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Autore: Shadeyes    17/03/2012    3 recensioni
Il terzo capitolo di questa long-fic, assieme all'extra "Angelo Bianco", si è classificato secondo al "Love Canon Contest", indetto da sweetPotterina sul forum di EFP.
Vincitore del premio Cuore, per la storia d'amore più bella, e del premio Lacrima, per la storia più commovente.

Fiction dedicata a Carlisle ed Esme, una delle coppie più romantiche di Twilight.
Non vuole raccontare nulla più che la verità. Pochi, intensi capitoli sulla storia del loro amore travagliato, dal punto di vista di Esme.
Spero di riuscire ad emozionarvi :)
Alzai lo sguardo, scrutai in quelle iridi color miele e con sgomento vi trovai un dolore represso, un sentimento che non sarei mai riuscita ad attribuirgli.
Cancellai dalla mia mente ogni cosa, ogni pensiero razionale che avrebbe potuto frenarmi.
Mi sollevai sulle punte dei piedi e poggiai le mie labbra sulle sue.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Esme Cullen
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing Memories'
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Carlisle and Esme









Missing Memories









Parte seconda








Point of view
-Carlisle-



«Profumo. Dolce, profumo.
Quello della vaniglia, innocente, e del latte fresco, delicato. Bianco.
Ma non era né l’uno né l’altro. No, quel profumo era caldo, vivo. Si spandeva piano, lentamente, pulsava appena, ma c’era, potevo sentirlo.
Lavoravo all’ospedale di Vancouver ormai da qualche anno, ma quando quella mattina presi servizio mi accorsi che c’era qualcosa di diverso tra le mura dei reparti. Tutto era impregnato di un odore che mi era terribilmente familiare, eppure la mia mente non voleva saperne di riesumare il ricordo al quale era legato.
Avevo scelto Vancouver perché era una città nuova per me, non ci avevo mai vissuto prima, e mi era sembrata perfetta come meta, abbastanza lontana e assai dissimile dal posto dal quale ero fuggito.
Columbus.
La mia espressione cambiò all’istante.
Il profumo che mi tormentava prese finalmente forma; un volto, una folta chioma castana, uno sguardo amabile color cioccolato, un sorriso gentile e, infine, quel nome tanto sospirato.
Esme.
Si trovava lì, in quell’ospedale. Perché a Vancouver? Non poteva avermi trovato, non avevo lasciato la minima traccia, nessuna informazione sulla mia nuova residenza.
Le avevo detto addio anni addietro ed era stato già doloroso all’epoca; non avrei sopportato una seconda separazione, non avrei avuto la forza necessaria per allontanarmi ancora da lei.
Dovevo andarmene, subito. La tentazione di poterla rivedere era forte, irresistibile, ma la mia forza di volontà andava ben oltre il mio desiderio egoistico. Già una volta l’avevo salvata dal mio inferno, e l’avrei salvata ancora.
Aprii la finestra del mio ufficio, deciso a voler cambiare quel destino così ingiusto, a mettere fra me e l’angelo bianco più miglia possibili, per lei, per il suo bene, la sua felicità… ma non lo feci.
Il profumo si era affievolito fin quasi a svanire del tutto.
C’era qualcosa che non andava. Conoscevo fin troppo bene quella sensazione.
Esme… non stava bene.
 Il pensiero che si trovasse lì per problemi di salute mi colpì come un pugno in pieno petto.
Se davvero era così, non si trattava di una semplice e innocua freddura.
Esme stava morendo.
Uscii dal mio ufficio quasi scardinando la porta, lottando contro me stesso per mantenere un’umana capacità di movimento. Camminavo veloce, tutto ciò che mi potevo concedere.
«Dottor Cullen…».
«Non adesso!».
Mi allontanai dal mio reparto e dalle infermiere che mi cercavano; seguivo il debole profumo di Esme, ormai dimentico di tutti i buoni propositi che avevo per lei. Volevo solo raggiungerla, ora.
Avevo paura.
Per la prima volta nella mia lunga vita immortale, avevo paura.
Terrore di perderla, sì, perché anche se l’avevo abbandonata non l’avevo mai persa davvero. Finché ci fosse stata lei al mondo, io avrei ancora potuto vivere di amore e di speranze, un piccolo bagliore di luce nell’immensa oscurità del mio dolore.
Esme.
Senza di lei, sentivo che avrei perso la ragione. Sarei morto dentro senza mai perire davvero, e questa era una condanna che non sarei riuscito a sopportare.
Scesi le scale a due a due, ancorato a Esme con la mente e con il cuore, pregando Dio di non portarmela via, di darle una possibilità di salvezza.
Varcai la porta dell’obitorio senza quasi rendermene conto.
Non è morta, Esme. Non è morta, non ancora.
La sua dolce fragranza era flebile, sovrastata dal pungente odore di corpi senza vita, ma era presente come l’ossigeno nell’aria.
La luce del sole non raggiungeva quella stanza, resa ancora più lugubre dalle barelle accostate al muro, le lenzuola tirate a coprire i volti delle persone il cui cuore aveva appena smesso di battere. Tutti tacevano. Tutti, tranne uno.
Oh, com’era debole il suo pulsare… Il mio udito di vampiro, seppur cento volte più sviluppato di quello umano, faticava a percepirlo.
Mi avvicinai a quel lettino coperto, le mie mani afferrarono convulsamente il telo bianco, esitando, poi mi costrinsi a scostarlo.
Esme era lì, stesa e immobile, livida e sporca di sangue rappreso su tutto il volto e sulle vesti strappate.
Cosa ti è accaduto, angelo mio?
Il suo viso era bello, angelico, esattamente come lo ricordavo, ma dolorosamente provato, troppo stanco per appartenere a lei, alla mia piccola Esme.
Una smorfia di mestizia mi increspò le labbra. Ormai era una donna, la mia Esme. La ragazzina che si era rotta una gamba per aiutare due bambini era solo più un lontano ricordo, come quel bacio che mi aveva donato e che ancora custodivo con estrema cura tra le mie memorie.
Strinsi dolcemente la sua mano tra le mie, fredda e inerte, e me la portai alle labbra, posando un lieve bacio sul dorso.
La sua pelle era violacea, la sua bocca, una volta rossa come le ciliegie di maggio, era pallida e screpolata. Col tatto percepivo il suo sangue scorrere nelle vene, lento, insufficiente, mentre il suo respiro era quasi impercettibile.
«Aiutami, Signore. Cosa posso fare per salvarla?». La mia voce era irriconoscibile, così roca e soffocata. Se soltanto avessi potuto, avrei iniziato a piangere.
Nessuno avrebbe aiutato la mia Esme. Tutti pensavano che fosse morta, ormai. E lo era, lo sarebbe stata presto.
Non puoi lasciarmi, Esme, ti prego.
Non potevo supplicarla di restare, quando io stesso le avevo voltato le spalle anni prima. Che razza di ipocrita!
«Non costringermi a farlo, Esme, ti scongiuro! Svegliati, ti prego… svegliati…».
Niente.
Il destino mi stava ponendo di fronte ad una scelta troppo dolorosa da dover prendere: donarle una vita d’inferno, con me, o lasciarla morire.
Appoggiai la fronte al suo petto, abbracciandola, ascoltando il suo cuore che spirava faticosamente gli ultimi battiti. In un modo o nell’altro, si sarebbe fermato comunque.
Non potevo, non avevo la forza di lasciarla andare. Io amavo Esme. Era l’unica donna per cui avrei mai potuto provare quel sacro sentimento. L’unica per cui ero disposto a commettere peccato. E lo commisi, perché nessun prezzo da pagare avrebbe eguagliato il dolore di quella perdita.
«Perdonami, Esme», mormorai a fil di voce.
Le accarezzai una guancia e i capelli, poi le affondai i denti alla base del collo, dove la giugulare riusciva ad avere ancora qualche spasimo, così da permettere al mio veleno di invadere più velocemente tutto il corpo, e il cuore.
Il suo sangue era l’apoteosi di tutto quel dolce profumo che ancora riusciva ad emanare, un sapore così afrodisiaco da minacciare il mio saldo autocontrollo, ma non abbastanza da farlo cedere.
Mai avrei permesso a me stesso di pensare a Esme come a del cibo perverso.
Mi staccai dalla sua gola per incidere i polsi e le caviglie. Il veleno agiva più rapidamente e, di conseguenza, più indolore se penetrava da più punti; avevo commesso l’errore di non farlo con mio figlio Edward, quando lo trasformai, ed era stato orribile.
Rimasi con Esme per tutto il resto della giornata, nascosti in un magazzino, lontano da tutto e da tutti, in attesa che la notte scendesse sulla città così da poterla trasportare a casa senza destare il minimo sospetto.
Era una gioia poter sentire il suo cuore battere così frenetico, segno che il veleno stava agendo in tempo, ma sotto la felicità per averla salvata dall’oblio stava nascendo un senso di colpa che, sapevo, non si sarebbe mai più estinto.





Point of view
-Esme-



Dolore. Atroce dolore.
Un attimo prima nemmeno esistevo, l’attimo dopo ero sveglia, di nuovo me stessa, e urlavo.
Era come avere il fuoco vivo dentro; ogni fibra del mio corpo bruciava, avvolta da fiamme invisibili, mentre i muscoli si contraevano e distendevano, facendomi dimenare.
Non sentivo nulla, se non dolore.
La mia pelle aveva perso sensibilità con l’esterno. Ero solo certa di essere sdraiata, perché non avrei assolutamente avuto la forza di sorreggermi in piedi.
I miei occhi erano spalancati, ma non vedevano realmente. Colori, miscugli indistinti. Ambra.
C’erano suoni, tanti, sovrastati dalle mie urla insistenti. Una voce che non riconobbi.
Dolore, dolore, troppo dolore.
Il fuoco abbandonò i miei arti, che ricaddero inerti. Adesso infiammava al centro del mio petto, mozzandomi il respiro.
Rimase lì, a consumarsi lentamente come una candela accesa, e quando finalmente si spense, liberandomi dal bruciore insopportabile, mi spensi anch’io.
Abbracciai la morte come una bambina poteva abbracciare la sua mamma, con una sorta di felicità, di sollievo che non provavo più da molto tempo. E fu buio eterno.



Assenza.
Suoni, immagini, sensazioni. Assenza totale.
Fluttuavo in uno spazio indefinito, nero, buio, profondo, senza meta alcuna.
Intorno a me c’era il nulla, il vuoto assoluto. Nemmeno io avevo più una consistenza.
Non provavo niente. Né paura, né angoscia, ma nemmeno pace e tranquillità. Di quell’assenza facevo parte anche io.
«Esme».
Una parola, un nome. Così lontano…
«Esme!».
Di nuovo, più deciso.
Ero io, Esme? Sì, quello era il mio nome. Adesso lo ricordavo.
All’improvviso fu percezione, e io iniziai a prendere una forma, ad occupare quello spazio che prima neanche esisteva.
«Apri gli occhi, Esme».
Una voce. Dolce, pensai. Calda.
E fu di nuovo sensazione.
«Apri gli occhi!».
Un ordine privo di significato.
L’attimo prima galleggiavo in un denso nero, l’attimo dopo ogni cosa ebbe una forma, una massa, un colore, una ragione di esistere.
Un telo bianco che si chiamava soffitto, una macchia dorata al centro, il lampadario, e due pietre ambrate incastonate in un ovale perfetto.
Ambra.
«Respira, Esme».
Due linee piene, le labbra di un viso, si mossero.
Da un momento all’altro, i miei polmoni si espansero, e l’aria riprese a circolarmi in corpo.
Però era diverso. Non mi diede alcun sollievo.
Sentivo di non averne davvero bisogno.
Aprii la bocca perché ricordavo di poter parlare, ma non vi uscì niente.
«Riprovaci», m’impose l’uomo. Sì, era un uomo.
Lo guardai meglio, soffermandomi sui lineamenti. Osservarlo mi procurava una sensazione strana, un misto tra disagio e gioia, sollievo e dolore, nostalgia e confusione.
Corrugai la fronte. Mi era… familiare.
Boccheggiai, mentre delle lettere lampeggiavano nella mia mente.
«Carlisle».
Bastò pronunciare quel nome, e i ricordi di tutta una vita mi piombarono addosso, schiacciandomi in un mare di tristezza e mesta malinconia.
Trasalii, stringendo convulsamente qualcosa di solido, qualcosa che scoprii essere la sua mano. La mano di Carlisle, del mio vecchio dottore di Columbus, del mio primo amore; quell’uomo a cui avevo donato il mio primo bacio, e tutto il mio cuore. Quello stesso uomo che se n’era andato, lasciandomi al mio destino.
C’era stato il matrimonio, la guerra, il sesso, la violenza… poi, la fuga, la gravidanza, il parto… e la morte, quella di mio figlio e la mia.
«Sono… viva», mormorai, incredula. Ma forse, mi sbagliavo.
Erano anni che non rivedevo Carlisle, e trovarlo così, bello e giovane come all’epoca, che mi sorrideva dolcemente… Oh, era il Paradiso!
«Sì, sei viva, Esme», mi disse. La sua espressione si colmò di una gioia immensa e la sua mano lasciò la mia per carezzarmi la guancia. «Sei viva», ripeté.
Avevo dimenticato la splendida sensazione che mi procuravano i suoi tocchi. Chiusi gli occhi per un istante, beandomi di quel momento come se potesse essere l’ultimo, vivendolo e assaporandolo per tutta la sua durata, ma quando tornai a guardarlo, lui era lì, ancora vicino, ancora con le dita sulla mia pelle.
«Se non sono morta, voi perché siete qui? Sto forse sognando?».
Lui rise appena, scuotendo la testa. «È tutto vero, Esme».
Sbattei le palpebre, confusa. «Ma io ricordo di essermi gettata dalla rupe… di essere caduta in mare…».
«È tutto finito, adesso», mi spiegò, negando ancora con la testa. «Non soffrirai più, Esme, te lo prometto. Ora posso farlo, posso giurartelo. D’ora in avanti e per l’eternità, ci sarò io a proteggerti, se tu lo vorrai».
Avevo sognato quelle parole per un tempo che mi sembrava infinito, e ora che quella bocca, quella voce le pronunciava, mi sentivo come se qualcuno ― o lui, proprio lui ― avesse forzato la serratura della gabbia nella quale avevo sempre vissuto, e per la prima volta mi sentii libera. Libera di vivere, libera di amare, di essere finalmente me stessa.
«Mi avete… salvata», sussurrai, saturando il mio tono di immensa gratitudine.
Non mi importava come, perché tutto fosse accaduto. Non mi importava del passato, di quello che era successo. Ci sarebbe stato tempo per tutto, in futuro. Ora, volevo solo vivere quel presente che avevo tanto agognato.
Gli portai le braccia al collo senza più nessuna inibizione. Entrambe le sue mani corsero ad accarezzarmi la schiena, mentre avvicinavo il mio viso al suo, ma quella volta fu diverso.
Non fu veloce, né improvviso come lo era stato la prima volta.
No, adesso entrambi sapevamo cosa stava per succedere, e non ci sarebbero stati ripensamenti.
Nessuno sarebbe fuggito, quella volta.
Fu Carlisle a baciarmi, adesso, a unire le nostre labbra in un tocco carico di significati, di sentimento, di passione… di un amore represso per troppi anni.
Il mio, ma anche il suo. L’avevo sempre saputo.
Fu un’esplosione di baci passionali, profondi, intervallati dalle sue sole parole, dal suo enorme dispiacere. «Perdonami, Esme… per tutti questi anni… per averti abbandonata… perdonami».
Oh, ma io non dovevo perdonarlo. Non l’avevo mai incolpato di nulla.
Lo strinsi di più a me, rispondendo ai baci con foga, dimostrandogli che non portavo alcun rancore nel cuore, ma soltanto quell’immenso desiderio che avevo di lui.
«Resta con me, Esme. Ti voglio accanto fino alla fine dei giorni, angelo mio».
Risi di gioia a quelle parole, e lui con me, abbracciandomi forte come nessuno mai aveva fatto.
E lì, avvolta da quelle braccia, premuta contro il corpo dell’uomo che amavo, quel passato tanto doloroso sembrava non essere mai esistito, così fosco e confuso nella mia mente e così in contrasto con la felicità che stavo provando.
Lì, in quel momento, seppi che non stavo vivendo il lieto fine di una storia tragica, bensì l’inizio di qualcosa di molto più grande.
D’ora in avanti, avrei vissuto per davvero.





Fine






Rosa blu










Et voilà!
Ora, posso dichiarare conclusa Missing Memories.
Mi fa strano dirlo xD
C'è un po' di nostalgia nelle mie parole, perché nonostante fosse nata come long-fic breve, resta sempre una storia alla quale ho dedicato molti sentimenti, e con la quale ho condiviso tante emozioni.
Riconosco di non essere molto portata per i capitoli conclusivi. In un modo o nell'altro, li rovino sempre. Ma ho davvero impegnato tutta me stessa per scriverlo, e spero ne sia valsa la pena :)
Spero di avervi soddisfatto come autrice, di avervi trasmesso il più possibile, di avervi fatto commuovere e sospirare. Spero di essere stata all'altezza delle vostre aspettative. E spero mi seguirete ancora.
In questo ultimo capitolo c'è stato qualche riferimento alla one-shot "Angelo bianco" da parte di Carlisle, e ve la linko nel caso non l'abbiate ancora letta e abbiate nostalgia di questa coppia (Angelo bianco).

Ho ancora molto da dire su Carlisle ed Esme, di certo non è finita qui :) Ho già in progetto di scrivere una one-shot molto tenera e magari un po' più ricca di passione su di loro, che andrà a far parte della serie di Missing Memories. E magari, qualcos'altro. Non lo so. Andrò dove l'ispirazione mi porterà :)

Ringrazio tutti coloro che hanno seguito questa storia, che l'hanno saputa apprezzare, e ringrazio le ragazze che mi hanno sostenuta dall'inizio alla fine. Non posso vantare un numero esorbitante di lettori, ma posso vantarne la qualità, di sicuro :) Siete stai e sarete sempre importanti per me. Grazie di tutto, davvero.



Un bacio e buon sabato a tutti!






Hilary




   
 
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