Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: GreedFan    12/03/2012    5 recensioni
Il virus Idra non è una semplice malattia.
E' un vero e proprio incubo.
L'infezione dilaga nell'isola di Manhattan, trasformando i contagiati in aberrazioni assetate di sangue, e, mentre le autorità sanitarie di tutto il mondo si arrovellano per trovare una soluzione, una sola figura si erge al di sopra di tanta degradazione.
Zeus.
Un infetto più potente degli altri o un semplice scherzo della natura? La società "Eden" non può di certo immaginare quali saranno le conseguenze del suo gesto, quando tenterà di creare un'arma biologica in grado di contrastarlo.
E Sasuke Uchiha, l'arma biologica in questione, non ha la minima idea dell'incubo in cui si sta gettando.
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

031 - Bane


"Devo uscire di qui alla svelta".

Naruto caricò un gruppo di soldati alla sua sinistra, uno scudo osseo a proteggergli l'avambraccio, e li schiacciò contro la parete. I proiettili gli fischiavano intorno, e la calca era tale che spesso gli stessi Blackwatch finivano colpiti a morte.

Tutto, pur di catturare Zeus. Pur di uccidere il mostro.

Ringhiò, mentre quelle mani guantate cercavano di afferrarlo da tutte le parti, di trattenerlo. Con le orecchie che ronzavano per il rumore delle detonazioni e la pelle che fremeva e si rigenerava continuamente attorno ai fori dei proiettili, Naruto mutò il braccio destro in lama e si gettò in avanti.

Quella situazione gli ricordava sgradevolmente il suo primo risveglio, con l'unica differenza che in quel momento non aveva la minima intenzione di scappare.

Se non altro, all'interno dell'edificio non potevano utilizzare i lanciarazzi.

Tranciò a metà un soldato piuttosto imponente, che gli si era parato davanti all'ultimo minuto, e si spinse contro ciò che restava del suo cadavere, approfittando del vuoto momentaneo che si era creato intorno a lui. Scivolò sul pavimento inondato dal sangue.

Sbatté contrò il linoleum con un gemito d'insofferenza, goffo a causa della stanchezza e dei muscoli provati dalla rigenerazione. Evitò con una mezza capriola di finire disteso sotto gli stivali con le punte di ferro dei Blackwatch, ma l'aver recuperato una posizione eretta non gli bastò per disfarsi del manipolo di coraggiosi che gli si era avvicinato stringendo un diffusore di Bloodtox.

«Guardate che quello non serve a nulla». Ringhiò.

Si proiettò in avanti, afferrò la scatola - da cui usciva un fumo rosato che sapeva di carne putrida - e la scagliò contro il muro con tanta forza da ridurla in frantumi. Attorno a lui, ovunque, si riunivano e rumoreggiavano frotte di soldati, come grosse blatte nere che sembravano volerlo inghiottire tra le loro schiere.

Che schifo.

Era davvero stufo.

La mandritta divenne una frusta prima ancora che potesse capire cosa voleva fare di preciso. Poi realizzò semplicemente che, se non aveva tempo uccidere tutti quei Blackwatch - non con il corridoio che restringeva sensibilmente le sue possibilità di manovra - poteva sempre evitarli.

Menò una frustata contrò il soffitto, tanto forte che il contraccolpo lo fece barcollare.

Quando vide allargarsi una crepa e sentì il picchiettare dei primi calcinacci sul pavimento, colpì una seconda volta.

Il soffitto crollò.

Si aprì una voragine sufficientemente grossa per far passare un cacciatore, e Naruto non esitò a saltarci dentro - approfittando anche della confusione generale e dei numerosi Blackwatch rimasti schiacciati sotto ai detriti. Quando si trovò con i piedi su una moquette color pistacchio, miracolosamente solo e finalmente distante (anche se, a conti fatti, non si era allontanato che di tre, forse quattro metri in linea d'aria) dalla ressa, tirò un sospiro di sollievo.

Non aveva mai amato il silenzio, ma quella quiete momentanea gli parve meravigliosa.

Accennò qualche passo nel corridoio, giusto per darsi la sensazione di star effettivamente facendo qualcosa. Doveva andarsene, ma, per dirla tutta, non aveva una gran voglia di incappare nell'ennesimo manipolo di soldati disorganizzati e pronti a punzecchiarlo con i loro fastidiosissimi fucili.

Inspirò, gonfiando il petto. Ci doveva essere un ascensore, da qualche parte. Poteva entrare nel vano e scalare il cunicolo fino all'uscita... il problema era trovarlo.

Non aveva fatto nemmeno un passo, che il pavimento tremò violentemente.

Fu una scossa momentanea, eppure terribilmente forte: per qualche istante il campo visivo di Naruto vacillò, divenne sfocato, e il Prototype sentì chiaramente il rimbombo cupo di un'esplosione. Era vicina, sotto di lui.

Forse non più di cinque piani più in basso.

«Sasori...» sussurrò, sbarrando gli occhi. Ecco, doveva sbrigarsi.

Corse, cercando di recuperare il tempo sprecato, attraverso i numerosi corridoi del piano; ci mise parecchio - il che, in quel momento, equivaleva forse a tre minuti d'orologio - per trovare l'ascensore, ma alla fine scovò la porta di metallo che tanto cercava.

Sembrava sottile, fragile; la colpì con un pugno, affondando il braccio nell'acciaio quasi fino al gomito. Nel frattempo, le orecchie tese, colse un vago trambusto farsi sempre più vicino, e non si trattava di esplosioni: erano passi umani, grida concitate e ordini abbaiati a mezza voce.

Doveva immaginare che i Blackwatch ci avrebbero messo poco.

Divelse le porte dell'ascensore con gesti frenetici, scoordinati. Sotto di lui si spalancò ben presto una voragine buia, poligonale, con i cavi della cabina che passavano al centro, tesi come corde d'arco.

Stava per saltare, quando una voce lo bloccò.

«Zeus. È da decenni che volevo incontrarti di persona».

Si voltò. Chiunque fosse non l’aveva sentito arrivare, e questo poteva significare una cosa soltanto.

Incredulo, si trovò a fissare un ragazzo alto e magro, con i capelli corvini che gli incorniciavano il volto; i tratti avevano una delicatezza tipicamente orientale, e gli occhi, di un assurdo color rosso cupo – come quello del sangue appena versato, pensò Naruto – erano fermi su di lui con un’intensità quasi fastidiosa. Sorrideva, beffardo, le mani affondate nelle tasche di un paio jeans neri.

«Sasuke?!»

No, non era Sasuke. Benché gli somigliasse spaventosamente, aveva i lineamenti leggermente meno marcati e i capelli più lunghi – a voler essere più precisi, li teneva legati i una coda bassa; due rughe sottilissime, partendo dalla base del naso, gli scavavano diagonalmente il viso. Sembrava la versione più vecchia di Sasuke.

E fu in quel preciso istante che Naruto si ricordò di una conversazione avvenuta molto, molto tempo prima, un discorso che aveva dimenticato e seppellito negli angoli più reconditi della propria memoria.

... l'ho guardato in volto con molta attenzione. Ha i capelli neri, più lunghi del fratello, e i lineamenti meno marcati. A parte questo, gli occhi sono rossi”.

Deidara. Si ricordò ogni parola che si erano detti quel giorno, ogni informazione scambiata nel magazzino della base; poi, gli sovvenne anche un brandello della conversazione avuta con Orochimaru, poche ore prima. Come aveva fatto a dimenticarsi di quello che gli aveva detto Deidara?!

Io gli ho urlato qualcosa del tipo "ehi, chi sei tu" e lui mi ha risposto semplicemente "Itachi Uchiha"...”

Come aveva potuto essere così stupido?

«... Itachi. Tu sei... sei il fratello di Sasuke, non è così?»

L'espressione sul viso dell'altro si fece vagamente compiaciuta.

«Non speravo che foste arrivati già a questo punto... i miei complimenti».

«Che ci fai qui? Sei qui anche tu per... per sconfiggere Madara?»

Itachi inclinò la testa di lato, lentamente, e proruppe in una risata bassa, sarcastica; Naruto, osservandolo, capì che la sua presenza in quel luogo non significava proprio niente di buono.

La sola presenza dell'Uchiha gli metteva i brividi, ed era una cosa che non si poteva dire di molte altre creature.

«Oh, Zeus... sei cambiato molto, non c'é che dire. Non ti ricordavo così... ingenuo».

«Io...» Naruto spalancò le palpebre, preparandosi all'ennesima doccia fredda «... io non ti conosco».

«Ovviamente. Ma non siamo qui per parlare di questo, giusto? Madara mi ha chiesto di ucciderti».

«Cos... tu... tu lavori per Madara? Ma sai che Sasuke è...»

«Dalla vostra parte? Lo so molto bene, Zeus. Ora, ascoltami. Tu sai perfettamente cosa successe ad Hope, non è così?»

Naruto rimuginò qualche secondo, prima di rispondere. Se escludeva il tassello della morte del figlio di Elizabeth Greene, aveva una conoscenza completa dei fatti.

«Sì».

«Bene, perché non ho tempo di spiegarti nulla. Ti basti sapere che attualmente lavoro per Madara e che non posso in alcun modo rompere il contratto con lui».

Il Prototype guardò Itachi, confuso. Cosa stava cercando di dirgli?

«Io... non capisco...»

«Nemmeno Sasuke capiva. È sempre stato così indifeso, incapace di combattere per sé... sai, non ha avuto il coraggio di domandarmi perché lo stessi facendo, ma so che se l'è chiesto. In lui dev'essere rimasta l'ombra di quell'illusione... la protezione del fratello maggiore. Debole, stupido Sasuke».

Naruto ascoltò quel breve monologo con gli occhi sgranati, cercando febbrilmente di smontare il pensiero disgustoso che si andava formando nella sua testa.

«Che...»

«Ha provato a ribellarsi, sai? Lui non si ricordava di me. Nemmeno tu ti ricordi, giusto? Oh, ma tu hai subito capito chi ero... Sasuke non voleva crederci».

«Non mi dirai che-» incapace di proseguire, Naruto strinse i pugni. Con il cervello paralizzato dall'orrore e dalla rabbia, sentì qualcosa di indefinibile gonfiarsi dentro di lui, riempirgli la gola e il petto e lo stomaco, e tendersi e tendersi fino ad esplodere. Perché se aveva capito, se davvero aveva compreso il senso delle parole di Itachi Uchiha, nulla avrebbe potuto salvare quel verme dalla sua vendetta.

Nulla.

«Quando quel tuo amico... quel Deidara ha scoperto quello che avevo fatto, ha tentato di uccidermi. Sai qual'é stata la cosa più ridicola? Ha creduto di essermi superiore, e poi mi ha implorato di risparmiargli la vita. Decapitarlo è stato un vero peccato, visto quanto era bello. Non credi anche tu, Zeus?»

Ma Naruto non riusciva più a sentirlo.

Il campo visivo invaso da una foschia rossa, fissava quella figura nera al centro del corridoio con la consapevolezza bruciante che avrebbe tanto voluto divorarlo. Farlo a pezzi, strappargli via la carne dalle ossa a mani nude e spezzargli la schiena a calci, cavargli gli occhi - come lui aveva fatto con Sasuke, Dio santo - e lasciarlo dissanguare per terra. Non c'era nome per il sentimento che gli infiammava le viscere in quel momento.

Non c'erano atrocità sufficienti a riscattare quello che Itachi Uchiha aveva fatto. Nemmeno se avesse potuto ucciderlo più di una volta Naruto si sarebbe sentito soddisfatto, di questo era certo.

Voleva la sua sofferenza.

«Maledetto...» la voce gli uscì soffocata, un ringhio «... maledetto figlio di puttana...»

Si scagliò su Itachi ad una velocità che non sospettava di poter raggiungere.

Gli sferrò un pugno sulla tempia. L'Uchiha cozzò violentemente contro una parete, che esplose verso l'interno in una pioggia di calcinacci; steso sul pavimento di una camera buia, non ebbe tempo di rialzarsi prima che Naruto gli fosse nuovamente addosso.

Il Prototype non era in grado di pensare a niente.

Se provava a razionalizzare, a frenare la furia distruttiva che in quel momento sembrava aver sostituito il sangue nelle vene, l'unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era la testa di Deidara e la smorfia di dolore su quel viso bluastro. Era il volto dalle orbite nere di Sasuke.

Le dita mutate in artigli, si accanì sul petto e sul viso di Itachi con una frenesia che non aveva mai provato in vita in sua. Lacerò la pelle, le viscere e le ossa, martoriò il viso fino a renderlo niente più che un ammasso di frattaglie sanguinolente, gridò così tanto da perdere la voce e alla fine, quando quello sotto di lui non somigliò nemmeno lontanamente ad un corpo umano e tutti i suoi abiti furono intrisi di sangue, l'odio continuò ad infiammargli il cuore.

Muorimuorimuorimuorimuori - e non riusciva a pensare a parole che non fossero quelle. Gli rimbombavano nel cranio, lo assordavano, mentre contemplava le proprie mani intrise di sangue con gli occhi sbarrati e il fiato corto.

Poi, un movimento insolito catturò la sua attenzione.

Distogliendo lo sguardo dalle dita scarlatte per seguirlo, scoprì che davanti a lui c’era un corvo.

Era una bestia considerevolmente grossa, con il piumaggio lucido e dei minuscoli occhietti rossi pregni di una consapevolezza tutta umana; benché non fosse mai stato un tipo particolarmente acuto, al Prototype bastò guardarlo per capire cosa – o meglio, chi – aveva davanti.

«Itachi...?»

Tutto si dissolse.

L’attimo successivo, sbattendo le palpebre, Naruto si ritrovò sulla soglia del vano dell’ascensore. Disorientato, fissò prima Itachi e poi il corridoio: tutto era in ordine, il muro perfettamente integro; non c’era sangue, sui suoi vestiti, e l’Uchiha pareva illeso.

Impossibile.

«Tu, come hai-» il Prototype si interruppe a metà della frase perché ricordò che Deidara gli aveva detto anche quello. L’aveva avvisato che quell’Itachi era in grado di manipolare la mente delle persone e provocare allucinazioni, e sul momento lui non aveva dato troppo peso all’informazione; in quel momento si rese conto di quanto un potere del genere potesse essere pericoloso.

«Vedi, Zeus...» Itachi fece un passo verso di lui, lo sguardo fisso nel suo «... le persone vivono la loro vita aggrappandosi a ciò che conoscono e comprendono, e chiamano questo “realtà”. Ma “conoscenza” e “comprensione” sono termini vaghi. La realtà potrebbe essere un illusione».

Naruto non riusciva a capire. Gli sembrava un ragionamento fin troppo contorto per lui.

«Ci hai mai riflettuto? La tua realtà attuale è il prodotto delle esperienze passate. Se tutti i tuoi ricordi non fossero altro che menzogne, cosa ne sarebbe della tua vita presente?»

«I miei ricordi non sono menzogne. La cosa più recente che ricordo è quando mi sono svegliato in un laboratorio della Gentek, un anno fa, e sono scappato, quindi... su cosa potrebbero avermi mentito?»

Itachi corrugò le sopracciglia. Non se l’aspettava, evidentemente.

«Questo è molto interessante... peccato che il mio incarico mi offra poco tempo per parlare con te, Zeus. Se non combattiamo, Madara penserà che voglia tradirlo. E non credo che tu possa uscire vincitore da uno scontro con me».

«Tsk... se pensi che mi lascerò sconfiggere-»

«In questo momento sei intrappolato in una mia illusione. So che credevi di esserne uscito, poco fa, ma non è così. Sei soltanto passato ad un livello più vicino alla realtà».

Naruto ammutolì, preso alla sprovvista. Capiva anche lui che non c’era niente che potesse fare per contrastare un avversario simile, contro il quale la sua forza bruta era pressoché inutile.

E Sasori e gli altri lo stavano sicuramente aspettando.

«Che stai aspettando, allora? Se devi uccidermi... perché non l’hai già fatto?»

«Nelle mie illusioni,» riprese l’Uchiha, come se non l’avesse sentito «io posso parlarti senza che gli altri ci ascoltino. Voglio dirti una cosa molto importante, Zeus... promettimi che non la dimenticherai».

«O-ok...»

«Il mio potere...» sussurrò «... funziona soltanto se ho un contatto visivo diretto con l’avversario. Capisci che significa? Devo guardarlo negli occhi per pote-»

Si udì un nuovo boato, stavolta più vicino, e tutto il piano parve scuotersi come un ramo di salice nel bel mezzo di una tempesta. Il campo visivo di Naruto si schiarì improvvisamente, facendosi più luminoso e definito, e il ragazzo non aveva ancora capito di essersi liberato spontaneamente dell’illusione, che un ruggito squarciò l’aria. Frastornato, il Prototype riconobbe quel suono: era molto simile a quello dei cacciatori, anche se meno cavernoso, per certi versi più simile ad un grido umano. Prima che potesse anche solo chiedersi a cosa appartenesse, la sezione di soffitto compresa tra lui ed Itachi vibrò violentemente e crollò sotto i suoi occhi, sollevando una nuvola di polvere e pietruzze che per qualche secondo gli impedì di vedere bene.

Poi, il Prototype deglutì e, molto lentamente, fece un passo indietro.

Non sapeva se si trattasse di fortuna o sfortuna, ma sul cumulo di calcinacci appena caduti stava un cacciatore semplicemente enorme, con la testa piccola e tonda girata verso Itachi. Ringhiava.

Era la sua occasione.

Senza nemmeno pensare a quello che Itachi stava per dirgli, senza nemmeno chiedersi il perché della comparsa improvvisa e fortuita di quel bizzarro aiutante, Naruto saltò nel vano dell’ascensore. Dopotutto doveva preoccuparsi di Sasori, Kisame, Hidan Kakuzu e Zetsu.

Le parole di un nemico sconosciuto non potevano avere troppa importanza.


***


«Merda... questa schifezza rossa fa davvero schifo».

«La tua ignoranza non finirà mai di stupirmi, Hidan».

Kakuzu, con il corpo di Rock Lee appoggiato su una spalla, scese velocemente una rampa di scale. Si trovavano a poca distanza dall’uscita principale, e ormai la missione poteva dirsi compiuta, ma i soldati avevano avuto l’intuizione geniale di riattivare i diffusori di Bloodtox non appena Zeus aveva manifestato la propria presenza. Le maschere antigas riuscivano ad evitare che quei vapori si rivelassero letali per entrambi, ma i due infetti percepivano distintamente un senso di stanchezza e oppressione farsi largo dentro di loro, a mano a mano che avanzavano nella foschia rosata.

La pelle del volto di Hidan era arrossata e piena di grinze, massacrata dall’azione del veleno. Kakuzu aveva nel complesso un aspetto migliore, ma anche lui cominciava ad incespicare quando scendeva i gradini troppo in fretta, e la presa sul corpo dell’umano si era fatta meno salda; tuttavia, non si lamentavano: odiavano ammettere le proprie debolezze.

«Di’ un po’, ragazzina...» Hidan si appoggiò con la mandritta ad una colonna, riprendendo fiato. Inspirare significava trattenere ogni volta un conato di vomito, e diventava sempre più difficoltoso.

«... c’è una strada più breve per uscire da qua?»

Tenten negò con il capo, anche lei piegata sulla schiena dell’infetto.

«No, non c’è...» da qualche parte, in un remoto angolo del suo cervello, c’era del dispiacere per la situazione in cui i suoi due rapitori si trovavano. Si diede della stupida per aver formulato un pensiero del genere.

Eppure, se Zeus li aveva mandati a prenderla qualcosa di buono doveva pur esserci. Il Prototype, dopotutto, le aveva salvato la vita.

«Senti...» domandò, sperando che l’infetto non reagisse male «... puoi dirmi qual è il motivo preciso per cui ci state... ehm, portando via? Io non... non credo di aver capito bene, prima».

«Ah, fanculo...» Hidan aveva la voce stanca, impastata come quella di un ubriaco «... i vostri amichetti - com’è che si chiamano, Kakuzu?»

«Il salvataggio di questi due umani è stato richiesto da Kiba Inuzuka».

«Kiba?! Kiba è ancora vivo? Ed è con voi? Io non ci posso...»

«... credere. Sì, lui e gli altri due amichetti che si portava appresso sono finiti nella rete di Zeus. Hanno tentato di penetrare nella base e li abbiamo  beccati».

Per Tenten tutto fu immediatamente più chiaro. Evidentemente Inuzuka era stato catturato da Zeus e, messo a conoscenza dei suoi piani, aveva chiesto che li portassero via dal Gentek Palace perché stava per succedere qualcosa di davvero terribile, e quell’intervento non andava che a loro vantaggio. La consapevolezza che il proprio compagno stava bene le riempì il cuore di felicità, al punto da spingerla ad avanzare una proposta vantaggiosa nei confronti di coloro che fino a qualche minuto prima aveva silenziosamente coperto di maledizioni.

«Se sei stanco di portarmi in spalla posso camminare».

«Come?» Hidan la fissò con la coda dell’occhio, incredulo «Pensi di potermi fregare così facilmente, ragazzina?»

«No, voglio solamente evitare che i Blackwatch ci sparino addosso non appena saremo arrivati nell’androne. Potremmo fingere di star portando via un commilitone ferito in seguito all’attacco di Zeus... la tua divisa è anche strappata, sarebbe perfetto. Io sono un soldato di grado abbastanza alto per permetterci di uscire, e...»

«Non abbiamo né una barella né l’aria da portantini, e il tuo amico non porta nessunissima uniforme. E nemmeno tu, a dire il vero».

«Mi sorprende che assumano persone così sprovvedute nell’esercito degli Stati Uniti». Interloquì Kakuzu, dopo un colpo di tosse piuttosto roco.

«Io sarò anche una sprovveduta, ma non mi pare che voi vi siate organizzati meglio contro le armi del nemico. Dovreste conoscere il Bloodtox, visto che ieri è stato diffuso in tutta la città».

«Noi possiamo anche conoscerlo, ma finora Zeus è l’unico che è riuscito a sviluppare un’immunità decente a questa merda. Come cazzo fate a sopportare questa puzza di carne marcia, voi umani? Ce l’avete il naso?!»

Tenten scosse il capo, afflitta. Ok, magari la sua strategia non era propriamente grandiosa – dopotutto, avrebbe voluto vedere chiunque altro ad elaborare piani di battaglia a testa in giù sulla schiena di un mostro mutante – ma una volta che fossero arrivati nell’atrio i Blackwatch avrebbero potuto avvertire la minaccia e cominciare a sparare.

E, a differenza dei suoi simpaticissimi nuovi conoscenti, lei e Rock Lee non avevano il potere di rigenerarsi.


***


Aggrappata alle spalle sottili di Sasori, la valigetta stretta in grembo con l’ausilio maldestro della mancina, Hinata aveva una paura tremenda.

Le sembrava che il mondo scorresse attorno a lei ad una velocità semplicemente assurda, mentre l’infetto correva per i corridoi dal grattacielo e saliva rampe di scale con una celerità che non avrebbe mai supposto in un ragazzo dall’ossatura così sottile, apparentemente fragile. Eppure, riusciva a reggere il suo peso e correre come se nulla fosse.

Accolse con gioia il calore del sole, non appena sbucarono nel primo piano. Si era trattenuta dal gridare quando avevano risalito la tromba dell’ascensore – orribile, buia, anche se la ragazza sapeva perfettamente quanto gli occhi degli infetti vedessero bene al buio – ma nulla poté frenarla dal sospirare quando i raggi caldi e luminosi le accarezzarono la pelle.

Aveva pensato, inconsciamente, che sarebbe morta lì, nei sotterranei della Gentek, e non avrebbe mai più rivisto il cielo azzurro che invece occhieggiava oltre i vetri delle finestre.

«Come f-faremo ad uscire?»

«Prova ad indovinare».

Sasori era veloce, forte e silenzioso. I suoi passi non producevano alcun rumore sui pavimenti di linoleum del palazzo, e il suo respiro rimaneva impercettibile e calmo nonostante l’enorme sforzo a cui sottoponeva i muscoli.

Così, quando entrarono nell’androne, i Blackwatch non li videro.

Fulmineo, simile ad una saetta rossiccia, Sasori si spostò dietro le colonne della sala, attento a non destare l’attenzione di quei soldati che, sparuto gruppetto lasciato a sorvegliare l’entrata mentre il grosso delle forse si concentrava su Zeus, montavano la guardia al centro dell’atrio.

I suoi spostamenti erano notevolmente facilitati dalla nuvola di Bloodtox rossiccio che, compatta, riempiva tutto l’ambiente.

Uscì, così, senza esser visto.

Qualcuno lo notò, sul piazzale. Udì le grida e qualche sparo, ma era troppo lesto perché dei marines impreparati potessero colpirlo; si permise di rallentare l’andatura e – infine – concedersi una brevissima pausa solo quando ebbe messo un paio di isolati tra se stesso e il Gentek Palace.

Hinata, a quel punto, lo guardò. Le sfuggì un mezzo grido.

«Ma, la tua pelle... è completamente...»

«Lascia fare, è il Bloodtox». Sasori la lasciò poggiare i piedi a terra e poi si accarezzò una guancia, coperta di vesciche giallognole e croste «Mi sto già rigenerando».

«C-capisco. N-non dovremmo aspettare Zeus?»

L’infetto annuì, lanciandole una breve occhiata indagatrice. Non si fidava affatto di lei.

«L’appuntamento è a Central Park. È una zona infetta, ti conviene prepararti».

«I-io non ho p-paura».

«Ah, sì?» L’espressione sul volto di Sasori si fece beffarda «Vedremo».


***


Kisame era piuttosto soddisfatto della compagnia che si era trovato.

Matsuri era dolce, piacevolmente spaventata e, soprattutto, aveva due tette fantastiche; se avesse potuto fare una stima delle donne più belle che aveva conosciuto, soltanto la dottoressa pallida che per qualche tempo aveva vissuto alla base poteva batterla.

Aveva come la sensazione, però, che presto si sarebbe aggiunta un’altra concorrente in gara.

Non aveva ancora idea di come avrebbe fatto a portare via due donne insieme – soprattutto, non sapeva come Zeus avrebbe preso quella sua decisione del tutto autonoma – ma era assolutamente certo che non avrebbe mollato la ragazza con gli occhi da cerbiatta per nessuna ragione al mondo.

Si era rotto i coglioni di passare il tempo con gli indovinelli di Zetsu.

I laboratori in cui Ino Yamanaka stazionava si trovavano al piano -4, relativamente in alto; evidentemente, quella donna non si occupava di ricerche direttamente collegate al virus Idra, ma di progetti d’ordine più comune. Che fosse stata lei a creare quel gas dall’orribile puzzo dolciastro che aveva invaso buona parte dell’edificio?

«Ecco, ci siamo». Lo informò Matsuri, accennando con la testa alla porta scorrevole d’acciaio che li separava dalla sezione laboratori. Le misure di sicurezza di quel posto erano veramente impressionanti, pensò Kisame, peccato che fossero calibrate sugli standard degli esseri umani.

Gli bastò un calcio per aprire la porta.

«La stanza di Yamanaka-san è quella». Matsuri indicò una porta tra le tante che davano sul corridoio, e Kisame vi si diresse a passi pesanti. Sperò che gli altri non avessero già completato la propria missione, o Zeus l'avrebbe spellato vivo.

Appoggiò la grossa mano sulla maniglia e la tirò verso di sé; quando si sporse nella stanza, trovò ad accoglierlo un gruppetto di persone in camicie, apparentemente indaffarate intorno ad una serie di bancali pieni di apparecchiature.

Riconobbe Ino quasi immediatamente: era così bella che sarebbe stato difficile non notarla, con i capelli biondi trattenuti in una coda e i grandi occhi azzurri puntati verso di lui.

Sorrise, ed entrò.


"Non puoi scappare per sempre".

















_Angolo del Fancazzismo_

*Compare dal suo angolino buio, si avvicina al computer e sviene sulla tastiera.*

Chi. Ha. Parlato. Di. GRECO?

Ok, non desidero in alcun modo tediarvi con i miei problemi personali, ma... quante di voi hanno fatto il classico e ne sono uscite vive, potete dirmi se imparare a memoria i verbi particolari dell'aoristo secondo serve davvero a qualcosa, quando si trovano sul vocabolario in tutta tranquillità?

Non riesco a trovare una risposta.

Fortuna che c'è il fandom a risollevarmi il morale, ogni tanto. DVnque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e non vi abbia spinto eccessivamente al suicidio - come, invece, stanno facendo gli aggiornamenti di Naruto con me.

Ridatemi il vecchio Itachi, ridatemelo.

See you soon,

Roby


   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: GreedFan