Quando il suo migliore amico finisce in un brutto giro, Alex decide di intervenire per provare a tirarlo fuori. Ma le cose prendono una piega ben diversa, dal momento che il ragazzo si ritroverà, per vari motivi, a vivere a stretto contatto con le persone di quel covo, quel rifugio.
Persone spezzate, dalla vita e dagli eventi, diversi e simili a lui, ma mai quanto il loro capo: Hiromi è rotto, totalmente. Ma Alex non lo sa.

Loro erano due universi separati e distinti, due rette continue che non si sarebbero mai incontrate. L'uno immerso nel suo mondo, una vita lastricata di sfarzo e lusso. L'altro condannato a un'esistenza di assoluta povertà, costellata di pericoli. Non solo li separavano milioni di anni luce ma erano anche obbligatamente incompatibili.
Cosa succede però, se due rette apparentemente distanti, senza inizio né fine, di colpo collidono? L'una richiama l'altra e non vi sono compromessi, come una stella che muore, un buco nero.
Quando la donna metteva in mostra le sue opere nel Club il posto si riempiva di miliardari disposti a spendere il patrimonio di una vita pur di acquistare anche un solo quadro. Un simile comportamento, anni addietro, lo avrebbe inorridito ma condividendo la vita con Yongguk aveva imparato che se costava tanto bisognava averlo. Un quadro, un vino, un vestito o qualsiasi altra cosa perdeva il motivo di essere ciò che era e diventava null’altro se non un mero status symbol.

Michael/Luke
Michael è statico, da quando la donna più importante della sua vita lo ha abbandonato nel bel mezzo della sua infanzia: prende le cose sul momento, senza badare alle sfumature o alla durata o alla compiutezza di esse.
Luke è dinamico: il giorno prima potrebbe lavorare in un anonimo bar di Chicago, e quello dopo decidere di sorprendere più persone di quanto immagini.
Con la partecipazione di un Ashton ammaestrato per nascondere il dolore nell'iperattività e di un Calum che viaggia spesso, ma non dimentica le persone.

L'ultima confezione di caffè? Sarà mia, ad ogni costo.
[...]
«Pop corn?» glieli allungo accanto.
Josh scuote la testa «No, grazie. Ero venuto per parlarti.» Eh? «Di George.»
Mi blocco per un momento, poi riprendo a sgranocchiare.
«Non è così immaturo come credi, è solo...»
«Un rompi palle.»
Ridacchia sistemandosi i capelli «No! Cioè, a volte. Voglio solo farti capire che magari dovresti cambiare atteggiamento con lui... insomma, ci tiene a te.»
Deglutisco rumorosamente, com'è che di punto in bianco mi sento un senso di colpa?
«E so che anche tu gli vuoi bene.» sento le guance imporporasti appena, meno male che la stanza è buia.