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Autore: EffyLou    14/11/2017    2 recensioni
Londra, Inghilterra. 1888.
«[...] Se siete qui è perché siete individui curiosi, coraggiosi, bramosi di scoprire nuovi mondi. E noi, umili artisti e fenomeni da baraccone, siamo al vostro più totale servizio Ma badate bene: non lasciatevi sopraffare dalle regole della società. Nel perimetro dell'Imaginaerum... non bisogna opporre resistenza. Potreste fronteggiare cose inspiegabili, magiche forse. Non fatevi domande, perché non avrete risposte»
- - - - -
La compagnia circense Imaginaerum è sulla bocca di tutti e genera emozioni contrastanti nel popolo e nell'individuo singolo: provocano curiosità per la ventata di novità e il tocco osé, ma al contempo vengono disprezzati per i loro azzardi.
Quando Jack lo Squartatore comincerà ad infestare Whitechapel, Scotland Yard dovrà far fronte anche alla misteriosa scomparsa di bambini per mano di colui che viene chiamato il Pifferaio Magico. L'Imaginaerum finisce sotto i riflettori: non è possibile che quell'accozzaglia di straccioni non c'entri niente.
Genere: Dark, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo terzo
 
 
La neve si era sciolta, lasciando spazio alla primavera e allo sbocciare dei fiori, l’erba verde come smeraldo, la terra umida era stata nutrita ininterrottamente per tutto l’inverno.
Il ritmo degli spettacoli, con l’arrivo della bella stagione, si era fatto più frenetico ed intenso. Nei giorni di riposo, in cui erano aperti solo il Tempio di Gipsy e il Teatro delle Pulci, se ci si aggirava nei dintorni dell’Imaginaerum si notava un grande fermento di preparativi: un via vai di artisti, animali, attrezzature.
Klunni, il clown e mimo del circo, offriva dolciumi ai bambini che si avvicinavano timidamente alla recinzione che segnava il perimetro. Tramp era più invadente e cercava quasi di trascinarli a partecipare ai laboratori, spesso beccandosi anche le grida e gli insulti di pre-adolescenti irascibili o genitori protettivi. Si era anche beccato un pugno per questo, e Carmen – vedendolo arrivare con un occhio nero – aveva emesso un sospiro di rassegnazione.
Klunni e Tramp erano i giovani cugini della donna, tutti e tre venivano dalla Scozia e condividevano i capelli ramati. Carmen, al contrario dei gemelli, non era mai stata una donna di circo. Klunni e Tramp avevano cominciato la loro arte da bambini, nei laboratori organizzati proprio dall’Imaginaerum, e fu in quelle occasioni che la donna conobbe MadKing, il figlio di Faust. Al tempo, MadKing era uno scherzoso clown trapezista, ma aveva avuto un orribile incidente da giovane in cui si spezzò il femore, e la sua carriera venne stroncata brutalmente. Da allora sfruttò il suo carisma e divenne presentatore. Da allora camminava con andatura zoppicante, strascicata, appoggiandosi sempre al suo fedele bastone su cui era incisa la testa di un elefante in avorio.
Erano stati anni duri, in cui i guadagni del circo e la concentrazione degli artisti erano canalizzati sulla salute di MadKing. Da quell’incidente, sembrò che ogni cosa andasse male: il figlio che aveva avuto con Carmen morì di polmonite a un anno; la giocoliera Jona scomparve improvvisamente – morta o scappata, non fu mai chiaro – e suo marito, il mangiafuoco Fan, abbandonò il circo per cercarla lasciando suo figlio Diablo alle cure di Carmen, che lo crebbe come se fosse suo; e MadKing, prima per l’incidente e poi per la morte del pargolo, non restò mai completamente lucido. Si abbandonò all’alcool e all’oppio per dimenticare le sofferenze.
Faust non sapeva come fare, quando vide suo figlio in quello stato penoso. La notte non lo vedeva nella sua carovana, durante il giorno non si presentava alle prove, durante gli spettacoli – se si presentava – era brillo o completamente ubriaco. Era stato spesso costretto a girare per tutte le bettole e fumerie delle varie città per cercarlo e riportarlo all’accampamento, spesso in stato penoso.
Il buon vecchio Faust era stremato, sofferente per la situazione di suo figlio, abbattuto per il destino dell’Imaginaerum che, conseguenzialmente, non attirava più spettatori e gli artisti pativano la fame.
E fu allora, proprio quando aveva toccato il fondo, che si presentò un benefattore.
Faust si era sempre ritenuto fortunato: ogni volta che oltrepassava il limite, la Provvidenza interveniva nella sua vita e gli inviava qualcuno in grado di risolvere i suoi guai.
Quella volta venne raggiunto una gelida notte di fine dicembre, una decina d’anni prima. Forse correva l’anno 1878. Si trovava a Berlino. Quella stessa sera aveva recuperato dalla strada la piccola Persia, quasi congelata, e l’aveva presa con sé nell’Imaginaerum. E mentre lei si scaldava nel tendone – che in seguito divenne il suo Tempio – Carmen lo avvisò che c’era un uomo di fronte ai cancelli e chiedeva esplicitamente di lui. Quella fu la notte di ogni cambiamento per l’Imaginaerum.

 
Il direttore del circo si avvicinò ai cancelli, arrancando nella neve che raggiungeva le ginocchia. Da lontano poteva vedere le tenui luci delle strade di Berlino. Ma appena oltre il cancello, si stagliava la figura oscura di un uomo. Portava un cilindro ornato da piume di pavone, e un completo nero. Riusciva solo a vedergli il mento, la pelle era di un pallore mortale come se avesse la tubercolosi.
«Posso fare qualcosa per voi?»
L’uomo col cilindro accennò un sorriso. «No. Ma io posso fare qualcosa per te»
«A meno che non siate capace di far sparire tutti i miei guai con uno schicco di dita, dubito che possiate aiutarmi. – replicò piccato. – Pertanto vi invito a tornare a casa»
«Tu sei il mio Faust. Lascia che schiocchi le dita: vendimi il circo. Tutti i tuoi guai svaniranno»
 
In quella notte vendette il circo a Mefistofele e acquisì il nome con cui tutti lo conobbero da allora: Faust.
E Faust era convinto che si trattasse di Jorgen: gli aveva risolto i problemi di cantastorie affidandogli lo Specchio dell’Altrove ed ora aveva risolto i problemi del circo acquistandolo.
Mefistofele, o Jorgen, aveva sempre operato per il bene, aiutandolo in momenti difficili, eppure c’era un che di ambiguo e perverso dietro i suoi aiuti.
Lo Specchio aveva risollevato i suoi affari da cantastorie e da lì era partita l’idea di fondare un circo. La sua nuova gestione aveva risollevato gli affari dell’Imaginaerum e il morale degli artisti rimasti, guadagnandone di nuovi e un pubblico folto, ma aveva imposto regole difficili da rispettare: il pubblico poteva disporre degli artisti come desiderava prima, durante, e dopo lo show, e i legami affettivi che superavano una certa soglia non dovevano esistere. Solo chi era coniugato da prima della “nuova gestione” si salvava, come MadKing e Carmen, o Bubblegum e Boris. Erano all’apparenza sembrate regole molto banali, ma presto scoprirono che viverle era più difficile del previsto. Era una privazione della libertà. Un paradosso che cozzava con lo stile di vita apparentemente nomade e libero della compagnia.
Mefistofele non era mai all’Imaginaerum, non si faceva mai vedere né sentire, eppure c’era qualcosa di oscuro in lui: non si sapeva come, ma sapeva esattamente cosa accadeva nel circo. Aveva occhi e orecchie in ogni angolo, come se fosse nell’etere, e l’unico punto che la sua vista non riusciva a raggiungere era il Tempio di Gipsy.

 
─ ⚜ ─
 
 
Con l’arrivo della bella stagione, il ritmo degli spettacoli e delle attività aumentò.
La sera, dopo che i cancelli venivano chiusi, si mettevano tutti nello spiazzo di fronte al tendone comune, sopra di loro solo le stelle. A volte riempivano l’aria con la musica: Nahuel abbracciava una chitarra, Prittle accompagnava con un tamburello e Persia scandiva il ritmo con i cimbali; altre volte non si curavano neppure di parlare, se la giornata era stata troppo faticosa. Ma riunirsi tutti la sera era come un rito, non era mai successo che qualcuno non partecipasse.
Quella sera, come loro solito, erano radunati allo spiazzo. Faust li stava intrattenendo raccontando storie. Un tempo le pensava solo per i bambini, ma con la nascita del circo era stato costretto a rivisitarle e adattarle anche ad un pubblico adulto. In ogni caso, tuttavia, i bambini del circo erano mentalmente molto più grandi degli altri.
La storia che stava narrando riportava al Medioevo, più precisamente in Irlanda:
 
« Domnall ua Néill era il re supremo d’Irlanda in quel periodo. Superstizioso oltre ogni aspettativa, dominava dalla collina di Tara incollato alla Pietra del Destino… come se temesse che, standole lontano, potesse essere escluso dallo scorrere del Fato.
Sotto il suo dominio non si poteva dire che in Irlanda ci fosse un’evoluzione, ma nemmeno una digressione. Erano bloccati tra le pieghe del tempo, intrappolati in uno strato di realtà immobile.
E forse per questo nessuno lasciava il villaggio, e nessuno entrava.
A Dunshaunghlin non c’erano mai volti nuovi. Era una realtà chiusa e isolata: nessuno sapeva cosa accadesse fuori, e fuori non sapevano cosa accadesse nel confine delle palizzate di legno che dovevano fungere da mura di protezione.
Protezione da cosa?
Gli abitanti del villaggio raccontavano ancora vecchie leggende dell’antico popolo di dèi, i Tuatha de Danaan: sul finire del giorno, in quel limbo sospeso del tempo, una fitta nebbia s’era sollevata dalla collina di Tara e s’era poi diradata poco dopo mostrando quel meraviglioso popolo. I poveri contadini s’erano spaventati a morte ed erano scappati via. Ma a Dunshaunghlin c’erano sempre stati druidi o saggi, persone che si facevano domande e cercavano risposte, e si erano avvicinati timidamente a quel popolo, da cui appresero arti e scienze. I loro insegnamenti, all’avanguardia per l’epoca in cui s’erano mostrati, erano solo quelli. Non li incontrarono più, e nessuno apprese altro. Fermi in quel limbo.
Poi i contadini, tornati sulla collina di Tara, videro che c’era piantato un monolite alto quasi venti metri. Con antiche rune, c’era scritto che serviva a tenere l’Irlanda ancorata al fondo del mare e non farla sprofondare. Un regalo dai Tuatha de Danaan, e da allora il monolite venne chiamato Lia Fáil, la Pietra del Destino. Da allora, tutti i re supremi d’Irlanda vissero sulla cima della collina di Tara come se fosse di buon auspicio. Ma i popolani che non avevano avuto la fortuna di conversare con i Tuatha de Danaan credettero che si trattasse di demoni, e innalzarono una palizzata intorno al villaggio per tenerli fuori. Consacrarono la terra e innalzarono simboli sacri
Da Dunshaughlin, se si alzava un po’ il naso da davanti a sé, si riusciva a vedere la collina con le strutture che erano state costruite e il monolite che spiccava al centro di esse. Qualche vecchia del villaggio borbottava d’aver visto luci e chissà che altra diavoleria.
Strani anni, quelli. C’era l’ansia della fine del mondo, poiché tra trent’anni sarebbe sopraggiunto l’anno Mille, e non sembrava un buon presagio. Strani anni, quelli. In cui i druidi e i sacerdoti sentivano muoversi nell’aria forze superiori, ma non era chiaro se benevole o maligne.
In ogni caso, non era il momento di pensarci, quello. Erano in tumulto i preparativi per la festa di capodanno. Il Samhain andava celebrato sul livello fisico e spirituale.
Dal punto di vista materiale era fondamentale raccogliere l’ultimo grano e immagazzinarlo per l’inverno. Essere soli durante il Samhain significava esporsi al pericolo e alla morte.
Dal punto di vista spirituale, il giorno di Samhain era un giorno che non esisteva. Era fuori dalla dimensione temporale, non apparteneva né all’anno nuovo e nemmeno a quello vecchio. Il mondo si fermava, e solo per quel giorno le barriere tra due realtà si affievolivano al punto che il regno dei vivi e quello dei morti s’incontravano e si amalgamavano. Grandi festeggiamenti venivano svolti per coloro che non camminavano più su quella terra ma che, solo per quel giorno, potevano riabbracciare i loro cari.
Un momento toccante, che finiva con l’alba del nuovo giorno e dell’anno nuovo, in cui le ombre e i fantasmi del passato sparivano fino al prossimo Samhain.
Purtroppo però, non sempre il Samhain era gioioso. Capitava che i demoni camminassero tra quella gente con piedi umani, ed era il momento più proficuo della loro perpetua caccia alle anime. Non erano quelle dei morti che interessava loro, ma quelle dei vivi. Molti di loro, presi dallo sconforto per la nostalgia di un affetto perduto, erano disposti a donare qualunque cosa per riaverli indietro o trovare un compromesso per restare con loro.
Bisognava prendere precauzioni per il Samhain, ma a Dunshaughlin non importava: il loro villaggio sorgeva su un territorio ben protetto e consacrato come una grande chiesa a cielo aperto.
Ma era un momento di vulnerabilità per tutti.
Con l’arrivo dell’inverno e l’ultimo raccolto del grano, il Dio moriva. Erano molti i nomi che gli avevano dato. In Irlanda era Cernussos, e forse era uno dei nomi che gli piacevano di più.
Come ogni anno, da quando l’uomo aveva imparato a coltivare la terra, attendeva il suo momento. Sapeva che sarebbe tornato in vita, ma prima doveva sacrificarsi. Doveva morire. E alla morte non sarebbe mai riuscito a fare l’abitudine.
Samhain era arrivato ormai, e con esso sarebbe arrivata la tempesta distruttiva che avrebbe devastato le terre dei contadini per tutto l’inverno. Già vedeva le nuvole appesantire l’orizzonte, sembravano quasi concentrarsi intorno alla Pietra del Destino. Là, dove il re Domnall stava facendo preparare minuziosamente ogni dettaglio per il banchetto. Come ogni anno da quando era al potere, avrebbe invitato tutta Dunshaughlin, che raggiungeva a malapena i settecentocinquanta abitanti, e la sua sala dei banchetti vantava settecento posti. C’erano inoltre la mensa dei druidi, dei bardi, dei guerrieri, e dei Feniani – i Cavalieri del Destino, protettori d’Irlanda. Tutti concentrati sulla collina di Tara, ad attendere gli spiriti amici e pronti a scacciare quelli nemici.
Samhain significava anche sospensione dei poteri reali. In passato, per sottolineare il concetto, la dimora reale veniva incendiata. Ora si limitavano ad immergere il loro re in una botte di vino, come ad affogarlo, per simboleggiare una morte spirituale e la rinascita dopo che tornava a galla a respirare. Era importante partecipare al Samhain. Non farlo significava escludersi dal tempo, esporsi ai pericoli. Perdere dunque la ragione, e in casi estremi morire.
Tutto, nella notte di Samhain, ricollegava alla morte. Anche il rituale che veniva effettuato. Ogni cosa gridava alla morte, persino le Pleiadi che sorgevano annunciando l’inverno significavano la supremazia della notte sul giorno. Ma come ogni anno, solo un’entità sarebbe morta. »
 
Bubblegum alzò la mano, come a chiedere il permesso per parlare. Faust glielo concesse con un cenno del capo, e la donna parlò: «Il Samhain? Che festa sarebbe?»
«Halloween» rispose Carmen.
«Esistono davvero tutti i luoghi che hai menzionato?»
Faust sorrise, una sottile rete di rughe si formò sulle sue guance: «Ma certo. Leggenda vuole che la collina di Tara fu realmente visitata dai Tuatha de Danaan. Oggigiorno, quel popolo, viene chiamato anche Piccolo Popolo. Ci sono molte leggende a riguardo»
«Ce le racconterai tutte?» domandò Alegria, che stringeva la povera Mune come fosse una bambola di pezza. La scimmietta agitava la coda sotto il naso del ragazzino sperando di solleticarlo ed essere liberata. Ma lui non dava segni di volerla lasciare.
«A tempo debito, ora fatemi terminare la storia»
Faust riprese con il suo racconto introducendo un’altra entità, maligna, con il ruolo di “boia” del Dio menzionato dalla storia. Tuttavia l’attenzione di Persia era rimasta concentrata in un punto particolare della storia, in cui il cantastorie aveva detto che quelli erano “strani anni” perché druidi e sacerdoti sentivano muoversi nell’aria forze superiori di ambigua natura.
Forse era solo la sua vena paranoica, eppure conosceva Faust ormai: aveva mezzi contorti per far arrivare i messaggi che desiderava, ma se li mandava era per un motivo.
Nessuno dubitava delle capacità del vecchio. Nessuno dubitava delle sue conoscenze esoteriche e alchemiche. E, per quanto strano sembrasse, nessuno dubitava del fatto che lui avesse conoscenze molto particolari. Per questo si trascinava dietro la fama di aver fatto un patto col Diavolo. Qualcuno diceva che Faust fosse pazzo. Persia non lo credeva.
Lo considerava un uomo di rara intelligenza e altrettanto rara sensibilità e fragilità, di immensa cultura, eppure era contorto nel comunicare. Chi lo conosceva poteva, forse, afferrare i significati impliciti delle sue parole.
Persia non dubitò che quella storia, in particolare quella parte su energie superiori, fosse una trasposizione di ciò che aveva percepito Faust. Ma cosa aveva percepito? Anche lei aveva individuato strane anomalie durante la lettura dei Tarocchi, e praticando le arti divinatorie si imparava da subito che coincidenze e caso non erano concetti contemplati. Per questo non pensò che quelle stranezze fossero dovute solo alla casualità. Ma era successo solo due volte, e non si era allarmata. Avrebbe dovuto parlarne con Faust, ma non l’aveva fatto, lui aveva percepito le stesse cose e lo stava comunicando all’unica persona, lì in mezzo, che potesse comprendere le sue parole.
Faust terminò il suo racconto parlando del sacrificio del Dio, che rappresentava la morte della natura e l’inizio di un nuovo ciclo. Ma Persia non aveva sentito una parola dell’ultima parte della storia, aveva tenuto gli occhi ambrati fissi sul volto rugoso del vecchio.
Tutti intorno a lei si alzarono per andare alle carovane. Faust attese seduto che se ne andassero tutti, come se sapesse già che la giovane chiromante avesse qualcosa da dirgli.
«L’hai notato anche tu» esordì infine il vecchio, e non era una domanda. Il tono di voce era privo di emozioni, piatto, e gli occhi enigmatici. Come se stesse cercando di comunicarle qualcosa con lo sguardo. In quelle torbide pozze scure, Persia poteva quasi vedere l’infinito e oscuro mondo interiore di Faust, i demoni che si aggiravano nel suo animo, i suoi segreti.
«Avrei dovuto parlartene prima. I Tarocchi hanno preso una strana combinazione durante le ultime letture, sta per succedere qualcosa»
Lui si adombrò. «Parliamone al Tempio, lontani da orecchie indiscrete»








 
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Buonasera! O buonanotte, ecco (?)
In questo capitolo ci addentriamo un pelino di più nel passato di Faust, e in misura ridotta anche in quello di Carmen e MadKing - che sono coniugi. 
Eeee sì, Faust era il cantastorie del prologo. Tutto sommato non doveva essere una sorpresa, ma ho voluto dirlo esplicitamente solo in questo capitolo.
Ah sì, la storia che racconta del Samhain non ci azzecca nulla con il contesto in cui si muovono i personaggi (primavera) però ho pensato che a Faust no importasse niente, e più che del Samhain volesse far arrivare quel messaggio a Persia e allo stesso tempo raccontare della leggenda dei Tuatha de Danaan alias Piccolo Popolo alias Sidhe. Per il puro gusto di intrattenere. Perché il tema del Samhain? Perché è l'inizio di una one-shot che scrissi in onore di quella festività, ma che poi cancellai, e me la sono rivenduta per Spotlights. ECCO.
Come avevo detto la scorsa volta, vi metto un breve specchietto con i personaggi più importanti del circo che sono comparsi finora, con età, luogo di nascita, ruolo nella compagnia ed eventuali parentele:

 
Faust → 73 anni, Brema (Germania) ; illusionista, giocatore di prestigio, mago ; padre di MadKing.
Persia → 24 anni, Shiraz (Persia) ; chiromante, danzatrice.
Diablo → 27 anni, Lund (Svezia) ; mangiafuoco, giocoliere, mangiaspade ; figlio di Jona e Fan (non più presenti).
Alegria → 13 anni, Malaga (Spagna) ; addestratore della scimmietta Mune ; fratello di Nahuel.
Dolly → 13 anni, Bucarest (Romania) ; trapezista, ginnasta.
Nahuel → 27 anni, Malaga (Spagna) ; guardiano delle gabbie, aiutante ; fratello di Alegria.
Prittle → 23 anni, Barcellona (Spagna) ; ginnastra, trapezista, equilibrista.

Ne sono stati nominati altri come Kalì, Kà, Bubblegum, Boris, Klunni e Tramp, MadKing e Carmen... ma avranno ruoli marginali. In ogni caso, se decidessi di renderli più "attivi" nella storia, inserirò anche le loro brevi informazioni!
Spero che vi sia stato utile per un veloce riepilogo, visto che ho menzionato davvero molti personaggi e potreste perdere il filo o confondervi ;;
Al momento non mi vengono altri appunti da farvi riguardo al capitolo, ma se avete domande... chiedete e vi sarà dato hahaha

Fatemi sapere che ne pensate se vi va, per il resto grazie a tutti che leggete, seguite, mi scrivete! ♥
Buonanotte e alla prossima!
   
 
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