete esagerato con i Fagioli Sopoforosi, ma sarà per la prossima volta. Vi assegno una “O”! » disse, con entusiasmo, sorridendo alle due con quello sguardo da persona alquanto curiosa.
Le due rimasero immobili, non molto soddisfatte. Poi il professore parlò di nuovo, allontanandosi. « Harry, mio caro, vai ad aiutare quel gruppo laggiù » disse, indicando un gruppo con le mani nei capelli cespugliosi a causa del fumo che la pozione, malfatta, stava emettendo. Sembravano disperati.
San Potter si diresse verso di loro.
« E voi, signorine, andate ad aiutare quell’altro gruppo »
Il professore indicò… il Suo gruppo.
Pansy passò lo sguardo su tutti componenti del gruppo, per poi soffermarsi su di lui.
E finalmente, la sua rivincita arrivò. Lenta, ma arrivò.
Lei che doveva aiutare Lui. Perché Lui non riusciva in qualcosa. Qualcosa in cui lei era riuscita.
Si avvicinò al ragazzo, ancheggiando, con un ghigno malefico in volto.
Blaise la osservò, per poi spostare lo sguardo su Draco. Poi fissò di nuovo gli occhi nei suoi, mimando con le labbra “Non farlo”.
Ma era troppo tardi. Pansy Parkinson aveva preso una decisione. E sarebbe arrivata fino in fondo.
Ignorò il moro e si rivolse al biondo.
« Non era poi così difficile. Che peccato, non essere portati… » disse, guardando però solo lui.
Negli occhi di Malfoy guizzò una scintilla di irritazione. Irritazione, ma anche cattiveria.
Il ragazzo avvicinò le labbra all’orecchio di Pansy, che si immobilizzò.
No, Pansy. Non ricaderci.
Guardò la parete popolata dagli scaffali pieni di ampolle e contenitori di ogni genere, senza vedere nulla.
Fremette appena, stringendo le mani al bordo del tavolo con forza, costringendosi a non mostrare la sua debolezza e non lasciare che le sue ginocchia cedessero.
Eppure, la sua debolezza la stava mostrando eccome. Ferma immobile, non riuscendo a pronunciare la minima parola, ad emettere il minimo verso.
« Stai giocando con il fuoco, Parkinson »
sussurrò il biondo. La sua voce melodica, smielata eppure… così tagliente.
Poteva sentire il suo respiro freddo sul lobo dell’orecchio.
Lei rimase lì, con le labbra dischiuse e gli occhi puntati davanti a sé, insepressivi. Avrebbe voluto deglutire, ma non riuscì a muovere mezzo muscolo.
Gli altri al tavolo, compresa Millicent, assistevano alla scena, fermi. Se Draco entrava in azione era finita.
Il biondo alzò lo sguardo sul professore, allontanandosi lentamente dal suo orecchio. « La signorina Parkinson non si sente bene, professore. Probabilmente ci sono troppe sostanze, qui dentro » sventolò una mano davanti al viso della ragazza, immobile come una statua, con lo sguardo fisso davanti a sé.
Muoviti, Pansy! Fai qualcosa!
Ma che stava facendo Lui?
Il professore attraversò l’aula e si avvicinò alla ragazza, studiandola con lo sguardo, mentre si portava le mani alla pancia rigonfia, con occhi preoccupati.
Effettivamente, in quello stato, Pansy poteva avere l’aspetto di chi non si sentiva bene.
Era come in una trance. Non si era aspettata quel gesto da lui. E soprattutto, non sapeva cosa aspettarsi in seguito. Non capiva cosa stesse facendo.
Il ragazzo le aveva tolto le parole e la facoltà di fare qualunque cosa. Come sempre. Aspettava, immobile, la fitta di dolore che le avrebbe colpito il cuore. Come sempre.
Ed il professore, vedendola più pallida del solito, credette alle parole ed alla performance perfetta del biondo, che continuò « Credo abbia bisogno di ossigeno. Vorrei portarla in infermeria, se me ne darà la possibilità »
Il professore non staccava gli occhi dalla mora, con il naso fino e lungo arricciato in una smorfia preoccupata.
Blaise e Theodore si guardarono, cupi, sapendo che Draco non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Millicent osservò la sua… compagna –non potevano definirsi amiche- in quella condizione.
Pansy tremò un secondo, riuscendo a deglutire, ma non potendo permettersi altro.
L’insegnante annuì, torturandosi le mani ancora appoggiate sulla pancia « Certo, signor Malfoy. La porti da Madama Chips »
Draco la guardò con pietà ed amore, in una perfetta imitazione dell’amico preoccupato. Ma non vi era alunno, in quella classe, che non sapesse che Draco Malfoy stava fingendo, dopo quello sguardo.
Lui dolce e protettivo? Forse in un’altra realtà.
Però… quanto pagheresti per far sì che ti lui ti guardasse sempre in quel modo, eh, Pansy? Faresti a meno della pietà, ma dell’amore? L’amore in quello sguardo sempre così impenetrabile e duro? Sempre così bastardo? Che faresti perché ti guardasse così a vita? Accetteresti anche la pietà, mista all’amore? Pansy odiava la pietà. Era tutto quello che voleva evitare.
Non ne aveva per gli altri e non ne voleva dagli altri.
Però non ci volle neanche un secondo, perché la risposta arrivasse, sicura e schietta.
Sì.
Per lui, l’avrebbe accettata.
Il ragazzo le cinse il fianco con un braccio e la condusse fuori dall’aula, con passi lenti ed attenti, sotto lo sguardo di tutti.
L’hai fatta grossa, Pansy. pensò Blaise.
   
 
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