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Autore: Signorina Granger    04/02/2023    2 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
Quando il ricco albergatore Gideon St John annuncia senza preavviso di voler andare in pensione lascia ai suoi due figli la direzione del suo Hotel di lusso per un'estate intera, al termine della quale deciderà chi dei due ne prenderà le redini in base ai risultati ottenuti. Diversi sotto ogni punto di vista, a parte un padre Sabrina e Silas St John nella vita non hanno mai condiviso nulla; lavorare insieme e occuparsi scrupolosamente dei loro ricchi ospiti sarà una bella sfida.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 16

 
 
Giovedì 12 agosto
8.00


 
 
Sabrina sentiva il forte bisogno di riflettere e di schiarirsi le idee, pertanto aveva deciso di iniziare la giornata nel migliore dei modi a lei conosciuti, ovvero nuotando. E non in una delle piscine dell’Hotel, che per quanto grandi e confortevoli potessero essere non le avrebbero mai trasmesso il senso di pace che solo l’acqua salata del suo amatissimo Mediterraneo era in grado di infonderle, specie quando, di prima mattina, le spiagge erano praticamente deserte.
Dopo essersi sfilata l’attillatissima muta nera dotata di strisce laterali bianche e blu che dal collo scendevano fino alle caviglie Sabrina era scesa dal motoscafo bianco che l’aveva accompagnata al largo dalla spiaggia ed era presto tornata a riva camminando con calma sulla sabbia, i corti capelli scuri bagnati che le solleticavano il viso e un costume intero rosso scuro addosso. La spiaggia era semi-deserta, il clima reso ancor più sopportabile dalla tenue brezza marina e la sabbia non scottava: quello era, per Sabrina, il momento ideale per andare in spiaggia, specie quando si concedeva di dedicarsi in solitaria – era una fortuna che lei e suo padre conoscessero praticamente tutti i proprietari di barche e attrezzature da sub in città, e che in molti erano sempre bendisposti ad offrire giri in motoscafo gratis ai St John in cambio di qualche cena offerta al ristorante dell’Hotel – ad una delle sue attività preferite: le immersioni e lo snorkeling.  
L’acqua salata e la sabbia bagnata sotto ai suoi piedi avevano da poco lasciato il posto ai sottili granelli dorati di quella asciutta quando Sabrina, diretta verso i bagni dove aveva chiuso vestiti asciutti, telefono e bacchetta in un armadietto, scorse con sincero sgomento una silhouette a lei familiare che la scrutava, in piedi a pochi metri dalla riva con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni leggeri beige e un paio di scarpe strette sottobraccio.
“Che cosa ci fai qui?”
“Pierre mi ha detto che eri uscita molto presto, e ho immaginato fossi qui.”
Gli occhi color ambra di Silas erano celati dalle lenti scure dei suoi occhiali da sole mentre il ragazzo scrutava la sorella mentre lei lo raggiungeva, ma anche non potendo scorgere del tutto l’espressione sul suo viso Sabrina intuì comunque che cosa lo avesse spinto a raggiungerla grazie al tono chiaramente contrariato del fratello minore, portandola a sospirare e ad alzare gli occhi al cielo mentre lo raggiungeva e lo superava senza fermarsi, affondando in tutta calma i piedi scalzi e abbronzati nei granelli di sabbia.
“Il tono di rimprovero puoi anche risparmiarmelo, non sei mia madre.”
Sabrina parlò con tutta la pacatezza possibile mentre chinava il capo per tenere lo sguardo fisso sui propri piedi, decisa a non farsi turbare da niente e da nessuno mentre Silas, dopo essersi voltato, si affrettava a seguirla guardandola torvo da dietro le lenti scure fino a raggiungerla con un paio di lunghe falcate, ritrovandosi a camminarle accanto senza smettere di scrutarla dall’alto in basso – per una volta che la sorella non indossava i tacchi, era di qualche centimetro più alto di lei – con sguardo critico:
“Non mi serve essere Sandrine per rimproverarti, specie quando nemmeno papà è qui per farlo. Devi finirla con le immersioni, Sabs.”
Sabrina non era di certo abituata a sentire il suo fratellino rivolgerlesi con quel tono perentorio, e la strega finì con l’alzare la testa per ricambiare lo sguardo di rimprovero di Silas, inarcando un sopracciglio mentre si fermava per fronteggiarlo e indicarsi con le proprie stesse mani, spazientita:
“Silas, ho preso i betabloccanti. Mi vedi? Sto benissimo. Apprezzo il pensiero, ma convivo con questa malattia da quando sono nata, so gestirla e so quello che ogni tanto posso permettermi di fare. So di non poterlo fare tutti i giorni e infatti non lo faccio, ma di tanto in tanto non mi va di rinunciarci. Hai idea di che cosa voglia dire vivere con tutte le limitazioni che devo subire da sempre? Come sia rinunciare a tutto quello che avresti voluto fare?”
Per una volta Silas tacque, e Sabrina conosceva abbastanza bene suo fratello da sapere quanto zittirlo fosse difficile. Del resto era una caratteristica di famiglia, e ne approfittò per continuare a parlare scuotendo debolmente il capo mentre abbassava le braccia, lasciandole ricadere rigidamente lungo i fianchi:
“Volevo nuotare, e non ho potuto farlo. Volevo studiare lontano da qui, e non ho potuto farlo. Non posso e non voglio reprimere sempre quello che vorrei fare, Silas. E tu dovresti essere con tua madre, non qui con me.”
“Ieri sera mi ha detto che vorrebbe fare colazione con entrambi. Sono qui anche per questo. E anche se sei orribilmente testarda e finisci sempre col fare comunque come ti pare noi non smetteremo mai di preoccuparci per te, temo.”
“Potresti fare a meno di dirglielo? Non la vedo mai, e detesto discutere con tua madre.”
Chiunque avrebbe fatto di tutto per evitare di discutere con sua madre, nessuno lo sapeva meglio di lui, ma Silas si costrinse ad evitare qualsiasi battutina di sorta e dopo una breve esitazione in cui lui e la sorella si guardarono tesi si limitò ad annuire, serio, con un lieve cenno del capo:
“D’accordo.”
Sabrina non disse nulla, ma Silas sapeva quanto spesso sua sorella fosse orgogliosa e spesso reticente nel dire “grazie” e il modo in cui lo guardò gli bastò, limitandosi a seguirla verso il limitare della spiaggia quando Sabrina riprese ad incamminarsi. I due percorsero qualche metro in silenzio, mentre ad avvolgerli non erano altro che gli stridii acuti dei gabbiani e il dolce infrangersi delle onde sulla riva, finchè Silas non ripensò alla cena che aveva condiviso con la sorella e Joël e decise di approfittare del suo essere solo con la sorella maggiore per chiederle qualcosa che da quella sera non aveva mai smesso di ronzargli in testa:
“Lo hai detto a Joël?”
Sabrina esitò prima di rispondere, forse spiazzata dalla domanda improvvisa, ma infine Silas la vide scuotere la testa senza smettere di fissarsi pensosa i piedi, evitando di guardarlo come se in qualche modo si vergognasse di ciò che stava per dirgli:
“Lo farò molto presto. Stamattina avevo bisogno di pensare. Da sola.”
“Non penso che le cose cambieranno poi molto. Ti adora, è evidente.”
Silas non si sarebbe mai definito un esperto di relazioni, no di certo, ma persino lui, che mai si era innamorato, era in grado di capire quando due persone provavano sentimenti sinceri l’una verso l’altra, e quello era decisamente il caso di sua sorella e di Joël. In qualche modo non capiva la reticenza della sorella a confidarsi con il musicista, talmente era irrazionalmente sicuro che le cose tra loro sarebbero andate bene in ogni caso, ma riusciva comunque ad immaginare perché Sabrina non volesse spezzare quell’idillio. E infatti non si stupì quando vide Sabrina scuotere leggermente il capo e sospirare prima di parlare:
“Per me cambieranno. Volevo solo vivere almeno una parte della mia vita con un po’ di spensieratezza, per una volta. Pensi che non averglielo ancora detto faccia di me una persona orribile?”
Quando finalmente la maggiore riportò lo sguardo su di lui e la sua voce vibrò leggermente dalla preoccupazione Silas provò un caldo modo d’orgoglio irradiarsi dal centro del suo petto fino a tutto il resto del corpo, felicemente sorpreso di sentirla rivolgerglisi per chiedergli il suo sincero parere su qualcosa di tanto personale e che le stava a cuore. Silas non poteva e non avrebbe mai potuto immaginare come Sabrina avesse vissuto la sua vita o i sentimenti che aveva mai provato per qualcuno e non si sarebbe mai permesso di giudicarla, come di certo nemmeno Joël o chiunque altro avrebbe fatto. Il ragazzo abbozzò un sorriso gentile e rassicurante, allungando la mano destra per sfiorare la spalla della sorella come a voler cercare di confortarla mentre i grandi occhi scuri di Sabrina lo scrutavano, ansiosi e preoccupati di udire la sua risposta.
“No Sabs. Solo una persona normale.”


 
*
 
 
Piscina esterna
10.30

 
 
Quella mattina Anjali e Briar si erano date appuntamento per fare colazione insieme sulla terrazza del ristorante dell’Hotel e dopo aver gustato un’enorme tazza di caffè e un pain au chocolat ciascuna si erano spostate a bordo piscina, occupando un paio di lettini per prendere il sole in costume.
Entrambe con gli occhiali scuri calati sugli occhi, le due stavano distese con le teste rivolte verso l’alto per godersi il calore dei raggi solari in silenzio, Briar con un bikini bianco che esaltava l’abbronzatura e Anjali con addosso un costume nero. Quest’ultima, che moriva dalla voglia che arrivassero le 11 per poter sorseggiare un Kir Royal e completare così il quadro di una mattinata perfetta, allungò una mano verso il tavolino che divideva i due lettini per dare un’occhiata al suo telefono, appurando di dover aspettare ancora mezz’ora per non essere erroneamente scambiata per un’alcolista prima di rimettersi comoda e sorridere, soddisfatta:
“Finalmente oggi non fa talmente tanto caldo che si soffoca…”
“Già, questo sì che è relax. Dovremmo farlo capire anche a quel pazzo di Alphard, lui adora le vacanze avventurose. Bah.”
Briar sbuffò con evidentemente disapprovazione senza muovere un muscolo, restando immobile nella comodissima posizione in cui si era adagiata sul letto mentre immaginava l’amico in una delle sue tanto amate escursioni. Anche se non poteva vederla Anjali la immaginò scuotere la testa, ritrovandosi così a sorridere e ad annuire, divertita:
“Sì, me l’ha detto.”
“Tu sei una che scala montagne? Perché ammetto che non ti ci vedo.”
“No, direi di no. Al massimo potrei scalare una piramide di borse se quella che dovessi desiderare si trovasse in cima.”
Briar capiva perfettamente e annuì comprensiva mentre ruotava il capo per poter osservare la svizzera, sfilandosi gli occhiali da sole per scrutarla con gli attenti e brillanti occhi verdi facendosi improvvisamente molto seria:
“Sì, penso sia l’unico aspetto che mi impedisce di pensare che vi abbiano progettati scientificamente per stare insieme. E già che siamo in argomento, non che siano affari miei, ma in quanto amica di Alphard mi sento in dovere di ficcanasare… Partirete tra un paio di settimane, giusto?”
“Oui.”
Anjali già sapeva, naturalmente, dove la britannica stesse per andare a parare, ma restò impassibile e si limitò ad annuire, anche se il lieve nervosismo con cui sollevò una mano per toccarsi i lunghi e lucenti capelli scuri la tradì.
“E avete parlato seriamente di cosa succederà tra voi dopo quella data?”
“Non proprio.”
Per Anjali quello era progressivamente diventato un chiodo fisso ormai da alcuni giorni, ma per qualche assurdo motivo ancora non si era decisa a sedersi di fronte ad Alphard e ad intavolare l’argomento. Forse temeva che lui potesse non pensarla come lei, o che le cose non funzionassero, ma nel frattempo i giorni passavano, la partenza di entrambi si avvicinava e Anjali ancora non sapeva che cosa sarebbe successo alla loro relazione dalla fine di agosto in poi. Non provò infatti il minimo stupore quando Briar la guardò inarcando un sopracciglio con scetticismo, guardandola con una sorta di rimprovero per il quale Anjali non poté biasimarla:
“E cosa aspettate, che un fulmine vi colpisca? Tu non vuoi smettere di vederlo e di certo Alphard non vuole smettere di vedere te, se così fosse lo avrei già preso a calci per la sua cecità di fronte all’immensa fortuna che gli è capitata… Allora ditevelo e basta.”
“Ma abitiamo così distanti… E lui non è proprio tipo da relazioni serie e durature. Mentre io sono esattamente quel tipo di donna, le storielle fugaci e senza significato non hanno mai fatto per me.”
“Senti, Alphard lo conosco da tantissimo tempo, ho più o meno assistito a tutte le sue relazioni e ti assicuro che la sua vita sentimentale ha sempre fatto pietà, non si è mai davvero impegnato con nessuna. Ma non è solo perché non avesse voglia di farlo, non ha mai incontrato una persona che lo prendesse seriamente. Prima di te. Sono piuttosto sicura che non si sia mai innamorato seriamente in vita sua, prima di quest’estate.”
Briar tornò ad indossare gli occhiali da sole con una scrollata di spalle, ma mentre sollevava una mano per ravvivarsi i lunghissimi capelli color castano chiaro scorse tracce di sgomento, imbarazzo e rossore sul bel viso di Anjali, vista che la indusse ad irrigidirsi e a bloccare la mano a mezz’aria per un istante mentre guardava la svizzera con il massimo stupore: i sentimenti tra lei e Alphard li avrebbe notati chiunque, erano talmente palesi da averla portata a dare per scontato che se li fossero già dichiarati apertamente l’un l’altra. Un lieve sorriso divertito – forse anche un po’ intenerito – si fece presto largo sul viso della britannica, che guardò la svizzera trovando assolutamente adorabile il suo imbarazzo: più la conosceva più non le risultava difficile comprendere perché quella donna avesse colpito così tanto il suo amico eternamente scapolo.
“Oh, non ve lo siete ancora detti? Che carini. Fate tenerezza. Ma sul serio, parlatevi, o vi costringerò a farlo in qualche altra maniera.”
“Dovrei preoccuparmi?”
Anjali sorrise, certa che la britannica scherzasse, ma Briar annuì, seria, mentre tornava a sistemarsi supina sul lettino puntando lo sguardo sul cielo azzurro e terso sopra di loro:
“Assolutamente sì. Anche perché non ne posso più di sentir parlare del matrimonio di mia sorella, ho fisicamente bisogno di avere un’altra coppietta nella mia vita, giusto per diversificare.”

 
*

 
Medea era profondamente grata di trovarsi in una bellissima località turistica: fotografare non era mai stato tanto semplice, poteva andarsene in giro con la macchina fotografica appesa al collo, sedersi e scattare a destra e a sinistra senza che nessuno facesse caso a lei, senza che nessuno le gettasse occhiate stranite. Del resto agli occhi dei passanti non era altro che l’ennesima turista che scattava foto ricordo di una vacanza.
Certo Medea era grata anche alla donna che le aveva commissionato l’incarico offrendosi persino di pagarle aereo e alloggio, lo stesso dell’uomo che doveva tenere d’occhio, perché al suo ritorno a Londra le avrebbe rimpolpato generosamente le finanze, il tutto per smascherare quello che Medea non aveva tardato a riconoscere come un perfetto imbecille.
La britannica stava seduta di sghimbesci su una panchina, rivolta con la massima nonchalance verso la terrazza di uno de ristoranti più lussuosi del centro del Principato con il telefono stretto tra l’orecchio e la spalla destra mentre reggeva la sua costosissima Nikon con entrambe le mani, gli occhiali da sole calati davanti agli occhi e una leggerissima jumpsuit di lino color avorio indossata insieme a dei sandali bassi color cammello.
“Nonna, lascia perdere, questo è veramente un imbecille. Lo sto guardando ora. Si è piazzato proprio su un tavolo vicino alla ringhiera della terrazza, non si sarebbe potuto mettere più in vista di così nemmeno se glielo avessi chiesto espressamente. No che non sospetta nulla, sta vivendo la sua vacanza di lusso con l’amante di quindici anni più giovane con la massima nonchalance.”
La schiena appoggiata al bracciolo della panchina e le lunghe gambe comodamente accavallate, Medea ascoltò distrattamente la voce di sua nonna ammonirla di non essere troppo sicura di se stessa mentre sollevava la macchina fotografica per portarsela all’altezza degli occhi, l’obbiettivo puntato dritto sul tavolo incriminato, dove due persone stavano facendo colazione. La strega zoomò sulle mani dei due che si sfioravano sopra alla tovaglia bianca e scattò una foto prima di puntare l’obbiettivo sul viso della donna, chiedendosi come si potesse scendere così in basso.
“Lei è bella, ovviamente. Ma come si può avere così poca integrità? Sta con lui solo per i soldi, probabilmente. Soldi che non avrà perché sta per perdere l’eredità, ma il poverino ancora non lo sa. Nonna, rilassati, nessuno fa caso a me. Se qualcuno dovesse chiedermelo sto solo fotografando le facciate degli edifici barocchi.”
Assurdo che con il tuo cervello tu sia finita a fotografare uomini fedifraghi.”
La disapprovazione di sua nonna era talmente spiccata da apparire evidente anche a tutti quei chilometri di distanza, ma come sempre quando veniva toccato l’argomento Medea non si scompose: di sicuro il suo non poteva definirsi un lavoro monotono, non si annoiava mai e di certo non guadagnava male. Quando si ritrovava a lucrare alle spalle di persone tanto idiote e ingenue come in quel caso un po’ finiva quasi col sentirsi in colpa, ma in fin dei conti le passava in fretta, specie quando si rendeva conto di quanto quegli individui ferissero i sentimenti di chi le commissionava il lavoro.
“Tranquilla, penso di aver chiuso per un po’… potrei dedicarmi ad incarichi diversi per qualche settimana, scontrarsi con tutte queste corna atterrisce, alla lunga.”
No, forse all’idillio del “vero amore” Medea aveva smesso di credere da tempo. Era diventato sempre più difficile osservare una coppia e non immaginare i peggiori retroscena, ma di tanto in tanto si ostinava a ripetersi di non essere tanto negativa, che le coppie sincere esistevano ancora, tutto sommato.
Il materiale che aveva raccolto solo quella mattina era decisamente sufficiente e Medea salutò sua nonna prima di spegnere la macchina fotografica, prendendosi qualche minuto di relax per godersi il tepore del sole sulla pelle delle braccia nude e sul viso mentre sedeva scomposta, del tutto incurante dell’approvazione o della disapprovazione che avrebbe ricevuto dai passanti per il suo occupare la panchina in quella posizione. La strega si stava rilassando facendo vagare distrattamente lo sguardo attorno a sé mentre le voci dei passanti la cullavano insieme ai lievi scrosci dell’acqua che sgorgava dalla fontana di Place du Casino, osservando distrattamente i turisti che passavano accanto alla sua panchina, quando i suoi occhi scuri indugiarono su quelle che le parvero due figure note: un uomo e una donna, molto belli e molto eleganti, entrambi con i capelli scuri, che camminavano tenendosi per mano. Medea era sempre stata dotata di un’ottima memoria fotografica e non tardò a riconoscerli come due ospiti del Le Mirage che già le era capitato di incrociare – di certo lei in particolar modo non era il tipo di persona in grado di passare facilmente inosservata – e si prese qualche istante per osservarli camminare uno a fianco all’altra costeggiando il perimetro della piazza, parlare e sorridersi. I loro corpi non si allontanavano mai esageratamente l’uno dall’altro, le loro teste erano quasi sempre ruotate per guardarsi e così le loro spalle, rivolte appena percettibilmente verso l’altro. Probabilmente non avrebbero potuto sembrare più in armonia di così e Medea, pur non conoscendoli, si ritrovò a sperare di assistere ad un esempio di relazione stabile e fatta di onestà e rispetto: era talmente abituata alle bugie e ai tradimenti più scabrosi da sentirne il bisogno, talvolta, di cercare amori così attorno a sé.

 
*

 
La presenza di sua madre era stata accolta da Silas con sentimenti a dir poco contrastanti: se da un lato Sabrina gli aveva accordato il permesso di lavorare meno per godersi il breve soggiorno di Joyce, dall’altro la vicinanza della madre lo costringeva a comportarsi bene. O almeno meglio del solito.
Naturalmente la donna aveva subito insistito per conoscere Asher e Meadow, e solo la mattina dopo il suo arrivo Silas si era ritrovato a fare colazione con lei, Sabrina e i suoi amici. Joyce era sembrata deliziata nell’apprendere di avere di fronte un’ex compagna di scuola del suo unico figlio e Meadow non aveva esitato a condividere con lei una marea di aneddoti imbarazzanti e compromettenti che di certo nessun figlio avrebbe mai scelto di condividere coscienziosamente con la propria madre.
Quando la ragazza menzionò la volta in cui Silas aveva chiuso nello sgabuzzino il Prefetto che lo aveva messo in punizione l’ex Grifondoro fece del suo meglio per sprofondare nella sedia, desiderando di sparire il più rapidamente possibile mentre Asher sorseggiava con discrezione il suo caffelatte condito da una generosissima spruzzata di cannella – i camerieri ormai gli lasciavano direttamente la boccetta – per non ridere apertamente in faccia all’amico. Livello di educazione non era invece stato eguagliato da Sabrina, che di nascondere i suoi sogghigni nemmeno ci provava e continuava a guardare il fratellino come se quella fosse la miglior colazione della ultima decade. Per quel che la riguardava, Joyce avrebbe dovuto trasferirsi all’Hotel già due mesi prima.
“Silas, vergognati! E dire che da bambino era così carino e bravo.”
Joyce guardò il figlio scuotendo la testa con tetra disapprovazione mentre Silas bofonchiava delle scuse sommesse senza guardarla in faccia, maledicendo mentalmente il momento in cui aveva acconsentito a fare colazione tutti insieme. Sapeva che quella situazione gli si sarebbe ritorta contro alla velocità della luce, e ne ebbe la conferma quando scorse il sorrisino che incurvò le labbra di Sabrina prima che sua sorella si rivolgesse, angelica, ai suoi amici facendo roteare il suo caffelatte decaffeinato nella tazza con la massima disinvoltura:
“Ho io qualche aneddoto delizioso sulla sua infanzia, se può servire… sapevate che adorava la mia bici rosa di Barbie? Me la rubava sempre.”
Il viso abbronzato di Silas avvampò mentre Meadow sputacchiava il suo caffè prima di iniziare a contorcersi sulla sedia a causa di acceso attacco di risa, maledicendo la sorte per averle impedito di assistere allo spettacolo offerto da un Baby Silas che rubava la bici di sua sorella maggiore per poi darsi alla fuga.
“È vero, faceva tutto il giro dell’Hotel mentre Sabrina lo inseguiva furiosa.”   Joyce annuì e sorrise dolcemente al figlio mentre Sabrina sogghignava dietro alla sua tazza, ma Silas non sembrò gradire quel viaggio nel tunnel dei ricordi e subito si affrettò a cambiare argomento mentre puntava malevolo lo sguardo sulla sorella maggiore:
Aveva il sellino più comodo della mia! Mamma, lo sai che Sabrina ha il fidanzato?”
Desideroso di vendicarsi Silas si rivolse alla madre emulando l’amabile sorriso sfoggiato da Sabrina appena un attimo prima, sentendosi travolgere dalla soddisfazione quando vide Joyce spalancare meravigliata i grandi occhi ambrati prima di voltarsi di scatto verso la figliastra, che invece s’irrigidì rivolgendo uno sguardo truce al fratellino mentre questi si adagiava comodamente contro lo schienale della sedia, soddisfatto.
“E perché non me lo hai detto?! Come si chiama?”
“Joël.”
Sabrina non aveva fatto parola di Joël né con i genitori né con Joyce, e borbottò il nome del musicista chinando colpevole lo sguardo sulla propria tazza piena a metà, certa che il segreto non sarebbe durato ancora a lungo ora che l’ex matrigna lo sapeva. Poteva solo sperare che sua madre non le mandasse una Strillettera stizzita per rimproverarla per il riserbo.
“Beh, giacché sono qui me lo devi presentare. Anche se tua madre ti ucciderebbe sapendo che lo hai presentato prima a me, quindi sarà meglio non dirle nulla.”
Joyce rivolse un sorriso divertito alla figliastra, che accolse le sue parole con un’ondata di sollievo e annuì ricambiando grata il sorriso, appuntandosi mentalmente di raccomandare Joel di fingere di non aver mai incontrato nessun membro della famiglia se e quando avesse incontrato Sandrine. Evento che, per quanto la riguardava, poteva anche aspettare ancora molti decenni.
“Grazie Joyce.”
“Allora, che tipo è?”
“È un musicista. È bravissimo. E loro sono bellissimi.”
Con gran stupore di tutti i presenti radunati attorno al tavolo – fatta eccezione per Asher, ormai avvezzo all’indole da fangirl dell’amica – a parlare fu Meadow, che in men che non si dica si ritrovò tutti gli sguardi puntati su di sé. Resasi conto di aver, come spesso le accadeva, aperto bocca senza riflettere la ragazza abbozzò un sorriso sollevando gli angoli delle labbra, schiarendosi la voce prima di parlare:
“Mi piace, emh, la sua musica. E poi beh che siate bellissimi entrambi penso sia palese agli occhi di tutti.”
Meadow, taci, smettila!
L’ex Grifondoro si rivolse a Sabrina quasi senza rendersene conto, e ancora una volta desiderò di tagliarsi la lingua per non aprire mai più bocca. Fortunatamente la francese, dopo una brevissima esitazione in cui la guardò stupita, distese le labbra in un sorriso grato, piacevolmente sorpresa dalle sue parole:
“Grazie Meadow. È carina la tua amica. Era ora che ti trovassi degli amici che non fossero i soliti rincoglioniti perdigiorno, Silas.”
Silas avrebbe voluto contestare, ma una rapida riflessione lo spinse a rendersi conto di non avere i mezzi per farlo visto che la sorella non era poi particolarmente nel torto. Così tacque, nascondendo l’umiliazione dietro ad un sorso di Espresso.

 
*

 
Artemy non era solito ricevere visite da quando alloggiava al Le Mirage – o almeno non visite non programmate, s’intende – e quando sentiva bussare alla porta della sua camera era sempre quasi del tutto certo di sapere di chi si trattasse, ragion per cui l’aprì senza nemmeno controllare attraverso lo spioncino e subito un sorriso gli si disegnò sulle labbra quando si trovò davanti Medea.
“Ciao, sono appena stata in centro a fare foto, volevo fartele vedere. Perché i tacchi?”
La britannica lo superò senza aspettare di ricevere un invito ad entrare, inoltrandosi nella camera dell’amico – tristemente molto più grande della sua e con una vista sul mare nettamente migliore – fino a fermarsi accanto al letto che era già stato rifatto da una cameriera, probabilmente quando Artemy era uscito per fare colazione. In particolare lo sguardo della strega, che ancora teneva la macchina fotografica appesa al collo visto che aveva raggiunto la camera di Artemy non appena aveva fatto ritorno al Le Mirage, indugiò su un paio di scarpe rosse con il tacco che erano state abbandonate sul pavimento, accanto alla valigia di Artemy.
“Ieri notte il tizio che ho accompagnato a quell’evento ha voluto che gli camminassi sulla schiena.”
Artemy si strinse nelle spalle mentre superava l’amica per raccogliere le scarpe, darci una controllata premurosa per controllare di non averle rovinate e infine riporle sotto lo sguardo di Medea, che si affrettò a scuotere la testa e ad agitare una mano come a volerlo invitare di non continuare:
“Ok, non dire altro, tranquillo, ho afferrato. Non vorrei giudicare, davvero, ma la gente è pazza.”
Artemy si chinò per aprire la valigia e riporre le scarpe in una sottile sacca di tela bianca con la massima cura, voltandosi brevemente verso l’amica per sorriderle divertito e strizzarle l’occhio mentre teneva entrambe le mani sullo sportello superiore della valigia, fermo in procinto di chiuderla:
De gustibus. Ah, prima che tu mi mostri le fotoHo un regalo per te. Che in realtà è più che altro per me, ma spero che tu voglia condividerlo.”
Il ragazzo abbassò con cura la parte superiore dell’enorme trolley nero – non aver avuto nulla per buona parte della sua vita gli aveva insegnato ad avere cura delle sue cose forse più di ogni altra cosa – e si alzò per raggiungere il comodino bianco posizionato accanto al lato del letto dove era solito dormire. Aperto il primo cassetto lo sguardo di Artemy indugiò sul pelouche vecchio e ormai malconcio che conservava da quando era bambino, che portava con sé ovunque andasse e di cui era gelosissimo, forse uno dei pochi ricordi tangibili della sua vita passata, ma il ragazzo finì col distoglierlo in fretta – era un dettaglio particolarmente privato che non aveva mai condiviso con nessuno, forse per timore di non essere capito e di essere deriso per quell’abitudine infantile – per sollevare invece due sottili pezzi di carta rettangolari e tornare da Medea, che nel frattempo si era seduta ai piedi del letto e lo guardava curiosa, in attesa.
Artemy le sedete accanto e le porse i due sottili pezzi di carta, guardandola inarcare dubbiosa le sopracciglia, poi sgranare gli occhi e infine scoccargli un’occhiata di rimprovero, il tutto sfoggiando un sorrisetto divertito sulle labbra.
“Stai scherzando?! Avrai speso una fortuna. E per una persona che non ci capisce nulla e che di certo non apprezzerà come dovrebbe!”
Medea sventolò i biglietti scuotendo la testa con disapprovazione, perfettamente conscia di quanto dovessero essere costati e di quanto i soldi, per persone come loro, non fossero affatto scontati. Artemy poteva anche essere più ricco di lei, ma l’idea che buttasse del denaro in quel modo la irritò comunque non poco, e stava per proseguire con la sua ramanzina quando l’amico, sorridendo divertito, allungò una mano per posargliela sul braccio:
“Lo so, lo so che sei una capra. Ma tranquilla, ti perdono. Voglio solo condividerlo con qualcuno che mi piace, qualcuno che gradisce la mia compagnia non dal punto di vista sessuale del termine.”
Per un istante ad Artemy sembrò che l’espressione sul viso di Medea si fosse addolcita, quasi si fosse lasciata convincere da quella manifestazione di affetto nei suoi confronti. Ma durò solo per un istante, perché la strega si divincolò subito dopo dalla stretta per puntargli contro minacciosa i biglietti incriminati:
“Allora, intanto dammi di nuovo dell’ovino e ti defenestro, tu e i tacchi a spillo che, maledetto, io non so nemmeno indossare. E ti detesto per questo, ma visto che per te sono indispensabile accetto di accompagnarti.”
Medea si sforzò di assumere un’aria sostenuta mentre si alzava in piedi, lisciandosi le pieghe del lino della jumpsuit mentre Artemy la guardava, felice di averla convinta a seguirlo a teatro, senza smettere di sogghignare con un’aria da tenero angioletto impressa sul bel faccino:
“Non sai portarli perché sei una deboluccia.”
“Sono più alta di te, vedi di chiudere il becco, ragazzino. E porta rispetto a chi è più vecchio di te. Vado a vedere se ho qualcosa di adeguato da mettere ma non temere, non ti oscurerò con il mio charme.”


 
*

 
14 agosto
 

Sloan Henbane era stato piuttosto felice di mettere mano sull’unica rivista sportiva anglofona che era riuscito a trovare nella Hall dell’Hotel – per quanto parlasse perfettamente la lingua non nutriva poi particolare interesse nei confronti della cronaca sportiva francofona –, e stava sorseggiando il suo caffè – rigorosamente freddo per cercare di contrastare il caldo, naturalmente – leggendo in tutta calma. Sua moglie Mia, al contrario, aveva già vuotato la sua tazza di tè e stava aspettando pazientemente che il marito ultimasse la sua lettura facendo vagare distrattamente lo sguardo sulla terrazza del ristorante dell’Hotel, soffermando i propri grandi e curiosi occhi scuri sugli ospiti di diverse etnie e nazionalità, maghi e non, che li circondavano. Pur senza nutrire l’intenzione di farsi gli affari altrui l’attenzione della strega non aveva potuto fare a meno di soffermarsi su una coppia atipica: un uomo alto, biondo e molto attraente, ma dagli occhi talmente chiari e penetranti che Mia si ritrovò a provare pena per chiunque si fosse mai visto trafitto da quelle iridi gelide, sedeva in compagnia di un ragazzo magro e dai ricci capelli castani visibilmente più giovane di lui di diversi anni. I due, da quel che Mia poteva intendere – era piuttosto sicura che stessero parlando in inglese, ma a causa della distanza e del vociare degli altri ospiti le risultava difficile estrapolare più di qualche parola dalla conversazione in corso – stavano discutendo piuttosto animatamente, e c’era qualcosa nel modo in cui parlavano, gesticolavano o si guardavano da renderle difficile pensare che potessero essere parenti, o amici.
Mia si ritrovò quasi senza volerlo ad osservare i due commensali, che sedevano soli ad un tavolo mentre un paio di cagnolini gironzolavano attorno alle loro gambe legati al guinzaglio, un chihuahua e un barboncino, entrambi tenuti sotto tiro per mano del ragazzo, con curiosità crescente, osservandoli parlare, gesticolare e muoversi in una sorta di danza conversazionale, sporgendosi e poi ritraendosi dall’altro con più o meno lievi movimenti del corpo o delle mani.
“Che cosa stai guardando?”
La voce di Sloan, quando il canadese distolse brevemente lo sguardo dalla rivista che teneva in mano per posarlo sulla moglie e notò la sua distrazione, riportò Mia alla realtà e costrinse la donna a volgere nuovamente lo sguardo sul marito, abbozzando un sorriso prima di accennare con un lievissimo movimento del capo in direzione dei due ospiti che avevano attirato la sua attenzione:
“Quei due. Credo che stiano discutendo. E che abbiano una relazione.”
“Cosa?”
Sloan ruotò a sua volta il capo per gettare un’occhiata nella direzione indicatagli dalla moglie, accigliato, e lo stupore sul suo viso aumentò quando capì di chi Mia stesse parlando. L’idea che quei due stessero insieme parve assurda all’allenatore, specie perché era piuttosto sicuro di aver già visto uno dei due insieme ad una donna che doveva per forza essere la moglie o la fidanzata.
“Sono piuttosto certo di aver visto quel tipo con una donna bionda.”
“Può essere, ma quei due stanno insieme, fidati. Guarda come si parlano, come si guardano… solo chi ha una relazione o un qualche tipo di coinvolgimento discute in quel modo. Dammi retta.”
Mia sfoderò un sorrisino soddisfatto, come compiaciuta di aver tratto una conclusione che invece sembrava essere sfuggita al marito mentre Sloan, poco convinto, gettava un’ultima occhiata in direzione di Asher e Ridge prima di tornare a guardarla con un sopracciglio inarcato:
“Ma non è parecchio giovane, il ragazzo?”
“Sai com’è, c’è chi ha la passione per i toy boy… Tranquillo, io non ti lascerò per uno più giovane.”
Mia parlò ravvivandosi i capelli neri con un movimento di noncuranza della mano destra, ridacchiando quando vide Sloan gettarle un’occhiataccia in risposta:
Vorrei anche vedere.”
“Oddio, sta arrivando! La donna. Vediamo come si comportano…”
Quando vide Brooke varcare la soglia della terrazza Mia s’irrigidì sulla sedia, facendo del suo meglio per non guardare in maniera evidente il tavolo incriminato mentre Sloan, di fronte a lei e improvvisamente dimentico della rivista, malediceva la decisione di sedersi da quella parte del tavolo: non poteva certo girarsi per dare un’occhiata senza rendere palese il loro farsi gli affari altrui, dopotutto. Tutto quello che l’uomo poté fare fu affidarsi a Mia, che getto un’occhiata discreta al tavolo – fortunatamente la sua carriera giornalistica l’aveva resa un esperta in tal senso – per assistere alla reazione dei due litiganti all’arrivo della donna: fu Ridge, rivolto come lei verso l’interno dell’edificio, a scorgere la moglie e a zittirsi all’istante, e Mia non poté fare a meno di notare un lieve ed improvviso irrigidimento mentre l’uomo guardava la moglie avvicinarsi al tavolo.
“Hanno guarda caso smesso improvvisamente di parlare non appena lui l’ha vista. Chiaramente. Certo che ce ne vuole di coraggio, per tradire tua moglie persino in vacanza!”
“Dici che lei lo sa?”
Mia si prese qualche breve istante di riflessione prima di rispondere, guardando Brooke sedersi sul lato del tavolo tra Ridge e Asher, che naturalmente stavano facendo di tutto e di più per non guardarsi reciprocamente negli occhi, e gettare un’occhiata piuttosto strana prima al marito e poi al ragazzo. Forse non lo sapeva, ma Mia immaginò che stesse iniziando ad avere qualche dubbio.
“Credo che abbia notato qualcosa, del resto ora ci sarà un gelo immane, a quel tavolo… E poi le mogli lo sanno quasi sempre, molti uomini sembra che quasi si impegnino, a farsi scoprire.”
“Io non oserei mai.”
Sloan chiuse la rivista scuotendo la testa, quasi a voler sottolineare la sua disapprovazione verso quelle pratiche mentre Mia, sorridendogli amabile, annuiva allungando la mano sinistra per stringere la sua e sfiorandosi al contempo il pancione coperto da un vestito leggero color crema con la destra:
“Lo so caro. Anche perché in quel caso brucerei tutte le tue scope da corsa.”
 

 
*
 
 
Stanza 108stanza-joel

 
Forse per la prima volta da quando Joël Moyal vi si era trasferito la stanza 108 era in perfetto ordine: il letto era stato rifatto e tutte le cose del musicista, comprese le custodie del suo sassofono e del violino di suo nonno, erano state radunate sul copripiumino blu notte, in attesa di essere portate via.
Joël sedeva invece su una delle due sedie di metallo nere disposte sul terrazzino di quella che per diverse settimane era stata la sua abitazione nel Principato di Monaco, dei fogli davanti sparsi sul tavolino, anch’ello di metallo color pece, e una pipa accesa tra i denti. Stava leggendo la sua più recente composizione, riuscendo persino a sentire il suono delle note nella sua mente tanto la musica faceva ormai parte di lui, quando un educato e gentile bussare alla porta lo riscosse: Joël sollevò la testa per voltarsi in direzione della soglia della stanza, sorridendo istintivamente mentre si alzava in piedi piegando i due partiti e infilandoseli rapido nella tasca dei pantaloni. Attraversò la camera con poche e lunghe falcate, finendo con l’aprire la porta senza nemmeno chiedere alla sua visita di identificarsi o sfilarsi la pipa dalle labbra.
Esattamente come aveva supposto davanti a lui si stagliò la figura alta e longilinea di Sabrina, che probabilmente gli avrebbe sorriso se solo non avesse visto che stava fumando: l’espressione della strega si fece subito tesa, e la francese alzò gli occhi al cielo mentre lo superava per varcare la soglia della camera, parlando con una piccata nota di disapprovazione nella voce.
“Se potessi cambiare una sola cosa in te, sarebbe farti smettere di fumare.”
“Lo sai che quando scrivo fumo. Ma ricorda che questa fa molto meno male delle sigarette, se può farti sentire meglio.”
Joël sorrise mentre chiudeva la porta alle spalle della strega, affrettandosi a sfilarsi la pipa dalle labbra per appoggiarla sulla cassettiera di legno vicino alla porta per poter raggiungere Sabrina e circondarle la vita con le braccia per poterla attirare gentilmente a sé. Sabrina appoggiò delicatamente le mani sulla sua camicia, all’altezza del patto, ma quando lui fece per baciarla ritrasse leggermente il capo arricciando stizzita il naso in una smorfia schifata:
“Sai di tabacco. ”
“Tutte queste scuse che accampi per non baciarmi mi infastidiscono parecchio, St John.”
Joël aggrottò la fronte per cercare di apparire il più scocciato possibile mentre la scrutava torvo in viso dall’alto in basso, ma invece di farsi impressione Sabrina sfoderò come da sua aspettativa un sorriso angelico, guardandolo divertita mentre gli tamburellava gentilmente le dita sul petto:
“Affari tuoi. Hai preso tutte le tue cose?”
“Certo, sono puntualissimo, attendo con grande trepidazione che la bellissima e perfida Direttrice dell’Hotel mi sbatti fuori.”
“Quella stessa perfida Direttrice che sta per accoglierti calorosamente a casa sua? Che ingrato.”
Sabrina alzò teatralmente gli occhi al cielo e ruotò la testa di lato con aria sostenuta, permettendo a Joël di sorridere e di approfittarne per scoccarle un bacio sulla guancia.
“Ma infatti io sono felicissimo di farmi sbattere fuori.”
Questa volta anche Sabrina sorrise – anche se azzardò un lamento quando Joël approfittò della sua distrazione per rubarle un rapido bacio –, guardandolo recuperare la valigia blu notte che aveva magicamente ingrandito per farci stare tutte le sue cose e la custodia del violino. La strega lo aiutò prendendo il manico della custodia del sax prima di prenderlo per mano per condurlo fuori dalla stanza e Joël si lasciò guidare finchè non si trovò davanti alla porta aperta, con lei già fuori in corridoio ad aspettarlo: il mago si fermò sulla soglia per guardarsi indietro, facendo vagare lentamente lo sguardo sulle pareti blu e sui mobili della stanza che tante volte aveva ospitato sia lui, sia suo nonno.
“Mi mancherà questa stanza. Ci vengo ogni anno. Ed era quella di mio nonno.”
La voce di Joël vibrò leggermente, preda della nostalgia, e l’espressione di Sabrina non poté che addolcirsi mentre accennava un sorriso comprensivo sollevando gli angoli della labbra, annuendo mentre accarezzava dolcemente il dorso della mano del musicista con il pollice.
“Lo so. Ma forse quella nuova ti piacerà anche di più.”
Joël si voltò verso la strega e la guardò per un istante prima di annuire e ricambiare il suo sorriso: era quasi del tutto certo che non avrebbe mai più alloggiato in quella stanza, ma se ciò significava stare con lei la prospettiva non lo atterriva né lo spaventava.
“Sono sicuro che sarà così.”
Si chiuse la porta alle spalle aiutandosi con il piede e subito la serratura automatica scattò, racchiudendo al proprio interno tutti i ricordi che serbava di quella camera mentre Joël si allontanava insieme a Sabrina verso gli ascensori, mano nella mano.
 

 
*

 
Briar gli aveva scritto chiedendogli di incontrarsi nel Bagno Arabo, e aveva sottolineato di dover approfondire una questione talmente tanto urgente (aveva scritto “urgente” in grassetto, seguito da un mare di punti esclamativi) da spingere Alphard a lasciare in fretta e furia la spa al termine del suo trattamento al viso (beh, anche lui doveva curare la pelle dopotutto) per raggiungerla. Aveva trovato l’amica stesa su una stola bianca sul bordo della splendida vasca rettangolare, impegnata ad asciugarsi dopo il bagno con un libro fotografico sull’arte moderna aperto in mano e i lunghi capelli castani sparsi attorno alla testa, e le si era avvicinato fino a fermarsi accanto a lei per chiederle che cosa ci fosse di tanto urgente.
“E me lo chiedi? Anjali mi ha detto che stasera cenate insieme.”
Briar chiuse il libro ma non si mosse, limitandosi a scrutarlo torva dalla sua stola mentre Alphard ricambiava confuso il suo sguardo penetrante, chiedendosi che cosa mai avesse combinato.
“Sì, beh, non è proprio una novità. Perché tanta agitazione?”
“Le parlerai come hai parlato a me ieri, quanto ti ho dato una strigliata?”
“Sì.”
“E pensavi di dirmelo?! Dobbiamo andare a fare shopping, ti serve un vestito per l’occasione.”
Alphard non era né mai sarebbe stato tipo da rifiutare lo shopping, ma non era nemmeno del tutto certo che servisse un abito nuovo per la serata – del resto non doveva chiedere ad Anjali di sposarlo –, ma non appena provò ad esporre la sua posizione a Briar quella scosse la testa con vigore, si alzò in piedi e recuperò la borsa di tela raffigurante la Venere di Botticelli per rimetterci il libro al proprio interno, fronteggiando l’amico guardandolo più seria che mai:
“Certo che ti serve. Andiamo, mi cambio e poi usciamo, ma prima devo portare Circe all’asilo per cani perché nelle boutique di lusso non può entrare. E già che ci siamo ci beviamo un drink.”
“Ma perché sei tanto fissata?!”
Briar si era già avviata verso l’uscita del luogo dove settimane prima Alphard aveva visto Anjali per la prima volta – visione celestiale che mai avrebbe lasciato i suoi ricordi, ne era certo – senza degnarsi di aspettarlo o di interpellarlo in merito al programma che lei stessa aveva stabilito, costringendo l’amico ad affrettarsi a seguirla per cercare di stare al passo. La britannica sbuffò e scosse la testa, ravvivandosi i capelli ancora leggermente umidi mentre s’infilava rapida un kimono da spiaggia bianco e avorio sopra al costume:
“Sono stressata per il matrimonio di Ginevra e per l’apertura della galleria d’arte, mi serve concentrarmi su qualcosa che non mi faccia ingrigire i capelli prima del tempo.”
“Va bene, ma stasera cerca di non appostarti dietro al mio tavolo per spiarmi.”
“farò la brava. Lo giuro! Ma voi due dovete darvi una mossa, non vedo l’ora di partecipare all’organizzazione del matrimonio. Dopo quello di mia sorella sono un’esperta, visto che si parla della donna più incontentabile del pianeta.”

 
*

 
Meadow stava suonando seduta sull’ottomana nera del pianoforte della sala interna del ristorante, cercando di replicare una delle composizioni più famose di Joël Moyal pregando che il bel musicista non passasse proprio in quel momento: si sarebbe sotterrata dall’imbarazzo, visto che ancora non era in grado di eseguirla alla perfezione e stava vistosamente litigando con gli accordi. Stava giusto imprecando contro la scarsa coordinazione del suo piede nel premere il pedale al momento giusto, bloccata ad un passaggio sul quale stava sbattendo la testa da diversi minuti, quando un’altra persona fece il suo ingresso all’interno della stanza: di norma Asher non avrebbe avuto alcun motivo per recarsi laggiù al di fuori dell’orario dei pasti, ma sapeva di avere ottime probabilità di trovarvi l’amica. L’ex Magicospino si sentì scuotere dal sollievo quando scorse la figura esile della strega seduta davanti al pianoforte, dandogli le spalle, e affrettò il passo per raggiungerla sentendosi ancora tremare leggermente, scosso dalla rabbia e dallo sconforto.
“Posso disturbarti?”
Quando si fermò alle spalle dell’amica Asher la guardò smettere bruscamente di suonare per voltarsi verso di lui, gettandogli un’occhiata sorpresa che si fece rapidamente quasi preoccupata mentre Meadow scrutava il suo viso pallido e teso e i suoi occhi resi quasi innaturalmente chiari dal rossore che li contornava.
“Certo Zuccotto, che cosa c’è? Problemi a casa?”
“No, stanno tutti bene. È Ridge.”
Meadow si fece da parte per consentire all’amico di sederlesi accanto sull’ottomana, roteando gli occhi a mandorla con evidente disapprovazione quando Asher borbottò cupo il nome di quello che da qualche settimana era ormai diventato il bersaglio principale della sua antipatia:
“Ah. Quel coso. Che è successo?”
“Non ne posso più. Davvero, non… Non ne posso più. mi sento sempre così tanto in colpa, e mi sembra peggiori col passare dei giorni… E poi a volte non lo sopporto, lo trovo così insopportabilmente spocchioso e maleducato. A volte mi tratta come se non contassi nulla, e poi ritorna magicamente gentile, e si scusa. E io sono cretino due volte, perché continuo a dargli corda.”
Asher scosse la testa mentre fissava affranto i tasti d’avorio del pianoforte a coda, sentendosi più che mai uno schifo: solo quella mattina lui e Ridge si erano quasi fatti sorprendere nel pieno di una discussione da Brooke, che da come lo aveva guardato per tutto il giorno di certo aveva intuito che fosse successo qualcosa di strano tra lui e il marito. E la scusa di un semplice diverbio in merito a questioni di orari, compiti o salario non sarebbe campata a lungo, ne era sempre più convinto.
L’espressione sul viso di Meadow, che si era fatta tesa fin da quando aveva sentito pronunciare il nome di Ridge, subito si addolcì di fronte allo sfogo dell’amico, portandola ad allungarsi verso di lui per circondargli le spalle con un braccio e stringerlo a sé con fare il più rassicurante possibile: Asher era di gran lunga la persona più gentile e di buon cuore che avesse mai conosciuto, e l’idea che soffrisse tanto in qualche modo faceva soffrire persino lei. Aveva persino finito col confidare il segreto dell’amico a suo zio per chiedergli se secondo lui fosse lecito attirare Ridge in piscina con l’inganno e cercare di affogarlo. Disgraziatamente Joshua non si era dimostrato particolarmente d’accordo.
“Tesorino, io sono una frana con le relazioni, ma so per certo che non sei il primo e nemmeno l’ultimo a vivere una situazione del genere. È pieno di gente al mondo che soffre, che deve sbatterci la testa più e più volte prima di capire che cosa deve fare.”
“E che cosa devo fare?”
“Quello che ti farà stare meglio. Ovvero lasciarlo. Fuggire. Davvero, fuggire, a molti chilometri di distanza. Uno stato molto lontano dal Massachusetts?”
“Il… Nevada?”
“Ecco, fuggire in Nevada. Molto molto lontano. Dimenticarlo e trovartene uno di meglio, ma prima devi trovare te stesso.”
Meadow fece spallucce, un po’ come se stesse parlando di una passeggiata di salute, e Asher la guardò inarcando dubbioso un sopracciglio, in parte sollevato e in parte spaventato all’idea di mettere fine a quella turbolenta relazione che in qualche modo, anche in mezzo a molti momenti di sconforto, in un certo senso lo faceva sentire amato.
“E come faccio a trovare me stesso?”
“Beh io questo non lo so, ma è quello che nei film dicono sempre a quella che si molla dopo essere stata per tanto tempo con il brutto ceffo di turno.”
Di nuovo Meadow si strinse nelle spalle e inarcò le sopracciglia dando vita ad un’espressione pensosa tanto buffa da riuscire a strappare una risata ad Asher, che si sentì scaldare un tantino il cuore nel riflettere su quanto fosse fortunato ad aver trovato, se non altro, un’amica come lei. Forse sarebbe tornato a casa senza Ridge, ma ci avrebbe guadagnato due amici meravigliosi.
 

 
*

 
Terrazzaterrazza
20.00
 

Quella sera lei e Alphard avevano deciso di cenare insieme sulla terrazza panoramica dell’Hotel e Anjali, dopo averne discusso approfonditamente con Sabrina quella mattina a colazione, aveva deciso fermamente di parlargli seriamente a proposito della loro relazione. Niente e nessuno l’avrebbe fatta desistere da quell’intento, si era più e più volte ripetuta la svizzera per tutto il giorno – forse anche per convincere se stessa e non solo Sabrina, alla quale aveva probabilmente rifilato quelle stesse parole almeno una dozzina di volte nel giro di poche ore –, anche quando si era chiusa nel bagno della sua Suite, che ora condivideva con Alphard, per prepararsi per la serata.
Fu quasi strano aprire quella porta bianca e varcare la soglia del bagno trovando Alphard ad aspettarla seduto sul bordo del letto, già vestito, pettinato e improfumato. Fu quasi strano vederlo sorridere e sentirgli dire di trovarla splendida mentre si alzava per avvicinarlesi e guardarla più da vicino, senza incontrarsi nella porzione di corridoio che fino ad appena il giorno prima aveva separato le loro porte. Strano ma piacevole e quasi familiare in un modo bizzarro, visto da quanto relativamente poco i due si conoscevano, e Anjali finì con lo scogliere le labbra carnose in un sorriso mentre guardava Alphard prenderle entrambe le mani nelle sue per guardarla meglio.
“Adoro come hai abbinato il vestito bordeaux con delle scarpe della stessa, identica tonalità. C’è gente che non coglie la differenza tra bordeaux e vinaccia, cosa che trovo semplicemente inconcepibile.”
Proprio quella mattina aveva cercato di spiegare la differenza a Joshua; inutile dire che aveva fallito miseramente.
Il sorriso di Anjali si allargò all’udire quelle parole e guardò Alphard se possibile ancora più convinta di ciò che aveva intenzione di dirgli una volta seduti uno di fronte all’altra, ma non potendo cogliere la natura dei suoi pensieri l’uomo finì con l’inarcare dubbioso un sopracciglio prima di assicurarle, perplesso, di essere assolutamente serio.
“Lo so, è proprio questo il punto.”
Anjali gli donò un altro dei suoi candidi sorrisi prima di prenderlo per mano e condurlo verso la porta della Suite, recuperando al volo la borsetta dai piedi del letto con un gesto rapido mentre Alphard la seguiva guardandole dubbioso la schiena lasciata parzialmente scoperta dal vestito che la strega indossava, non del tutto certo di aver compreso che cosa avesse voluto dirgli.
 
Pochi minuti dopo erano già seduti sulle comodissime poltroncine di velluto dai dettagli di metallo laccati d’oro, uno di fronte all’altra davanti ad un tavolo addossato alla ringhiera che delimitava il perimetro dell’ampia terrazza dotata di cucina esterna a vista e lounge bar. Un cameriere in divisa bianca e blu si era appena allontanato dal tavolo dopo aver servito un Vodka Martini ad Anjali e un Old Fashioned ad Alphard quando l’uomo, preso un profondo respiro, puntò gli occhi scuri in quelli cristallini della svizzera e parlò ancor prima di darle il tempo di portarsi il bordo dell’elegante bicchiere alle labbra:
“Vorrei parlarti stasera. Seriamente.”
Anjali fermò istintivamente la mano a mezz’aria all’udire quelle parole, guardandolo attonita e quasi incredula: possibile che volesse farle lo stesso discorso? Oppure l’esatto opposto? Anche solo contemplare l’opzione conferì un tremito al suo labbro inferiore, ma la strega si limitò ad annuire, tesa, mentre rimetteva in silenzio il bicchiere al suo posto sul tavolo. Alphard invece si schiarì la voce, allungando la mano destra sul tavolo per prendere quella della strega, piccola e cosparsa di sottili ed eleganti anelli indiani d’oro, prima di tornare a guardarla negli occhi e trovare il coraggio di parlarle a cuore aperto:
“Ascolta Anjali… Lo so che abitiamo distanti, davvero molto distanti, ma sei tutto ciò che avrei mai sperato di trovare, forse anche di più, e davvero non voglio che tra noi finisca. Non ho mai provato per nessuno quello che provo per te.”
“Non è tanto che ci conosciamo, lo so, e il mio curriculum relazionale fa schifo, ma so che quello che c’è tra noi può essere davvero importante. Che ne pensi se continuassimo a vederci, in qualche modo?”
Alphard smise di parlare guardandola speranzoso e Anjali, dal canto suo, si ritrovò improvvisamente con la mente del tutto annebbiata: stentava a credere in quell’assurdo tempismo, visto e considerato che si era seduta a quel tavolo con l’intenzione di dirgli esattamente le stesse cose, ma dopo qualche breve istante di spaesamento finì col sorridere, annuendo mentre gli occhi celesti le brillavano dall’emozione.
“Volevo dirti lo stesso stasera, vale tutto anche per me. A parte la questione curriculum ovviamente, perché mi reputo una fidanzata esemplare.”
“Lo so. E prometto che farò il possibile per renderti felice come meriti.”
Non fossero stati in pubblico e circondati da altre persone probabilmente Alphard si sarebbe anche deciso a dirle chiaramente di essersi innamorato di lei, ma si costrinse a trattenersi a causa del brusio che li circondava: avrebbe voluto dirglielo in circostanze un po’ più private, solo lui e lei, pertanto si costrinse a levarsi dalla faccia il sorriso ebete che gli aveva deformato le labbra sottili e ad annuire per riprendere il filo del discorso.
“Ok, ci sono le Passaporte. Non ricoprono distanze così grandi, ma se ne possono prendere due, o una sola e un aereo. In qualche modo faremo. Potremmo vederci da me o da te, o a metà strada, ogni tanto… E io potrei tornare più spesso in Inghilterra e poi passare da te in Svizzera.”
“Certo. Sono sicura che andrà bene, comunque vada. Basta volerlo e impegnarsi, per come la vedo io.”
Anjali annuì mentre gli sorrideva, felice e improvvisamente più serena rispetto a solo quella mattina, e Alphard ricambiò prima di sollevare la mano che ancora stringeva nella sua per depositarvici un bacio sul dorso, un po’ come a suggellare silenziosamente una promessa.
 

*

 
“Davvero non capisco perché mi hai costretto a venire, io non ne capisco nulla di abiti.”
E fare shopping per lui era un supplizio: doveva esserci un girone infernale dantesco inerente ad un centro commerciale, Joshua Wellick ne era più che sicuro. L’unico aspetto positivo di quell’uscita e di quella terribile sessione di shopping era rappresentato dall’aria condizionata: una tortura, sì, ma almeno una tortura rinfrescante.
L’australiano se ne stava in piedi come in stato di trance vicino ad un manichino, semi-appiattito contro la parete per timore delle commesse e delle donne isteriche in cerca di un abito nuovo: le commesse non osava nemmeno guardarle negli occhi per timore che fiutassero la sua paura e lo attaccassero, mentre le donne isteriche aveva iniziato a temerle dopo che una di loro aveva quasi rischiato di investirlo per gettarsi su un vestito rosso con lo scollo a v. O a cuore. Ma che differenza faceva, poi?
“Perché mi serve un parere, persino il tuo è meglio di niente!”
In una qualsiasi altra circostanza Joshua si sarebbe offeso, ma dovette riconoscere che le parole della nipote era sagge e veritiere: lui di moda non ci capiva nulla. E nemmeno di colori, o di quelle stronzate delle stagioni che ancora non aveva compreso appieno. Meadow stava vagliando disperata un insieme di abiti eleganti appesi alle grucce nere – senza osare chiedere consiglio ad una commessa a sua volta per timore di finire ricoperta di abiti da provare –, e ne prese uno rosso prima di mostrarlo accigliata allo zio:
“Secondo te questo colore mi sta bene?”
“Credo. Forse. Non lo so.”  Joshua non ne aveva sinceramente idea, ma lo avrebbe detto anche pensando che le sarebbe stato orribilmente: desiderava di uscire da quel posto il più in fretta possibile.
“Sei utile quanto un forno nel Sahara! Beh, ho i capelli neri, quindi dovrebbe starmi bene. Ma il modello mi starà bene? Sarà adatto per andare a teatro?! Zio, fai una foto al vestito e mandala ad Alphard, lui saprà!”
Meadow allungò la gruccia allo zio facendogli frettolosamente cenno di rendersi finalmente utile, ma l’uomo non si mosse di un muscolo e la guardò torvo scuotendo la testa, le braccia incrociate: non avrebbe mai scritto ad Alphard qualcosa del genere. Ancora lo derideva per la sua lotta contro gli spaghetti.
“No. Non ho nessuna intenzione di farlo.”
Qualsiasi traccia di nervosismo sparì come magicamente dal viso pallido di Meadow al suono di quelle parole, e gli occhi a mandorla della strega si ridussero a due fessure minacciosissime mentre la ragazza gli si avvicinava senza far rumore, fermandosi a pochi centimetri da lui per porgergli l’abito e puntargli l’indice contro il petto:
Fallo o vado da quella commessa e le dico che ti serve un completo nuovo.”
La sua nipotina, la sua esile nipotina con i lineamenti dolcissimi da ragazzina, non gli era mai sembrata minacciosa come in quell’istante: Joshua sentì ogni fibra del proprio corpi irrigidirsi per il terrore, e i suoi occhi castani si spalancarono mentre cercava a fatica di deglutire, terrorizzato.
“Non oseresti.”
Era ciò che Joshua sperava, ma dal modo in cui Meadow lo guardò e annuì, più seria che mai, l’australiano intuì che invece lo avrebbe fatto eccome, se si fosse sognato di non darle ascolto. E ciò che Meadow pronunciò subito dopo fu ancora più spaventoso:
“E anche le scarpe. E la cravatta. Tutto. Non farmi arrivare ai gemelli.”
Solo sentir parlare di gemelli rischiò di fargli venire un capogiro, e Joshua sollevò subito entrambe le mani ruvide, piene di calli, da artigiano, in segno di umile resa mentre guardava la nipote annuendo terrorizzato e implorando la sua pietà:
“Ok, sta’ tranquilla, non c’è bisogno di arrivare a tanto, gli scrivo subito.”
Bravo.”
Subito i lineamenti di Meadow tornarono a farsi dolci come sempre, e la strega annuì allegra prima di appendergli l’abito sul braccio e allontanarsi verso altre file di vestiti, come se all’improvviso il costoso indumento fosse diventato un problema suo. Sbuffando infastidito a fronte di quel vergognoso trattamento del tutto immeritato Joshua appese l’abito sull’asta di metallo orizzontale più vicina e tirò fuori il telefono per scattarci una foto e mandarla ad Alphard, pregandolo di rispondere il prima possibile.
Fortunatamente Alphard e il suo spirito critico si palesarono in fretta, consentendo finalmente a Joshua di tornare a respirare normalmente. No, non per l’ansia, una commessa aveva orribilmente puntato nella sua direzione ed era stato costretto a correre per seminarla con l’abito appresso!
 

 
Tu: Meadow vuole sapere se questo vestito va bene per andare a teatro.
Alphard🦂 : Che foto di merda.
Tu: Oggi mi date tutti addosso, non sono mica un fotografo! E poi ho dovuto fare di fretta per nascondermi da una commessa, cosa pretendi?
Alphard🦂 : Il colore va bene. Credo anche il modello, da quel poco che si capisce da questa foto obbrobriosa. Anjali dice di raccogliere i capelli e di mettere orecchini pendenti.
Tu: Tanto le avrei detto che andava bene in ogni caso, non ho intenzione di stare qui un minuto di più.
 

Joshua si era nascosto dietro ad un espositore dei residui della collezione autunno-inverno, trovando riparo dietro a delle sottospecie di finte pellicce, e stava ancora terminando di scrivere il suo messaggio pieno di stizza per inviarlo ad Alphard quando Meadow lo trovò, chinandosi dietro alle pellicce per scoccargli un’occhiata perplessa: a volte si chiedeva perché fosse così bizzarra, ma poi pensava a suo zio e tutto acquisiva un senso.
“Che cacchio fai, giochi alle Cronache di Narnia? Allora, che dice l’esperto di moda?”
“Che va bene. Provalo. Alla svelta. Poi ce ne andiamo. E non guardare le commesse negli occhi, potrebbero attaccarti.”


 
*

 
15 agosto
 
 
Joël sedeva sul sedile del passeggero di cuoio della Giulietta Spider decappottabile di Sabrina, i capelli lisci mossi dal vento mentre l’auto bianca scivolava rapida sulla Moyenne Corniche, risalendo la nota strada asfaltata che conduceva ai punti più alti e panoramici di Monte Carlo. Il mago si guardava attorno attraverso le lenti scure dei suoi occhiali, godendosi la traversata e la bellissima vista che la strada offriva tenendo un gomito appoggiato contro lo sportello della portiera mentre Sabrina, accanto a lui, canticchiava La Vie En Rose a bassa voce.
Quando i suoi grandi occhi chiari indugiarono sulla guidatrice Joël si lasciò strappare un sorriso, allungando una mano per posarla delicatamente su quella strega, stretta sulla leva del cambio.
“Quindi non solo sei bellissima, ma sai anche cantare discretamente bene. Non finisci mai di sorprendermi.”
“Detto da uno che suona egregiamente ben tre strumenti musicali, suona quasi divertente. Adoro questa canzone.”
Sabrina distolse brevemente lo sguardo dalla strada per gettare un’occhiata a Joël e sorridergli, tornando a concentrarsi sulla guida mentre lui le accarezzava in silenzio il dorso della mano. Mentre risalivano le strette curve a gomito i due rimasero in silenzio per qualche minuto, godendosi la pace e il panorama finchè la strega non parlò di nuovo:
“Sai, questa scena mi è duplicemente familiare. Mi sento un po’ Grace Kelly in Caccia al ladro mentre guido su questa strada con un bellissimo Casanova accanto… ma forse sono anche Audrey Hepburn mentre canta La Vie En Rose ad Humphrey Bogart mentre sono in auto.”
“Che film è?”
Sabrina. Uno dei preferiti di mia madre. Mi ha chiamata così per quello, anche se la sua prima scelta sarebbe stata proprio Grace… ma a papà non piaceva, diceva di aver conosciuto una Grace orribile ad Hogwarts e che mai avrebbe voluto una figlia con quel nome. Siamo arrivati.”
Sabrina abbandonò la strada asfaltata per parcheggiare l’auto su uno spiazzo erboso da cui si poteva ammirare la città e anche il mare, che in quel momento brillava più che mai grazie alla luce dorata del tramonto, scendendo dall’auto mentre Joël faceva altrettanto, gli occhi chiari pieni di ammirazione inchiodati al panorama:
“Wow. Assurdo pensare che vengo qui da anni e non sono mai stato qui.”
“Questo perché non hai mai avuto una guida adeguata.”
Sabrina gli si avvicinò con un sorriso e Joel, ricambiando, non si lasciò sfuggire l’occasione: l’afferrò per la vita stretta fasciata dal vestito bianco cosparso da ricami floreali e la strinse a sé, baciandola mentre sentiva le mani della strega tra i suoi capelli chiari. Quando le loro labbra si staccarono Joël sorrise, prendendole il viso tra le mani per accarezzarle gli zigomi con i pollici e lasciandole un tenero bacio sulla fronte prima di parlare con un mormorio:
“La guida di Monte Carlo più bella che si possa desiderare.”
“Dici che potrei iniziare a farmi pagare?”
“Faresti milioni, ma visite come queste le voglio riservate solo a me.”
“Beh, vedremo.”
Sabrina rise di fronte all’espressione seccata che Joël si sforzò di inscenare, baciandogli dolcemente le labbra prima di recuperare la bacchetta da una tasca dello sportello dell’auto:
“Vedi di levarti le scarpe.”
Con un lieve movimento della bacchetta della strega una coperta bianca coperta da un delicato motivo floreale rosa e un grosso cestino di vimini si librarono dai sedili posteriori, galleggiando a mezz’aria fino ad adagiarsi sul prato davanti a loro, non molto lontano dallo strapiombo.
Joël di disobbedire non se lo sognava neppure, e si affrettò a sfilarsi le scarpe mentre Sabrina faceva altrettanto, sfilandosi solo con l’ausilio dei piedi le scarpe da ginnastica con cui era solita guidare prima di sistemarsi accanto a lui sulla coperta a fiorellini.
“Visto che non bevi alcolici, ho deciso di farti compagnia e ho portato solo tè freddo e sidro di mele.”
Un largo sorriso si fece largo sul bel viso del mago mentre Sabrina estraeva due calici e una caraffa piena di liquido ambrato e ghiaccio, versando del sidro per entrambi prima di porgergli un bicchiere.
“Ti adoro.”
Sabrina gli sfilò gli occhiali da sole dal viso con la mano libera per guardarlo meglio, appoggiandoli accanto a sé sulla coperta prima di intrecciare le dita lunghe e abbronzate con quelle del musicista. Joël la guardava, ne era sicura, come nessuno aveva mai fatto prima d’ora, e la strega cercò di sostenere quello sguardo così intenso e adorante senza imbarazzarsi, mormorando un ringraziamento prima di vuotare il suo bicchiere con una lunga sorsata. Imitata ben presto da Joël, la francese guardò perplessa il musicista sfilarle il bicchiere vuoto di mano per riporlo insieme al proprio al sicuro nel cestino di vimini, rispondendo alla silenziosa perplessità della strega quando la cinse per la vita per baciarla di nuovo, questa volta con tanto trasporto da farla finire lunga distesa praticamente sopra di lui sulla coperta. Quando si staccarono Sabrina sollevò leggermente la testa per allontanare il capo da quello di Joël e poterlo così guardare negli occhi mentre gli stringeva il viso tra le mani, accarezzandogli gentilmente le guance mentre i suoi corti capelli scuri le scivolavano davanti al viso, a pochi centimetri da quello del musicista. Il mago sollevò la mano destra per spostarle alcune ciocche dietro l’orecchio, trattenendo la mano sull’incavo tra il collo e la mascella di Sabrina mentre la guardava negli occhi, finendo col sorridere e farsi scivolare dalle labbra parole che era del tutto certo di non aver mai pronunciato in vita sua:
“Ho proprio paura di essermi perdutamente innamorato di te.”
Parole che sembrarono aver l’effetto di impietrire Sabrina per qualche istante, quasi l’avessero colta di sorpresa, e Joël la guardò ricambiare il suo sguardo con gli occhi color cioccolato improvvisamente sgranati prima di farsi rapidamente lucidi, come se la strega stesse facendo del suo meglio per trattenere le lacrime mentre si mordicchiava il labbro inferiore.
“Vale anche per me.”
Gli occhi lucidi di Sabrina colpirono Joël più delle parole che la strega sussurrò, ma prima che potesse chiederle se ci fosse qualcosa che non andava guardandola preoccupato lei si chinò per baciarlo di nuovo, zittendolo sul nascere.
 

*
 
 
Quando aveva saputo l’Opera di Monte Carlo avrebbe messo in scena il Don Chisciotte di Marius Petipa Artemy non aveva esitato a chiedere a Medea di accompagnarlo a vedere lo spettacolo: aveva sorpreso la strega porgendole direttamente i biglietti e la britannica, dopo avergli gettato una rapida occhiata come a voler verificare dalla sua espressione quanto effettivamente ci tenesse, aveva preso assentito, non senza ricordargli più e pià volte quanto fosse ignorante in materia:
Ma sappi che io di balletto non ci capisco un fico secco, quindi non sarà di grande compagnia. Aspetta, ma mi devo vestire elegante?!”
In Francia e dintorni il culto del balletto era rimasto intaccato dal tempo e dalle innovazioni musicali e tecnologiche, ragion per cui Artemy moriva dalla voglia di assistere ad uno spettacolo messo in scena in un teatro europeo, dove si respirava danza in ogni angolo. Quando lui e Medea presero posto uno accanto all’altra sulle poltroncine rosse foderate di velluto Artemy si rese rapidamente conto di faticare a stare fermo sul suo posto, fremendo dall’attesa mentre se ne stava leggermente sporto in avanti verso il palco dalla minuscola balconata in cui si trovavano mentre Medea, accanto a lui, sfogliava dubbiosa il libretto.
“Conosco l’opera letteraria vagamente, forse riuscirò a capirci qualcosa…”
“Non serve capire, basta guardare e farsi rapire. In Inghilterra non avete molta considerazione della danza classica, vero?”
Artemy smise di scrutare il palco e i pesanti tendaggi color sangue del sipario per tornare a rivolgere la propria attenzione sull’amica, guardandola con un che di rimprovero indirizzato più al suo Paese che alla sua persona mentre Medea si stringeva nelle spalle prima di iniziare a farsi aria con il libretto, ignorando deliberatamente lo sguardo sgomento che la donna dietro di lei le rivolse per quella vergognosa mancanza di rispetto verso il testo dell’opera.
“Beh, non la metterei così, c’è la Royal Ballet School, che credo venga considerata una delle migliori Accademie del settore… e il Royal Opera House a Covent Garden è famosissimo, ma non ci sono mai stata.”
“Troppo occupata a sventare intrighi.”
“Gli intrighi mi pagano l’affitto. Anzi, grazie a quel troglodita che si è messo a limonarsi l’amante in terrazzo mi potrò fare un gran bel regalo quando tornerò a Londra. Magari prima o poi dovrò andarci per lavoro, chissà. Ti chiamerò.”
“Brava ragazza.”
Artemy annuì e le indirizzò un sorriso prima di mettersi a sedere più comodamente sul suo posto, appoggiandosi allo schienale con la schiena fasciata dall’elegante giacca nera con i dettagli argentati che indossava mentre Medea, dopo aver fatto vagare accigliata lo sguardo sulla platea cercando traccia di qualche spettatore con in mano qualche spuntino, non parlò di nuovo: aveva cenato pochissimo e molto alla svelta per andare a prepararsi e non avrebbe affatto sgradito l’idea di poter mettere qualcosa sotto ai denti.
“Senti Eros, ma qui non si mangia come al cinema?”
Artemy si voltò di nuovo verso di lei per guardarla sgomento e inorridito quasi quanto la donna che Medea aveva alle spalle, scrutando l’amica come se le avesse appena sentito pronunciare un’eresia. Medea aveva parlato con tutta l’ingenuità possibile, ma a giudicare dallo sguardo di Artemy intuì che no, probabilmente a teatro non era uso consumare cibi e bevande.
“Beh, scusa, era solo per sapere! Mi sento estranea come Julia in Pretty Woman.”
“Ci siamo invertiti i ruoli.”


A molti metri e molti posti di distanza, in platea, Silas si stava lamentando: aveva fame, e in quel postaccio non si poteva bere né mangiare. Una specie di girone infernale, specie considerando che aveva avuto la sfiga di finire bloccato tra Meadow e sua madre, di gran lunga le donne più chiacchierone che avesse mai incontrato in tutta la sua vita.
“Sentite, visto che avete vita, morte e miracoli da raccontarvi e mi state assordando, perché io non faccio a cambio con Meadow e mi sposto vicino ad Asher, così voi due potete continuare indisturbate?!”
Silas si era cocentemente pentito di aver presentato Meadow ed Asher a sua madre: con il secondo non c’erano stati problemi ovviamente, ma Joyce aveva subito preso Meadow in gran simpatia e le due non facevano che parlottare e sghignazzare alle sue spalle. Era anche sicuro che la donna avesse già raccontato alla sua amica dettagli scabrosi e imbarazzantissimi della sua infanzia quando lui non era stato nei paraggi. E che tragedia quando aveva malauguratamente detto a sua madre della passione di Meadow per la danza classica e il suo avere in programma di fare delle audizioni per delle compagnie una volta tornata in Inghilterra: Joyce l’aveva invitata a Teatro, e non si sapeva bene come lui era stato costretto ad unirsi a loro. Lui che l’Opera non la poteva sopportare.
“E privarti così dell’immenso privilegio di startene in mezzo a noi? Non esiste signorinello. Peccato solo che Sabrina avesse da fare.”
Joyce, seduta alla sua sinistra, scosse il capo dispiaciuta smuovendo tutti i suoi lucenti e meravigliosi ricci scuri mentre Silas, cupo e seduto scomposto sulla poltrona tenendo le braccia strette al petto, bofonchiava qualcosa a basa voce.
“Oh certo, un peccato, ci mancava solo mia sorella per completare il quadretto.”
“Nessuno ti ha chiesto un parere, tesoro. E il suo fidanzato mi piace moltissimo!”
Joyce sorrise allegra, ignorando l’espressione offesa con cui il figlio la guardò mentre Meadow, accanto a lui, si sporgeva leggermente oltre l’amico per guardare la britannica annuendo energicamente con il capo:
“Oh sì è meraviglioso, ed è un pianista bravissimo, e loro sono bellissimi insieme!”
“Lo penso anche io, anche se ho dovuto giurare di non dire ai genitori di Sabrina di averlo conosciuto prima di loro, o Sandrine vorrà prima la testa di Sabrina e poi la mia…”
Basta vi prego, non ne posso più! Asher, al mio segnale ce la diamo a gambe.”
Questa volta a sporgersi oltre Meadow per rivolgersi a qualcun altro fu Silas, che si allungò più serio che mai verso Asher mentre l’ex Magicospino se ne stava seduto composto, in silenzio, temendo di disturbare i vicini di posto o di assumere atteggiamenti che mal si conformavano all’ambiente sconosciuto in cui si trovava. Il ragazzo deglutì a fatica, gettando un’occhiata intimorita al posto dietro il suo – occupato da una minacciosissima signora di mezza età che parlava in tedesco – prima di rivolgersi all’amico in un sussurro preoccupato:
“Vorrei, ma la donna dietro di me mi sembra pronta a picchiarmi qualora dovessi alzarmi e oscurarle la visuale del palcoscenico…”
Che palle!”
“Silas, linguaggio, non ti ho cresciuto così io! Tutta colpa di tuo padre.”
“Su questo tu e Sandrine sarete sempre, eternamente d’accordo mamma.”
Il borbottio di Silas si perse nell’aria e venne rapidamente sovrastato dal lieve fragore degli applausi quando i pesanti tendaggi scuri del sipario iniziarono a scivolare di lato per offrire agli spettatori la visuale sul palcoscenico, e Meadow non tardò ad ammonire l’amico e ad intimargli di stare zitto assestandogli una spigolosa gomitata sul fianco:
“Chiudi il becco, inizia!”
“IO?! Ma se siete voi che non siete state zitte un secondo?!”
Silas non si era mai sentito tanto offeso in vita sua, e decise che mai più avrebbe permesso a sua madre e alla sua amica di incontrarsi e di passare del tempo insieme con lui nella stessa stanza, ma prima che potesse dar voce alle proprie lamentele la donna tedesca seduta dietro di loro lo zittì sonoramente, facendo sobbalzare Asher sulla poltroncina:
Shhhhh!”
Le donne era creature perfide e maligne, appurò Silas mentre come Asher sprofondava nella poltrona per nascondersi, terrorizzato all’idea che la signora potesse colpirlo con la pochette. Ma lo appurò solo mentalmente, perché all’improvviso perse tutto il suo coraggio di parlare.
 
 
“È un peccato che tu abbia smesso.”
Medea riuscì a capire quanto Artemy avesse profondamente e visceralmente amato la danza solo quella sera, guardandolo seduto di fronte ad uno spettacolo con gli occhi pieni di meraviglia, lo sguardo rapito quasi paragonabile a quello di un bambino, lo sguardo pregno di un amore viscerale che si riserva solo a qualcosa che ha segnato profondamente il proprio passato. Artemy, che fino a quel momento si era estraniato in una sorta di bolla, concentrato solo sui movimenti perfetti dei ballerini che animavano il palcoscenico, guardò l’amica impiegando qualche istante per mettere a fuoco ciò che aveva detto tanto era stato il suo isolarsi, finendo con l’abbozzare un sorriso dalle note malinconiche mentre annuiva, parlando in un sussurro sommesso:
“Sì, beh, non ho mai davvero smesso di ballare. Solo che crescendo mi sono dovuto adattare alla mia seconda vita e la danza classica è rimasta solo un vago e lontanissimo ricordo. Forse sarei diventato bravo davvero, se avessi continuato.”
Artemy finì di parlare tornando a guardare mestamente e con aria adorante il palco, ricordando le sue lontane lezioni di danza risalenti a quando ancora viveva insieme alla sua famiglia natia mentre Medea, accanto a lui, annuiva con fare comprensivo e un po’ dispiaciuto.
“Sono sicura di sì.”
“Beh, ormai non ha molta importanza. E poi, modestamente, a ballare sui tacchi sono bravissimo.”
Il ragazzo tornò a focalizzarsi sull’amica stringendosi debolmente nelle spalle e abbozzando un sorriso per cercare di non guastare l’atmosfera della loro serata con la malinconia dei suoi ricordi, guardandola rispondere al sorriso mentre gli metteva una mano sulla spalla a mo’ di conforto. Non fosse stato per la location in cui si trovavano forse Medea avrebbe persino riso e risposto con una delle sue taglienti battutine, ma l’idea di essere cacciata a calci la terrorizzava e restò in silenzio. In quei posti la gente si prendeva davvero troppo sul serio per i suoi gusti.
 

 
*

 
Sabrina era stata insolitamente silenziosa, quasi spenta, per tutto il viaggio di ritorno, e quando fecero ritorno al Le Mirage Joël decise che quello fosse il momento perfetto per darle finalmente il suo regalo: dopo che ebbero parcheggiato l’auto e varcato la soglia dell’Hotel – lei con il cestino in mano e ai piedi i sandali col tacco basso con cui aveva sostituito prontamente le scarpe da ginnastica per evitare che qualcuno potesse vederla in quelle condizioni scabrose – anziché dirigersi verso l’appartamento della strega Joël indugiò nel bel mezzo della Hall, chiedendole con un sorriso di seguirlo all’interno della sala del ristorante.
L’orario del servizio era finito da poco, nessuno lo sapeva meglio di Sabrina, e la strega si ritrovò quasi senza volerlo ad annuire, lasciandosi pilotare verso la sala dalla mano di Joël che stringeva la sua. Quando li videro entrare nella stanza i camerieri di dileguarono come per magia, talmente alla svelta da portare la strega a chiedersi se per caso non li avesse semplicemente immaginati, ma invece di farci caso Joël la condusse deciso verso il pianoforte a coda davanti al quale si erano quasi scambiati il loro primo bacio, chiedendole di sedersi accanto a lui proprio come quella sera.
Sabrina obbedì senza controbattere – di certo non si sarebbe lamentata se Joël avesse deciso di suonare qualcosa per lei – e sedette prima di guardarlo estrarre qualcosa dalla tasca dei pantaloni: quattro fogli, o meglio degli spartiti, piegati in quattro parti che il pianista adagiò sul leggio disponendone due uno accanto all’altro e altri due sotto di essi, in modo che la strega potesse scorgere solo i primi.
“Finalmente mi fai sentire un nuovo brano?”
Sabrina gettò un’occhiata agli spartiti prima di riportare lo sguardo su Joël, che annuì e accennò un sorriso prima di appoggiare le dita sui tasti e iniziare a suonare, riempiendo la sala vuota e buia con le note della nuova melodia. Sabrina lo stava ascoltando in silenzio, incantata ma continuando allo stesso tempo a serbare quella sgradevole sensazione che l’accompagnava da tempo e che si era acuita non appena aveva sentito Joël dichiararle i propri sentimenti, quando gettò un’occhiata agli spartiti, curiosa di leggere il titolo dell’opera. Sabrina non sapeva leggere uno spartito e subito il suo sguardo si posò sulle due parole che Joël aveva scarabocchiato al centro del primo foglio, sorridendo quando le trovò incredibilmente familiari.
Per un paio di minuti Sabrina restò in silenzio, lasciandosi cullare dalla musica per cercare di non farsi opprimere eccessivamente da ciò che doveva dirgli e dal timore di quella che sarebbe stata la reazione di Joël, limitandosi ad ascoltare e ad osservarlo suonare con la massima concentrazione ed estraniarsi da tutto ciò che lo circondava proprio come accadeva a lei ogni volta in cui nuotava o s’immergeva in mare aperto. Quando Joël smise di suonare le sue dita si fermarono, accarezzando un’ultima volta i tasti prima di sollevarle, e Sabrina si permise finalmente di parlare, abbozzando un sorriso mentre accennava al titolo della composizione:
Côte d'Azur. È davvero bellissima. E un gran bel titolo.”
“Diciamo che questo posto mi ha molto ispirato quest’anno. Penso che sia stata un’estate che scorderò difficilmente. In realtà ne ho scritta anche un’altra...”
Joël tornò a guardare il leggio del pianoforte per togliere i due spartiti del brano che aveva appena suonato, appoggiandoli sulla parte superiore del costosissimo strumento per consentire alla strega di osservare quelli che aveva lasciato al di sotto. Di nuovo lo sguardo di Sabrina indugiò sul titolo, e leggendo l’unica parola che lo componeva si sentì stringere dolorosamente lo stomaco in una morsa ferrea. Joël fece per rimettersi a suonare ma questa volta Sabrina lo bloccò, stringendogli il braccio sinistro mentre scuoteva la testa fissando destabilizzata la tastiera del pianoforte, incapace di guardare lui quanto il suo nome scritto in cima ad uno dei due spartiti: non poteva assolutamente permettergli di suonare qualcosa che aveva scritto appositamente per lei senza sapere.
“Aspetta.”
Joël indugiò, sorpreso, con le braccia sollevate verso la tastiera mentre posava lo sguardo su di lei, inarcando dubbioso e preoccupato le sopracciglia prima di metterle una mano sulla spalla e cercare invano il suo sguardo mentre la strega fissava con ostinazione i tasti d’avorio del pianoforte.
“Che cosa c’è? Anche prima mi sei sembrata strana, c’è qualcosa che non va? È per quello che ti ho detto? Mi dispiace se ti ha messo in crisi o se per te era troppo presto, ma per me non lo è.”
Joël non aveva mai provato sentimenti così forti per nessuno e per lui esprimerli a parole era stato meraviglioso, ma all’improvviso iniziò a temere che lo stesso non fosse stato per Sabrina, e la guardò con preoccupazione crescente mentre la strega scuoteva la testa, gli occhi scuri di nuovo lucidi.
“Non è questo. Cioè, in parte sì. Devo dirti una cosa da un sacco di tempo e mi sento malissimo per non averlo ancora fatto.”
“Beh, io scherzavo quando ho supposto che fossi segretamente sposata, spero di non averci azzeccato.”
Joël si sforzò di sorridere cercando di allentare la tensione che lui stesso stava iniziando a provare, ma quando Sabrina tornò a ricambiare il suo sguardo capì che non doveva esserci nulla di divertente in ciò che la strega si stava accingendo a dirgli.
“Se ti arrabbierai lo capirò, perché avresti pienamente ragione. Non ti ho detto qualcosa che condiziona fortemente la mia vita e avrei dovuto farlo.”
“Soffro di una… malattia congenita. Del tessuto connettivo, che nel mio caso interessa il sistema cardiovascolare. Si chiama Sindrome di Marfan. È molto rara, non mi aspetto che tu la conosca, è… per questo che non ho mai nuotato a livello agonistico. Per questo che sono rimasta qui, per questo che non bevo quasi mai, che seguo una dieta che tutti trovano strana visto che sono magra. E le mie dita…”
Sabrina chinò lo sguardo sulle proprie mani, abbandonate in grembo, e Joël la imitò d’istinto, guardando quelle dita lunghe che spesso si era ritrovato ad osservare e a riflettere su come fossero simili alle sue, così lunghe e affusolate, senza sapere quanto la strega invece le avesse sempre detestate.
“Si chiama aracnodattilia. Le persone che soffrono di questa malattia hanno spesso le dita straordinariamente sottili e lunghe. E sono alte, e magre.”
Joël non era del tutto sicuro di sapere cosa dire. O di sapere come si sentisse a riguardo. In effetti non sentiva niente mentre guardava Sabrina stentando a credere a ciò che stava uscendo dalle sue labbra, troppo schioccato per quel mare di informazioni che mai si sarebbe aspettato di ricevere. Non da lei.
“Che cosa… che cosa significa?”
“È una malattia genetica. Mia nonna ne soffriva, ma se ne sono resi conto solo quando era già abbastanza anziana… non esiste una cura definitiva, io prendo i betabloccanti per ridurre la pressione arteriosa.”
“È per questo che sei spesso stanca?”
Joël le prese la mano guardandola ansioso, il busto leggermente proteso verso di lei mentre iniziava rapidamente a sentirsi un perfetto idiota: avevano passato tantissimo tempo insieme nelle ultime settimane, come aveva fatto a non rendersi conto di nulla? Sabrina invece annuì, momentaneamente incapace di parlare, mentre un paio di prime e calde lacrime iniziavano a rotolarle dalla base degli occhi scuri per scendere rapide e silenziose lungo zigomi a guance. La strega guardò la propria mano stretta da quella di Joël e si sentì sprofondare nel senso di colpa, stentando a credere di poter essere causa di sofferenza per qualcuno a cui teneva così tanto.
“Mi dispiace.”
“È una… una cosa molto grave?” 
Pronunciare quelle parole costò una fatica indicibile a Joël, che all’improvviso ebbe come la sensazione di essere rimasto sprovvisto di saliva, con un nodo alla base della gola e una voragine a divorargli lo stomaco solo immaginando ciò che Sabrina avrebbe potuto dirgli. All’improvviso si sentì quasi trasportato indietro nel tempo di molti anni, quando suo nonno gli aveva taciuto per mesi le sue penose condizioni di salute per non farlo preoccupare, e mentre lui bighellonava a Beauxbatons la persona a cui più teneva al mondo soffriva in silenzio, senza di lui.  Il mago dovette sforzarsi per deglutire mentre non osava distogliere lo sguardo dai profondi e lucidi occhi scuri di Sabrina o lasciare la sua mano, quasi aggrappandosi a quella stretta con tutto se stesso.
“Di solito si arriva ai 60 anni, se si prendono le cure e si segue un certo stile di vita.”
All’udire quelle parole Joël si sentì pervadere dalla più piacevole ondata di sollievo che avesse mai sperimentato in tutta la sua vita: per alcuni orribili istanti aveva sinceramente temuto di sentire Sabrina dirgli di avere una bassissima aspettativa di vita davanti a sé e sapere il contrario gli permise di tornare a respirare normalmente e cercare di analizzare la situazione con tutta la lucidità che gli era consentita mentre le asciugava le lacrime sulla guancia sinistra con le proprie dita, guardandola con mite e affettuoso rimprovero mentre le sue mani indugiavano attorno al suo viso, stringendolo dolcemente:
“E perché non me l’hai detto?”
“Non lo so. Credo che fosse bello che qualcuno per una volta non lo sapesse, mi ha fatto sentire più normale di quanto non mi sia mai sentita. E so quanto hai sofferto per tuo nonno, detesto l’idea di poterti far soffrire anche io. Mi dispiace tantissimo Joël.”
Sabrina si protese verso di lui per appoggiare il capo sulla sua spalla traendo un profondo respiro, infinitamente sollevata di essersi finalmente tolta quel peso, e Joël la lasciò fare, circondandole la vita con le braccia e appoggiando la testa contro la sua mentre fissava assorto e ancora disorientato un punto indefinito della sala buia, momentaneamente incapace di realizzare pienamente ciò che Sabrina gli aveva appena rivelato. All’improvviso si sentì come fluttuare in una specie di sogno, come se quel momento non potesse essere davvero reale e fosse destinato a finire da un momento all’altro.
“Andiamo di sopra, ti va? Ne parliamo con calma. Va tutto bene, non sono arrabbiato, ma voglio capire.”
“Ok.”
Sabrina annuì, sollevò una mano per asciugarsi gli ultimi residui di lacrime che le erano colate sul viso e infine si alzò senza lasciare la mano di Joël, che la seguì in silenzio fuori dalla sala dopo aver recuperato gli spartiti, circondandole le spalle con un braccio per attirarla a sé e scoccarle un bacio sulla tempia per confortarla mentre s’incamminavano verso la Hall. 
Avrebbero praticamente trascorso una notte insonne a parlare e l'ultima composizione di Joël avrebbe dovuto aspettare ancora un po’ per vedere la luce, ma quando il musicista si ritrovò a fissare il soffitto, molte ore più tardi, mentre Sabrina gli dormiva accanto abbracciandolo, l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu a come restarle accanto il più possibile dopo la fine dell'estate. 

 
*

 
16 agosto

 
Asher stava studiando, seduto a gambe incrociate sul copriletto bianco del letto matrimoniale della sua camera con un libro di storia medievale aperto davanti insieme ad evidenziatori gialli e arancio pastello e ad un mare di post-it abbinati. Frankie stava invece sonnecchiando pacifico nella sua cuccia, godendosi come il padrone l’aria condizionata, ma il cagnolino venne bruscamente destato dal sonno quando qualcuno prese a bussare alla porta bianca della camera, portando Asher a smettere di sottolineare la prima pagina del capitolo che avrebbe dovuto iniziare a studiare di lì a breve per alzarsi e andare ad aprire. Era talmente abituato a ricevere un numero di visite decisamente ristretto (rispettivamente da parte di Silas, Meadow o Ridge) da nemmeno porsi il problema di dare un’occhiata al corridoio attraverso lo spioncino: il ragazzo impugnò la maniglia e semplicemente aprì la porta, quasi del tutto certo di trovarsi di fronte una sorridente Meadow con l’intento di proporgli una passeggiata o un tuffo in piscina. Trovandosi di fronte, al contrario, una donna alta, dai grandi occhi celesti contornati da lunghe ciglia e una folta chioma bionda lo stupì non poco, e Asher strabuzzò gli occhi chiari in segno di sincero sgomento mentre Brooke, al contrario, lo guardava stando in piedi sulla soglia e sorridendogli con la massima tranquillità:
“Ciao caro. Posso parlarti per un momento?”
Asher aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono, perciò si affrettò ad annuire e a spostarsi di lato per farla passare, chiudendole la porta alle spalle mentre Frankie sgusciava dalla cuccia per andare a farle le feste scodinzolando. Brooke si inginocchiò sul parquet della camera per accarezzare la sofficissima testa color biscotto del tenerissimo barboncino ed Asher rimase a guardarla stando immobile sulla soglia, la salivazione improvvisamente azzerata e il cuore in tumulto mentre un unico pensiero gli affollava la mente:
Merda
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
*si asciuga una lacrimuccia*
Ho alcune cose da dire ma vorrei partire con lo scusarmi con voi per il ritardo con cui ho aggiornato dall’inizio di gennaio fino ad ora. Mi sono presa ben più indietro rispetto a quanto non avessi voluto con gli ultimi aggiornamenti di questa storia e me ne dispiaccio molto, sapete quanto io detesti visceralmente non rispettare le scadenze che mi prefiggo e delle quali vi informo, ma sto vivendo settimane dove arrivo alla sera molto stanca e spesso purtroppo poco ispirata nonostante io adori scrivere questa storia.  
Il prossimo capitolo sarà l’ultimo (Epilogo escluso, s’intente), e non posso fare a meno di chiedermi come io e questi personaggi siamo arrivati fin qui. Come sarebbe a dire che questa storia è ormai giunta al termine, se solo era l’altro ieri quando pubblicavo il Prologo durante un’afosa mattinata di fine agosto?
I discorsi strappalacrime cercherò di risparmiarveli per l’Epilogo, stasera voglio limitarmi a spendere qualche parola in merito a questo capitolo, dove ho cercato di “chiudere” un po’ tutte le questioni rimaste in sospeso, a partire dalla tossicissima relazione tra Asher e Ridge – ringrazio Bea per avermi permesso di scrivere anche di questo, penso che trovarci di fronte a situazioni così orribilmente realistiche anche in un’opera ludica e di finzione faccia comunque riflettere su chi non dobbiamo includere nella nostra vita – fino a Sabrina e alla sua malattia. Per certi versi scrivere della sua condizione mi addolora profondamente, è pur sempre una mia creatura e mi ci sono davvero affezionata nel corso di tutti questi mesi, ma ci tengo a sottolineare che la mia non è stata una forma di sadismo, che lei e Joël hanno comunque davanti il futuro splendido che entrambi meritano e che la decisione di affibbiarle questo peso è stata dovuta solo ed esclusivamente ad una presa di consapevolezza, ovvero che delle malattie congenite non si parla abbastanza. Anche se di OC con vite costellate da tragedie di ogni tipo ne ho visti e rivisti in tutti questi anni, prima di Sabrina avevo avuto modo di affrontare una tematica di questo tipo solo una volta, e parlo di molti anni fa, perciò ho deciso di cimentarmici ora, quando sono disgraziatamente molto più adulta, matura e consapevole di parecchie cose. E anche per questo motivo sono ancor più felice di aver donato molta più gioia nella vita di Sabrina, grazie Em per avermi permesso di farlo mandandomi Joël, che è davvero la sua anima gemella.
Gran parte di ciò che andava detto è già stato detto qui, perciò vi preannuncio che il prossimo capitolo sarà a tutti gli effetti un capitolo di chiusura e più breve del solito, anche se perle come Ridge preso a calci da Brooke sicuramente costituiranno uno spettacolo gradevole. Questa volta spero che arrivi presto davvero, anche se in parte non sono pronta a lasciar andare questi OC.
Ne approfitto anche per ringraziare tutte voi che partecipate per esservi iscritte anche alla mia nuova storia, sono sicura che mi manderete personaggi che amerò tanto quanto ho amato quelli di questa storia.
A presto e un abbraccio a tutte!
Signorina Granger
 
   
 
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