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Autore: _Malila_Pevensie    06/10/2020    0 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 18
- LE STRADE DI ERRANIA -


La Regina guardava Aran con occhio attento. Nulla, né la sua espressione, né il suo sguardo, lasciavano presagire quale sarebbe stata la sua risposta.
Il ragazzo rimase composto, attendendo che la madre dicesse qualcosa. Lui e Freya avevano scontato la loro punizione e oramai erano tornati liberi di andare dove volevano, ma per recarsi a Errania aveva comunque preferito domandare il suo permesso. La Regina non aveva affatto apprezzato la loro piccola gita notturna e mostrarsene consapevoli era il modo migliore per evitare che diventasse eccessivamente restrittiva.
Aran cercò di non pensare al fatto che, nonostante quella sua dimostrazione di trasparenza, le stava tenendo nascosto un fatto piuttosto importante: nelle sue vene scorreva qualcosa di più del semplice sangue. Rabbrividì. La scoperta era tanto recente da risultargli ancora troppo difficile da assimilare. Com'era possibile che non se ne fosse mai accorto prima? Non ce n'era stata mai nessuna traccia; nessun segnale concreto gli aveva mai fatto pensare di essere portatore della magia.
Nei giorni seguiti a quel pomeriggio nel bosco, lui e Freya avevano deciso di sospendere ancora per un pò l'esplorazione della Biblioteca; c'erano ben altre cose che occupavano i loro pensieri.  Tolti allenamenti e lezioni, avevano trascorso tutto il loro tempo a parlare. Avevano discusso di tutto ciò che aveva accomunato le loro vite per ore intere, ma anche di tanti altri argomenti all'apparenza insignificanti; avevano fatto ipotesi, le avevano smentite e avevano variato argomento quando non riuscivano a trovarne altre. E mentre parlavano Aran aveva compreso che qualcosa legato a quel misterioso potere inquietava Freya.
Non aveva fatto domande, esattamente come lei non insisteva mai quando capiva che lui ancora non se la sentiva di dire qualcosa; aveva però pensato che vedere un posto nuovo le avrebbe risollevato il morale. Ottenuta udienza da Mirea aveva perciò avanzato la sua richiesta; voleva far trascorrere a Freya una giornata diversa dalle solite.
Inaspettatamente, sua madre sorrise: «Ti sei sempre recato a Errania senza bisogno del mio consenso, Aran» disse, le mani giunte di fronte a sé con la solita imperturbabile eleganza. «È sempre stata una delle tue mete preferite.»
Lo conosceva bene. La prima volta che gli era stato concesso di andare a Errania aveva nove anni; al proprio fianco aveva Darragh e un soldato scelto della guardia personale di sua madre, il quale per l'occasione aveva rinunciato alla propria armatura in modo da non attirare troppa attenzione. Ricordava molto bene quel giorno: Mirea non aveva ancora mostrato i propri eredi al pubblico e nessuno avrebbe mai potuto riconoscerli; per un momento, breve se paragonato all'interezza della sua esistenza, si era sentito uno qualunque.
Si era quasi sentito in colpa per quel sollievo: accogliendolo Mirea gli aveva dato tutto quello che si potesse desiderare e al giovane sembrava di mancarle di rispetto. Nonostante questo, alla fine era stata proprio la sensazione di leggerezza che ne era derivata a rendere Errania il luogo ideale in cui scappare. Non credeva che la madre fosse a conoscenza delle sue ragioni, ma fin da quel primo giorno le era stato facile capire quanto il centro città lo affascinasse: era ritornato al castello trattenendo a stento l'euforia e le aveva raccontato tutto per filo e per segno, come se lei non avesse mai visto la capitale del regno che governava. E quando era stato abbastanza grande da recarvisi da solo, il senso di libertà era diventato totale e irrinunciabile.
Mirea l'aveva lasciato fare; crescendo Aran era diventato sempre più responsabile e accorto e non le aveva mai dato alcuna ragione per imporgli restrizioni riguardo il suo giorno libero. Ora, il Principe voleva assicurarsi di fare tutto nel modo migliore: doveva dimostrare di meritare ancora quella fiducia. Per lui era fondamentale, poiché averla significava che, nonostante la sua voglia di libertà, la stava ripagando di tutto quello che gli aveva dato.
«Ritenevo giusto consultarvi, madre» rispose. «Volevo essere certo di avere ancora la vostra fiducia.»
La Regina tornò alla sua consueta espressione di serietà. I suoi occhi, al pari dell'abito intessuto d'oro che portava, brillavano nella luce del primo mattino; quello sguardo aveva sempre avuto il potere di metterlo in soggezione. Poi, ancor più inaspettatamente del sorriso di poco prima, arrivò il tocco delle sue mani sulle spalle. La madre si pose di fronte a lui e lo studiò con ancora più attenzione, come se volesse carpire il significato della sua affermazione senza che lui dicesse una parola.
«Cosa ti fa pensare il contrario, figlio mio?» gli domandò, senza che nulla sul suo volto cambiasse. Solo la stretta delle sue mani si fece più salda.
Qualcosa nell'animo di Aran gli disse che da quella risposta sarebbe dipeso qualcosa d'importante, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Guardò la madre negli occhi e rispose: «Temevo che il mio comportamento potesse aver cambiato la vostra opinione nei miei riguardi. Sono consapevole che un incubo non può essere una giustificazione valida alla violazione del coprifuoco.»
Lo sguardo della Regina Mirea si fece ancora più intenso. Il giovane ebbe l'impressione che una parola in particolare, fra quelle che aveva appena pronunciato, avesse attirato la sua attenzione: incubo. Fino a quel momento, non credeva nemmeno che ne avrebbe parlato. La madre discuteva spesso sia con lui che con Darragh, ma le loro conversazioni riguardavano principalmente la loro istruzione. I figli non erano abituati a parlare con lei di faccende che riguardavano la propria sfera emotiva. Aran aveva imparato ben presto a sbrigarsela da solo, nel privato della sua anima, senza mai lasciar trapelare nulla.
Ciò che teneva occupata la sua mente in quel periodo era ben più serio di quello che aveva affrontato in passato; eppure, la sua abitudine alla riservatezza persisteva ancora. Era consapevole di non poter più tenere nascosto quello che stava passando, ora che quegli strani poteri si erano fatti vivi; inoltre, non credeva nemmeno che fosse giusto nei confronti di sua madre: si parlava di magia, una cosa molto più concreta di sogni e incubi. Prima di farsi avanti, però, aveva bisogno di prendersi il tempo necessario a capire come gestirli per conto proprio. O meglio, con l'aiuto di Freya. Era l'unica persona con cui riuscisse a trovare le parole adatte per esprimere il proprio stato d'animo.
Quando la Regina tornò a parlare lo fece senza smettere di sottoporlo a quell'attento esame. «Qualcosa ti turba, Aran?» domandò. Il suo atteggiamento era tanto imperturbabile da rendere impossibile capire fino a che punto l'affermazione del figlio la preoccupasse.
In un angolo della mente di Aran, la logica cercava di imporgli di parlare, ma in quel momento non sarebbe stato capace di farlo nemmeno volendo. Producendosi nel sorriso più genuino che gli riuscì, rispose nuovamente: «Assolutamente no, madre. Non è stato nulla più che un brutto sogno.»
La pausa che seguì ebbe un che di strano. Il giovane ebbe la netta sensazione che sua madre sapesse qualcosa di cui era decisa a tenerlo all'oscuro; ma era un pensiero talmente folle che s'impose di accantonarlo. Stava semplicemente diventando paranoico a causa di tutte le strane coincidenze che riguardavano lui e Freya, si disse.
Poi, però, arrivarono le parole di Mirea: «Esistono sogni e sogni.»
Aran dovette fare uno sforzo ancora maggiore per reprimere quel sentore, ma infine non ebbe nemmeno il tempo di porsi ulteriori domande. Detta quella brevissima frase, la Regina si scostò da lui e tornò a sedersi dietro la sua scrivania, tanto ordinata da sembrare quasi irreale. Ogni giorno sua madre sbrigava tutte le faccende inerenti la gestione del regno seduta a quello scrittoio, eppure sulla superficie lucida non c'era mai nulla che fosse dove non doveva essere. Era sempre stato così, fin da quando lui poteva ricordare. Chissà come sarebbe stata quando Darragh avrebbe preso il suo posto, si chiese distrattamente.
«Tu e Freya potete recarvi a Errania senza alcun problema», lo riscosse la voce perentoria della madre. « Mi sembra giunto il momento che lei abbia una visuale completa del mondo in cui ora vive. Vi chiedo solo di prestare estrema attenzione e di evitare di dare nell'occhio. Sai perfettamente che ho sempre fatto di tutto per scongiurare qualsiasi voce nei riguardi tuoi e di tuo fratello; avrete tutto il tempo perché si parli di voi quando diverrete il volto di questo regno.»
Era vero: Mirea era sempre stata molto attenta a non esporli più del necessario. Avere il suo consenso in quella circostanza significava avere anche la sua fiducia; finalmente, Aran poté tirare un sospiro di sollievo.
«Vi ricordo anche che violare una seconda volta il coprifuoco non vi è consigliabile» concluse poi la Regina, in un chiaro avvertimento. «Farete meglio a rientrare per tempo.»
«Naturalmente, madre» ribatté lui, rivolgendole un rispettoso inchino. «Vi ringrazio.»
Il colloquio era terminato. Aran si voltò e in tre falcate ebbe varcato la porta, che richiuse poi alle proprie spalle. Prima che il battente si riaccostasse completamente, sentì che lo sguardo della Regina l'aveva seguito fino all'ultimo istante.

֍ ֍ ֍

La mattina seguente partirono appena dopo il comparire delle prime luci dell'alba. Soldati e servitori  li osservarono mentre percorrevano il tragitto verso le scuderie, salutando rispettosamente entrambi al loro passaggio. Per Freya era un enorme sollievo che gli abitanti del castello si fossero abituati a lei, seppur lentamente.
Sellarono i cavalli in silenzio. Le stalle erano vuote e gli unici rumori che infrangevano la quiete erano quello delle briglie che tintinnavano e dei cavalli che sbuffavano nel freddo pungente. Quando gli sguardi dei due ragazzi s'incrociarono, entrambi sorrisero; per un istante gli occhi di Aran indugiarono in quelli di Freya. La giovane sapeva molto bene il motivo di quell'occhiata: il Principe era preoccupato per lei. Non poteva biasimarlo: da quando il suo potere aveva inspiegabilmente risvegliato quello di Aran, il ricordo della scomparsa di sua madre era tornato a galla, rendendola costantemente irrequieta.
Era qualcosa che Freya non aveva assolutamente previsto, quando aveva deciso di mostrare cosa era in grado di fare. L'angoscia di allora l'aveva travolta con una forza insospettabile e insieme a essa era arrivata un'ineluttabile consapevolezza: era diritto di Aran sapere come il mistero che avvolgeva le loro comuni capacità avesse portato Eleana a sparire per sempre. E anche per Freya era fondamentale che lui sapesse: in pochi mesi tra di loro era nato qualcosa di tanto profondo da andare oltre ogni comprensione, un legame che li aveva spinti a voler condividere ogni cosa con l'altro senza riserve. Quella, fra tutte le ragioni per cui era giusto che Aran sapesse, era certamente la più importante. Se non glie ne avesse parlato, avrebbe infranto tutto ciò che avevano costruito, oltre alla promessa di essere sincera. Doveva raccogliere il coraggio e farlo.
Il pensiero smise di martellare nella sua mente solo quando la ragazza fu in sella a Stellato. Si concentrò su quello che si apprestava a fare in quel momento, senza lasciare spazio a nient'altro; sarebbe stato da stupidi rischiare di cadere da cavallo perché non era in grado di mantenere la presa su quello che si agitava nella sua testa. Quando Aran partì, saldamente ancorato al dorso della sua Nieva, Freya e Stellato lo seguirono.
Nonostante tutto, la giovane era sinceramente emozionata. Era passato diverso tempo dall'ultima volta che aveva visto una città; inoltre, era certa che Errania sarebbe stata la più interessante che avesse visitato fino a quel momento. Era ancora piuttosto amareggiata di aver esplorato così poco di Concivis e Plametia, ma con la capitale sarebbe stato diverso: aveva tutto il tempo di approfondire ancora di più ciò che prima aveva solo assaporato.
Entrarono a Errania attraversando la porta sud. Nel passarvi sotto la ragazza provò lo stesso fremito di soggezione che aveva avvertito la prima volta che aveva visto quelle mura insormontabili: senza quei passaggi strettamente sorvegliati nessuno sarebbe mai potuto entrare all'interno della città. Il mattino era ancora giovane, eppure un gran via vai animava già la strada principale, su cui Aran e Freya si mantennero; la maggior parte della folla sembrava diretta alla piazza principale, dove quel giorno si sarebbe tenuto il mercato. I due ragazzi s'immisero nel flusso e lo seguirono, tenendo saldamente le redini dei cavalli per non rischiare di perderne il controllo.
La giovane si guardò intorno da sotto il cappuccio del pesante mantello, che le copriva interamente il capo e i lati del viso. Il freddo l'avrebbe costretta a tenerlo alzato, ma quella mattina Malia aveva insistito per svegliarsi con lei e acconciare le sue spesse ciocche di capelli. Ora le sue orecchie a punta erano perfettamente nascoste: non avrebbe corso il rischio di attirare l'attenzione.
Il suo sguardo indugiò sugli edifici che delimitavano la via: le case addossate alle mura erano semplici, più in legno che in pietra, ma non per questo meno dignitose; i vicoli che le separavano, sebbene angusti e in terra battuta, erano puliti e sgombri. Per quel poco che Freya ne sapesse quella era la zona abitata dai meno abbienti e, nel vedere quello spettacolo di ordine e semplicità, si ritrovò a provare un peculiare senso di sollievo. Ricordò che anche Concivis e Plametia erano così: forse era vero che nel Regno di Riagàn veniva garantita una vita decorosa a tutti, indipendentemente dalla classe sociale; forse doveva smettere di preoccuparsi che qualche realtà nascosta continuasse a sfuggirle.
Proseguirono per un tempo indefinito. Più il centro di Errania si avvicinava, meno legno si scorgeva nelle costruzioni che impedivano loro di vedere il sole e capire quanto fosse trascorso. Gli edifici si facevano sempre più grandi, sempre più alti e i vicoli iniziavano ad assumere le sembianze di vere e proprie stradine. Freya beveva con gli occhi ogni singolo dettaglio che riusciva a cogliere; registrava ogni suono a lei nuovo; cercava di catturare gli odori e i profumi che caratterizzavano la capitale. Quelle piccole cose rappresentavano per lei l'essenza della città, ciò che le sarebbe tornato alla memoria quando vi avrebbe ripensato in futuro.
Poneva ad Aran tutte le domande a cui riusciva a pensare: era stato il Principe stesso a raccomandarle di chiedere tutto quello voleva, il giorno precedente, e anche il maestro Athal l'aveva incoraggiata a non trattenere la curiosità. Ogni città, le aveva spiegato, era una piccola riproduzione dell'interezza di Riagàn: comprendere Errania le sarebbe stato molto utile per imparare a conoscere l'organizzazione del Regno senza che il maestro dovesse tenere una lezione appositamente per lei. Aran, quelle cose, le sapeva a memoria fin da quando era piccolo.
Freya proseguì con i suoi quesiti fino al momento in cui giunsero prossimi alla loro destinazione. I primi banchi del mercato li accolsero già lungo l'ultimo tratto della strada principale; da quel punto in poi, il vociare di venditori e acquirenti si fece sempre più assordante, impedendo ai due giovani di interloquire fra loro. Era la massa di gente più grande e rumorosa che la giovane avesse mai visto; per un istante si sentì soffocare all'idea di trovarsi in mezzo alla calca, una volta smontata da Stellato.
Il tempo di indugiare nel timore fu ben poco. Appena che Freya ebbe formulato il pensiero, Aran la fece fermare di fronte a un edificio piuttosto modesto, se confrontato agli altri della cerchia alta; lì lasciarono i cavalli legati ai pali di posta. Il Principe allungò qualche Placca d'oro a un uomo alto e smilzo che stava alla porta, il quale le accettò senza battere ciglio: sembrava conoscere il giovane e sapere di non essere nella posizione di fare domande sulla loro identità. Aran lo ringraziò, usando la sua consueta gentilezza, poi si avviarono verso la piazza centrale.
Certa che Aran non le avrebbe permesso di perdersi Freya continuò nella propria contemplazione. Il mercato di Errania era immenso e ospitava una varietà impressionante di mestieri e prodotti provenienti da paesi, villaggi e fattorie sparpagliati nel circondario della capitale. Ogni volta che girava la testa la giovane trovava una vista diversa ad attenderla: un banchetto di verdure e frutta fresche, un chiosco di dolciumi, una bancarella di ninnoli e gioielli dall'aria preziosa. Nel vagare del suo suo sguardo, Freya non mancò di notare un dettaglio: tutte le botteghe e i negozi erano chiusi. Senza esitazione domandò delucidazioni alla sua guida.
«Nel giorno di mercato i negozianti e gli artigiani restano a riposo, è la legge» spiegò Aran mentre continuavano a camminare. «In primo luogo per potersi recare anche loro a comprare quello che può necessitargli; in secondo per fare in modo che i produttori provenienti dai centri urbani più piccoli e dal circondario possano avere la loro giornata di guadagno senza la concorrenza dei mastri cittadini.»
Freya assimilò le sue parole, pensierosa. Non avrebbe mai pensato a una motivazione del genere. In effetti, sembrava il tipo di legge che rispecchiava il modello di regno di cui Mirea tanto aveva parlato durante il loro primo incontro: un luogo in cui tutti, seppur chi più e chi meno, potessero godere di una parte del benessere. Voleva scoprire se ce ne fossero altre, ma per il momento decise di accantonare la sua vena inquisitoria e concentrarsi su quello che aveva davanti.
Trascorsero la mattinata in quel modo. Gradualmente riuscirono entrambi a rilassarsi, perdendosi uno accanto all'altra in quel mare di persone impegnate nella loro vita di tutti i giorni. La gente, capì Freya, era molto più affascinante di quanto avesse pensato fino a quel momento. Bastava osservare i loro volti, le loro mani, i loro gesti per capire che ogni uomo, donna e bambino aveva una propria storia, un proprio modo di essere e una qualche strada da seguire. Se la prima volta in cui era stata nella civiltà era riuscita a notare solo le cose che la dividevano dagli altri e la spaventavano, adesso vedeva finalmente quello che la rendeva simile a loro, perfino nell'unicità di ogni individuo.
Stavano camminando fra due bancarelle di lane e tessuti quando ne parlò ad Aran. «Capisco perché ti piace tanto questo posto» disse, guardandolo negli occhi con la solita schiettezza e sorridendo.
Il giovane sembrò sinceramente stupito. «Davvero?» chiese.
Freya annuì. «Sì, davvero» rispose. «Ammetto che all'inizio non avrei mai creduto di poterlo apprezzare anche io. Tutto questo chiasso è strano per qualcuno che ha passato gli ultimi anni nel silenzio della foresta a parlare con animali e piante.» Si zittì un istante, persa nel ricordo di tutti gli  istanti in cui aveva temuto che avrebbe smarrito la capacità di parola. Leggere, a mente o ad alta voce, e parlare con la gentilezza che le aveva insegnato sua madre a qualunque creatura vivente l'avevano salvata da quell'eventualità. Eleana le aveva sempre detto che un giorno avrebbe avuto a che fare con altri individui e l'aveva preparata a quel momento, fin dalla sua prima parola; rimasta sola era stato più difficile, ma aveva cercato di non dimenticarsi mai come si facesse.  «Solo adesso capisco quanto le persone contribuiscano alla vita» concluse quando si riprese.
Aran la guardò con quella che lei intuì essere malinconia. Freya non voleva che lui fosse triste all'idea della sua passata solitudine, di cui vedeva i lati negativi perfino lei, che aveva imparato a considerarla come un'alleata. Istintivamente lo prese per mano, intrecciando le dita alle sue con tutta la delicatezza di cui fosse capace. Come sempre lui ricambiò la stretta.
Quando proseguirono, lasciandosi alle spalle le meravigliose stoffe arcobaleno, l'attenzione di Freya venne catturata da un banco che metteva in mostra meravigliosi oggetti di legno. Dopo averle lasciato tutto il tempo per ammirarli e chiedere a un perplesso artigiano ogni sorta di informazione sul suo lavoro, Aran non potè più impedirsi di scoppiare a ridere. La sua risata fu tanto lunga e sincera che ci volle un attimo prima che riuscisse a respirare di nuovo normalmente.
«Cosa c'è di tanto divertente?» chiese la ragazza, attonita. Non le sembrava di aver fatto nulla di strano.
Sulle labbra del Principe perdurava il sorriso. «Il tuo entusiasmo per le piccole cose è meraviglioso» rispose. «Solitamente sono i banchi degli orafi a ricevere tante attenzioni.»
Gli unici gioielli che Freya avesse mai avuto erano la chiave delle Saghe di Finian, sempre che si potesse considerare tale, e il medaglione di sua madre. Non aveva mai pensato alla possibilità di possederne altri, forse perché non ne vedeva la necessità.  Fu l'esternazione di Aran a far nascere in lei la curiosità nei confronti di quella diramazione dell'artigianato: era la prima volta che rifletteva sulla manualità e l'abilità che un simile lavoro doveva richiedere. Avrebbe certamente prestato più attenzione, si disse.
Presi dalle loro conversazioni, i due giovani si accorsero che aveva iniziato a piovere solo quando le gocce si fecero spesse e pesanti. Corsero a cercare un riparo sotto gli scrosci violenti, i piedi che a ogni passo schizzavano l'acqua che scivolava alle canaline di scolo. Perfino in quel momento Freya riuscì a pensare all'ingegnosità di quel sistema, che impediva l'allagamento delle strade lastricate: ne aveva letto in riferimento alle città del Regno di Adamas, nel sud-est.
Lontani dalle locande, uniche attività aperte quel giorno, Freya e Aran puntarono a rifugiarsi nel vano di un grosso portone fino a che la pioggia non si fosse almeno diradata. Vi giunsero completamente inzuppati e nello slancio della corsa si ritrovarono a fermarsi solo contro lo spesso arco in pietra, l'una addosso all'altro. I loro corpi erano attaccati, tanto vicini che Freya poteva sentire il cuore di Aran battere furioso appena al di sopra del proprio; e quando finalmente si guardarono realizzarono che i loro volti erano altrettanto prossimi, più di quanto lo fossero mai stati prima.
Rimasero così. La giovane non sapeva perché Aran non si muovesse, ma sapeva benissimo perché non lo stava facendo lei: semplicemente, non ci riusciva. Era come se una forza invisibile l'avesse immobilizzata e lei non potesse fare nulla per contrastarla. Gli occhi di lui, che non aveva mai avuto a una distanza tanto breve, erano ancora più belli di quanto Freya avesse mai notato: c'erano delle sfumature più chiare, in quel mare di grigio ardesia, che prima di allora non aveva potuto vedere.
Poi, c'era quel miscuglio di sensazioni completamente indefinibili. Le ricordavano in qualche modo quello che aveva sentito la primissima volta che l'aveva visto, ma non erano decisamente la stessa cosa. Sul volto di Aran non c'era alcuna traccia d'imbarazzo, piuttosto un riflesso di quelle stesse emozioni. La ragazza era abituata a vederlo esprimersi con sincerità, quando era con lei, ma quella volta la totale trasparenza di quello che lui stava provando la colpì con un'intensità del tutto nuova.
Nessuno dei due comprese quello che stava succedendo, né notò il proprio volto avvicinarsi sempre più a quello dell'altro, fino a che un tuono non irruppe nell'aria uggiosa. Tutto intorno a loro parve tremare. Aran e Freya trasalirono, colti alla sprovvista, e come di riflesso si allontanarono, continuando a guardarsi negli occhi.
La schiena di Freya arrivò a toccare il lato opposto dell'arco e la pietra le parve tanto meno solida e affidabile, se paragonata all'abbraccio di Aran. Era stato tutto talmente sconvolgente che non seppe nemmeno arrossire, limitandosi a spalancare sempre di più le palpebre nella confusione che la stava assalendo. Non sapendo cosa fare, volse la propria attenzione ai mercanti che sbaraccavano e lentamente abbandonavano la piazza, respirando profondamente. Che cos'era stato, quell'istante?
Aran, che pareva turbato quanto lei, non parlò fino al momento in cui la pioggia rallentò e poterono finalmente mettersi alla ricerca di una taverna in cui mangiare. «Vieni, possiamo andare» mormorò.
Stringendosi nei mantelli, i due ragazzi iniziarono a camminare in direzione della seconda cerchia, dove certamente avrebbero trovato un luogo caldo, asciutto e discreto. Alla fine s'infilarono in una locanda pulita e modesta, il genere di posto dove si può mangiare in tranquillità senza temere situazioni indesiderate. Si sedettero a un piccolo tavolo posto in un angolo, giusto accanto al fuoco su cui arrostiva un bel pezzo di carne. Quando lo stomaco di entrambi brontolò sonoramente i due giovani scoppiarono a ridere; la tensione che lo strano avvenimento di prima aveva steso tra di loro finalmente evaporò.
Ordinarono una minestra saporita e fumante, arricchita da qualche boccone di selvaggina, e due boccali di sidro. Sebbene quest'ultimo appartenesse alla sua nuova vita, il cibo semplice le ricordò inevitabilmente quella vecchia; mentre soffiava sui cucchiai fumanti, venne trascinata indietro nel tempo. Il suo palato stava quasi per dimenticare quel sapore.
Terminato il pasto arrivò il momento per le spiegazioni su cui il maestro Athal aveva tanto insistito; sinceramente incuriosita, Freya si concentrò al massimo, desiderosa di porre numerose domande al riguardo. Fu proprio lei a dare inizio alla lezione improvvisata: «Quindi, stando a quanto ho capito, la città è suddivisa in cerchie che si sviluppano attorno la piazza principale» esordì.
Aran annuì, spostando il proprio boccale a lato perché niente stesse fra di loro. Stava prendendo molto sul serio il suo compito. «Esatto. Ogni città di Riagàn è organizzata esattamente alla stessa maniera, seppur rispettando la diversa conformazione di ognuna» iniziò. «Abbiamo tre cerchie: la prima, quella più  interna e prossima alla piazza, è abitata dal governatore, dai funzionari di stato e dagli esponenti della nobiltà; la seconda, quella intermedia e in cui ora ci troviamo, è occupata da mercanti, artigiani e costruttori di ogni sorta e ospita taverne e locande; infine la terza, a ridosso delle mura, è abitata dai membri delle maestranze più umili, ma non per questo meno necessarie al funzionamento del Regno. Ogni singolo individuo è fondamentale per il meccanismo.» Si fermò un attimo e bevve un sorso, prima di proseguire. «A loro volta le cerchie sono suddivise in quartieri. Ognuno di essi ospita le case e le botteghe di un diverso ordine di lavoratori.»
Trascorsero le prime ore del pomeriggio in quel modo: Aran spiegava, Freya interveniva con le proprie domande e memorizzava tutto ciò che c'era da sapere sul sistema del Regno di Riagàn. La pioggia continuava a battere sulle piccole finestre della locanda, non facendo nulla per invogliarli a tornare all'aria aperta; ma scoprire quanto fosse complesso e magistralmente organizzato il governo di Mirea fu per Freya motivo sufficiente a non annoiarsi: nulla sembrava lasciato al caso o al disordine fra le mani della Regina.
Tutto veniva deciso e predisposto direttamente dall'alto. Ogni singolo cittadino svolgeva un mestiere affidatogli dal governo stesso in base alla propria cerchia, della quale Freya percepì nuovamente il ruolo di divisore sociale, oltre che urbano; la famiglia di origine era altrettanto decisiva: era estremamente raro che i figli fossero destinati a un lavoro diverso da quello che i genitori avevano avuto prima di loro. Fin da bambini tutti sapevano perfettamente quale sarebbe stato il proprio ruolo. A ogni ordine veniva indirizzato un numero differente di persone in base alla necessità, in modo che nessun prodotto o maestranza venisse mai a mancare. La paga minima, seppur diversa in base alla levatura del mestiere, era garantita a chiunque in cambio del contributo dato al prosperare del Regno.
Perfino le abitazioni venivano assegnate da Mirea e dai suoi emissari, che ne stabilivano anche modalità e tempi di costruzione. I nobili solevano avere sia una residenza in città che una più grande nelle campagne, ma quest'ultima veniva concessa solo dopo un'approvazione formale e pagata interamente con denaro privato. Non che fosse un problema: essi disponevano di tesori famigliari alquanto cospicui, accumulati in generazioni di servizio alla corona.
Erano infatti i nobili a controllare e sorvegliare gli allevamenti e le fattorie del circondario, responsabili del rifornimento di carne, verdura e cereali alle città, così come qualunque altro negozio o bottega entro le mura: quel ruolo di supervisori garantiva loro ricchezza e titolo, che la Regina aveva il potere di revocare in caso di mancato adempimento degli obblighi.
Tutto, in sostanza, dai beni alle ricchezze, passava dalle mani del governo di Riagàn, che ridistribuiva poi alla popolazione in base a leggi ferree e importanza del ruolo ricoperto. Nessuno moriva di fame e perciò nessuno mendicava per le strade, così come nessuno vi era costretto a vivere poiché non aveva un tetto sulla testa. Sembrava tutto incredibilmente perfetto, come un ingranaggio oliato al punto da non incepparsi mai.
Ognuno dei cittadini del Regno di Riagàn pareva avere ciò che gli fosse strettamente indispensabile per vivere e questo era certamente conforme a quello che la Regina le aveva sempre detto. Qualcosa, però, strideva: davvero l'unico modo perché esistesse un equilibrio era stabilire ogni cosa senza che la gente potesse decidere alcunché? L'ordine del Regno pareva meraviglioso, fino a che non si pensava al fatto che i sudditi non avessero nemmeno la libertà di scegliere il mestiere di cui avrebbero voluto vivere. E l'istruzione? Aran le aveva detto che tutti avevano la possibilità di imparare il lavoro che avrebbero dovuto svolgere, ma se mai avessero voluto conoscere di più? Se mai avessero desiderato una vita diversa, avrebbero avuto il diritto a quel tipo di ambizione? La risposta aveva il potenziale di accendere in lei una certa inquietudine.
Le domande continuarono ad assalirla anche quando il temporale cessò e finalmente poterono uscire. Aran pagò il dovuto all'oste. Nel vedere nuovamente le piccole Placche rettangolari luccicare Freya pensò che il Principe avrebbe dovuto anche illustrarle nel dettaglio il sistema monetario, ma non l'aveva fatto.
Giunti all'esterno, il giovane rispose a quel dubbio. «Per oggi hai già dovuto subire abbastanza i miei sproloqui» disse, sorridendo. «Ho pensato che ti sarebbe piaciuto vedere la piazza senza i banchi del mercato, prima di avviarci.»
Gli occhi di Freya s'illuminarono e la ragazza annuì: la sua curiosità prese di nuovo il sopravvento. Aveva cercato di studiare i bellissimi edifici a ridosso della piazza, quella mattina, ma la folla e le bancarelle gliel'avevano impedito. Doveva assolutamente recuperare. Ritrovato il proprio spirito, seguì Aran lungo le vie cercando di lasciarsi trascinare da esso.
Come il giovane aveva detto, la piazza era completamente sgombra e fin dalla via principale si poteva avere una bellissima visuale della sua interezza. Freya si sorprese di non essersi accorta che fosse tanto grande: la fontana che zampillava al suo esatto centro era parecchio più distante dai palazzi di quanto avesse immaginato. Nonostante la pioggia avesse cessato di cadere l'aria era fredda e umida, perciò pochissime persone facevano loro compagnia in quel vasto spazio. La giovane trasse un respiro profondo, assaporando lo strano fascino del silenzioso cuore della città.
Giunti alla grande vasca centrale, Freya e Aran si sedettero sul bordo in pietra, fianco a fianco. Lo sguardo di lei seguì per un lungo istante tutto il perimetro percorso dagli edifici, fino a fermarsi sul più grande e maestoso di tutti: un palazzo talmente alto da svettare al di sopra di ogni altro, che affacciava sulla piazza una lunga scalinata; al culminare dei gradini una selva di colonne finemente scolpite sorreggeva un ampio porticato, al cui termine si apriva il portone di entrata.
Senza riflettere, Freya si alzò e prese a camminare in quella direzione. Aveva già letto qualcosa a riguardo, nelle Saghe di Finian: era il luogo di culto più importante dell'intero Regno di Riagàn.  Impiegò un attimo a rammentare il nome dell'unico dio che gli umani adoravano: non aveva mai letto nulla sull'argomento nei libri presenti al castello ed era da tempo che non tornava su quel capitolo delle Saghe. Poi, un lampo: Creantis, lucente entità della creazione. Così veniva chiamato.
Aran, nel frattempo, l'aveva raggiunta. Stava dietro di lei, in silenzio, lasciandole come sempre il suo tempo. Certe volte lei non capiva proprio come potesse avere tanta pazienza di starle dietro nella sua scoperta di tutte quelle cose che lui conosceva già alla perfezione.
Quando Freya parlò, lo fece quasi senza accorgersene: «L'Altissimo Tempio di Creantis...» mormorò. Non c'erano sicuramente costruzioni del genere nelle Foreste di Confine.
«Una volta, forse. Molto tempo fa» rispose Aran, stranamente serio. «Ora è il Palazzo di Governo: vi si tengono tutte le riunioni fra i funzionari e il governatore. Inoltre, è la residenza di quest'ultimo, la meglio protetta della città.»
Freya tacque, interdetta. Solo allora, distogliendo l'attenzione dai bellissimi bassorilievi, si accorse delle quattro guardie appostate all'ingresso; il portone era chiuso, probabilmente da più che un semplice chiavistello, piantonato e controllato a vista. Sempre più confusa, iniziò a riepilogare quello che ricordava dalle Saghe: il popolo di Riagàn, come pressoché ogni altro, era profondamente legato al culto della propria divinità. Creantis faceva parte della vita delle persone in ogni gesto; la fede era vera, spontanea, poiché a ognuno era garantita la libertà di credere o meno senza rischio di alcuna punizione. Era una religione semplice, che raccontava di un dio accogliente e comprensivo con i giusti, intransigente e irremovibile con i malvagi. Come poteva la gente di Riagàn aver permesso che il suolo a lei più sacro divenisse luogo di scambi di potere?
Eppure, mentre il suo sguardo correva alle lame taglienti delle alabarde portate dalle guardie, ebbe la certezza che quello non poteva essere il tempio di cui aveva letto; non poteva essere quel luogo di raccoglimento sempre aperto a chiunque cercasse conforto nei momenti di dolore, o benedizione nei tempi di gioia. E, con sconcertante immediatezza, sopraggiunse il pensiero che dovesse essere opera della Regina Mirea.
Non sentendo giungere nulla da parte sua, Aran proseguì: «Il maestro ha tentato di accennarmi qualcosa, molti anni fa, ma era un argomento che arrecava dispiacere a mia madre. Ha preferito essere lei a parlarmene» disse, le sopracciglia aggrottate. «Mirea ha lottato a lungo contro il credo violento e crudele dei nostri antenati, quando è salita al trono. Ha dovuto prendere delle decisioni molto difficili e invise ai più per debellarlo. I principi cruenti su cui il culto si fondava erano radicati al punto che l'unica soluzione fu abolirlo per legge. Da quel momento, Riagàn è uno stato fondato sulla ragione.»
La confusione venne presto sostituita da un sentimento d'inquietudine. Come potevano la versione dell'autore delle Saghe e quella di Aran dipingere il culto in due modi tanto divergenti? Le possibilità erano solo due: o il libro che sua madre le aveva sempre detto essere fonte di verità mentiva, oppure ad Aran era stata raccontata una bugia. Entrambe non fecero altro che aumentare l'angoscia di Freya, consapevole che qualunque fosse la risposta uno dei due aveva creduto a una menzogna.
Più il silenzio di lei si protraeva, più Aran sembrava agitarsi. «Ti senti bene?» le domandò infine, visibilmente preoccupato.
Uno sforzo sovrumano e Freya riuscì a ricomporsi. Prese un profondo respiro, sorrise. «Sì, è solo che... Questo non è il culto di Creantis che conoscevo io» mormorò.
Per un istante, la giovane rimase in bilico sul sottile filo del dubbio: stava a lei decidere se esprimere le proprie riflessioni o meno. Poi, qualcosa le disse che non era il momento adatto per sollevare simili questioni; era stata una giornata bella e preziosa, una di quelle che avrebbe sempre conservato nel profondo della propria anima: non poteva rovinarla con le sue solite macchinazioni. C'era già così tanto da risolvere.
Sorrise ancora e lentamente vide il volto di Aran distendersi fino a che non la ricambiò. Avrebbe  voluto vederlo sempre così, si disse, sereno, pieno di gioia e meraviglia. Camminò al suo fianco in completo silenzio, cercando di concentrarsi sulla sua felicità, e altrettanto in silenzio montò in sella a Stellato per riprendere la strada del ritorno.
Eppure, il dubbio aveva oramai iniziato a scavare un solco incancellabile.
   
 
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