Potevo fingere stasera.
Potevo farcela.
Avrei potuto fingere per molto tempo, cercando di convincere me stessa di stare bene, fino al giorno in cui mi sarei svegliata e finalmente sarei guarita davvero da quell'amore malsano.

Svoltò dietro l’angolo e un lampo squarciò il cielo, inducendola ad alzare il viso per incontrare quegli intesi occhi neri che l’aspettavano accanto al portoncino dell’appartamento dove abitava adesso.
Rabbrividì e non solo per il freddo, il cuore le si strinse rischiando di sbriciolarsi come sabbia al vento e fu sul punto di scoppiare a piangere.

"Sono io che non posso fidarmi di te. Tu hai innalzato un muro attorno a te… non per proteggerti dal mondo esterno, ma per vedere chi avesse abbastanza forza da scavalcarlo e raggiungerti. Io ci ho provato, giuro che l’ho fatto perché… ma ogni giorno che passa tu alzi quel muro e non mi permetti di starti vicina come vorrei.".

“Qualsiasi cosa, purché tu sia felice”, mi hai detto una volta, molti mesi prima.

"Perché ti amo e tu sei una fottuta testa di cazzo! Non sono io che non ti merito, sei tu che non ti meriti una come me! Quante altre donne troverai nel tuo mondo? Quante? Quante saranno disposte ad amarti veramente come me? Senza prenderti in giro o ambire ai “dieci minuti di celebrità” come li definisci tu? Senza venderti alla stampa come se fossi solo un oggetto con cui divertirsi? Quante persone troverai, disposte a restare anche quando le cacci via? Disposte a dividere la solitudine con te? Disposte ad amarti?"

Spostò la coperta, tenendo lo sguardo fisso su di me e poi percorrendo lento il mio corpo con le dita. Il fuoco deflagrava dopo il suo passaggio.
Accarezzò la stoffa nera del reggiseno, scendendo pigro sulla pancia piatta, fino all’elastico delle mutandine.