ciao, carissima, eccomi qui da te e da questa raccolta, che ammetto mi aveva davvero incuriosita e che non vedevo l'ora d'iniziare.
Io non sono una persona sintetica (nella scrittura, nel parlato invece lo sono, e molto), ho bisogno del giusto spazio per dire le cose, mi dilungo, mi prendo tempo, quindi inutile dire quanto mi mettano in difficoltà le drabble (ne ho scritte molte, per diletto e per sfida personale, a dire la verità, anche se non le ho mai pubblicate e le tengo per me), quindi ammiro sempre tantissimo quegli autori che, come te, si accostano a questo tipo di componimenti e riescono a dire tantissimo in così poche parole e a trasmettere altrettanto.
Questo testo, in particolare, è ricchissimo di allegorie, di sfumature e di ambivalenze. C'è davvero tanto, tanto da dire, ma cercherò di andare con ordine.
Innanzitutto, abbiamo il piano materiale del componimento, quello puramente visivo di questo campo di grano, di una campagna descritta efficacemente e che rimanda a taluni ambienti bucolici (mi viene da pensare, per l'appunto, alle Bucoliche di Virgilio), che per loro natura donano un senso di pace e di tranquillità, di ameno, ma anche di malinconia, come se si stesse osservando qualcosa di caduco, come se quella bellezza non fosse eterna e fosse destinata a rompersi e spezzarsi da un momento all'altro. In questo tuo componimento, questa caducità si sente più forte che mai, complice anche la tematica trattata, quell'accostamento alla vita e alla sua fine. Inoltre, siamo in autunno, la stagione per eccellenza dove tutto muore e sfiorisce, in preparazione di quello che è l'inverno, per poi sorgere a nuova vita in primavera. Si tratta di una stagione di passaggio, dove la bellezza della natura appassisce, e ha un certo suo fascino in questo morire. Ecco, questa melanconia si riscontra tra le righe di questo scritto e mi ha stretto davvero il cuore. È un commiato, bellissimo, ameno e bucolico, ma pur sempre un commiato.
Passando al piano introspettivo, come sempre il tuo tocco si sente, sia nello scritto che nel modo in cui riesce a presentare le introspezioni dei personaggi, la loro interiorità e il loro mondo. Riesci a far entrare il lettore nella loro mente con naturalezza, riesci a farlo essere loro e ne sei stata in grado anche in una storia così breve. Subito, noi siamo il protagonista, siamo il suo sentire, siamo il viaggio che percorre, i ricordi che rivive. Siamo lui e per questo possiamo sentire il suo struggimento, di nuovo questa malinconia portata dai ricordi di ciò che è stato, dalla consapevolezza di ciò che sarà. Ed è inutile dire quanto io adori tutto questo e il modo in cui tu sai rendere le introspezioni. Tanto di cappello a te e davvero complimenti per questa tua qualità che è cosa ben rara.
Altra cosa che salta subito all'occhio e che ho davvero adorato è la dualità della parola "miglio": essa indica sia l'unità di misura sia la spiga di grano, in questo duplice significato che si va a fondere e confondere nell'ultima frase, dove il miglio che il protagonista percorre con mano è quello della spiga di grano (in un'immagine davvero meravigliosa e suggestiva), ma anche quello della strada che sta percorrendo, che viene a essere la strada della vita. Un miglio che riesce a vedere e toccare e che è sia interiore che esterno. Siamo in un campo di grano, ma siamo anche in una strada che il protagonista sta percorrendo, così come l'ha vista percorrere tante volte anche a suo nonno, suo nonno che alla fine di quella strada c'è arrivato, mentre lui può solo immaginarne la destinazione. Ed, ecco, dunque di nuovo una dualità: la strada è sia quella di campagna che quella della vita, il cammino esistenziale che tutti ci troviamo a percorrere, miglio dopo miglio, conoscendone già la meta, ma non quello che c'è in mezzo.
E poi c'è la magia che il protagonista riesce a percepire con chiarezza intorno a sé. Quella magia che, quando siamo bambini, crediamo avvolga ogni cosa intorno, ogni aspetto dell'esistenza, e che in un luogo così ameno doveva sembrare ancora maggiore per i suoi occhi di bambino. Passeggiava con suo nonno e vedeva la magia intorno, la ritrovava nella primitività della natura, nelle spighe dorate del grano che oscillavano al vento, la ritrovava in ogni cosa e quel ricordo è ancora vivido in lui, così vivido che ancora può sentire quelle sensazioni, ancora può ritrovare quella magnificenza nei luoghi che lo circondano. Può ancora sentire quello stupore di fanciullo nel paesaggio intorno a lui, un paesaggio che ora guarda in maniera diversa, con occhi più conapevoli, da adulto. Ma sembra anche dire di non lasciar morire quella parte di sé che è bambina, perché nel lungo viaggio della vita si ha bisogno anche di quella, forse più di qualsiasi altra cosa. Il protagonista cammina tenendo per mano il sé bambino e la consapevolezza di dove il suo viaggio lo porterà, ma è sereno. Melanconico, ma sereno.
Una storia davvero struggente, questa, che riempie il cuore di quiete e trasporta nel ricordo, nel pensiero del futuro che si mischia al passato, in un presente che è sempre in divenire, in movimento.
Spero davvero di non essere andata troppo fuori strada con l'interpretazione di questo tuo scritto, che ho davvero amato moltissimo. L'ho letto per ben tre volte, solo per il piacere d'immergermici ancora. Hai creato delle immagini davvero evocative e suggestive e hai trasmesso tanto. Hai creato una piccolo, godibilissima, preziosa perla.
Un abbraccio e a presto :) |