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Autore: syila    09/03/2020    5 recensioni
Le acque del Mar della Cina sono infestate dai pirati, lo sa bene Sigvard Ohlsen, giovane ufficiale di rotta di stanza sul Vasa; uno piroscafo di lusso per passeggeri danarosi, che ha avuto il torto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
L'assalto di una ciurma di predoni non ha risparmiato nessuno, massacrando uomini e donne e lasciando lui a morire di una lenta agonia legato sul ponte della nave.
Ma non tutti i pirati sono brutali e sanguinari, alcuni posseggono un codice d'onore e il signor Ohlsen sta per scoprirlo...
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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- Questa storia fa parte della serie 'Victoriana'
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Capitolo III°



La parte vecchia di Singapore era un ammasso di case fatiscenti separate da vicoli così stretti che non permettevano il passaggio di due persone affiancate. Nel caldo soffocante dei tropici, a qualsiasi ora del giorno e della notte, miriadi di persone vi si affaccendavano: venditori di cibo con i loro fornelli, portatori d’acqua, donne che andavano e venivano dal mercato, bambini, viaggiatori di paesi lontani, marinai, tutto in un vociare confuso e in un coacervo di odori e colori di ogni genere.
Sigvard attraversava quel magma imperturbabile. Schivava una donna che passava con un paniere in bilico sulla testa, scavalcava due bambini intenti a giocare e manteneva mirabilmente l’equilibrio sul lastrico scivoloso.
Erano anni che quando non era per mare viveva in posti del genere e ormai li conosceva.

“Volete già lasciarci, signor Ohlsen?”
“Sì, comandante. Le mie ferite ora sono guarite, vi sarei solo d’incomodo. Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me.”


Non era stato un bel commiato. Formalmente corretto, certo, ma Ohlsen non riusciva a liberarsi della sensazione che van Loo si fosse aspettato qualcos’altro, forse qualcosa di più.
Ma del resto che cosa avrebbe dovuto fare? Van Loo era un pirata. Fuggito a stento da un equipaggio ammutinato, certo, ma era solo questione di tempo e poi sarebbe tornato alle vecchie abitudini.
Lo odiava per questo.
Lo odiava perché era il migliore comandante che avesse mai incontrato, eppure preferiva dedicarsi ad attività abiette come la caccia e la rapina.
Avrebbe potuto comandare quello che voleva, la Vasa, i più grandi vascelli della flotta di suo padre, anche una nave di sua proprietà se solo avesse voluto, e invece aveva scelto di fare il pirata.
Sospirò cercando di scacciare il pensiero delle notti passate a bordo della giunca, con van Loo seduto accanto al suo letto a vegliarlo.
Raggiunse il porto. Lì la folla era meno caotica e l’aria, rinfrescata dalla brezza di mare, leggermente meno soffocante. Guardò con l’occhio dell’esperto le varie navi alla fonda selezionando mentalmente quelle su cui sarebbe salito per chiedere se avevano bisogno di un ufficiale di rotta.
O anche di un marinaio, l’importante era togliersi di lì. Magari un bel carico diretto in Europa, quello sarebbe stato l’ideale. E poi un po’ di Baltico, per qualche anno, giusto per essere sicuro di non pensare più ad una certa persona.
Si sedette al tavolino di un locale che si affacciava sul porto e ordinò da bere.



Sta cercando un imbarco, altrimenti perché sarebbe venuto qui?
Ma cosa gli dice la testa, è ancora convalescente!
Il Capitano chinò il capo sulla ciotola di misua e abbassò il berretto sul viso al passaggio di un paio di militari inglesi, fuori dal contesto della Seung era praticamente indistinguibile dalle decine di marinai di ogni nazione che bazzicavano il porto in cerca del prossimo ingaggio, tuttavia era meglio eccedere in prudenza che rischiare un arresto.
Cercò una sistemazione più comoda sul precario sgabello della bancarella di spaghetti cinesi e tornò ad osservare il ragazzo biondo al tavolo della locanda.
Aveva seguito lo sue tracce senza troppa difficoltà, sapeva di andare a colpo sicuro cercandolo tra le bettole della rada; il signor Ohlsen aveva bisogno del mare sotto i piedi esattamente come un contadino ha bisogno della sua terra, perciò, dopo aver accompagnato il signor Wu alla stazione dei treni e il signor Lynch ad una missione evangelica, non gli restava che sorvegliare il giovane ufficiale di rotta per assicurarsi che tutto quanto restava del suo equipaggio fosse in salvo.

Il cuoco tornava al paese natale, coi soldi accumulati in anni di onorato servizio piratesco avrebbe aperto un ristorante o magari una pensioncina e si sarebbe sposato terminando i suoi anni in pace circondato dall’affetto dei figli.
Il moccioso irlandese poteva andare a scuola invece, Van Loo conosceva uno dei missionari per certe faccende che aveva avuto da brigare con lui in passato e si era raccomandato di farlo studiare e di lasciarlo arrampicare sugli alberi quando voleva, in fondo si trattava pur sempre di una dispettosa scimmia dal pelo rossiccio.
Il norvegese invece gli dava un mucchio di preoccupazioni, quel ragazzo sapeva badare a sé stesso, anzi dava l’impressione di non avere bisogno di nessuno e forse era vero; quello che aveva bisogno di qualcuno era lui, Justus, il seminarista, il cadetto, il mercante, il pirata.

Dopo una vita vissuta a stretto contatto coi più svariati consorzi umani (il collegio, l'accademia, le navi di ogni forma e dimensione), provando a ritagliarsi spazi di privato in ambienti che d'intimo e privato non avevano proprio nulla, aveva scoperto con rammarico che la solitudine era una delle condizioni più odiose e deprecabili che potesse augurarsi e non gli sarebbe bastato trovare un nuovo lavoro, inventarsi un'altra vita, a mancargli incredibilmente era proprio quello scontroso ragazzo biondo.
Spiccava si e no dieci parole in un giorno e ne avevano passati alcuni sulla giunca senza che uscisse fiato dalle sue labbra eppure, quando erano insieme, il Capitano si sentiva l'uomo più soddisfatto del mondo.
Gli bastava incrociare il suo sguardo e sapere che era lì con lui.

Abbandonò il filo del suo ragionamento per seguire ciò che accadeva ai tavolini del locale; tre uomini si erano avvicinati a Sigvard e uno aveva preso posto di fronte a lui; aveva i capelli biondi cortissimi, un tatuaggio sul collo e l'aria di chi ha degli affari loschi da concludere alla svelta.
Russo o comunque slavo a giudicare da un rapido esame, mentre i due gentiluomini al seguito appartenevano all'area mediorientale.
Qualunque cosa gli avessero proposto, l'olandese vide il giovane alzarsi e abbandonare degli spiccioli sul tavolo seguendoli poi in uno dei sordidi vicoli dietro il porto.



La gente non era della più raccomandabile, Sigvard se n'era accorto subito, ma sembrava che il lavoro che gli proponevano fosse pulito. Non c'era modo di arrivare in Europa più in fretta, del resto, dal momento che ogni altra nave a vapore sarebbe salpata fra non meno di dieci giorni.
La Zarevna invece cercava un ufficiale di rotta e sarebbe salpata non appena ne avesse trovato uno.
Sembravano fatti per intendersi.
L'idillio durò fino a che il russo non fece sapere a Sigvard che nel caso avessero incontrato altre navi, specialmente se russe, avrebbero dovuto fare un largo giro ed evitarle.
Lo svedese gli rivolse un'occhiata diffidente. “Per quale motivo?” chiese.
“Che v'importa del motivo?” replicò l'altro asciutto, “Fate quello che vi viene detto e sarete pagato bene.”
“Non faccio cose illegali,” fu la lapidaria risposta del ragazzo, “niente contrabbando o cose del genere.”
L'altro assunse l'espressione di chi era appena stato offeso a morte. “Io farei cose illegali? Ma dico, per chi mi prendete?”
“No, non se ne fa niente, mi dispiace. O rispondete alla mia domanda o mi cerco un altro ingaggio.”
A quel punto il russo lo afferrò brutalmente per il bavero, e sbattendolo con violenza contro il muro gli disse: “Ma chi credi di essere? Nessuno si è mai permesso di parlare in questo modo a Maksim Ivanovich Kotenkov!”
Il giovane si svincolò dalla presa e saltò indietro agilmente, sfoderando il coltello con una disinvoltura che denotava una lunga pratica.
“State indietro,” ringhiò, “andatevene e chiudiamo la faccenda prima che qualcuno si faccia male.”
Anche gli altri due uomini, quelli dall'aspetto mediorientale, tirarono fuori i coltelli e in breve Sigvard si trovò circondato. La cosa non lo impressionò particolarmente, era abituato a combattere. Si mise in guardia e attese che i tre si facessero sotto.

All'imbocco del vicolo, Justus van Loo stava osservando la scena. Aveva seguito il ragazzo quando l'aveva visto allontanarsi dal locale dove si era fermato a bere, e ora si congratulava con se stesso per il proprio acume: Ohlsen era circondato e rischiava di uscire dalla colluttazione molto male.
Pensò fugacemente che quel ragazzo aveva un talento speciale per mettersi in situazioni del genere, la sua temerarietà era decisamente pari alle sue competenze nautiche.
Sembrava strano, in un ragazzo dal carattere così freddo e chiuso. Se lo sarebbe aspettato da uno spagnolo, magari da un italiano. Ma da uno svedese? Troppi antenati vichinghi, concluse. Come minimo quello doveva avere nelle vene il sangue di Erik il Rosso.
Si fece avanti.
Sigvard stava già combattendo, e di sicuro non era un bello spettacolo. Menava fendenti in un silenzio inquietante, senza mai mutare l'espressione del volto, che era quella di una persona fermamente intenzionata ad uccidere i propri avversari.
E l'avrebbe fatto, anche, mettendosi probabilmente in un mare di guai, se l'olandese non fosse intervenuto a disperdere i suoi tre avversari con dei meno pericolosi cazzotti.



Rimasero ansanti a guardarsi mentre un trapestio di passi precipitosi si perdeva verso la fine del vicolo.
Sigvard rinfoderò lentamente il coltello, sempre in un silenzio mortale. "Vi ringrazio per il vostro intervento." disse semplicemente dopo un po'.
L'altro gli si avvicinò e gli scostò i capelli per dare un'occhiata ad un'escoriazione che il ragazzo aveva sulla fronte.
"Sto bene, sto bene," disse lo svedese, piegando la testa per sottrarsi al tocco dell'altro.
Van Loo abbassò la mano e disse: "D'accordo. Intanto però medichiamo quel taglio sullo zigomo, ho preso una stanza in una pensione, da un amico fidato"
"No, grazie, capitano. Non è il caso. Non è la prima volta che faccio valere le mie ragioni in un vicolo. Vi ringrazio per il vostro aiuto, comunque."
Di fronte a quell'uomo Ohlsen si sentiva a disagio. Provava una sensazione strana, che gli impediva di ragionare con la solita freddezza, e la cosa non gli piaceva.
"Cos'è tutta questa fretta?" gli chiese il capitano. "Il vostro ingaggio è appena scappato a rotta di collo e non credo che si farà rivedere, se non volete usare il rum per medicare la ferita ve ne offro un bicchiere, così penserete al da farsi..."
"Vi ringrazio ma non bevo quasi mai. Ora devo proprio andare, scusatemi." Si incamminò verso l'uscita del vicolo.
Van Loo rimase a guardarlo per un attimo, poi raccolse il berretto e lo spazzolò. "Signor Ohlsen ho come l'impressione che mi stiate evitando..." gli disse raggiungendolo.
Sigvard, che non era uno cui piacesse perdersi in preamboli, lo fissò negli occhi e rispose: "È così."
"E' per qualcosa che ho detto o fatto...?"
"È perché siete un pirata, signore. Come vi ho detto, vi ringrazio di tutto quello che avete fatto per me, ma non posso dimenticare chi siete."
"Ah." Van Loo si fermò e lasciò che andasse un po' avanti per i fatti suoi. "E continuerete a rimproverarmelo in eterno? Anche se domani passassi a fare il contadino o il predicatore?"
Sigvard si girò lentamente. "Perché volete saperlo? Cosa vi importa di quello che penso di voi?"
"M'importa molto della vostra opinione, meritate tutta la mia stima e la mia ammirazione anche se per voi non è chiaramente la stessa cosa. Prego Dio che vi conservi la possibilità di mantenere integri i vostri ideali signor Ohlsen, ma la vita è una puttana da quattro soldi e onestamente se ne frega se davanti ha un ragazzo ingenuo o un navigato pervertito."
"La vita forse, signor van Loo, ma io no. A me importa chi ho davanti."
Lo fissò con rabbia e duramente proseguì: "Voi siete il miglior comandante che abbia mai incontrato, potreste comandare la nave che volete e vi buttate via rapinando le giunche nel Mar della Cina. Vi odio!"
Nel parlare si era insolitamente alterato, abbandonando per un attimo il suo contegno algido in favore di un'ira appassionata che gli accese lo sguardo di un bagliore ferino.
L'altro sospirò stringendosi nelle spalle. "E' già qualcosa, pensavo di non suscitarvi particolari emozioni se non quelle del disgusto, l'odio è una passione molto intensa invece e così simile all'amore."
"Voi suscitate passioni intense, signore."
"Anche voi signor Ohlsen." Si avvicinò.
"Cerco solo di essere un buon marinaio, signore, e di vivere in linea con i miei principi."
"Sono... dei bei principi, erano anche i miei una volta e... M'è venuta voglia di andarli a riscoprire."
"Un uomo deve avere dei principi. È ciò che ci distingue dalle bestie."
L'olandese si avvicinò fino a fermarsi davanti a lui. "Nel caso, cosa dovrei fare per dimostravi che sotto un lenzuolo impolverato ho anche io questi principi?"
"Perché..." Sigvard esitò, più che mai imbarazzato. "Perché ci tenete tanto a dimostrarmelo, signore? Io non sono nessuno per voi."
"Siete stato un naufrago e poi membro del mio equipaggio anche se solo per pochi giorni." La sua voce si abbassò. "Se... e dico se... arrivassi a comandare una nave di nuovo, una nave di linea, un mercantile o magari anche solo un pontone, voi vorreste..."
“Solo se fosse una nave onesta, signore" Lo interruppe categorico il ragazzo, poi distolse lo sguardo. Fece per indietreggiare, ma era già spalle al muro.
Van Loo, che aveva paventato un secco rifiuto, sorrise sollevato. "Ah io posso garantire per il mio equipaggio signor Ohlsen e per me stesso! Gli utili che il proprietario della nave ricava con la merce sono un'altra storia!"
Preso dall'entusiasmo sollevò la mano per accarezzargli la guancia, ma si fermò poi all'ultimo momento a poca distanza dal suo viso.
Sigvard lo guardò stupito, come se il gesto lo cogliesse completamente alla sprovvista. Ebbe un fremito, e l'olandese temette che stesse per balzare via come una specie di animale selvatico spaventato.
"Quindi non sono un irrimediabile relitto della società?" mormorò van Loo, "Dite che posso ancora fare qualcosa di buono e di onesto? Che sono una persona recuperabile? Se me lo dite voi ci crederò di nuovo, diventerò quella persona." Lo fissò negli occhi.
"Non devo dirvelo io," balbettò Sigvard confuso, "dovete volerlo voi. È la volontà l'arma più forte."
"Ma è l'amore verso qualcuno che ci spinge ad essere migliori."
"C'è forse qualcuno che vi aspetta da qualche parte?... che voi amate?" chiese il ragazzo vagamente ansante, guardandosi intorno a disagio.
"Che dio mi perdoni ma credo di avercelo davanti agli occhi..." Van Loo gli sollevò il mento per guardarlo meglio alla poca luce che filtrava nel vicolo.
"Oh... Io..." Sigvard non riuscì a dire altro. Rimane a guardarlo con gli occhi sgranati, senza nemmeno fare il tentativo di liberarsi dalla sua mano.
"Mi dispiace se vi ho deluso signor Ohlsen, vi avessi incontrato prima a quest'ora probabilmente saremmo su un mercantile a lottare insieme contro le onde del Capo di Buona speranza..." Gli posò un bacio leggero sulle labbra socchiuse. "Ma per ora che ne dite se rientriamo in Europa a darci una ripulita in un paese civile?"
Il ragazzo lo guardò in silenzio, poi accennò vagamente di sì con la testa. Van Loo allora si spostò in avanti con un movimento gentile ma deciso, e aderì a lui col corpo. Gli afferrò i capelli in una stretta delicata e lo baciò di nuovo. Dapprima un contatto leggero con le sue labbra, come a chiedergli il permesso, poi, visto che Sigvard non faceva nulla per liberarsi, lasciò che le loro bocche si unissero in un contatto più profondo e intimo.
Il giovane rispose al suo bacio. Lo abbracciò, anzi, e si strinse a lui.
Era come se un torrente a lungo costretto avesse rotto gli argini e dilagasse sulla pianura: una volta abbandonata la gelida ritrosia che fino a quel momento l'aveva tenuto lontano dall'olandese, il ragazzo lasciava che i suoi sentimenti si esprimessero liberamente.
I due rimasero a baciarsi nel vicolo semibuio dimentichi di qualsiasi cosa a parte la reciproca vicinanza.



“Ti fidi a lasciargli il timone? Ho notato che gli tremavano le mani.”
Appoggiato al parapetto del ponte di coperta Sigvard, che osservava il cielo tingere l'acqua d'oro e porpora fino farsi indaco verso Occidente, avvertì la presenza del Capitano al suo fianco dall'odore buono del tabacco da pipa di cui era impregnata la sua giacca.
“Si vedono le luci del faro di Port Said, se sbaglia a infilare il Canale ho detto che lo porterò a calci nel sedere dall'armatore per fargli consegnare le sue dimissioni.”
“Tu sai essere molto persuasivo.”
Il ragazzo non distolse gli occhi dalla superficie serica delle onde, ma sorrise.

La Fortuna a Singapore aveva girato dalla loro parte quasi improvvisamente, quando avevano saputo che un cargo francese cercava dei marinai e un sostituto per l'ufficiale di rotta, ammalato di febbri malariche.
Lo svedese aveva provato a rifiutare quando Justus si era reso disponibile per il posto di marinaio esperto timoniere, lo avvertiva come una specie di svilimento della sua esperienza e delle qualifiche che di certo possedeva, ma il Capitano era stato irremovibile.
Di fatto una volta a bordo aveva preso in mano il timone e da un mese e mezzo non l'aveva più lasciato; l'ufficiale in comando, un novellino fresco di accademia, affrontava per la prima volta un lungo viaggio e per giunta al ritorno gli si prospettava il passaggio del Canale di Suez.
La via d'acqua inaugurata da una manciata d'anni, faceva venire i sudori freddi perfino ai vecchi lupi di mare, figurarsi a chi aveva ancora la bocca sporca di latte.
“L'unica cosa che mi preoccupa è il pescaggio, dai miei calcoli saremo a filo dei limiti imposti dai gestori delle chiuse.”

Lasciarono passare altro mare tra loro e rimasero in silenzio spalla a spalla, finché del tramonto rimase solo un sottile segno scarlatto al confine tra terra e cielo.
Sembravano persi dietro lontane scie di sogni che andavano verso Oriente, sulla cresta bianca e sbuffante del vapore; due mondi chiusi e inconciliabili eppure mai come in quei momenti così vicini.
“Andrà bene, tra meno di un mese rivedremo le coste dell'Europa, saremo a casa.” disse il giovane riprendendo il filo di un ragionamento niente affatto interrotto.
L'uomo al suo fianco aspirò profondamente dalla pipa e poi si girò verso la nave, studiò a lungo i marinai che s'affaccendavano tra il sartiame e i ponti, poi fissò il suo sguardo pungente e malinconico sul ragazzo.
“Io sono già a casa.”
Sigvard capì.
Senza bisogno di altre spiegazioni, i due tornarono a guardare il mare e ad aspettare le prime stelle della sera.

Fine


⋆ La voce dell'intraprendenza ⋆

Carissimi così si conclude questa piccola avventura in salsa marinara, ma non sono finite le movimentate vicende della coppia navigante.
C'è ancora qualcosa da raccontare sulla loro permanenza a Singapore e il successivo rientro in Europa!
Io e Old Fashioned contiamo di editare e pubblicare in tempi ragionevolmente brevi, ma nel frattempo vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno commentato, preferito e letto la nostra storia e speriamo di ritrovarvi a bordo anche per le prossime avventure! ^-^



   
 
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