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Autore: Mokochan    20/07/2014    5 recensioni
Parte Seconda, capitolo sette:
«E tu che ci fai qui?» domanda Shikamaru, sorpreso.
Il servo accenna un sorriso. «Ho sentito dei rumori mentre controllavo la tenuta e mi sono incuriosito. Tu non dovevi rimanere illeso?» aggiunge, dando un’occhiata a Naruto.
Il duca grugnisce. «Avevo proprio voglia di farmi trapassare la spalla da un proiettile, così sono uscito e mi sono fatto sparare dal primo pazzo che passava. Mi annoiavo.»

Parte Terza, capitolo tre:
«Trovo ammirevole la velocità con cui vi muovete malgrado le vesti che indossate, Lady Hanabi, ma gradirei poter concludere la nostra conversazione da fermi
[Avviso: questa storia sta subendo ancora qualche modifica ed è perennemente in fase di revisione, per dirla tutta. Mi scuso per gli errori che troverete durante la lettura] [Avviso 2: nel prologo ho inserito un altro avviso in merito]
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Han, Hanabi Hyuuga, Hiashi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sai | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Ino
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'NaruHina ~ Orange is better!'
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Bloody Rose







Capitolo Tre






Disagio: è questo ciò che prova Hanabi mentre percorre con gli occhi il lungo sentiero sterrato che supera gli imponenti cancelli della tenuta, per poi sparire fra un albero e l’altro, odiosa via di fuga per chiunque.
Quel sentiero, lo sa, è stato percorso mesi prima dalla sorella e dall’amante.
Cerca di immaginare la scena, la gioia che Hinata deve aver provato, ma quando si azzarda a visualizzare il volto di Minato non può nutrire che rabbia, e allora il volto svanisce, si disperde nella sua mente diventando vapore giallo e azzurro, pronto a dissolversi del tutto.
Le dà la nausea.
Afferra con le mani due lembi dell’abito che indossa e solleva la gonna da terra, attenta a non sporcarla, pronta a tornare fra le mura della tenuta tanto odiata.
Cammina, cammina, e poi solo pensieri confusi, calcoli insensati, due nomi che da ben una settimana le vorticano nella mente accompagnati da problemi di altra natura, futili fastidi di cui vuole fare a meno almeno per quel giorno.
Ino le apre celere la porta senza proferir parola; quando fa il suo ingresso nel salone, scorge subito l’elegante figura del proprio cugino, Neji, intento a conversare amabilmente con un altro ospite.
Sabaku no Gaara era tornato a far loro visita la mattina precedente, quando Neji aveva avuto la straordinaria idea di rallegrarla con un po’ di compagnia – come se la presenza di un uomo simile potesse distoglierla dal pensiero della sorella.
Hanabi sospira teatralmente, rivelando ai due gentiluomini la propria presenza.
«Cugina, vedo che non hai perso tempo,» osserva Neji, spostando gli occhi su di lei, un braccio poggiato su un bracciolo della poltrona su cui è seduto, l’altro intento a reggere un bicchiere di quello che agli occhi di Hanabi sembra brandy, «hai trovato piacevole la passeggiata?»
Orribile. «Sì, è stata deliziosa. Avevo bisogno di respirare un po’.»
Neji annuisce, soddisfatto. «Ormai l’autunno è alle porte. Meglio godersi quel poco sole che rimane prima di prepararsi ai mesi freddi.»
Non ti preoccupare, cugino. In questa casa c’è talmente tanto freddo che non ho bisogno di prepararmi a nulla: anni di gelo mi hanno resa immune a siffatte sciocchezze.
Hanabi nota ogni cosa, nulla le sfugge, sicché volge lo sguardo verso il nobile Gaara, che fa ondeggiare ritmicamente il liquore nel proprio bicchiere, come ipnotizzato dal suo infrangersi contro quelle pareti di fine vetro.
Non è riuscita a parlare granché con lui, ma Hanabi si è fatta un’idea piuttosto distaccata del carattere messo in bella mostra in quei pochi giorni e in quelle rarissime volte in cui c’era stato qualche scambio, il necessario per far felice Neji, una bella messinscena d’una normalità inesistente.
Un uomo tranquillo, senza pretese – comune ma al tempo stesso infinitamente distante dall’essere solo quello e nient’altro.
Hinata sarebbe stata più in sintonia con Gaara di quanto non sia io.
Qualcuno bussa alla porta.
Hanabi leva lo sguardo, spalanca le palpebre: gli occhi scuri di Sai, che si posano fin da subito su di lei; un lieve imbarazzo, una consapevolezza improvvisa. Tutto è dettato dal rapporto conflittuale nato fra di loro in quei due mesi, tutto la spinge a spostare la propria attenzione dove ritiene più opportuno.
Quei due mesi, piena estate, la mancanza della sorella, la rabbia.
Avverte una fitta, Hanabi, come di rimpianto, come se le proprie azioni non fossero state del tutto sbagliate; ciò nonostante, evita di far riemergere i ricordi, perché non sentirsi in colpa è l’ultima cosa che le serve.
Allora prende un respiro profondo e attende che lui parli.
Una riverenza e la sua voce che riempie il silenzio.
«Vorrei scusarmi per l’interruzione, ma ho bisogno urgente di parlare con voi, Lady Hanabi. Vostro padre mi ha ordinato di riferirle novità importanti.»
Come sempre, pensa la Hyuuga, muovendo qualche passo verso la porta, quasi impettita, con un fremito di rabbia a incendiarle lo sguardo lilla – e mentre si fa vicina al servo di suo padre, Hanabi non bada al cugino, né a Gaara, ma punta solo a Sai, decisa a uscire e superarlo.
Decisa a capire cosa accadrà da quel momento in avanti.
La porta si chiude di nuovo.
Questa volta la luce che illumina il lungo corridoio è tenue, inquieta, fa da sfondo a una conversazione che non piacerà né a lei, né a Sai.
Anche se lui, in fondo, non prova niente.
Anche se lui, in fondo, sa che non è affatto così.
«Riesco a percepire il vostro rancore» esordisce Sai, prima che lei possa dire alcunché. «Ma suppongo che gli ordini di vostro padre annienteranno le vostre speranze di stare alla larga da me.»
Belle parole, le sue – così irritanti.
«Credo di non afferrare dove vuoi andare a parare.»
«Immagino che non vogliate capire, ma fa lo stesso» Sai va verso la parete e picchietta un dito contro il muro ingrigito dagli anni, per poi voltarsi e posarvi la schiena. Dal suo sguardo non scaturisce nulla, sebbene Hanabi abbia la sensazione che quella sia solo una facciata, l’ennesima. «Dopo la fuga di vostra sorella con il duca Namikaze, vostro padre ha tentato in ogni modo di nascondere alla società l’imbarazzante avvenimento. Nessuno immagina – come potrebbero? D’altronde, le figlie del conte Hyuuga non sono mai state, nemmeno in passato, amanti della città; e Londra è sempre stata una meta occasionale, nulla più.»
«A questo punto, tuttavia, scansare inviti a balli, cerimonie e ricevimenti di dubbio gusto si è rivelato un problema non trascurabile. Il conte si vede oramai costretto a farvi partecipare voi  senza Lady Hinata, sperando che i nobiluomini e le nobildonne di Londra o di qualunque posto ove vi recherete non facciano caso alla sua assenza.»
«Come se gliene fosse mai importato qualcosa» bofonchia Hanabi.
«La sua incredibile abilità nel nascondersi ai balli per non conversare con nessuno è un vantaggio che non possiamo sottovalutare,» considera Sai, una nota d’ilarità nella voce, «vostro padre ha pensato a tutto. Questa strategia presuppone che parliate amabilmente con chiunque chieda di Lady Hinata, ma esige un controllo su quel che avrete l’ardire di raccontare.»
«Che cosa vuoi dire?»
Sai sorride, si sistema accuratamente la giacca. «Forse ci sto girando troppo attorno? Eppure avrei giurato che sareste arrivata alle vostre conclusioni prima che io potessi finire di esporvi il piano.»
«State insultando la mia intelligenza?» un violento rossore assale le guance di Hanabi.
«No, tutt’altro: la elogiavo, ma temo che il messaggio non vi sia giunto come avrebbe dovuto. Per farla breve e non prendervi in giro, mi è stato affidato il compito di scortarvi in ogni vostra uscita.»
L’orrore scaturito dal viso della ragazza deve essere così palese che, appena un attimo dopo, Sai scoppia a ridere sguaiatamente, fregandosene dell’offesa recatale con un tale atteggiamento.
«Non osare ridere!»
«Dovreste vedere la vostra faccia, Lady Hanabi, capireste perché mi è impossibile contenermi» risponde Sai, scuotendo il capo.
Rancore e disagio sono sentimenti di cui Hanabi cerca di sbarazzarsi immediatamente, senza intravedere risultati; il sorriso che danza sulle labbra del ragazzo le impedisce anche solo di pensare a qualcosa di abbastanza tranquillo da riportarla alla normalità, fredda e impassibile come ogni Hyuuga dovrebbe essere.
Ma uno Hyuuga così non è forse troppo freddo, troppo vuoto?
Uno Hyuuga, in effetti, è ciò che Hanabi non vuole più essere, ma desiderare allontanarsi è facile, accontentare un capriccio è fare una strada perennemente in salita.
«C’è qualcosa nel modo in cui mi guardate, Lady… dove state andando?»
Girare i tacchi e fuggire.
O almeno tentare sapendo che Sai la seguirà da lì a poco, continuando a deriderla, schernirla, senza che lei possa dire o fare qualcosa per impedirlo, complice l’enorme confusione che le annebbia sgradevole la mente.
Passi affrettati.
Così prevedibile.
«State scappando da me, per caso?»
«Affatto!»
«Allora potreste anche fermarvi e sentire ciò che ho da dire» dichiara Sai inseguendola.
Hanabi lo ignora e prosegue spedita, evitando di lanciare occhiate dietro di sé.
Al termine del corridoio li attende l’ampio salone d’ingresso, dove un paio di guardie sorvegliano l’enorme portone perfettamente immobili, imitazioni di statue dalla dubbia utilità.
Dalla precipitosa fuga di Hinata con Minato Namikaze, il padre aveva aumentato prontamente la sorveglianza, posizionando alcune guardie a ogni ingresso della maestosa tenuta.
Fin dal primo momento in cui le aveva viste, mesi addietro, Hanabi si era chiesta a che diavolo servissero, e ora che è lì, decisa a liberarsi di Sai, non può che porsi la stessa, identica domanda.
Non ci sono stati altri omicidi, pensa fra sé e sé, e non credo che il duca abbia intenzione di  tornare qui, quindi perché sorvegliare chiunque entri ed esca dalla tenuta?
«Trovo ammirevole la velocità con cui vi muovete malgrado le vesti che indossate, Lady Hanabi, ma gradirei poter concludere la nostra conversazione da fermi.»
La voce di Sai le giunge pacata, sebbene in essa vi sia una punta di esasperazione non indifferente.
Hanabi si ferma col fiatone fra le due guardie a cui quel giorno è affidata la sorveglianza; mettendo da parte ogni altro pensiero non inerente la propria fuga, e scoccando un’occhiata all’immenso portone d’ingresso con espressione disperata, decide di provare a fregare quell’insolente spia di Sai.
Poggia le mani sul chiavistello e lo solleva con forza.









«Avete intenzione di uscire?»
Hanabi si volta e abbozza un sorriso – non c’è nulla di buono nella soddisfazione che le piega le labbra, ma Sai non ha il tempo né la voglia di star lì a chiedersi cosa passi per la testa della ragazza.
«Sentite, voglio solo informarvi delle intenzioni di vostro padre, non mi sembra di aver da dire null’altro che questo» insiste poi, guardando da lei al portone che si schiude lentamente, permettendo a un raggio di luce di penetrare nel salone semi deserto.
«Non ho la benché minima voglia di ascoltare» dice Hanabi, spingendo nuovamente il portale, che si spalanca abbastanza da consentirle di fare un passo fuori. «Se vorrò udire altro, consulterò mio padre. E ora lasciami stare.»
Le ultime parole sono pregne d’irritazione tutt’altro che trattenuta, caricata quanto basta a lasciare interdetto Sai, che s’immobilizza per una frazione di secondo, il necessario perché la nobile lo noti.
«Che c’è? Sono riuscita a scoraggiarti, forse?»
Una risatina soffocata: una delle guardie tradisce il divertimento per così poco, meritandosi uno sguardo freddo da Sai e la benevolenza istantanea di Hanabi – o almeno così sembra, data l’espressione soddisfatta impressa sul suo volto orgoglioso.
Avevo detto a Naruto che sarebbe stato facile contenerla, che non mi avrebbe mai dato problemi, pensa la spia, sentendosi preso in giro, ma a quanto pare ho fatto male i miei calcoli. Peccato.
Fa per muoversi, prendendo in considerazione l’idea di attaccare al muro quella donna impudente, ma l’ennesimo ostacolo gli si para di fronte sotto la forma di un ordine perentorio.
E, per l’ennesima volta, non può agire come vorrebbe.
«Vi ordino di non lasciarlo passare. È mio volere fare una passeggiata da sola, senza disturbi di alcun genere!»










«Vuoi muoverti adesso?»
Sasuke è scettico, ma come dargli torto?
Naruto non è tipo da dare ragione all’amico, ha passato anni interi a battagliare con lui su qualunque argomento possibile con l’unico intento di ottenere ragione – sport, politica, donne, nobiltà, ogni tema è stato motivo di scontro fin dall’adolescenza –  ma ora non può non pensare che sì, Sasuke ha ragione, diamine, è troppo presto per agire.
È un passo falso che potrebbe mettere tutti in pericolo.
«Senti, so bene che è irragionevole» sbuffa, grattandosi nervosamente la nuca. «Portare Hinata a Londra con tutto quello che sta avvenendo… con tutte quelle spie pronte a ucciderci pur di ricondurla dal conte – ma non posso aspettare oltre.»
Non ha imparato niente.
Perché va bene concordare su una cosa, ma agire come vuole Sasuke è impossibile per Naruto.
E dunque uno sbuffo – Naruto ha smesso di contarli da quando ha messo piede nella tenuta dell’Uchiha – e un rimprovero fatto di mutismo, giacché Sasuke è un esperto di minacce silenziose.
«Non ti fermerò. Tanto è inutile parlare con te, preferisci metterci tutti nei guai.»
«Chi mette nei guai chi?»
Sakura entra nel salone in cui stanno conversando, al seguito la sua cameriera personale, una ragazza dall’espressione piuttosto allegra con cui Naruto non ho mai avuto occasione di parlare.
 «Ma no, Sakura… stavamo discorrendo della situazione…»
La voce di Naruto si spegne, mentre il cervello cerca di elaborare una risposta plausibile; non vuole rendere partecipe la donna della propria avventatezza, sa bene che questo farebbe infuriare Sasuke.
In quei giorni di tensione e frenetici preparativi, entrambi avevano provato a tenere Sakura all’oscuro di tutto, conversando solo quando necessario e lontano da orecchie indiscrete; ciò però non sembrava aver tenuto fuori la donna, che ogni giorno per ben due mesi aveva lanciato loro occhiate interrogative ed estremamente sospettose.
Perché Sakura stupida non è mai stata.
«Piuttosto, Hinata dov’è?» borbotta infine Naruto, deciso a distogliere Sakura dalla loro conversazione e da quei dubbi che le attraversano il viso, lievi eppure ben visibili persino a un tipo poco sveglio come lui.
«Hinata? Oh, è nelle sue stanze. Credo stia sistemando alcuni dei vestiti che le hai comperato. Era molto sorpresa quando le ho detto che erano in arrivo altri abiti.»
«Sperando siano di suo gradimento.»
«Lo sono, fidati,» ride Sakura, scuotendo il capo, «anche se in verità accetterebbe qualsiasi regalo, l’importante è che sia da parte tua.»
Naruto arrossisce vagamente, cercando tuttavia di dissimulare l’imbarazzo con un forzatissimo colpo di tosse.
«Beh, visto come stanno le cose… credo che andrò a sincerarmi di persona che sia tutto di suo gusto.»
Fa finta di non notare il puro ribrezzo insito negli occhi di Sasuke quando si alza dalla poltrona, consapevole che la loro discussione non è ancora finita, anzi, probabilmente è appena iniziata; le iniziative suicide non sono mai piaciute all’Uchiha, che ora si vede persino costretto a tacere per via di Sakura, di cui non è mai stato in balia, ma che per uno strano scherzo del destino pare esercitare una sorta di dominio dovuto alla gravidanza imminente, indi per cui non può che limitarsi a guardare Naruto mentre si avvia verso la porta scappando.
Perché sì, Naruto ne è consapevole: sta scappando da una violenta discussione solo grazie a Sakura.
Non può trattenere un sorriso a quel pensiero.
Imbocca un corridoio pieno di porte e stanze deserte, luoghi vuoti che non hanno mai ospitato nessuno e che presto si riempiranno di bambini urlanti dai capelli rosa e gli occhi verdi – o magari neri, e saranno antipatici come Sasuke, copie esatte che tormenteranno i suoi figli dalla mattina alla sera, prendendoli in giro.
Naruto si blocca in mezzo al corridoio, interdetto.
Figli.
Sta già… no, non sta pensando di avere dei figli suoi, non è possibile.
Oppure, ormai pienamente conscio dei propri sentimenti per Hinata, ha già iniziato – seppur involontariamente – a progettare di avere una famiglia, una casa tutta per loro, e addirittura dei pargoli,  perché pienamente cosciente che lei diverrà sua moglie?
Progettare simili eventi senza neppure averle chiesto la mano.
A ben pensarci, però, ha progettato ben altro senza porsi problemi di sorta, quindi perché fermarsi lì?
Riprende a camminare con la testa ingombra dai più disparati pensieri, su cui tuttavia l’ultimo prevale, poiché intimo e caldo – ben più di quanto avrebbe potuto immaginare – tanto da spingerlo a pensare che  sciacquarsi il viso possa servire a calmare i bollenti spiriti.
Cristo, cosa mi prende ora?
Giunge alla stanza di Hinata dopo non pochi minuti, passati a sbattere mentalmente la testa al muro e a rallentare il passo per far sì che il corpo torni innocuo e incontaminato da desideri che non può soddisfare.
Si schiarisce la voce e abbassa la maniglia, aprendo lentamente la porta.
Il suo primo pensiero  è che avrebbe dovuto bussare.
Hinata gli dà le spalle, ferma davanti all’alto specchio posto in un angolo ben illuminato dall’enorme finestra che occupa la parete alla sua destra, un paesaggio gradevole di campagna a colorare la vista.
Ma non è quello che monopolizza la sua attenzione.
Hinata si sta infilando uno degli abiti che le ha regalato senza la biancheria, che giace in un angolo del letto, abbandonata come nulla fosse.
Naruto geme interiormente e le osserva le spalle nude, la schiena liscia e candida, cosparsa qua e là di piccoli nei appena visibili; lo sguardo scivola sui fianchi morbidi e sinuosi in parte nascosti dalla stoffa di raso azzurro dell’abito, che cela alla sua vista quel che viene dopo, privandolo di una visione senz’altro gradevole.
La ragazza non si è accorta di lui: sta fissando qualcosa nel proprio riflesso sullo specchio –  qualcosa che lui non riesce a vedere – così pensierosa da non notare nemmeno il suo, di riflesso, immobile sulla porta, incapace di staccarle gli occhi di dosso e con il cuore che batte a mille.
Poi un calore diffuso attraversa le guance del duca, accompagnato da un altro, troppo intimo, troppo inopportuno – eppure sentirlo tale gli sembra sbagliato, un insulto quasi.
Perché trovarla bella, desiderarla a dismisura… quello no, non può essere sbagliato, non ci può essere vergogna alcuna  nell’amare non solo il suo spirito, ma anche il suo corpo, e di conseguenza dar vita a istinti naturali, dirette conseguenze di una passione che cresce giorno dopo giorno.
Quella pelle scoperta, la pelle candida.
La vuole toccare – farle capire quanto male gli fa non poterla sfiorare con le dita, saggiare la morbidezza della sua pelle.
Sussultare, voltarsi di scatto.
Non spostarsi, il corpo preda di una febbre incurabile.
«Hinata?»
Un rumore – un soprassalire lieve che distrugge la contemplazione – e lei che si volta, probabile preda di un imbarazzo crescente, una vergogna che verrà taciuta quando si sarà vestita, tornando innocente com’è sempre stata.
«Scusa, avrei dovuto bussare» si affretta a dire Naruto, abbassando il capo.
«Non… non importa. Non ti devi scusare.»
Di certo, pensa Naruto, consapevole, non percepisco le mie scuse come veritiere. Non posso pentirmi. Io voglio…
Respira a stento, emettendo un rantolio che non può contenere la tempesta emotiva che ha dentro di sé, il segnale che il suo corpo è sveglio e attende l’evolversi della situazione.
Per la prima volta Naruto comprende ciò che deve fare – anche a costo di risultare sfacciato, arrogante, persino pretenzioso agli occhi di Hinata.
Così fa un giro su se stesso, non provando nemmeno vergogna nel guardarla e nell’essere guardato con lo stupore che ci si aspetta da chi viene colto alla sprovvista dalla violazione di una intimità che Naruto vuole approfondire a ogni costo.
Hinata ha impresso disorientamento nelle labbra appena dischiuse e negli occhi lilla inevitabilmente spalancati. Le mani invece sono impegnate a tirare su l’abito, quanto basta per coprire i seni, di cui si riescono a intravedere giusto le rotondità.
«Naruto, cosa…»
«Se devo essere onesto, ero venuto qui per chiederti se gli abiti che ti ho portato ti piacessero,» la interrompe il duca, una sicurezza che cresce man mano che le parole scorrono, veloci «, ma credo che il mio intento sia cambiato per strada. Mentre venivo qui ho iniziato a… fare pensieri che sarebbe lecito non comunicarti, pensieri adatti al calore che ci ha accompagnati durante l’estate; niente che abbia a che vedere col tiepido arrivo dell’autunno.»
Una mano passa avida fra i capelli, il battito del cuore non dissimile da un tamburo che suona ritmicamente una ballata immaginaria e contorta, la creazione di un limite già superato.
Hinata, immobilizzata da uno sbigottimento crescente, sembra aver perso la facoltà di respirare.
Pende dalle sue labbra, incapace di opporsi.
«Ero certo di aver represso tutto prima di entrare, ma temo che la vista parziale del tuo corpo nudo abbia mandato tutto in malora. Mi è difficile staccarti gli occhi di dosso, ora. Non… non desidero fare altro. Guardarti ancora, nuda, di fronte a me.»
L’ennesimo sospiro – ma non è di Naruto, stavolta.
Hinata si mordicchia il labbro, abbassa lo sguardo.
«Sono sempre stato bravo a trattenermi. Per rispetto verso di te. Provare rispetto verso una donna come te è la cosa più bella che mi sia mai capitata,» mormora Naruto, studiandosi una mano, aperta e vibrante di azioni incompiute, gesti trattenuti, «rispetto a ciò che mi è stato insegnato, questo è un paradiso confortante che mi migliora ogni giorno di più – o meglio ho questa sensazione, non pretendo di essere un uomo privo di peccati, non lo sono mai stato, lo sai. Credo di avertelo ripetuto fino allo sfinimento per ricordarlo persino a me stesso. Perciò mi limito a esporti questa mia sincerità. Non sono in grado di nasconderti nulla che tu non percepisca già.»
Un movimento del capo di Hinata simile al consenso, poi i suoi occhi tornano a guardarlo.
Vi è una sottile consapevolezza, in quello sguardo.
Imbarazzo, tensione, una mente che elabora in fretta parole che attendono di avere un suono e di essere udite per la prima volta.
Ciò nonostante, lei continua a tacere, limitandosi a muovere alcuni passi verso Naruto, l’attesa di una risposta divenuta un tormento dagli occhi lilla e un’innata bravura nel celare le proprie intenzioni.
Quando ormai gli è davanti, troppi pochi centimetri a dividerli, Hinata allunga una mano e gli sfiora un braccio con le dita, finendo però per passare oltre, andando a catturare la maniglia della porta.
Resosi conto del gesto, Naruto s’irrigidisce, un nodo alla gola che sa di tensione.
Tira la porta verso di loro, Hinata, e nel farlo poggia il proprio corpo contro il suo, rimanendogli premuta contro finché la porta non si chiude con un clic che mozza il fiato a Naruto.
Quiete – solo due respiri che si mandano messaggi l’un l’altro per colmare il millesimo vuoto.
Infine, il viso di Hinata che si alza e l’ultimo messaggio, il più profondo che è in grado di consegnargli.
E la mano di Naruto, oramai tremante, distrutta dall’attesa, si leva verso l’alto e affonda fra i capelli di lei mimando una risposta  – e spingendola verso di sé la razionalità si perde in due occhi che si serrano bisognosi.










Hanabi spintona Sai e lo fa cascare su una sedia, furiosa.
Gli dà le spalle dopo avergli lanciato una penetrante occhiata di scherno, dopodiché si mette a cercare qualcosa in uno dei cassettoni della sua stanza, un rovistare affrettato che non sfugge a Sai, che attende con una mano su una guancia – gonfia e visibilmente violacea – e il sapore del proprio sangue sulle labbra e sulla lingua.
Hanabi si volta di nuovo con una piccola pezzuola di cotone e una boccetta trasparente in cui si intravede un liquido giallognolo, l’espressione ora indecifrabile.
«Quello sarebbe…?» domanda Sai, adocchiando la boccetta ma evitando di esprimere pensieri tutt’altro che positivi al riguardo, la sensazione che quell’innocuo contenitore racchiuda tutto fuorché del disinfettante.
«Oh, ti prego,» sbuffa Hanabi, notandolo, «non crederai che ci sia del veleno, spero!»
Sai abbassa la mano e sposta gli occhi scuri verso la finestra cautamente dischiusa, le tende mosse da un vento che si avverte appena.
«Tutto può essere.»
Hanabi torna vicino a lui e strappa via il tappo che sigilla la boccetta. «Se avessi voluto toglierti di mezzo, ti avrei avvelenato questa estate,» inveisce, imbevendo moderatamente il fazzoletto, «ma sei ancora qui. Ringraziami.»
Sai sorride divertito – non può aver detto davvero così.  
«Quindi vi aspettate un grazie per avermi risparmiato la vita.»
Hanabi si china su di lui e gli posa la pezzuola sulla guancia. «Sarebbe il minimo,» ammette, passandogliela con premura su un angolo della bocca, dove cola qualche goccia di sangue, «soprattutto dopo oggi. Se non li avessi fermati, sarebbe finita molto male.»
Sai le punta un occhio addosso, la freschezza del cencio ad alleviare il dolore. «Siete stata voi ad aizzarmeli contro, Lady Hanabi.»
Sospirando, Hanabi gli prende il mento fra le dita e con un gesto lo costringe a guardarla apertamente in faccia.
Il calore della sua mano lo coglie di sorpresa.
«Quando mio cugino dice che certe guardie non hanno il dono dell’intelligenza, suppongo non scherzi. Avevo ordinato loro di non lasciarti assolutamente passare, non gli ho detto di oltraggiarti fisicamente nel caso in cui tu avessi insistito. Tra l’altro, non hai nemmeno evitato che accadesse.»
«Perché avrebbero potuto farlo loro – evitarlo, intendo,» risponde Sai, piccato, «io avevo – e ho ancora, non dimenticatelo – il compito di informarvi dei piani di vostro pad-»
Il fazzoletto gli preme sulla bocca, serrandogli il respiro.
«E tu non dimenticare che sentire le parole di mio padre è l’ultima cosa che m’interessi» afferma la Hyuuga, la fronte corrugata e un battito di ciglia all’ennesimo cambio di espressione.
Gli libera la bocca con un gesto distratto, e mostrando maggior delicatezza comincia a disinfettargli il labbro spaccato, per poi tornare a inzuppare la pezzuola con quel suo bizzarro liquido giallastro.
È tutta concentrata in quelle operazioni mentre Sai la studia attentamente, passandosi un dito sul labbro per una frazione di secondo, un  fremito involontario a contatto con la ferita.
«Ti fa male?»
Hanabi inarca un sopracciglio, interrogativa.
Sai scuote il capo. «Solo vagamente.»
«Già. Scommetto che stanno peggio loro – considerando, ovviamente, che hai rotto il naso a entrambi.»
«È esasperazione quella che sento?» azzarda Sai, massaggiandosi il collo indolenzito.
Una delle guardie l’aveva strattonato per la camicia, prima di dargli un pugno che era costato molto sia a lui che al collega.
Hanabi chiude la boccetta e la rimette nel cassettone, prima di rispondergli: «Indovinato. Hai imparato per caso a identificare i sentimenti altrui?» aggiunge, nel vano tentativo di punzecchiarlo.
«Mi riesce difficile, in verità, quando si tratta d’altri, tuttavia trovo del tutto facile farlo con voi.»
«Oh, sono un libro aperto?»
«Senza alcun dubbio.»
Hanabi si posa le mani sui fianchi e lo fissa tacendo – ha il tipico sguardo indagatore, lo tira fuori ogni volta che un particolare attira la sua attenzione.
In quel caso specifico, Sai si rende che conto che le proprie parole hanno attivato un complesso meccanismo fatto d’analisi e sospetti, più un diritto del tutto inesistente di impicciarsi degli affari altrui credendo di fare del bene.
«Ora… sono curioso di sapere cosa vi passi per la testa.»
«Io invece sono interessata ad altro,» ribatte Hanabi, rilassandosi contro il cassettone, una ciocca di capelli a sfiorarle la guancia pallida come il latte, «e voglio solo un po’ di verità. Dici di essere privo di sentimenti, di non capire quelli altrui, eppure quando parli di me diventi improvvisamente empatico...»
«Siete ovvia persino per un tipo come me, certamente,» la interrompe Sai, sospirando – non gli sembra nulla di particolare, quel discorso, «e non ci vedo nulla di strano.»
«Ne sei così sicuro? Non pensi che sia per qualcosa in particolare?»
Gli occhi chiari di Hanabi paiono inchiodarlo sulla sedia, ora, e questo non è niente di buono.
«Vorrei evitare di chiedere chiarimenti in merito alle vostre insinuazioni, Lady Hanabi…»
«Così però confermi i miei sospetti» replica Hanabi, un sorrisetto non troppo trattenuto a illuminarle il viso.
Pensandoci bene, Sai comincia a prendere in considerazione l’idea di alzarsi e andarsene, ma un sentimento non dissimile dalla testardaggine lo invita a restare lì, in balia della nobildonna.
In balia, inconsapevole, di un interrogatorio fuori dagli schemi.










«Vostra cugina non sa nulla, a quanto ho capito.»
Gaara solleva il bicchiere e lo fa ondeggiare davanti al viso, seguendo il vorticare leggero del liquore in esso contenuto, gli occhi tuttavia puntati anche sul nobile Hyuuga, la cui immagine attraverso il bicchiere è deforme ma ugualmente rigida.
Un tasto dolente sta per venire a galla.
«Non potrei comunicarle la novità nemmeno volendo,» mormora Neji, le mani vuote, il bicchiere posato sul tavolino basso che gli è accanto, «tuttavia, se sapesse... non si comporterebbe così. Questa estate è stata un inferno per noi. Non che prima le cose andassero meglio.»
Gaara si muove impercettibilmente sulla poltrona; infine, posa anch’esso il bicchiere. «Mio fratello continua a dire che sarebbe meglio evitare di mettere al corrente anche la giovane Hyuuga. La fuga di sua sorella Hinata ha già creato abbastanza scompiglio.»
«È stata clamorosamente egoista
La voce di Neji è un sospiro lieve, esausto, che giunge alle orecchie di Gaara come la conferma di un affetto sincero verso la cugina perduta – o salva, ma quello è ancora da vedere, perché certi piani avventati rischiano davvero di mandare tutto all’aria.
«A Londra mi avete convinto rischiando molto,» dice Neji all’improvviso, fissandolo con quelle sue glaciali iridi lilla, «cosa avreste fatto se avessi deciso di non collaborare?»
«Vi avremmo ucciso. O rapito, così da evitare spiacevoli incidenti,» è la risposta del nobile Gaara, detta troppo alla leggera per sembrare vera – anche se lo è, di questo non c’è da dubitare, «ma non ci siamo soffermati su eventuali imprevisti. Naruto,» nel pronunciare il nome del duca abbozza un sorriso, «aveva la certezza della vostra collaborazione. Diceva che voi avevate – e avete –  tutti i motivi per aiutarci. Motivi validi,» aggiunge pacato, «non troppo diversi dai suoi.»
Neji lo scruta pensieroso, le parole che si levano fra di loro invisibili, dopodiché riversa l’attenzione sui bicchieri posati sul tavolino: uno mezzo pieno, l’altro vuoto.
Poi le sue labbra si piegano lievemente verso l’alto, giacché un ricordo torna a fargli visita, e annuisce un poco, quel tanto che basta a confermare quelle parole dal sapore inconsistente.
Perché quei motivi sono troppo chiari, e il ricordo che gli riempie la mente non fa che renderli ancora più dolorosi.
«Possiamo procedere, allora.»
Stavolta le parole di Gaara chiudono tutto, anch’esse dolorose.
Iniziano i giochi.



Fine Capitolo Tre


Note dell'autrice:  dopo anni e anni e anni dall'ultimo aggiornamento, finalmente torno. Un po' zoppicante, ma l'ispirazione è quella che è - e possiamo dire che l'esitazione ad aggiornare sia nata dopo una veloce rilettura di tutta la storia, ma sorvoliamo sul mio essere schizzinosa verso tutto ciò che esce dalla mia testa malata. Ehm. In ogni caso cosa posso dire? Il capitolo - anche questo - è dedicato a Katia, perché la storia è per lei e sarà sempre per lei (e mi scuso pure qui per il mio addomentarmi davanti al pc praticamente tutte le sere, suppongo le nostre conversazioni, Katia, non siano così divertenti messe a 'sto modo atroce ç__ç). Ehm. Cos'altro dire? Passano gli anni, ma vedo con piacere che c'è ancora gente che scova BR (che sta per Bloody Rose, eh, non pensate) e... sì, insomma, le liste parlano da sole.
Vi ringrazio per leggere ancora questa storia, ringrazio le due-tre personcine che anche solo con un minuscolo 'mi piace' ai post su BR sulla mia pagina facebook mi fanno sentire il loro affetto per questa Long e... niente. Credo di aver detto tutto. Ringrazio la mia beta, Yume_no_Namida, per il velocissimo betaggio, e ringrazio soprattutto i vecchi lettori che mi hanno sostenuta negli anni passati.
Bene, ora vado! Un bacione,

Mokochan


   
 
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