Jolly Adventures - Le allegre avventure di Johel e Holly

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1298 DR: La Guerra e la comparsa dello Spirito Agrifoglio ***
Capitolo 2: *** 1301 DR: Infestando Galardoun ***
Capitolo 3: *** 1302 DR: Equipaggiamento primavera-estate (Parte 1) ***
Capitolo 4: *** 1302 DR: Equipaggiamento primavera-estate (Parte 2) ***
Capitolo 5: *** 1307 DR: Una notte di escatologia e occasioni mancate ***
Capitolo 6: *** 1307 DR: Il terzo incomodo ***
Capitolo 7: *** Inframmezzo - Presentazione dei personaggi ricorrenti ***
Capitolo 8: *** 1308 DR: Quando ci rivedremo avrai un’altra forma ***
Capitolo 9: *** 1308 DR: La strega della palude ***
Capitolo 10: *** 1315 DR: La Caccia ***
Capitolo 11: *** 1315 DR: L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 1) ***
Capitolo 12: *** 1315 DR: L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 2) ***
Capitolo 13: *** 1316 DR: L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3) ***
Capitolo 14: *** 1316 DR: Radici (Parte 1) ***
Capitolo 15: *** 1316 DR: Radici (Parte 2) ***
Capitolo 16: *** 1316 DR: Radici (Parte 3) ***
Capitolo 17: *** Inframmezzo - Presentazione dei personaggi di questo arco narrativo ***
Capitolo 18: *** 1316 DR: Radici (Parte 4) ***
Capitolo 19: *** 1316 DR: Radici (Parte 5) ***
Capitolo 20: *** 1316 DR: Radici (Parte 6) ***
Capitolo 21: *** 1316 DR: Radici (Parte 7) ***
Capitolo 22: *** 1316 DR: Radici (Parte 8) ***
Capitolo 23: *** 1316 DR: Radici (Parte 9) ***
Capitolo 24: *** 1316 DR: Radici (Parte 10) ***
Capitolo 25: *** 1316 DR: Epilogo (Parte 1) ***
Capitolo 26: *** 1316 DR: Epilogo (Parte 2) ***
Capitolo 27: *** 1316 DR: Epilogo (Parte 3) ***
Capitolo 28: *** 1316 DR: Epilogo (Parte 4) ***
Capitolo 29: *** 1316 DR: Epilogo (Parte 5) ***
Capitolo 30: *** 1317 DR: Epilogo (Parte 6) ***
Capitolo 31: *** 1317 DR: Epilogo (Parte 7) ***
Capitolo 32: *** 1317 DR: Epilogo (Parte 8) ***
Capitolo 33: *** 1317-1318 DR: Epilogo (Parte 9) ***



Capitolo 1
*** 1298 DR: La Guerra e la comparsa dello Spirito Agrifoglio ***


1298 DR: La Guerra e la comparsa dello Spirito Agrifoglio, ovvero Quando pensavo di aver perso un amico, ma gli amici restano sempre con noi


La cerimonia era stata molto toccante. Questa è una cosa che ricorderò per sempre, per quello che vale: un funerale solenne, molto… sacrale. Ma non ci avrebbe restituito i nostri morti. Il dolore del lutto pesava su tutti noi, come una cappa di oscurità.
Noi elfi non siamo famosi per esternare le nostre emozioni. I volti dei miei compagni erano solenni e austeri. Il loro dolore traspariva solo dall’incuria verso sé stessi: nessuno si era ripulito dal fango dopo aver scavato le tombe. Qualcuno non si era nemmeno fatto guarire tutte le ferite di guerra. Forse questo era il nostro modo di vivere il dolore, la gratitudine.
Queste persone non erano il mio clan. Ma erano il clan di mia madre, quindi erano comunque parenti. Il mio dovere nei loro confronti mi era chiaro. Ero passato spesso a trovarli nel corso dei miei viaggi, e qualche settimana prima mi trovavo con loro quando avevamo saputo dell’avvistamento degli orchi. Quando tutti i clan della Penisola del Collo del Drago si erano riuniti, non mi ero tirato indietro.
Adesso non erano più solo parenti. Erano anche compagni d’armi, avevamo combattuto fianco a fianco un’epica battaglia.
È giusto chiamarla così? Quante morti deve contare una battaglia per essere epica?
Mi guardai intorno, facendo mentalmente la conta dei sopravvissuti. Era come fare la conta dei morti, ma alla rovescia.
Mi accorsi che non riconoscevo la maggior parte di quei volti. Dietro quegli sguardi cupi, nasi spezzati, teste fasciate, c’erano persone che per me non avevano neanche un nome. Sapevo solo che mi avevano coperto le spalle in battaglia ed io avevo rischiato la vita per loro, e tanto mi bastava.
I clan della Penisola del Collo del Drago non andavano sempre d’accordo, ma davanti agli orchi qualunque elfo era un fratello.
Ci eravamo uniti per combattere le orde degli invasori, in un luogo che pensavamo essere difendibile. Eravamo centinaia di elfi dei boschi, divisi in piccoli contingenti armati. Più di quanti ne avessi mai visti tutti insieme. Avevamo difeso quella terra al meglio delle nostre possibilità. Solo la metà di noi era arrivata a vedere la fine della battaglia.

Raccogliere i nostri morti era stato un lavoro lungo, ma c’era ancora molto altro da fare. I cadaveri degli orchi erano rimasti indietro, perché quelle bestie non seppelliscono i loro compagni. Non in guerra, almeno. Ora quei rifiuti giacevano abbandonati nella foresta, sui sentieri, sulle strette mulattiere che si abbarbicavano fra le colline coperte di boschi. Incastrati fra le rocce e fra le siepi, alcuni dimenticati nelle caverne sotterranee.
Le caverne sotterranee.
Il nostro popolo ama la luce del sole e il fruscio delle fronde, non eravamo a conoscenza delle caverne. Il terreno dove avevamo dato battaglia era una specie di terra di nessuno, non lontano dalla strada costruita dagli umani che separa la Penisola dal resto della foresta Wealdath. La Penisola è sempre stata considerata un luogo difendibile perché è una sorta di altipiano. Combattere sui declivi ci era sembrata una buona idea. Gli orchi avrebbero dovuto caricare in salita, facendosi ottimi bersagli per le nostre frecce.
Il rovescio della medaglia era che non conoscevamo quel territorio alla perfezione, mentre invece qualcuno di loro doveva essersi preoccupato di studiarlo. I nemici avevano trovato dei cunicoli sotterranei. Sembrava un’idea troppo astuta per degli orchi, ma avevano anche malefici alleati goblinoidi, un po’ più furbi. Codardi e furbi. Avevano pianificato di sorprenderci alle spalle, sbucando dietro le fila del nostro frazionato esercito.

Per fortuna avevamo con noi qualcuno in grado di pensare anche a quell’eventualità. Era andato da solo ad esplorare le caverne, trovando il punto debole dell’esercito nemico: una strettoia, dove solo pochi orchi affiancati sarebbero riusciti a passare, e di certo un solo ogre. C’erano altre caverne, ma troppo pericolanti o troppo strette, o che giravano indietro troppe volte rallentando eccessivamente la marcia dei nemici, quindi quella via era stata scelta, e quella via avrebbe condotto gli invasori alle nostre spalle.
Tutto molto bello, ma quella scoperta era arrivata troppo tardi. Troppo tardi perché il mio amico potesse tornare da noi a dare l’allarme. Se avesse abbandonato la posizione, gli orchi avrebbero superato quella preziosa strettoia difendibile. Sarebbero dilagati nelle larghe caverne e nei tunnel labirintici che si estendevano sotto la Penisola. E così, mentre noi combattevamo in superficie, difendendo le valli, i passi, le strade, un singolo elfo difendeva le gallerie contro quasi un quarto dell’esercito nemico.

Tutto questo però lo scoprii dopo. Mentre seppellivamo i compagni caduti, non sapevo dove fosse andato. Durante gli scontri eravamo stati separati dalla marea di nemici. Io ero impegnato a combattere vicino al letto di un torrente e lui si trovò bloccato su un altro versante del pendio, costretto a retrocedere verso la cima dell’altipiano. Quando lui aveva avuto l’idea di cercare una via sotterranea, io l’avevo perso di vista già da molte ore.
La battaglia era durata quasi un’intera giornata. Quando finalmente quel carnaio ebbe termine, non sapevo da dove iniziare a cercare il mio amico. Le tracce erano confuse dal passaggio di migliaia di piedi, ovunque nei boschi. Come distinguere le sue leggere tracce da quelle di qualsiasi altro elfo?
Il pensiero che fosse morto era quasi intollerabile e all’inizio lo scartai come un’assurda paura irrazionale. Man mano che le ore passavano, però, stava diventando un chiodo fisso. Non potevo credere che fosse caduto in una battaglia contro degli stupidi orchi, non dopo tutto quello che avevamo passato insieme. Non dopo aver affrontato nemici ben peggiori.
Eppure... non era ancora tornato. Questo lasciava poco spazio alla speranza. Delle semplici ferite non l’avrebbero fermato, lui era sempre stato categorico e privo di mezze misure: se era sopravvissuto, si sarebbe fatto vivo. In caso contrario...

Finimmo di sotterrare i corpi tre giorni dopo. Nel frattempo avevo chiesto in giro. Uno degli ultimi elfi a vederlo vivo accettò di parlarmi, anche se controvoglia. Aveva i suoi lutti da piangere e sembrava che non gli importasse molto del mio amico, ma mi raccontò quel che ricordava: lo aveva sentito parlare della sua idea delle gallerie.
Fu allora che scoprii che le gallerie c’erano davvero. Rimasi immobile per un lungo momento, rabbrividendo, e non per l’aria fredda che arrivava dal sottosuolo. Stavo iniziando a rendermi conto del rischio che avevamo corso.
Passai il primo giorno ad esplorare le grotte nella zona sbagliata. Stavo per rinunciare (per quel giorno) e tornare in superficie, quando da una fenditura nella roccia mi arrivò una zaffata di odore vomitevole. Sangue, putrefazione: l’odore della morte. Quella fenditura era troppo stretta perché potessi passarci e le gallerie che riuscii a trovare non mi condussero a nulla. Tornai in superficie e cercai di orientarmi, per capire dove fosse la caverna di cui sospettavo l’esistenza.
Ci misi quasi un’altra giornata intera, ma alla fine la trovai.
Era il luogo di un massacro. Una pila di corpi di orchi e goblin ostruiva quasi del tutto la galleria, alcuni di essi sembravano essere stati calpestati, forse dai loro stessi compagni che cercavano di scavalcare la montagna di cadaveri e proseguire nella loro folle battaglia. Era chiaro che per quanti nemici fossero entrati in questa caverna, non tutti dovevano essere morti qui: quando il mucchio di cadaveri era diventato un ostacolo insormontabile, il resto della truppa doveva aver voltato le spalle per tornare all’aperto, rinunciando a questa strategia.

Lo trovai sotto il cadavere di un orco particolarmente grosso, forse un ogrillon.
Forse avete già sentito il modo di dire “è un lavoro sporco, ma qualcuno deve farlo”. Non credo che lo possiate comprendere davvero, se non avete mai spostato a mani nude una mezza dozzina di carogne. Vecchie di quattro giorni. Solo per ritrovare infine ciò che speravate di non trovare: il cadavere fracido del vostro migliore amico.
Era a stento riconoscibile e aveva diverse ferite, molte delle quali mortali. Questo era strano, sapevo bene che il suo stile di combattimento lo rendeva un maestro nell’evitare i colpi. Solo la sete di battaglia poteva averlo spinto ad attaccare con abbandono, senza pensare alla propria protezione. Quella, oppure la rassegnazione. Tutto questo però non spiegava come avesse potuto continuare a combattere con ferite del genere e con quella che sembrava una gamba rotta.
Mi imposi di pensare a questo e ad altri dettagli, mentre avvolgevo il suo corpo nel suo mantello e mi davo da fare per riportarlo fuori. Avevo bisogno di tenere la mente occupata per non cedere all’orrore e alla tristezza per quello che stavo facendo.

La nostra non era un’amicizia convenzionale. La prima volta che l’avevo visto, ammetto che ero confuso. Non era tutta colpa mia, avevo preso un colpo in testa. L’intera vicenda risaliva a quasi mezzo secolo prima, all’epoca io ed un gruppo di ranger eravamo in viaggio per una missione segreta. Ad un certo punto eravamo stati attaccati da alcuni briganti su una strada sterrata che costeggiava una foresta, non ho mai scoperto se cercassero proprio noi o se fosse stata solo sfortuna. In qualche modo io ero sopravvissuto, forse mi avevano creduto morto, forse non ero una preda di loro interesse. Sia come sia, dopo un po’ mi ero risvegliato da solo. Le mie ferite erano state medicate, ma le mie mani erano legate davanti al petto. Pensavo che i briganti mi avessero preso prigioniero, invece sembrava che anche loro fossero tutti morti.
Lui era lì, poco distante da me. Stava seppellendo i miei compagni di viaggio. Non li conosceva, ma li stava seppellendo perché perfino qualcuno del tutto digiuno dei nostri usi e costumi aveva capito che era poco rispettoso lasciare dei corpi agli animali divoratori di carogne. Stava seppellendo i miei compagni, e anche i briganti che ci avevano attaccati, perché non vedeva differenza fra due schieramenti che non conosceva e i cui componenti erano quasi tutti morti. All’epoca non sapeva nulla, non era in grado di dire chi fosse nella ragione e chi nel torto, e forse era troppo disgustato da concetti come “ragione” e “torto” per curarsene davvero.
Io, al contrario, sono cresciuto sapendo bene chi sono i buoni e chi sono i malvagi, cosa meritano i difensori e cosa gli invasori, e fui lieto di lasciarmi alle spalle i cadaveri maleodoranti degli orchi; che i vermi se li prendessero pure.
Lui era un altro discorso. Volevo dargli una degna sepoltura, come prevedeva la comune decenza e come prevedevano le nostre tradizioni funebri, soprattutto per quanto riguarda i Ruathar.
Qualcuno ebbe il coraggio di opporsi. Elfi delle propaggini occidentali della Penisola, esponenti di clan isolati e isolazionisti, guardarono con sospetto quello che stavo facendo e qualcuno osò perfino aprire bocca. Glie l’avrei chiusa con un pugno se non li avessero zittiti subito i miei parenti, il clan con cui avevamo passato molte liete settimane negli ultimi anni. Altri elfi di clan vicini al nostro difesero il mio diritto di seppellire il mio amico insieme ai nostri morti. Alcuni di loro mi aiutarono nel mio compito.
Prima di ricoprire la fossa, appoggiai una ghianda sul corpo del mio amico, come voleva la tradizione, e quando la fossa fu ricoperta infissi la sua grande spada nel terreno.
Fu questione di attimi: un virgulto di quercia spuntò timidamente dal terreno e si eresse nei suoi pochi pollici di altezza accanto alla spada, bevendo la luce del sole. Quel piccolo miracolo mi dava ragione, e rendeva giustizia al cuore del mio amico: solo la tomba di un vero Ruathar avrebbe fatto crescere una quercia protettrice. Dopo questo, nessuno mosse più alcuna obiezione.

Il giorno successivo ci dedicammo a liberare i boschi e le strade dalla sgradevole presenza dei cadaveri di orchi. Era ormai calata la sera, ero andato al ruscello a lavarmi di dosso la polvere e lo schifo, e decisi di portare un po’ d’acqua alla quercia per innaffiarla. Forse non ce n’era bisogno, si dice che questi alberi siano magici, ma volevo fare qualcosa, un gesto di gentilezza o di cura verso quello che mi restava del mio amico. Trovai la spada piantata nel terreno, ma il giovane virgulto che il giorno prima era alto meno di una spanna, oggi era già alto quasi quanto me. Il tronco era sottile e giovane, ma forte e rigoglioso. Stavo per commuovermi e volevo dire qualcosa di significativo, lo volevo davvero, qualcosa che fosse poetico e solenne, ma una voce alle mie spalle mi batté sul tempo:

“Ecco cosa resta di un’intera vita: un albero. Una cosa su cui i cani potranno pisciare.”

Dette da chiunque altro, quelle parole mi avrebbero fatto indignare, ma conoscevo quella voce. Al diavolo, solo lui avrebbe potuto dire una cosa del genere.
Tremante per l’emozione, timoroso di quello che avrei potuto trovare, mi voltai.
Lui era lì.
Ed era un fantasma.
E io ero un ranger educato a rispettare la natura e a combattere le cose innaturali, ma all’improvviso non me ne importava niente.

Lasciammo il clan quella notte stessa, diretti a sud, verso i confini meridionali della foresta.
“Come hai fatto?” gli chiesi ad un certo punto, rompendo il silenzio. “Ho visto in che stato era il tuo corpo, quindi... come hai fatto?”
“Cosa, a riapparire in perfetta forma? Ho imparato a controllare il mio aspetto prima di mostrarmi a te.”
“No, intendo, a combattere. Da una breve analisi mi sembrava che fossi troppo malmesso, forse morente, ma non ti sei fermato fino a quando non si sono fermati loro.”
Si passò una mano dietro alla testa, a disagio. “Non l’ho fatto io.”
Lo guardai senza capire. Poi, lentamente, ci arrivai. “Lei ti ha posseduto?”
“Io glie l’ho chiesto.”
“Ma mi hai sempre detto che è molto pericoloso, che se non metti fine alla cosa entro breve tempo tutta la tua energia vitale viene consumata e...”
“E cosa? Cosa poteva farmi una possessione che un’orda di orchi non potesse fare? Sarei morto comunque, ne ho portati nella tomba qualche decina e poi ho visto che non avevo altra scelta se non chiedere a lei di usare il mio corpo come un burattino e finire il lavoro.”
Sospirai. Non mi piaceva, ma non potevo confutare quella logica. Poi lasciai che un sorriso si allargasse sul mio volto. Avevo di nuovo il mio insopportabile amico, non c’era motivo per covare rimpianti.
“E quindi, quanti ne hai uccisi?”
“Ma di cosa parli?”
“Andiamo, non ci credo che tu non li abbia contati. Quanti?”
“Oh, per favore! È una cosa così infantile!”
“Quindi li hai contati.”
“Falla finita!”

In lontananza cominciava a intravedersi il riflesso della luna sul mare. Mancavano ancora alcuni giorni di marcia ai confini della foresta e solo la nostra posizione sopraelevata ci permetteva di vedere già la nostra meta, ma entrambi sapevamo di avere ancora molta strada davanti a noi.

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Capitolo 2
*** 1301 DR: Infestando Galardoun ***


1301 DR: Infestando Galardoun, ovvero Una casa stregata è sempre una meravigliosa attrazione


Correva l’anno della Tromba, e io ed Holly eravamo in viaggio verso i Boschi Remoti, per indagare su voci che parlavano di una crescente popolazione di gnoll e altri umanoidi mostruosi, con contorno di sacrifici a divinità malvagie.
Venivamo da nord-ovest, da Waterdeep. Anche se la nostra casa è nel sud, ogni tanto Holly insiste per passare da Waterdeep; penso che lì da qualche parte ci sia un tempio della sua dea, per conto del quale riceve missioni da svolgere. Io non mi lamento, sono sempre missioni interessanti. Questa volta eravamo diretti ai Boschi Remoti. Se ci fosse stata occasione avremmo potuto anche spingerci fino a Corm Orp, un villaggio che più che i pericoli dei Boschi Remoti doveva temere le bizze della malvagia regina-lich di Darkhold. Quella era una signora da trattare con cautela: la cosa migliore sarebbe stata mettere insieme una forza sufficiente a distruggerla, ma con i lich è difficile capire se li hai distrutti davvero o no... e se la missione fosse fallita, la sua vendetta si sarebbe scatenata sui pacifici villaggi della valle.
Per cui, per il momento ci limitavamo ad affrontare missioni alla nostra portata. I Boschi Remoti. Viaggiavamo sulla strada principale, allontanandoci solo quando percepivamo l’avvicinarsi di altri viaggiatori. Raggiunto il villaggio di Triel, Holly si tenne fuori dai suoi confini. Il villaggio sembrava identico all’ultima volta che ci ero passato: una manciata di umani assennati e prudenti che chiudevano le porte della città dopo il tramonto. Raggranellai un paio di monete d’argento offrendomi come guardia cittadina per una notte; i miei sensibili occhi da elfo erano un prezioso aiuto che il capo della guarnigione non si sentì di rifiutare, specialmente perché nella piazza principale si erano accampate due ricche carovane e se fosse successo qualcosa ne avrebbe risentito la reputazione del villaggio. Me ne andai a dormire all’alba e per mezzogiorno ero riposato, rifocillato e pronto a ripartire.
Holly mi aspettava sulla strada che conduceva a Scornubel. Per una volta evitò di lamentarsi del tedio che le mie necessità di essere vivente gli causavano.
“Com’è il villaggio?” indagò soltanto.
“Tranquillo. C’erano due carovane, ma entrambe dirette a nord, a Waterdeep. I mercanti sembravano stanchi per il viaggio.”
“Stanchi? Perché, scappavano da qualcosa?”
Scossi la testa. Era la prima cosa a cui avevo pensato anche io, ma i mercanti non avevano nulla da riportare.
“Ma allora, scusa, non c’era un villaggio umano a metà strada fra Triel e Scornubel? Gan... Gar... qualcosa?” domandò ancora.
“Sì, dovrebbe esserci. Nemmeno io mi ricordo il nome, ma dovremmo scoprirlo presto, è di strada.” Ci pensai ancora un momento, poi aggiunsi “Forse le carovane non si sono fermate perché sono in competizione per il mercato di Waterdeep e sanno che chi arriva primo ha più possibilità di piazzare meglio la merce.”
Mi rivolse lo sguardo di chi ritiene che il discorso sia andato fin troppo alla deriva nelle acque della noia. A questo non avevo nulla da obiettare, quindi tornammo a concentrarci sul nostro viaggio.

Ci trattenemmo un paio di mesi nei Boschi Remoti: quanto bastava per distruggere un paio di cellule del culto di Yeenoghu (anche se chiamarlo “culto” è già un grosso complimento) guidate da un manipolo di flind, cugini più grossi e più aggressivi degli gnoll stessi. Avevamo dovuto sgominare qualche clan di gnoll, concentrandoci su quelli troppo vicini ai bordi della foresta e che quindi avrebbero rappresentato una minaccia per gli insediamenti umani nei dintorni. Due mesi erano stati anche sufficienti per renderci conto che il dilagare di quelle creature non avrebbe potuto essere fermato, se non al prezzo di un genocidio. La foresta era quasi completamente invasa da simili mostri, solo alcuni folletti e qualche clan di goblinoidi resistevano al dilagare delle iene (li avevamo lasciati in pace, hanno già i loro problemi, inoltre qualsiasi nemico potesse ostacolare la propagazione di gnoll era il benvenuto).
Aver tagliato la testa del serpente, eliminando i capi flind, era già qualcosa: gli gnoll non avevano mire espansionistiche al di fuori dei confini della foresta, e non avrebbero tentato alcuna mossa audace senza la guida dei fanatici flind.

Per il Solstizio d’Estate eravamo a Corm Orp. La situazione lì era precariamente stabile e un piccolo contingente di avventurieri halfling presidiava il villaggio. Per qualche settimana li aiutammo a tenere a bada gli occasionali non-morti che osavano spingersi fino alle terre civilizzate, ma poi divenne evidente che non potevamo fare nulla per risolvere davvero la situazione.

L’autunno ci vide arrivare nuovamente alla città di Scornubel, e da lì a Galardoun, un minuscolo villaggio regolarmente ignorato dalle carovane. C’era una locanda, ma aveva visto tempi migliori. Quando ci eravamo fermati lì all’andata, ero il loro primo cliente forestiero da almeno un mese. Al ritorno, la situazione che trovai non era molto diversa. Una carovana arrivò al villaggio e passò oltre, anche se era ormai quasi il tramonto.

Un’ora dopo, ero in locanda a consumare un pasto decoroso ma insipido, quando da fuori cominciò a udirsi uno scalpiccio di zoccoli. La porta della locanda si spalancò: un umano, che riconobbi come uno dei mercanti che guidavano i carri coperti della carovana, irruppe nel refettorio e chiese all’arcigna signora Peppermint se nel villaggio ci fosse un borgomastro. Per la cronaca, a Galardoun non c’era un borgomastro, solo uno sceriffo eletto per volontà popolare che aveva il compito di badare all’ordine pubblico.
Incuriosito, seguii discretamente il mercante e la locandiera mentre andavano a parlare con il signor Stanvork, lo sceriffo.
Il motivo di tanta confusione venne presto alla luce: la carovana era stata presa di mira e spaventata a morte da “uno spettro uscito dall’inferno”.
Sospirai. Avevo i miei dubbi che fosse uno spettro, e anche che fosse uscito dall’inferno, ma non dissi nulla. Lo sceriffo si rifiutò di andare a fare un sopralluogo di notte, così la carovana decise di fermarsi in paese e ripartire con la luce del giorno.

L’infestazione di un fantasma può essere una cosa seria.
Non in questo caso... ma in generale può essere una cosa seria.
Due settimane dopo arrivò un paladino da Scornubel. Si trattenne alcuni giorni. Mi permisi di offrirgli da bere una sera, per ringraziarlo per il lavoro che stava portando avanti, così potei indagare su come stesse procedendo la sua missione.
“La creatura infesta un capanno da caccia abbandonato” mi rivelò.
“Pensavo che la gente di queste lande vivesse di agricoltura” commentai, perplesso.
L’umano mi dedicò quel tipo di sguardo che solitamente si rivolge a una persona con un ritardo. “Sì. Per questo è abbandonato.”
Altro alcol e qualche lusinga al suo ego portarono il discorso dove volevo.
“È un fantasma. Mi avevano detto che fosse uno spettro, ma credo che questi contadini non sappiano neanche la differenza. È intelligente e sa pianificare, quindi so che è un fantasma. Non sono mai riuscito a vederlo bene perché si nasconde sempre nelle ombre, ma si è divertito a tormentarmi esponendomi nel dettaglio i piani che ha per questo villaggio...” rabbrividì, non di paura ma di orrore “inoltre non vuole dare pace alle carovane di mercanti, che sono al sicuro solo durante il giorno.”
“Ma di certo voi sarete in grado di cacciarlo, non è così?”
Incrociai il suo sguardo e in quegli occhi scuri lessi solo confusione e scoramento. “Ci ho provato.” Mi confessò, sottovoce. “Ho invocato su di lui il potere della mia fede, l’ho attaccato con la mia spada sacra per colpire il fulcro del male che lo anima, ho pregato Torm, patrono dei paladini del mio Ordine, ma i miei sforzi non sono valsi a nulla. Quella creatura dev’essere il ricettacolo di un potere malvagio incredibile, per resistere a tutti i miei tentativi di distruggerla o scacciarla.”
Certo, un potere malvagio incredibile, ragionai fra me e me, oppure stai cercando di uccidere un elementale del fuoco buttandogli addosso del fuoco.

Continuò a tentare inutilmente per alcuni giorni, poi si arrese e mandò a chiamare un chierico per avere manforte. Nel frattempo, tutte le carovane che arrivavano da Triel o da Scornubel erano costrette a fermarsi al villaggio per la notte, perché viaggiare con il buio era diventato troppo pericoloso. O meglio, troppo spaventoso, visto che non era davvero stato arrecato danno a nessuno.
Dopo il prete, arrivò una banda di avventurieri, ma erano dilettanti. Dopo di loro, Scornubel si degnò di mandare un mago.
Non era un mago molto potente, ma era intelligente. Lui non ci mise molto a realizzare che nonostante le minacce non era ancora successo nulla, e fece di più: si accorse che i problemi erano cominciati quando ero arrivato io.
Credo che per un periodo mi abbia sospettato di essere un mago e di aver creato l’illusione del fantasma (avrebbe spiegato la sua mancanza di reazione davanti ai simboli della fede). Mi lasciai osservare e valutare, fingendo di non essermi accorto di nulla. Alla fine il mago dovette decidere che sono solo il ranger che sembro essere, e mi lasciò in pace.
Ci trovammo a parlare davanti a un bicchiere di vino caldo speziato, la sera del Solstizio d’Inverno.
“Se mai quel fantasma tenterà una mossa, sarà stanotte” mi confidò. "Il Solstizio d’Inverno è la notte più lunga, quando i poteri delle tenebre sono più forti.”
Distesi le gambe sotto il tavolo e allungai il viso verso il camino, godendo del suo piacevole tepore. “Allora non dovreste bere alcol stanotte, non credete? Non è meglio restare lucido in caso di attacco?” commentai con flemma.
Il mago sbuffò.
“Non credo davvero che ci sarà un attacco. L’unica cosa che infesta questo luogo, se credete a me, è un’illusione che ha portato bei profitti a questa mediocre locanda e al villaggio. Ho visto che stanno allargando la forgia. Di questo passo arriveranno altri avventurieri, e quei cani sciolti portano fama e profitto.”
“Oh? Dite sul serio?”
Il suo tono di supponenza non mi piaceva, e trovavo ingiuste le critiche alla locanda: con il sopraggiungere di una maggiore disponibilità economica era migliorata anche la qualità del servizio.
“E di certo questa... attrazione... fungerà da allenamento per paladini e chierici.” Nominò questi ultimi con malcelato disprezzo. “Quello che mi resta da scoprire è: chi, in questa misera topaia, può avere potere sufficiente a mettere in piedi un’illusione così ben costruita?”
Scrollai le spalle. Siccome era in vena di parlare, la lingua sciolta grazie al vino, mi confessò anche che aveva sospettato di me, ma poi mi aveva scartato perché sono chiaramente (detto con parole non lusinghiere e che non voglio ripetere) un non-incantatore.

Quella notte, sapendo che i campioni del Bene ospitati nel villaggio sarebbero rimasti al villaggio, per proteggerlo in caso di attacco, uscii non visto e mi diressi al capanno di caccia che Holly infestava.
La porta di legno era marcia e pendeva dai cardini. All’interno la casupola non era illuminata, ma dalle finestre rotte giungeva abbastanza luce perché potessi vedere qualcosa.
“UUUuuuuUUUUuuuhhh! Chi oooosa disturbare il mooostro di... Gal... Gar... di queste landeee?” mi apostrofò una voce spettrale. Feci molta fatica a restare serio.
“Vile creatura dell’oscurità!” gridai, sfoderando la mia arma. “Io, Johlariel di Sarenestar, libererò... ehm... queste lande dalla tua immonda presenza!”
Le mie parole furono accolte dal silenzio. Mancava qualcosa? Provai a mettermi nei panni di un paladino.
“Oh, ehm, sì. In nome di Una Divinità Buona, affronterò le tue tenebre e le ricaccerò indietro, perché la Luce possa sempre trionfare!” conclusi, in tono teatrale.
Altro silenzio. Stavo già pensando a qualcos’altro da aggiungere, ma qualsiasi cosa pensassi mi sembrava sciocca e ridondante.
“Sì. Meh. Passabile, direi. L’impeto c’è, ma cerca di ricordare meglio le battute. E non avere paura di esagerare con gli epiteti.” Holly espresse il suo giudizio e finalmente si fece vedere, uscendo da un angolo in ombra.
“E tu cerca almeno di ricordare il nome del villaggio che infesti, magari?”
Rise di cuore. Probabilmente erano settimane che non rideva, se non alle spalle degli eroi di cui si prendeva gioco.
“Perché dovrei ricordarmi il nome di questo pidocchioso posto di cui non m’importa niente?”
“Mi sembra che te ne importi abbastanza da trattenerti qui per settimane, in modo da rendere il villaggio una specie di attrazione turistica.”
Si strinse nelle spalle, come per scusarsi.
“Non è che mi importi veramente. Mi diverto. E poi, mi piace contribuire alla formazione dei giovani avventurieri. Meglio che fuggano da me, piuttosto che da un reale pericolo.”
“Nel momento in cui si accorgeranno che il pericolo non è reale, tutto questo diventerà inutile. Il mago mandato al villaggio sta già sospettando. Dovresti considerare di farti sconfiggere, così potremo andarcene di qui.”

Forse avrebbe riflettuto sulla mia proposta, ma la nostra conversazione venne interrotta. Dall’esterno proveniva un leggero scampanellio.
Ci accostammo alla finestra: una ragazzina si stava avvicinando alla casa. Indossava un lungo vestito bianco, corto sulle gambe (le copriva appena le ginocchia) ma lungo di maniche, e chiaramente non indossava scarpe. Si stava avvicinando nella neve, camminando rigidamente per il freddo. Particolare non indifferente, aveva i polsi legati, con una campanella agganciata alla corda.
Holly uscì subito per andare incontro a quell’assurda apparizione. Se non avessimo avuto a che fare con un villaggio di popolani, avrei pensato a una trappola.
Il mio amico le andò incontro ma io rimasi ad osservare dall’ombra della casa.
Mentre Holly si avvicinava alla ragazza, mi sembrò di notare un cambiamento in lui, nella sua andatura... poi realizzai che cos’era: era diventato corporeo! Aveva smesso di levitare ed era costretto ad avanzare camminando nella neve!
Se per caso era preoccupato dalla cosa, non lo diede a vedere, e non fermò il suo incedere verso la fanciulla. Quando furono uno di fronte all’altra vidi che lei gli arrivava all’altezza del mento, non poteva avere più di tredici anni.
Holly mi dava le spalle in quel momento, per cui posso solo indovinare la sua espressione quando la bambina annunciò con coraggio di essere il sacrificio inviato da Galardoun. Sacrificio?! Non immaginavo che avessero usanze così barbare da queste parti.

“E questo sacrificio implica che io diventi corporeo?” indagò Holly, mangiando la foglia. “Ha tutta l’aria di essere invece una trappola, ragazzina.”
La fanciulla impallidì, e non per il freddo. Poi si lanciò in avanti, con la furia della disperazione. Vidi un lampo metallico, poi Holly fece un passo indietro e scoppiò a ridere. Nella sua mano sinistra comparve un pugnale (da dove lo aveva preso?) ma lo lanciò a terra con sdegno.
“Sciocca ragazzina, anche se ora ho un corpo fisico, non è che le armi comuni funzionino meglio su di me. Resto sempre un non-morto.” Holly la prese per un braccio, infilò un dito sotto alla collana che portava al collo e la sfilò, rivelando una semplice catenina con un ciondolo che non riuscii a vedere bene. La ragazzina era pietrificata dalla paura e non cercò di opporsi quando lui la trascinò verso gli alberi che nascondevano la strada.
“Allora, chi ha avuto la geniale idea di mandare una bambina a cercare di distruggermi?” indagò, parlando a voce molto alta.

Due chierici e il mago sbucarono cautamente da dietro gli alberi.
“Come immaginavo.” Annunciò il mago, arrogante. “È un’illusione.”
“Ma è diventato corporeo!” protestò uno dei chierici. “Avete esposto la povera Lydia a un vero e grande pericolo!”
L’altro sembrava d’accordo e cominciò a mormorare una preghiera, per combattere il malvagio non-morto.
“Volete dire che l’illusione si è adeguata a quello che sapevamo che avremmo visto!” ragionò il mago, alzando la voce e rompendo la concentrazione del chierico. “Questo può significare solo una cosa: è uno di voi due, che controlla l’illusione!” accusò, puntando il dito verso i due. “Volevate venire qui, sconfiggere il fantasma e fare la parte degli eroi, non è vero?”

Non potevo vedere l’espressione di Holly, ma lo conoscevo abbastanza per capire che aveva esaurito la pazienza.
Si avvicinò al mago e gli rivolse un rigido inchino.
“Messer incantatore, suppongo che voi possiate vantare una mente fine e arguta, capace di resistere all’inganno delle illusioni più coriacee.”
Il mago lo guardò con sufficienza.
“Esattamente, o ombra evocata da qualche simpatico imbroglione, io non credo alla tua esistenza e non sentirò il tuo tocco come questa popolana influenzabile.” Per provare le sue parole, il mago sporse una mano verso Holly, con l’intento di farla passare attraverso l’illusione, ma la mano incontrò il torace perfettamente reale del mio amico.
Il mago non ebbe nemmeno il tempo di preoccuparsene.
Holly lo prese per il bavero e lo sbatté contro un albero, cominciando a prenderlo a pugni in piena faccia. Il mio amico è smilzo e asciutto, ma più forte di quanto non si immagini a prima vista.
“E questo... tocco... lo senti... maledetto... imbecille?” ogni parola era accompagnata da un pugno. Chissà quanto gli era mancato, poter fare questo.
I chierici si limitarono a guardarlo con incredulità mentre riduceva quel saccente parassita all’incoscienza.
“Guai a voi se lo guarite!” minacciò, agitando un dito verso i due chierici. “Potrei incazzarmi sul serio! E per tutti gli dei, date delle scarpe a questa bambina adesso!”

Fu una scena stranissima a cui assistere, ma in effetti i chierici obbedirono senza fiatare. Uno dei due prese in braccio la ragazza e la mise al riparo sul carro con cui erano arrivati. L’altro studiò Holly per un lungo momento, alla fine chiese:
“Ma voi che cosa volete da questo villaggio?”
Holly rispose, ma ahimè ero troppo lontano e parlò a voce troppo bassa perché potessi udire le sue parole. Anche il chierico rispose nello stesso modo, e dopo poco li vidi allontanarsi in direzioni opposte.

“Ce ne andiamo.” Annunciò in tono secco. “Il chierico racconterà che hanno esorcizzato questo posto. Ma potrei tornare, ogni tanto, magari fra alcuni anni.”
“Che cosa hai detto al chierico,” domandai, curioso come un gatto “quando ti ha chiesto che cosa volessi?”
Sorrise sornione, giocherellando con il ciondolo che aveva preso alla ragazzina. Ora vedevo che era un oggettino in metallo, forse in ferro, che rappresentava un cerchio con dentro una croce a bracci uguali.
“Gli ho detto solo che speravo di trovare un mago o un sacerdote che avesse l’idea di affrontarmi munito di un oggetto incantato con Trappola Fantasma.”
Non conoscevo quell’incantesimo, ma potevo immaginarne lo scopo.
“Mi farà restare corporeo.” Annunciò infatti, in tono allegro. “Non mi renderà di nuovo capace di sentire gli effetti dell’alcol, ma per quello ci vorrebbe un Miracolo.”
Sorrisi alla sua battuta.
“Ma tu sapevi che sarebbe successo?”
“Ovviamente no! Ma i chierici si bevono qualsiasi cosa.”

           

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Capitolo 3
*** 1302 DR: Equipaggiamento primavera-estate (Parte 1) ***


1302 DR: Equipaggiamento primavera-estate (Parte 1), ovvero La prossima volta ti prego andiamo piuttosto al bazar di Sheirtalar dove ti rubano anche le mutande


Non c’è mai niente di semplice con Holly. Nemmeno una cosa triviale e ordinaria come comprare qualche ammennicolo magico. Poche settimane prima, avendo trovato il modo di diventare corporeo, in tono entusiasta (beh, entusiasta per un morto) mi aveva detto: “Sai cosa significa questo? ...Shopping!”
Sì, esatto. E poi sono io quello elfo.

La prima tappa fu Waterdeep, stavolta non per ricevere nuove missioni, ma per trovare un paio di spade corte.
“Mi dispiace, ma non le ho trovate sul tuo cadavere. Forse erano da qualche parte sotto il... mucchio... ma non ho nemmeno cercato con cura.” Mi scusai, mentre ci avvicinavamo ai cancelli della città.
“Non preoccuparti, non potevi trovarle. Sono state incantate per sparire al momento della mia morte. Non erano davvero mie, mi sono solo state date in prestito per tutta la durata della mia vita, quindi al momento della mia morte sono tornate in possesso del loro legittimo proprietario.”
“Che sarebbe qui a Waterdeep?”
Annuì come se fosse ovvio.
“Qualcuno del tuo tempio?” chiesi ancora, visto che non si scuciva.
“Domanda lecita, ma no. Si fa passare per un elfo di nome Lólindir, lavora al sanatorio pubblico.”
“Uuuh, hanno un sanatorio pubblico? Che cosa civile e... aspetta, che significa si fa passare per un elfo?”
“In realtà è un drago.” Mi rivelò. Con il tono di chi avrebbe detto in realtà è un fruttivendolo.
“Cosa... come... vuoi andare da un drago a chiedergli se ti ripresta delle spade magiche? Un drago??”
Sorrise con sommo divertimento. Il mio disagio era sempre motivo di ilarità per lui. Bastardo.
“Ti dirò di più!” aggiunse in tono giocoso “Io non gli piaccio per niente.”
“Oh, mamma mia...” mormorai una preghiera all’indirizzo di tutto il pantheon elfico.

Entrai in città da una delle Porte. Lui no, ovviamente, entrò di notte scalando le mura. A differenza di altre città, Waterdeep non ha protezioni magiche al di sopra delle mura, fa affidamento su guardie a cavallo di grifoni e guardie a piedi. La sua difesa principale sono gli ex-avventurieri che vivono in città e che sono sempre pronti a difenderla da chi creasse problemi, ma finché Holly si limitava ad entrare clandestinamente senza compiere altre malefatte, non avrebbe attirato attenzioni sgradite.
“Come sai che lavora al sanatorio pubblico?” gli chiesi quella sera, camminando per i vicoli della parte povera della città.
“Cerco di tenermi informato sulla posizione e la salute dei miei ragazzi.”
“I tuoi ragazzi? Vuoi dire i bambini che occasionalmente ti capita di... accompagnare da qualche parte?”
La sua unica risposta fu proseguire nel racconto:
“Trovai Lólindir in una gabbia su un carro. Due umani lo stavano scortando, non saprei dirti dove. All’epoca conoscevo pochissimo la geografia di queste terre. Mi è sembrato strano che due uomini ben piazzati avessero bisogno di una gabbia di metallo a sbarre fitte per tenere rinchiuso un bimbetto mingherlino, ma per quanto ne sapevo poteva anche essere per proteggere la merce dagli animali selvatici.”
“La... la merce?” balbettai orripilato.
Si strinse nelle spalle come in gesto di scuse. “È così che un mercante di schiavi pensa alle creature che cattura.”
“Lo schiavismo non è legale in queste terre.”
Annuì. “Sì, ma all’epoca non ne avevo idea. Mi è sembrato strano, comunque, perché non pensavo che gli elfi fossero tanto rari da giustificarne la tratta.”
“E che cosa hai fatto?”
Svoltammo in un altro vicolo, poi in un altro ancora, mentre Holly ponderava sulla risposta. Man mano che avanzavamo, il panorama diventava sempre più desolato. Non era quel tipo di squallida povertà che si può vedere nelle baraccopoli di Memnon o di Calimport, ma sembrava che ci stessimo addentrando in un quartiere poco sicuro.
“Devi capire che all’epoca consideravo la schiavitù una cosa normale. Non mi piaceva, quando si trattava di bambini, ma era comunque una cosa a cui ero abituato. Solitamente i bambini schiavi erano orfani, o indesiderati che i loro genitori vendevano.”
Mi fermai, senza riuscire a fare un altro passo.
“Per gli dèi, che mondo crudele mi dipingi.” Sussurrai, improvvisamente colto da una sensazione di nausea. Anche lui si fermò e si girò a guardarmi. In quel momento compresi che lui capiva il mio sgomento, ma solo perché conosceva il mio modo di vivere. Doveva contestualizzare i basilari diritti delle creature senzienti per poter accettare la mia reazione viscerale.
“Io lo so che la schiavitù è sbagliata, Johel. È solo che ci sono anche abituato. Mi fa orrore, ma a differenza di te, la mia mente non rifugge dal problema.”
Presi quel commento per quello che era: una semplice constatazione. Non una critica, né un’autocritica, ma solo un dato di fatto. Forse era un bene che fossimo diversi. Fra i due, io ero quello che sapeva cosa dire, grazie alla mia maggiore empatia e alla cultura quasi condivisa con qualsiasi popolazione elfica o umana. Lui invece era quello che sapeva cosa fare, perché aveva visto abbastanza orrori da saper reagire prontamente a qualsiasi cosa. Tuttavia il suo pragmatismo a volte era disturbante.
“Non sapevo bene cosa fosse lecito fare.” Disse, e capii che stava continuando il suo racconto. “Ma poi loro si sono raccomandati a vicenda di nascondersi bene nella boscaglia, per non farsi trovare dai genitori. Allora ho capito che il bambino non era orfano né schiavo, ma era stato rapito. Cominciavo ad avere un quadro un po’ più chiaro della situazione: quei due dovevano essere schiavisti oppure ricattatori, e la seconda opzione mi sembrava più sensata.”
Ormai stavamo girando nei vicoli da diversi minuti. Non glie lo domandai, ma avevo il sospetto che ci fossimo persi. Ero troppo curioso, per interrompere il suo racconto.
“I due uomini non erano una sfida degna, andarono per terra con un paio di colpi. Vedendomi, il bambino diventò quasi isterico.”
“E quindi che cosa hai fatto?” lo esortai a continuare.
“L’ho fatto uscire dalla gabbia. Indossava uno strano collare di metallo dorato che non riuscii a togliergli, ma almeno gli slegai le mani e i piedi. Cercò subito di scappare. A dire la verità, cercò di scappare ogni volta che distoglievo lo sguardo o provavo a riposare.”
Scoppiai a ridere. Non riuscii proprio a trattenermi.
“Non hai provato a calmarlo?”
“Non parlavo la sua lingua.”
“Azz... come avete fatto a comunicare?”
“Entrambi capivamo la lingua comune a sufficienza perché gli chiedessi dove vivevano i suoi genitori. Ci misi quasi un mese a trovare il posto. Per farlo stare buono, mi basavo soprattutto sull’intimidazione.”
Gemetti come un cane preso a calci. Holly si era inimicato un maledetto drago come solo Holly sa inimicarsi qualcuno.
“Era davvero un cucciolo?”
“Sì.”
“E... che anno era?”
“L’anno del Calice Vuoto, se non sbaglio. Ora dovrebbe avere cinquant’anni o poco più. Dai, non è un nemico così temibile!” Mi incoraggiò con un gran sorriso. Sì, aveva proprio capito dove volevo andare a parare.
“Va bene, ma i suoi genitori?”
“Uuuh, grossi. Grossi e temibili. Un drago d’oro il padre, d’argento la madre.”
Fischiai per lo stupore.
“Beh dai, per lo meno sono draghi metallici, di indole buona...” la cosa mi tranquillizzava.
“Sì, di indole buona, ma anche loro si sono incazzati un po’ quando li ho mandati all’inferno.”
Questa volta per poco non mi strozzai con la mia lingua.
“Tu hai... tu... hai... lo sapevi che erano draghi?”
Annuì con cautela, studiando la mia reazione.
“Solo... perché?

Prese un respiro profondo. Che è sempre un segno preoccupante, il preludio a qualcosa che trova difficile raccontare.
“Saltò fuori che mi stavano osservando da una settimana, prima che li trovassi. Hanno tenuto d’occhio il mio comportamento con il moccioso e si erano convinti che volessi chiedere loro un riscatto. Erano pronti a divorarmi, in quel caso. Ma è meglio che ti racconti dall’inizio: giunto in prossimità del posto che Lólindir mi aveva indicato come casa sua, trovai un piccolo villaggio che disponeva di una locanda. Ignorando il fatto che fosse quasi notte, svegliai il locandiere e pretesi una stanza per me e per il bambino. Cercai di essere misterioso; non era difficile, visto che tenevo il cappuccio ben calato sul viso e viaggiavo con un bambino elfo che si comportava come un prigioniero. Misi a dormire il marmocchio e me ne andai. La nostra stanza non aveva finestre e avevo chiuso la porta dall’esterno, quindi non sarebbe uscito.”
“Te ne sei... andato? Solo andato?”
Si strinse nelle spalle.
“Era molto vicino a casa, e sapevo che il locandiere già mi reputava sospetto. Di sicuro la voce sarebbe giunta ai suoi genitori in breve tempo. Ho lasciato il villaggio e mi sono allontanato inoltrandomi nella foresta, come un fuggitivo qualsiasi.”
Mi passai una mano sul viso. Era così tipico di lui.
“Due giorni dopo una grossa ombra oscurò la luna. Poco dopo, un’altra. Pensavo che fossero nubi, ma compresi il mio errore quando due grossi draghi si posarono a terra nella radura che stavo attraversando. Non avevo mai visto un drago metallico e pensai che fossero lì solo per procacciarsi il cibo.”
“E quale boccone indigesto saresti stato!” lo presi in giro.
Ignorò la mia battuta e continuò a raccontare.
“Mi dissero che mi avevano aspettato per due giorni, alla locanda. Pensavano che mi sarei fatto vivo per barattare il figlioletto con una ricompensa, e mi dissero senza mezzi termini che in quel caso avrei trovato la morte. Ma siccome non ero tornato, dando prova di aver riportato il marmocchio in modo disinteressato, si erano dati la pena di cercarmi per ringraziarmi e offrirmi un pagamento.”
Ora tutti i pezzi stavano andando al loro posto.
“Ed è qui che li hai mandati all’inferno.” Ragionai. Una certezza, non una domanda.
“Per la direttissima e senza passare dal Piano della Fuga.”
Sospirai. Holly non aveva mostrato molto buonsenso in quel frangente, ma capivo le sue ragioni. Era anche lui, dopotutto, una persona con dei princìpi.
“Sì, lo posso capire. È stato molto arrogante da parte loro.”
“È stato arrogante e offensivo. Oltre che smodatamente ipocrita. Insomma, o la vita del figlio vale una fortuna, oppure non la vale. Perché due genitori che si dicono amorevoli dovrebbero dare più importanza alle intenzioni di chi gli riporta il figlio, piuttosto che al fatto che il figlio sia effettivamente a casa sano e salvo?”
“E tu gli hai detto tutto questo?”
“Con un sacco di parolacce in mezzo, sì.”
“E cosa c’entrano le spade in tutto questo?”
Tacque per qualche altro momento. Quando riprese a raccontare, la sua irritazione si era placata.
“Mi aspettavo che cercassero di mangiarmi dopo una simile uscita. Ero troppo arrabbiato per preoccuparmene, ma me lo aspettavo. Invece hanno capito. Nella misura in cui un drago può capire un piccolo bipede, hanno capito le mie obiezioni. Le spade sono il compromesso che ne è risultato: non avrei accettato denaro, così mi hanno dato qualcos’altro, due oggetti preziosi che avrebbero avuto un utilizzo pratico per me. Le due spade corte che avevo all’epoca erano ormai molto rovinate, quindi accettai questo dono. Promisi che non le avrei mai usate per perseguire il male, e che alla mia morte sarebbero tornate al loro legittimo proprietario, il loro erede... Lólindir.”
“Quindi, in un certo senso, era un prestito?”
“Dal loro punto di vista, sì, mentre dal mio punto di vista era un regalo, visto che le avrei potute tenere per tutta la durata della mia vita. Questo patto fu suggellato con un incantesimo.”
“Per questo le tue spade non erano con il tuo corpo.” Conclusi, tornando al punto di partenza del discorso. “Pensi che Lólindir ti rinnoverà questo prestito?”
A questo, non aveva ancora risposta.

Fui io ad entrare nel sanatorio e chiedere a un’infermiera se conoscesse il guaritore Lólindir Fëfalas. La donna aveva un’aria stanca e irritabile, e mi disse che a quell’ora si poteva entrare solo per le emergenze, non certo per le visite. Il mio accattivante sorriso e una donazione di dieci monete d’oro per il sanatorio fecero il miracolo: la donna mi indirizzò con poche e chiare indicazioni al dormitorio dei feriti, secondo piano. Come tutti i visitatori, dovetti prendere le scale esterne e fare un largo giro per non passare dalle camerate, dove avrei rischiato di contrarre qualche malattia.
Trovai un unico guaritore nell’ala indicatami: appariva come un elfo della luna biondo e pallido, con acquosi occhi verdi e le occhiaie di chi non riposa abbastanza. Non sarebbe sfigurato come bardo o poeta tragico, ma sembrava stranamente fuori posto, così piccolo e mingherlino, in mezzo ai letti dove stavano distesi uomini dall’aria rude e grossi anche il doppio di lui.
Mi annunciai con un colpo di tosse; si voltò subito e mi squadrò con occhio clinico, ma poi sembrò decidere che il mio colpo di tosse era solo una mossa scenica, e non il preoccupante vessillo di un’epidemia.
“Non è orario di visite” mi si rivolse in lingua elfica, senza alcuna inflessione geografica.
“Sono qui per parlare con voi. Il mio nome è Johlariel e sono un messaggero” mi presentai.
Quando gli spiegai chi era che voleva parlargli, divenne livido di rabbia.
“Non voglio vedere quell’individuo!” rispose seccamente, interrompendo il mio discorso.
“Vi prego, riconsiderate la vostra posizione. Lui non è...”
“So benissimo cosa è e cosa non è! È tornato come fantasma apposta per tormentarmi? Dategli le sue, anzi le mie, maledette spade e facciamola finita! Ve le vado a prendere anche subito!”
Uscì dal dormitorio con la furia di un temporale, ma fu di ritorno qualche minuto dopo portando fra le braccia le due spade corte che ormai conoscevo bene.
“Ho visto che le ha fatte incantare.” Commentò, mentre le affidava alle mie cure.
“Sì. Spero non vi dispiaccia.”
“Non mi interessa affatto. Non sono un combattente. Ora debbo chiedervi di lasciare questo luogo di riposo.” Mi congedò in tono altezzoso.

Fuori, per strada, Holly mi stava aspettando. Si stupì molto del fatto che gli avessi riportato le spade, anziché condurre da lui il loro proprietario.
“Non ha voluto vedermi?”
Lo presi per un braccio e ci allontanammo dal sanatorio, non di corsa ma nemmeno lentamente.
“Sai cosa?” gli dissi, quando fummo a una distanza ragionevole. “Credo che tu lo abbia traumatizzato quando era piccolo. Secondo me, ha ancora paura di te.”
Scoppiò a ridere. Avevo fatto bene a portarlo lontano dal sanatorio.
“Ha senso. Tutti i bambini hanno paura dei fantasmi.”

“Va bene, adesso che hai riavuto le spade, ce ne andiamo?” gli domandai la mattina dopo, dopo essermi concesso una bella colazione per dimenticare i tumulti della sera prima.
“Ma neanche per sogno! Devo procurarmi ancora un paio di cose. Questa era la parte facile.”

Sigh.

           

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Capitolo 4
*** 1302 DR: Equipaggiamento primavera-estate (Parte 2) ***


1302 DR: Equipaggiamento primavera-estate (Parte 2), ovvero Sentirsi fuori posto come un nano in una distilleria di birra analcolica


Io ed Holly eravamo seduti sulle pendici di Monte Waterdeep, il lato rivolto verso il porto sulla foce del fiume Dessarin, e guardavamo con scarso interesse le poche chiatte fluviali che attraccavano ai moli. La stagione era quasi matura per la ripresa del traffico navale marino, ma ancora non si erano visti nuovi mercantili.
“Preferirei che tu non mi accompagnassi in questa seconda parte del viaggio.” Dichiarò di punto in bianco.
Non era la prima volta che il mio amico mi faceva un discorso del genere: quando passavamo da Waterdeep, c’era sempre qualche luogo in cui Holly doveva recarsi da solo. Sospirai. Il mio fiato si condensò in una nuvoletta di vapore nell’aria fredda, cosa che a Holly non succedeva.
“Lo so, tu preferisci sempre che io non ti accompagni in... dovunque tu vada... quando siamo qui. Ma ti confesso che sono curioso, Holly, e sono stanco dei tuoi misteri.”
“Non c’è nessun mistero.” Si affrettò a correggermi. “Mi preoccupo solo per la tua incolumità.”
“Di certo non mi tranquillizza sapere che ti rechi in un posto così pericoloso da spingerti a lasciarmi indietro.”
“Pericoloso per un Or-tel-quess,” mi corresse di nuovo “non molto pericoloso per un non morto dalla reputazione oscura come me.”
“Tu hai una reputazione oscura?” gli domandai, sinceramente curioso. Nella mia foresta natale aveva una buona reputazione, al punto che il mio clan gli aveva concesso l’onorificenza di Amico degli Elfi, e ormai aveva una buona reputazione anche nella foresta di Wealdath (perlomeno nella zona in cui ci conoscevano). Altrove, mi risultava che non avesse alcuna reputazione, sembrava che avesse scelto di muoversi per le terre civilizzate come un’ombra.
“Lì ho una brutta reputazione, più o meno come tutti. Non particolarmente brutta. Normale.”
Non risposi. Stavo riflettendo sul da farsi.
“Potrei camuffarmi.” Proposi dopo un po’. Mi sembrava una buona idea.
“E da che cosa?”
“Da umano.” Mi guardò scettico. “È un posto di umani?”
Lentamente, scosse la testa.
“Ma... ci sono degli umani?”
Dappertutto ci sono gli umani” confermò.
“E come sono visti?”
“Nello stesso modo in cui sono visti ovunque: come prezzemolini di merda.”
“Ah, ottimo, ottimo! Che umano sia, allora!” mi fregai le mani, pensando a come nascondere le mie orecchie a punta e i miei tratti elfici. “Che cosa mi consigli, magia o camuffamenti normali?”
“Meglio di tutto sarebbe una trasmutazione.”
“Urgh. Non ho niente contro gli umani, ma non mi sentirei a mio agio ad avere un corpo umano, più goffo e con i sensi attutiti. Mi sentirei continuamente in pericolo.”
Si strinse nelle spalle, accettando le mie argomentazioni.
“Lo capisco, ma allora ti consiglio di usare un camuffamento normale e aggiungerci sopra anche un’illusione. Possibilmente opera di un mago esperto.”
“Hai proprio paura di questo posto” mi permisi di dare voce alle mie considerazioni.
“Io non ho mai paura, Johel, ma tu sei la compagnia più decente che abbia trovato finora...” (era il suo modo per dire che sono il suo migliore amico) “e la tua decisione di seguirmi in un luogo del genere mi rende nervoso. Parlando chiaro, è solo per rispetto alle tue capacità da guerriero che non ti stordisco e non ti chiudo in un armadio fino al mio ritorno.”
Stavolta rimasi a bocca aperta. Holly aveva già fatto cose del genere, ma mai a me. C’è una particolare formula per capire se sia il caso di lasciare indietro qualcuno per la sua sicurezza, una cosa che Holly chiama “teorema dell’armadio”:


(pericolosità del luogo / competenza della persona) x (1 + coefficiente del dito in culo)


La pericolosità del luogo e la competenza della persona che lo accompagna non penso necessitino di spiegazioni. Il risultato è da moltiplicare per (1 + un valore che indica quanto sia molesta la persona), valore solitamente compreso fra 0 e 1.
Se il risultato è inferiore a 1, si parte per la grande avventura. Se è superiore a 1, la persona finisce in un armadio (o simile impedimento fisico). Se il risultato è 1, come penso in questo caso, la decisione poteva essere arbitraria e circostanziale.

Decisi che avrei seguito tutti i suoi consigli, e andai alla ricerca di un mago. Ci eravamo dati appuntamento per il primo pomeriggio, alle pendici del monte, vicino a un particolare salice. Quando tornai dalle mie commissioni, all’ora stabilita, nessuno avrebbe potuto giurare che fossi qualcosa di diverso da un giovanotto chondathan.
“Mh. Avresti avuto più fortuna camuffandoti da donna.” Fu il saluto di Holly. Evitiamo di commentare il suo coefficiente del dito in culo, che è meglio.

Tutte le navi erano in porto in attesa di riprendere a navigare nella bella stagione, o almeno così credevo. C’era una nave che non era destinata a prendere il largo. In un porto segreto, nascosto in una caverna di Monte Waterdeep che si estendeva sul mare, c’era un mercantile che portava in una sola direzione.
Evitai di chiedere a Holly se era sicuro delle sue azioni, visto che sembrava in vena di farmi la stessa domanda.

Il mercato non era molto grande, occupava una larga via ma le vie per loro natura non potevano essere molto lunghe. Non c’era lo spazio.
Almeno pensavo che fosse un mercato, vista la quantità di... in mancanza di una definizione migliore diciamo gente... che vi si accalcava. Ma non riuscivo proprio a capire cosa vendessero, non c’era merce esposta.
“Vendono schiavi.” Mi spiegò Holly, quando gli esposi la mia perplessità. Da quel momento, evitai di guardarmi intorno.

Holly si diresse a passo sicuro verso una rampa di scale che, scoprii presto, portava al livello superiore della città. Entrammo in una bottega che vendeva soprattutto armi, ma anche oggetti magici. Il proprietario sembrava un nano calvo dal colorito malsano.
Ci rivolse una domanda in una lingua che non conoscevo, ma Holly gli rispose con parlata fluente.
Il nano passò alla lingua comune.
“Certo che vendiamo oggetti magici. Per chi può pagare.” Chiarì, sfregando il pollice e l’indice.
Holly mise una mano alla borsa delle monete e la scosse per far udire il tintinnio.
“Non temete, mastro Murghol. La mia borsa è sincera.”
“Che cosa cercate?”
Holly gli espose la sua richiesta. Il nano fischiò.
“Posso procurarvi l’oggetto, ma mi serviranno alcuni giorni... e un pezzetto di demone.”
“Questo mi porta alla seconda richiesta.” Disse Holly senza battere ciglio. “Potete trovarmi un oggetto che mi permetta di recarmi su altri Piani?”
Il nano si lanciò in una dissertazione su vari tipi di oggetti i cui scopi mi sembravano indistinguibili, ma Holly a quanto pare riusciva a seguire il discorso senza problemi.
“Un Amuleto dei Piani mi sembra la soluzione giusta.” Decise infine. “Non ho certo desiderio di percorrere il mondo in cerca di Portali altrui.”
“Il suo utilizzo è rischioso.” Avvertì il bottegaio, ombrandosi.
“È un problema mio.”
“E vi costerà più di qualcosina!”
“Anche quello è un problema mio.” Rispose Holly, sempre con la solita flemma.
“Inoltre vi sarà del tutto inutile qui, dove il viaggio planare è interdetto.”
“Vorrà dire che non lo userò qui. Se non sbaglio le politiche del negozio sono... un quarto alla commessa, tre quarti a lavoro concluso?” chiese conferma, per mettere a tacere le obiezioni del nano.
Borbottando la sua perplessità, il nano prese il sacchetto di monete e chiamò un altro suo collega per fargliele contare.
Dopo che il collega del bottegaio ebbe svuotato la borsa del mio amico nel retrobottega, il nano glie la restituì, perché il sacchetto che Holly gli aveva porto era una piccola Borsa Conservante. Certo, altrimenti non avrebbe potuto contenere tutte quelle monete. “Per quanto riguarda l’altro oggetto?” indagò il pragmatico mercante.
“Rimandate la sua produzione a quando vi avrò portato il focus necessario. Se dovessi morire nel tentativo sarebbe una spesa inutile.”
“Bah! Se doveste morire nel tentativo non credo v’importerebbe dei soldi!”
Holly rise alla battuta, ma solo per cortesia. Dopotutto era solo una messinscena, lui non poteva “morire nel tentativo”. Nemmeno se la sua intenzione fosse stata davvero recarsi su un altro Piano e prendere un pezzo di demone. Almeno credo che non potesse morire. Ne sono quasi sicuro.

“Hai davvero intenzione di recarti su un altro Piano per prendere un pezzo di demone?” gli chiesi appena fummo fuori dalla portata d’orecchio. Mi rispose sussurrando in elfico, una lingua che sicuramente poche persone lì conoscevano.
“No, è più sicuro evocarne uno sul Piano Materiale. Ma qui tutti mentono sui loro piani, e in particolare gli idioti esagerano le proprie imprese.”
“Desideri passare per un idiota?”
“Un giorno capirai che essere sottovalutati a volte è la più grande fortuna che possa capitare a un guerriero.” Sibilò con irritazione. Certo era questa la sua tecnica, ed era uno dei motivi per cui si impegnava a farsi passare per un essere vivente.
“Alcuni guerrieri scelgono la via dell’intimidazione.” Osservai. “Le loro motivazioni sono comunque ragionevoli.”
“I nemici davvero potenti non si lasciano intimidire da una reputazione di grandezza.” Tagliò corto. “Tutti gli altri sono solo vermi non degni di nota.”

Scendemmo le scale che avevamo salito poco prima, passammo necessariamente attraverso il mercato degli schiavi e infine approdammo a una piazza leggermente più larga. A un lato della piazza c’era un oggetto che non manca mai in nessuna città: una bacheca.
“Ti servono soldi?”
“Hai sentito mastro Murghol. Quegli oggetti mi costeranno.”
“Pensavo che avessi fondi a sufficienza.”
“Per questi acquisti sì, ma a malapena. Dai, non rovinarmi il divertimento.” Mi mise a tacere, mentre vagliava le proposte della bacheca cittadina.

“Questa è una città che si basa sul commercio” mi spiegò “quindi molti annunci riguardano la scorta di carovane o il ripulire le vie da mostri che minacciano i flussi mercantili. Oh guarda, ad esempio: distruggere una colonia di Mante Oscure. Un po’ triviale, ma qualcuno è disposto a pagare 2000 monete d’oro per questo, quindi lo terrei in considerazione.”
Buttai gli occhi al cielo, o a quello che ne faceva le veci.
“Uuuuh, distruggere Daurgothoth. Facciamo che no.” Commentò, mettendo da parte un’altra pergamena e riattaccandola alla bacheca.
“Cos’è un Daugo... coso?”
“Daurgothoth. Un possente dracolich che vive da qualche parte in una caverna non lontana da Waterdeep. Insomma, perfino io ho consapevolezza dei miei limiti.”
Sentii il gelo lungo la schiena. “Un dracolich? Sei serio?”
“Andiamo, non fare quella faccia, se fosse interessato a distruggere la città lo avrebbe già... nah, topi lunari? Io non vado in caccia di topi lunari!” commentò con disgusto, mentre riappendeva un altro foglio.
Lo lasciai continuare per un po’.
“Distruggere l’insediamento di Ch’Chitl... io sono convinto che alcune pergamene siano qui per fare uno scherzo agli imbecilli.”
“Che cos’è...?”
“Non vuoi saperlo.”
“Ah.”
“Parliamoci chiaro, se si trattasse di entrare furtivamente a Ch’Chitl e rubare qualcosa potrei anche prenderlo in considerazione, tipo per un milione di monete d’oro, visto che sono più o meno immune alle influenze mentali... ma non tenterei la fortuna con un attacco in grande stile.” Continuò a discorrere in tono colloquiale, fregandosene del fatto che non riuscissi a cogliere i suoi riferimenti.
All’improvviso piombò nel silenzio. Aveva in mano una pergamena e la fissava con sguardo vitreo.
“Che cosa hai trovato?” la lingua in cui era scritta mi era ignota.
Tacque per qualche secondo ancora, come se non mi avesse sentito.
“Devo parlare con una persona. Ti accompagno al quartiere meno pericoloso, tu cerca di restare in una taverna e non cacciarti nei guai.”
“Ma...”
“E se non torno, riprendi la nave e torna a Waterdeep senza di me.”
Va bene, adesso ero preoccupato.

Mi portò in una taverna relativamente tranquilla e piena di umanoidi il meno mostruosi possibile. Principalmente mezzorchi, ma c’erano anche umani e qualche non lo so.
Seguii il suo consiglio e passai le successive due ore tenendo un profilo basso, in compagnia di una pinta di brodaglia poco alcolica. Avevo trovato il capitano della nave che ci aveva portato lì: un umano dal volto duro e affilato che sospettavo essere un criminale incallito, ma che rispetto alla fauna locale era una visione rassicurante.
Holly alla fine tornò. Il suo ingresso in taverna gli attirò qualche occhiata sospettosa, ma nessuno disse nulla.
“Adesso mi puoi spiegare?”
“Prima torniamo a Waterdeep.”
“Come, di già?”
“La nave salpa stasera, se non mi sbaglio.”
Chiedemmo conferma al capitano. Sì. Saremmo salpati quella sera.

Il cielo stellato ci vide nuovamente su Monte Waterdeep.
“Ti sei chiuso abbastanza nel tuo maledetto mutismo, adesso vuota il sacco!”
Holly evidentemente non ce la faceva più a tenere per sé i suoi pensieri, perché non se lo fece ripetere.
“Ricordi quando ho detto che sarei andato a Ch’Chitl al massimo solo per una breve missione furtiva? Ecco, me la sono chiamata. Quel messaggio in bacheca diceva di rivolgersi a... una persona il cui nome non ti direbbe nulla. Questa persona è a capo di un’organizzazione malvagia che si occupa di contrabbando di oggetti proibiti, schiavismo, e della diffusione di un culto nemico del mio.”
“A Chichitel?”
Mi guardò con perplessità. “No, certo che no. Ch’Chitl è un insediamento di Scorticatori Mentali.”
Ah. Di questi avevo sentito parlare, ma vivevano solo nei miei incubi. Sentii di nuovo montare la nausea.
“Dimmi che niente al mondo ti spingerà ad andare lì.”
Si strinse nelle spalle. Un gesto che stavo cominciando a odiare.
“Uno dei membri di questa banda è stato catturato e portato lì. Pagano 60.000 monete d’oro per riaverlo vivo.”
Mi scappò un fischio di ammirazione. “Una persona importante?”
I soldi non avevano tutta questa attrattiva per me, nemmeno per il doppio sarei mai andato a salvare un essere così abietto, tantomeno in un luogo così pericoloso.
“Sì, molto importante. Temono anche che gli illithid possano leggergli nella mente alcuni segreti dell’organizzazione e venderli al miglior offerente, anche se finora forse non si sono resi conto di chi hanno per le mani. Per questo, i capi del culto sono disposti a pagare la metà della cifra suddetta, per avere la sua testa mozzata.”
Cominciai a capire dove sarebbe andato a parare il discorso.
“È questo che vorresti fare? Andare a Chilitli e uccidere questo tizio, come un comune sicario?”
Corrugò la fronte, segno che stava riflettendo e che non era di buon umore.
“Sarò completamente sincero con te, Johel. Mi ripugna aiutare qualcuno che se tornasse in libertà causerebbe solo morte e dolore, ma nessuno, e dico nessuno, merita di subire le torture di cui quei mostri sono capaci. E dal momento che non approvo la schiavitù, non approvo nemmeno la sua, anche se per ironia della sorte è proprio uno schiavista. Loro sono incoerenti quanto il loro maledettissimo dio, vogliono per sé stessi delle libertà e dei privilegi che calpestano tranquillamente negli altri, ma non è una scusa per essere incoerente a mia volta. Quindi sì, tutto sommato credo che andare lì e ucciderlo sia la soluzione meno ripugnante. Non renderò la libertà a un criminale incallito, ma almeno lo libererò dalle sue pene. Lasciarlo in mano a quelle cose per me sarebbe molto più indigesto che dargli una morte rapida.”
“E guadagnerai trentamila monete.” Conclusi, cercando di tener fuori ogni giudizio, ma senza riuscirci del tutto.
“Ci credi se ti dico che mi importa poco, ormai? Me ne servirebbero sette volte tante, per rientrare delle mie ultime spese, ma sarebbe maledettamente più facile e più remunerativo saccheggiare la tana di un drago piuttosto che penetrare in una città di illithid.”
“Lo dici come qualcuno che ha esperienza in materia.” Commentai con sarcasmo.
Le mie parole furono accolte solo dal silenzio.
“Beh, ogni tanto qualche drago giovane e arrogante decide di fare il nido vicino alle rotte commerciali, e lo sai come la pensa la città.”
“Oh, santo cielo.”
“A volte fuggono e basta, non è necessario ucciderli.”
“Holly”
“Hm?”
“La prossima volta che insisto per venire con te, chiudimi in un armadio.”

Passai i successivi due mesi nelle Terre Centrali Occidentali, visitando diverse foreste per intrattenere buoni rapporti con le comunità elfiche del luogo. A volte combattei al loro fianco contro orchi, gnoll e altri nemici naturali dei nostri insediamenti. Furono due mesi fruttuosi, ma il pensiero del perché giravo da solo non mi lasciava mai completamente. Nel mio zaino conservavo le spade corte di Holly e pochi altri effetti personali che non avrebbe potuto portare con sé da incorporeo, visto che era così che intendeva recarsi a Chitilili.
Quando tornò aveva l’aria stanca, perfino per un fantasma. La fatica fisica non poteva pesare su di lui, ma quella spirituale sì.
“Hai fatto?” Domandai, quando alla fine mi ritrovò.
“Quello che dovevo.” Disse soltanto, a denti stretti.
Gli restituii il suo ciondolo Trappola Fantasma, e non appena fu di nuovo corporeo lo strinsi in un abbraccio fraterno. Non se lo aspettava. Penso che ne avesse bisogno, anche se non lo avrebbe mai ammesso, e volevo fargli sapere che non lo condannavo per quello che aveva fatto. Ero stato troppo in pena per lui per perdermi in giudizi morali.
“Ehi... che... che diamine... non fare l’elfo... guarda che questo comportamento fa solo aumentare il tuo coefficien...”
“Oh, stai zitto e basta.” Lo lasciai andare. “Torniamo a casa?”

                 

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Capitolo 5
*** 1307 DR: Una notte di escatologia e occasioni mancate ***


1307 DR: Una notte di escatologia e occasioni mancate, ovvero L’importanza di godersi la vita fintanto che ce l’hai


Le taverne di Waterdeep sanno essere ricche di intrattenimenti, se sai dove cercare. Non era la mia prima visita alla Città degli splendori, e mi recai con passo sicuro alla mia locanda preferita.
Presi una stanza e ordinai una buona cena accompagnata da un bicchiere di vino, e presto venni fatto oggetto dell’attenzione di una bella donna che chiaramente puntava più al mio borsello che al mio bel faccino.
Declinai con gentilezza, ma le offrii comunque da bere. Intanto, stavo facendo progetti sulla graziosa cameriera mezzelfa che aveva un’aria troppo stanca per accorgersi delle avances dei commensali. Ma in genere è difficile, per i mezzelfi, resistere al fascino dei loro cugini di razza pura.

Due giorni dopo era il suo giorno libero, e lo passammo facendo un delizioso pic-nic su Monte Waterdeep. Una giornata adorabile con una ragazza adorabile, e capii che avremmo continuato a frequentarci per tutta la durata della mia permanenza in città.
O almeno, così sarebbe stato, se non che...
Era ormai il tramonto, ci stavamo baciando e sembrava che dovesse succedere anche qualcos’altro, quando all’improvviso la temperatura calò di qualche grado nell'arco di un secondo. Il sole era scivolato dietro la cima della collina, ma non poteva essere solo questo. Un istante dopo, un lamento spettrale fece scendere i brividi lungo la schiena ad entrambi. Non era un suono tale da gettarci nel panico, ma era come la voce sottilmente inquietante di qualcosa che c’era e non avrebbe dovuto esserci.
La ragazza scattò in piedi, sistemandosi il vestito alla bell’e meglio.
“Che cos’era?”
Mi alzai e mi guardai intorno: nessuna minaccia in vista. Certo, era sempre possibile che venissimo effettivamente attaccati da qualcosa, ma il mio istinto mi diceva diversamente.
Sospirai.
Come potevo dire alla poveretta “niente, ho solo un amico fantasma che è un coglione”? Lei sembrava abbastanza spaventata.
“Mia cara, forse è meglio che tu torni a casa. Se c’è qualcosa di pericoloso su questo monte, lo troverò e me ne libererò, ma tu non devi correre rischi inutili.”
Lei mi guardò con timore. Sembrava che volesse obiettare qualcosa, ma avevo passato abbastanza tempo a vantarmi delle mie innumerevoli avventure, perché la fanciulla mi credesse in grado di affrontare qualsiasi pericolo.
“Stai attento, e ti prego, fammi avere tue notizie subito!” mi raccomandò, e poi si allontanò quasi di corsa giù per i dolci sentieri di quel versante del monte.

Una risata soffocata risuonò nell’oscurità.

“Non devi correre rischi inutili, cuoricino mio di zucchero” mi prese in giro la voce. Holly uscì dalla roccia in cui si era nascosto. “Nemmeno il rischio di innamorarti di un fatuo bell’imbusto.”
“Ah, l’altruismo del tuo cuore!” commentai con amaro sarcasmo. “Dannazione, potevo concludere con quella ragazza! Sei una persona orribile, e un amico orribile.”
Rise di gusto, soddisfatto della sua malefatta.
“Johel, sono cinquant’anni che metti alla prova la mia pazienza chiedendomi di fare la parte del mostro così che tu possa salvare una donzella indifesa e diventare il suo eroe. Ora che finalmente mi sacrifico per la parte, ti lamenti? Questa si chiama incoerenza, e mi ferisce molto, amico.” Recitò, mettendosi una mano sul cuore.
Presi mentalmente nota di comprare degli stivali del Tocco Fantasma per poterlo prendere a calci.
“Quindi, sei stato al tempio? Hai parlato con la tua Somma Sacerdotessa?” gli chiesi, cercando di concentrarmi su possibili future avventure e sulla bellezza del panorama, per dimenticare l’occasione appena sfumata.
“Hm-hm.” Assentì, con un cenno del capo. Non sembrava avere molta voglia di parlarne.
“È ancora una sventola da paura?” lo inzigai, per risvegliare un qualche tipo di reazione. Imbarazzo, indignazione, qualsiasi cosa che lo facesse uscire dal suo improvviso mutismo.
“Immagino di sì, ma la sua bellezza ha scarsa presa su di me, ora che sono morto.” Rispose, in tono neutro. “E a questo proposito, lei insiste perché io torni in vita.”
Dal tono in cui lo disse, intuii che il problema doveva essere qui, c’era qualcosa che lo metteva a disagio ed aveva a che fare con questa proposta. “Come si può far tornare in vita un non morto?” domandai, sinceramente curioso.
Scrollò le incorporee spalle. “Ah boh. Lei dice che c’è un rituale che si può fare, per recidere il legame fra la mia anima e il Piano Materiale, farmi arrivare nel Piano della Fuga e poi richiamarmi alla vita. Devo essere consenziente, ma non occorre il mio corpo, per fortuna.”
“Credo che ormai il tuo corpo sia svanito, sta proprio sotto alle radici di un albero... credo che sia tornato a far parte della terra, ormai.” Dissi, scegliendo parole il più possibile delicate.
“Lo penso anche io. Lei dice che non serve, ma sai che prezzo ha una resurrezione pura? È una cosa impensabile.”
“Nel corso della tua vita da avventuriero hai sicuramente accumulato abbastanza risorse da potertelo permettere, non credi?”
“Sì, forse sì, ma lei non ne ha fatto menzione.” Spiegò. Non credevo di aver capito bene, così attesi che estrapolasse. “Mi ha solo detto di passare quando voglio per una resurrezione, come se mi avesse detto di passare per una tazza di infuso. Non ha senso! Ha una chiesa da mandare avanti, minacce da cui guardarsi, favori da scambiare, probabilmente anche persone da corrompere, e ti sembra normale che vada a buttare migliaia di monete per un singolo guerriero?”
“Forse sottovaluti il suo buon cuore.”
“Ho tenuto conto del suo buon cuore, ma conosco anche il suo realismo.”
“Sei un servitore privilegiato della tua dea. Hai un contatto diretto...”
“Non diverso da quello di qualsiasi sacerdotessa, e di certo meno utile.”
“Puoi diventare un canale per Lei facendoti possedere.”
“E offrire cosa, le doti di un guerriero? Il tuo discorso avrebbe senso se fossi un membro del clero, un incantatore divino specializzato, ma non lo sono. Sono un elemento valido, ma sacrificabile, e qualsiasi missione io possa compiere da vivo la posso compiere anche in questa forma.”
Restammo in silenzio per un lungo momento.
“La tua dea che cosa vuole?” domandai infine.
Non rispose subito.
“Vuole che torni in vita.”
“Ti ha detto perché?”
“È una dea. Non deve dare spiegazioni.” Tagliò corto.
Sbottai in una breve risata a questa pallida giustificazione. “A te deve dare spiegazioni, perché saresti capacissimo di ignorare i suoi ordini se non fossi d’accordo. Ti conosco. Quindi, ora dimmi quello che non vuoi dirmi. Perché vuole che torni in vita?”
Prese un profondo respiro di cui non aveva bisogno, solo per prendere tempo, o forse per abitudine.
“Avrai sentito dire che i non morti sono come cristallizzati nel momento della loro morte e incapaci di progredire. Questa è una regola generale che certamente non si può dire che si applichi a tutti...”
“Certo che no.” Convenni “Perfino con le mie limitate conoscenze, so che ci sono non morti che continuano ad accumulare potere e conoscenze.” Annuì, convenendo con i miei ragionamenti.
“Ma i fantasmi sono abbastanza... intrappolati... nelle condizioni in cui erano al momento della loro morte. Non dico che per me sia impossibile evolvermi e imparare cose nuove, l’ho già fatto, ma sento che in effetti mi richiede uno sforzo maggiore rispetto a prima e... in definitiva... la cosa che mi riesce più difficile è accettare nuove idee e modificare il mio punto di vista. Già prima non era semplice, ma ora... è come se la mia mente fosse impantanata nelle sue idee attuali. Non dico che siano sbagliate, ma mi piacerebbe essere ancora in grado di chiedermelo.”
“E ti pesa ammetterlo.”
“Mi pesa ammetterlo? Non lo so, tutti i miei cambiamenti mi sono pesati, o comunque sono arrivati pagando un alto prezzo. L’idea che possa diventare ancora più difficile, che possa richiedere un prezzo ancora più alto, mi deprime. Non mi pesa ammetterlo, mi pesa proprio prendere atto della cosa.” Chiarì, tradendo il fastidio e la frustrazione che provava.
“Quindi stai prendendo in considerazione l’idea di tornare in vita?”
Si strinse nuovamente nelle spalle e non rispose. Decisi di affrontare il discorso da un’altra angolazione.
“Ho sempre avuto timore di chiedertelo, all’inizio sono rimasto in silenzio perché davanti alla fortuna è meglio non indagare. Ma perché sei rimasto qui come fantasma? Perché non sei andato nell’Aldilà?”
Questa volta mi guardò in viso, cercando di capire se dicessi sul serio o se il mio fosse solo un espediente.
“Come tutti i fantasmi, sono qui perché non riesco a trovare la pace. È una fortuna per te?”
Ero preparato a questa obiezione.
“L’amicizia implica onestà, quindi ti risparmierò la falsa ipocrisia di chi vuole mostrarsi saggio: sì, per me è una fortuna. Non ero pronto a dirti addio. Non lo sono mai. Non sopporto l’idea che una persona amica se ne vada per sempre.”
Sospirò, volgendo lo sguardo verso la luna parzialmente coperta dalle nuvole. “La tua onestà è apprezzabile, e non ne sono offeso. Non posso riposare in pace perché la mia coscienza non mi lascia libero, ma non lo farebbe nemmeno se fossi vivo, quindi non mi posso lamentare della mia condizione.”
La nube che copriva la luna venne spazzata via dal vento in quota. Era piena, un cerchio perfetto di argentea bellezza. Chissà se qualcuno, da qualche parte, stava festeggiando. La sua luce era abbastanza forte da delineare le nostre ombre sul terreno; o meglio, la mia. Holly non aveva l’ombra.
Naturalmente i fantasmi non ce l’hanno perché la luce gli passa attraverso, al massimo possono proiettare una specie di riflesso sul terreno, ma lui in particolare non aveva l’ombra neppure quando era in vita. Gli era stata tolta come punizione divina in seguito a un crimine che aveva commesso, qualcosa che lo aveva profondamente segnato sconvolgendo la sua vita, e da allora se ne andava in giro portando il marchio della sua vergogna. Non lo aveva detto chiaramente, ma avrei scommesso senza esitazione che fosse quello, il motivo per cui non poteva riposare in pace. Non poteva, senza aver prima posto rimedio al male fatto, o aver almeno ottenuto il perdono. Purtroppo non c’era rimedio, e non era rimasto nessuno a cui chiedere perdono.
Riflettei su questo, in silenzio, arrivando alla conclusione che forse il mio amico non avrebbe mai raggiunto l’Aldilà. E se così fosse stato, sarebbe arrivato un giorno, in futuro, in cui le nostre strade si sarebbero divise comunque.

“Partiamo domattina” mi annunciò, di punto in bianco. “Vorrei una seconda opinione su questa cosa del tornare in vita.”
“Oh? E a chi pensi di chiedere questa seconda opinione?” domandai, pensando con rimpianto alla graziosa cameriera che non avrei avuto il tempo di riconquistare.
“Non conosco molte persone sagge. Non conosco molte persone in generale...” Confessò. Una cosa che già sapevo. “Ma penso che chiederò l’opinione di mia sorella. So che vorrebbe solo il mio bene, e non condividiamo la stessa fede, quindi sarà una voce imparziale.” Ragionò.
Mi dissi subito d’accordo con il suo ragionamento. Era una buona idea, e la sua valutazione era corretta. Inoltre, la prospettiva di rivedere la sua bella ed esotica sorella bastò a suscitare in me un generoso sentimento di perdono per la cameriera perduta.

           

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Capitolo 6
*** 1307 DR: Il terzo incomodo ***


1307 DR: Il terzo incomodo, ovvero Quella volta in cui non riuscii a conquistare sua sorella


Il cartello d’indicazioni puntava chiaramente verso ovest. Recitava “Locanda dell’Orso”; le parole erano incise a lettere maiuscole con calligrafia rustica. Sotto, più in piccolo, era scritto “se portate tre mele, una torta gratis”.
Dalla strada principale, nella direzione indicata da quell’unico esemplare di segnaletica, si dipanava un sentiero ben battuto e largo abbastanza da lasciar passare un carro. Forse c’erano anche i classici segni delle ruote, ma la strada era coperta dalla neve. Ogni tanto a fianco del sentiero crescevano alberi da frutto, principalmente meli o ciliegi. In quel periodo dell’anno purtroppo non davano frutti, quindi non avremmo avuto la torta gratis. Peccato.

Il luogo ufficialmente si chiamava “Locanda dell’Orso”, ma nei villaggi vicini tutti la chiamavano con un nome diverso: “L’Alveare”.
All’inizio pensavo che fosse perché la proprietaria aveva le arnie. O perché con il miele delle sue api produceva un ottimo idromele.
Holly non negò nulla di tutto ciò, ma mentre ci avvicinavamo alla locanda riparandoci gli occhi dalla luce bassa del sole al tramonto, mi confessò che c’era anche un’altra ragione.
“Credo che molti paragonino mia sorella a un’ape regina” mi confidò “per via del suo comportamento mat... maternalistico? Esiste come parola? E anche perché non lascia quasi mai la locanda.”
“Non è anche perché ha un sacco di figli?”
Mi guardò con l’aria di non esserne troppo convinto. “Quattro sono un sacco?”
“Per gli standard di un elfo, sì.”
“Ah boh. Qui sono tutti umani Johel, non è considerato strano avere quattro figli. Non è considerato strano tantomeno per una seguace della dea della fertilità.”
“Pensavo che Chauntea fosse la dea della fertilità dei campi.” Sapevo poco delle divinità degli umani e non ero esperto sulle sottigliezze delle loro dottrine.
“Diciamo che è la dea patrona sia dei campi che della camporella.” Rispose con un sorrisetto ironico. “Hai conosciuto mia sorella, lo sai com’è fatta.”
“A dire il vero no, non so com’è fatta, ma mi piacerebbe scoprirlo!”
Non rispose, ma mi rivolse uno sguardo fugace, così rapido che al momento pensai di averlo immaginato. Non lo sapevo, ma avevo appena parlato troppo.

Arrivammo alla locanda quando ormai le stelle erano alte in cielo e gli ultimi raggi del sole sparivano dietro l’orizzonte. Quasi un giorno di viaggio a velocità carro (un po’ meno muovendosi a piedi) in direzione nord-ovest sulla strada che da Secomber porta a Uluvin, per arrivare a vedere l’indicazione per la locanda; da lì è quasi un’altra ora di strada in direzione sud-ovest, inoltrandosi fra le campagne. Sforzandosi un po’, si arriva a quel benedetto luogo di riposo prima che faccia buio.
Non era una locanda di passaggio. Già di suo, la strada fra i due paesini non era mai particolarmente trafficata, se poi si va a nascondere una locanda a un’ora di viaggio dalla strada principale, è quasi certo trovarsi con un esercizio commerciale perennemente a rischio fallimento.
Scoprii la ragione di quell’isolamento quando raggiungemmo il luogo. Era preceduto da alcuni piccoli cottage di legno e paglia, dal cui buco sul tetto usciva del fumo. La locanda in sé era un vasto edificio in pietra, parzialmente circondato da mura. Più che una locanda sembrava un’abbazia.

“I tuoi occhi non t’ingannano” confermò Holly quando gli esposi la mia idea. “In effetti questa una volta era un’abbazia, formalmente consacrata a Chauntea.”
“E che cosa è successo? Come mai non lo è più?”
“Quando sono arrivato in questa regione, ho massacrato tutti i suoi abitanti.” Raccontò, in tono neutro.
Sì. Ci avrei creduto un tempo, forse.
“Questa è una di quelle volte in cui dici una parte della verità facendo credere che sia tutta la verità” lo accusai, con la stessa certezza con cui avrei affermato domani il sole sorgerà ad est.
Sospirò.
“Mi conosci troppo bene. Non mi dai mai soddisfazione.”
“Vuoi raccontarmi che cosa è successo?”
“Non ora. Siamo arrivati. Te lo racconterò quando avrai soddisfatto le tue necessità di essere vivente.”
“Tutte quante?” chiesi in tono malizioso, solo per pungolarlo.
“Cibo, alcolici e un camino acceso; mi sembra il giusto compromesso” rispose freddamente, senza darmi soddisfazione.

La locanda era piena di bambini. Holly si strinse nelle spalle e disse fuori dai denti che ne aveva sopportati già così tanti, che una decina o due in più non avrebbero fatto differenza. Non mi aspettavo che una locanda fosse piena di bambini. La taverna era stata trasformata in un refettorio ed era piena di gioioso chiasso infantile.
Krystel, la locandiera, era bella e sorridente come la ricordavo, ma aveva anche l’aria stanca. Nessuna delle sue figlie era in vista, e la sua aiutante Esmeralda stava raccontando una storia ai bambini per farli stare buoni. Senza molto successo, visto che sembrava volessero partecipare tutti alla narrazione.
“Perché la locanda è piena di bambini?” chiesi infine, quando ebbi buttato giù mezzo piatto di ottimo stufato e un paio di bicchieri di ippocrasso caldo.
“Tradizione invernale. I mercanti non circolano, la locanda rimane pressoché inattiva, e tutti i contadini della zona possono scegliere di mandare qui i loro figli in eccesso per imparare un mestiere.” Mi spiegò Holly sbrigativamente.
“I loro figli in eccesso? Che vuol dire?”
“Quelli di cui non hanno bisogno per i... boh, i lavori da umani nelle fattorie. Non lo so. Mia sorella dice che non c’è tantissimo da fare in inverno in una fattoria.”
“E qui che cosa fanno?”
“Oh beh...” si strinse nelle spalle. “Imparano a cucinare, a usare le erbe medicinali, i ragazzi si occupano degli animali e le ragazze imparano a usare il telaio... se si portano della lana, possono fare delle coperte o dei vestiti da riportare a casa. Quando non fa troppo freddo, Duvainion li addestra a tirare con l’arco e a combattere, e c’è sempre qualcuno pronto a insegnare a tutti le basi del primo soccorso; è una cosa che serve sempre, dopotutto siamo nella Frontiera Selvaggia e quella stupida brughiera piena di mostri è solo qualche giorno di marcia a sud. E poi fanno altre cose, preparano conserve, intagliano la legna, imparano a leggere e a scrivere, a fare le faccende, ad accendere il fuoco... a riconoscere gli animali e le piante commestibili e a non perdere la strada nella neve. Ogni tanto mia sorella si prende un’apprendista, se una ragazza dimostra di avere la vocazione. Possono portare a casa tutti i frutti del loro lavoro, ma una parte di quello che producono resta alla locanda come pagamento.”
Mi accorsi che avevo smesso di mangiare, rapito da quella spiegazione. Era un sistema molto comunitario per gli standard umani.
“È una cosa molto bella. Ma non è un impegno troppo gravoso per tua sorella? Aiuta questi ragazzi a diventare dei contadini migliori e più autonomi, e li sfama per tutto l’inverno. Non le costa troppo?”
“In cambio di questo, sono anni che non deve manutenere personalmente la locanda. I ragazzi più grandi fanno le piccole riparazioni, i bambini sistemano la ghiaia del cortile, tolgono le erbacce dall’orto, e come ho detto una piccola parte dei loro prodotti rimane qui. Però la ricompensa principale è un’altra ed è più importante, anche se invisibile: ogni persona nel raggio di due giorni di cammino conosce mia sorella e si fida di lei. Ogni persona nata negli ultimi quarant’anni è praticamente cresciuta qui per metà dell’anno ogni anno, così mia sorella è diventata una costante e un punto di riferimento nelle loro vite brevi. Questo luogo è considerato una seconda casa da tutta la gente della zona e nessuno alzerebbe mai un dito contro Krystel o i suoi figli. Inoltre questi bambini stringono amicizia crescendo insieme, cosa che non potrebbe accadere se crescessero in fattorie separate, in questo modo si rafforzano i legami della comunità e si minimizza il rischio di future dispute per la terra.”
Lo guardai con rinnovato stupore.
“Non avevo il minimo sentore che tu capissi tanto bene gli umani o le faccende che li riguardano.”
“Ho passato molto tempo con mia sorella. A lei questa gente piace.”
Lo disse con un tono che mi strappò una risata semi-alcolica.
“E a te questa gente non piace?”
“Mi lascia abbastanza indifferente, se proprio vuoi la verità.”
“Com’è che tu piaci a loro?”
“Io non gli piaccio, probabilmente gli sono indifferente a mia volta.”
“Ma non è strano?”
Sbuffò, seccato. “Mi lasciano in pace perché sono il fratello dell’Ape Regina, non è ovvio?”
Non ero convinto, ma lasciai correre. Cominciavo a essere troppo brillo per obiettare.

Dopo un po’ di tempo si alzò e andò a, così mi disse, indagare se in cucina era rimasto qualcosa di dolce perché dovevo assolutamente provare il qualcosa di non mi ricordo.
Tornò con un pezzo di crostata e altro ippocrasso, stavolta freddo. Aveva un sapore dolce ma meno speziato di prima, però non ci feci caso. Ad un certo punto mi venne il singhiozzo.
“So come puoi mandarlo via” Holly aveva il tono più volenteroso e convincente che un amico possa avere “Prendi un bicchiere d’acqua e bevi dalla parte più lontana dalle tue labbra.”
“Cos? Come fa...sccio?” biascicai, parlando in elfico perché il Comune era ormai un ricordo confuso.
“Chinati in avanti. Su su” mi aiutò. Quando la mia testa arrivò all’altezza delle mie ginocchia, registrai due eventi quasi contemporanei: il bicchiere raggiunse finalmente la pendenza necessaria per rovesciare acqua nella mia bocca, ma finì tutta nel mio naso; la seconda cosa che accadde, fu che capitombolai per terra con una mezza capriola e senza sapere come mi ritrovai per metà sotto il tavolo, con un bernoccolo sulla testa e la stanza che girava e ondeggiava come il ponte di una nave.

Mi risvegliai la mattina dopo, confuso. Non ero nel letto di Krystel come avevo inizialmente sperato, ma nella branda dell’infermeria. Per Corellon, che vergogna. Mi ero ubriacato come un pivello.

Durante il tempo che passammo insieme quell’anno, Krystel non riuscì mai a vedermi come un potenziale partner, per lei rimasi solo l’amico di suo fratello, quello che non regge l’alcol. Quello da tenere d’occhio perché era un po’ infantile.

Per questa volta aveva vinto lui, mi aveva ingannato portandomi dell’idromele fermo e molto alcolico al posto del vino che mi aspettavo di bere.

Ma prima o poi, giurai a me stesso, sarei riuscito a sedurre sua sorella.

           

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Capitolo 7
*** Inframmezzo - Presentazione dei personaggi ricorrenti ***


Presentazione forse non necessaria dei personaggi ricorrenti


Johlariel Arnavel

Soprannome: Johel
Luogo e anno di nascita: foresta di Mir (Sarenestar), 1100 DR
Residenza: Sarenestar, seminomade nel Faerun occidentale
Razza: elfo dei boschi
Descrizione: classico elfo dei boschi, altezza media, pelle leggermente ramata, capelli biondo-scuri, occhi verdi. Ha un carattere estroverso e solare (per gli standard degli elfi) e un cuore gentile. Ha viaggiato molto, soprattutto in territori umani, e viaggiare gli ha aperto la mente permettendogli di comprendere le altre culture meglio di quanto le comprendano solitamente gli elfi. Le sue qualità lo rendono perfetto per il ruolo di ambasciatore, che talvolta ricopre. È anche un gran donnaiolo che non ha nessuna fretta di impegnarsi, ma non è viscido e ha un grande rispetto per le donne e anche per i “no”. Nonostante sia spesso assente da casa, sente un forte legame con il suo clan e il suo popolo.
Allineamento: NB
Classe: Ranger


[Nome non dichiarato]
Soprannome: Holly
Luogo e anno di nascita: non dichiarato, 1102 DR
Residenza: Sarenestar, seminomade nel Faerun occidentale
Razza: non dichiarata, ma attualmente fantasma
Descrizione: non viene mai descritto fisicamente, tranne che in alcuni dettagli: occhi grigi, capelli raccolti in una treccia, mancanza di ombra. Caratterialmente, spicca per la sua grande simpatia e piacevolezza, quasi quanto pulirsi il culo con una grattugia. Tuttavia, nonostante il primo impatto, è un amico sincero e leale fino alla fine e oltre. È un bugiardo consumato che crede nell'utilità sociale delle menzogne, non si fa problemi a raggirare i suoi alleati se è per il loro bene, ma soprattutto perché non vuole far capire quanto abbia a cuore le persone. Cresciuto in un contesto in cui l'inganno era il metodo standard per relazionarsi agli altri, è abituato a comunicare per vie indirette anche quando vuole dire la verità, e si stupisce immensamente quando i suoi interlocutori non capiscono il secondo o terzo strato di significato nelle sue parole e nelle sue azioni.
Allineamento: CB
Classe: Guerriero/Ladro, con alcuni poteri apparentemente clericali la cui origine viene spiegata più avanti


Krystel
Soprannome: Kry
Luogo e anno di nascita: non dichiarato, 1102 DR
Residenza: vicinanze di Secomber
Razza: non dichiarata
Descrizione: non viene mai descritta fisicamente, si dice di lei solo che è di bell'aspetto e ha occhi dolci. Anche i suoi modi solitamente sono dolci, ma sotto sotto ha un carattere forte e sa farsi rispettare. È una persona pragmatica e di buonsenso, ma nel limite dei suoi ideali. Krystel è molto brava nelle relazioni interpersonali e adora i bambini, infatti ha parecchi figli suoi, ma non ha un compagno fisso. Dopo la morte del suo primo marito non ha più voluto legarsi.
Allineamento: NB
Classe: Strega, ma di lavoro fa la locandiera



           

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Capitolo 8
*** 1308 DR: Quando ci rivedremo avrai un’altra forma ***


1308 DR: Quando ci rivedremo avrai un’altra forma, ovvero Le molte strade della vita e della morte


“Hai parlato con lei del motivo che ti ha spinto qui? La richiesta di tornare in vita?” gli domandai un giorno, mentre facevo colazione con pane fresco e uova strapazzate, esperimenti culinari dei bambini ospiti della locanda.
“Non ancora. Non ho trovato il tempo, sembra impegnata a preparare qualcosa di importante e non voglio disturbarla.” Mi rispose, tenendosi sul vago.
“Non ti senti pronto a parlarne?”
Minimizzò la mia teoria con un gesto della mano. “Le parlerò. Ma è la verità, sembra sempre impegnata.”
In quel momento, per caso o per fortuna, Krystel si avvicinò al nostro tavolo con due tazze di caffè d’orzo, me ne porse una e si sedette insieme a noi.
“Ho finito per stamattina” annunciò, con aria soddisfatta. “O almeno ho finito le faccende. Mi dispiace non essere ancora riuscita a parlare con voi come si deve, anche se siete arrivati da giorni.”
“Oh? Sei stata davvero impegnata, come crede Holly?”
Si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con un gesto aggraziato. Sembrava accaldata, probabilmente veniva dalla cucina. In quel momento, anche nei suoi semplici abiti da lavoro, era davvero adorabile.
“Per la verità sì. La festa di Mezzinverno si avvicina. Il mese di Alturiak di solito porta una serie di disgeli alternati a morse di freddo, e in occasione del primo disgelo dopo Mezzinverno i ragazzi più grandi tornano alle loro fattorie per aiutare i genitori nella preparazione dei campi prima della semina. Quindi ho delle cose da predisporre, fra pochi giorni resteranno solo i più piccoli e il carico di lavoro sarà maggiore. Inoltre Tiffany verrà qui perché sta morendo e c’è da predisporre il suo Rituale di Passaggio.”
Aveva parlato tutto d’un fiato, come chi è abituato a non avere molto tempo da perdere in chiacchiere. Non so chi fosse Tiffany, ma mi sembrava strano che una persona buona come Krystel parlasse della sua morte come avrebbe parlato del tempo.
“Tiffany era una delle sue apprendiste.” Mi venne incontro Holly, intuendo il mio disagio. “Almeno mi pare.”
Krystel passò lo sguardo da lui a me, vide la mia confusione e colse al volo la mia domanda inespressa. “Sì, Tiffany è stata mia apprendista. Venne a studiare qui subito dopo la pestilenza del 1266, che l’aveva lasciata orfana. È stata un’ottima strega per la cittadina di Daggerford e le sue campagne, negli ultimi trentacinque anni. Ora ne ha... non tantissimi, forse cinquantacinque... ma la malattia aveva indebolito il suo corpo ed è sempre stata di costituzione fragile da allora. I vari acciacchi a cui ha fatto fronte negli anni alla fine l’hanno fatta invecchiare precocemente, non le resta molto tempo ormai. Lei lo sa e io lo so, quindi verrà qui e bisogna preparare tutto per bene.”
“Preparare per cosa? Cos’è il... Rituale di Passaggio?” domandai, ricordando come lo aveva chiamato poco prima.
“Una cosa che una strega può scegliere di fare al momento della sua morte naturale. Forse avrai modo di vederlo.”

Quattro settimane dopo, sotto una mezzaluna pallida e lontana, un gruppo di persone se ne stava in piedi accanto a un basso mucchio di pietre. Non eravamo lontani dalla locanda, eravamo ancora all’interno del suo territorio, prima che iniziassero i campi dei contadini. Alcune fiaccole ardevano delimitando l’area del rituale, illuminando i presenti di una luce incerta e scostante.
Krystel era in piedi accanto al mucchio di pietre, su cui era stato posato il cadavere di una donna smunta e fragile. I suoi capelli, ormai più grigi che castani, erano stati lasciati sciolti e accuratamente pettinati, ma conservavano ancora la forma ondulata delle trecce che la donna usava in vita.
“Ti salutiamo, Tiffany della Congrega dell’Orso” intonò Krystel, con voce solenne. Tre dei suoi quattro figli, la sua apprendista Esmeralda, l’apprendista di Tiffany e altre due streghe giunte da Uluvin e Red Larch apposta per l’occasione ripresero in coro il saluto. Sette persone avevano parlato all’unisono come se qualcuno gli avesse dato un segnale.
Io e Holly osservavamo il rituale restando più indietro; era la prima volta che assistevo a una simile cerimonia e ne ero affascinato.
“La tua nuova vita sarà libera dagli orpelli del mondo.” Recitò la strega di Uluvin, una donna di mezza età che credo si chiamasse Morgan. “Non avrai bisogno di gioielli”. Così dicendo, prese una collana che era stata appoggiata sul collo della defunta, ma senza essere agganciata.
Un’altra strega si avvicinò al tumulo. “La tua nuova vita non ti vedrà deperire e invecchiare.” Dichiarò la ragazza giunta da Red Larch, una donna dall’aspetto anonimo di cui non sapevo nulla.
“Non avrai bisogno di specchi”. Tolse un piccolo specchio a manico dalla presa fredda e immobile della morta.
Krystel prese di nuovo la parola: “Ma nella tua nuova vita avrai bisogno dei tuoi ricordi.” Si fece avanti e poggiò un piccolo oggetto fra le mani di Tiffany, non potevo vederlo bene ma penso fosse una statuina. “Ricorda chi sei, Tiffany della Tenuta della Collina, figlia della famiglia Archer. Tiffany della Congrega dell’Orso, seconda apprendista di Krystel. Tiffany strega di Daggerford, supporto e guaritrice di tante brave persone. Tiffany maestra di Rae, che lasci in buone mani.”
“Nella tua nuova vita, porta con te i tuoi ricordi. Nella tua nuova vita, porta con te il nostro affetto. Nella tua nuova vita, porta con te le nostre benedizioni.” Recitarono tutti, in coro, ancora con quel tempismo perfetto e inquietante.
“Se qualche divinità ci sta ascoltando” annunciò Krystel “accetteremo le sue benedizioni con gioia. Ma siamo noi, noi mortali, a decidere cosa fare delle nostre vite e della nostra morte. Tiffany ha fatto la sua scelta. Addio e arrivederci Tiffany della famiglia Archer, Tiffany della Congrega dell’Orso, Tiffany di Daggerford.”
Di nuovo tutti insieme, come una sola voce: “Addio e arrivederci. Quando ci rivedremo, avrai un’altra forma.”
Poi, uno alla volta, si avvicinarono tutti e cominciarono a impilare pietre sul corpo della defunta, alternandosi fra loro, finché dopo diversi minuti ebbero creato un vero e proprio tumulo.

Andammo a dormire che ormai era notte fonda. Non sapevo cosa pensare di quel rituale, era stato come una cerimonia funebre e in un certo senso ero deluso. Ero convinto che sarebbe stato più... magico. Che sarebbe successo qualcosa.

La mattina dopo mi svegliai all’alba, prima che i bambini cominciassero con il solito chiasso mattutino. Quando scesi a fare colazione fu Tinefein, la figlia più giovane di Krystel, a portarmi il caffè d’orzo, il pane e il burro.
La salutai con gentilezza e lei mi sorrise di rimando. Sapevo che la ragazza non poteva sentire, ma stava diventando brava a leggere il labiale.
Mi guardai intorno. Avevo una domanda da porre, ma non volevo disturbare una ragazza incapace di parlare. Ahimè, non c’era nessun altro in vista.
“Tua madre non c’è, stamattina?” chiesi guardandola in faccia e scandendo bene le parole. Lei sembrò incerta su come rispondermi. Di solito si esprime a gesti o comunque si fa capire, ma non è facile esprimere concetti complessi in questo modo. Risolse il problema prendendo una lavagnetta che portava sempre con sé in una larga tasca del grembiule. Cominciò a scriverci sopra con un gessetto, e scrisse tanto che mi sentii in colpa per avere chiesto. Alla fine rivolse la lavagnetta verso di me. Ero sorpreso di quanto fosse precisa e minuta la sua grafia, anche con un gessetto.
È proibito compiere azioni legate alla vita il giorno dopo aver officiato una cerimonia funebre. Mia madre, Morgan e Talia hanno avuto un ruolo attivo ieri notte, quindi lei oggi non cucinerà, non baderà agli animali né alle piante.
Ci pensò un momento, mi guardò con aria critica e poi aggiunse in calce:
E neanche agli uomini.
Il suo ultimo commento mi strappò una risata. Si tende sempre a pensare che le persone che non possono sentire siano anche ingenue, ma a quanto pare non è vero.
Avrei voluto parlare con Krystel, ma solo per chiederle lumi sulla cerimonia. Mi rassegnai ad aspettare.

Tre notti dopo venni svegliato dal suono melodioso di una voce che cantava all’esterno. Non so chi potesse essere così pazzo (o pazza, sembrava una voce femminile) da starsene fuori di notte con quel freddo. Aprii le imposte e mi affacciai alla finestra, tollerando che l’aria pungente scivolasse sulla mia pelle.
Una ragazza ballava sul prato, vicino al tumulo funerario ormai ricoperto di terra e neve. La luce della luna crescente illuminava la notte rifrangendosi sul terreno innevato, così la vedevo piuttosto bene: indossava un vestito molto semplice e anche da quella distanza ero quasi certo che fosse a piedi nudi.
Qualcuno uscì dalla locanda per andarle incontro. La figura era coperta da un mantello ed era impossibile capire chi fosse, ma presto altre persone si unirono al gruppo.
“È successo.” Mormorò una voce accanto a me. Trasalii per la sorpresa, ma era solo Holly. Diamine, gli ho detto mille volte di non entrare nella mia stanza senza permesso! Ma quella volta lasciai correre perché avevo sentito qualcosa nel suo tono che non si sente spesso: meraviglia.
Infilai gli stivali e i miei vestiti più pesanti e scesi di corsa le scale. Qualunque cosa fosse, volevo vederla anch’io.

Avevo visto Tiffany Archer quando era arrivata alla locanda e la ricordavo come una donna anziana e tremante. La figura leggiadra che ora danzava nella neve non aveva nulla a che fare con quella visione: era una fanciulla, giovane e più spensierata di quanto la vera Tiffany dovesse essere mai stata. Tuttavia era lei, era chiaramente Tiffany, o come doveva essere apparsa quarant’anni prima. Un sorriso leggero le illuminava il volto pallido e trasparente.
“È una fantasma?” sussurrai, guardando Holly. Di certo lui doveva saperlo.
“No.” Rispose, mantenendo anche lui la voce bassa “È qualcos'altro. Non so cosa sia.”
“È una Bean Sidhe.” Intervenne una delle figlie di Krystel, rimasta indietro con noi perché aveva qualche problema a muoversi nella neve. “Una fanciulla del popolo fatato. A volte chi venera la natura, come i druidi o le streghe o perfino certi sciamani, può scegliere di restare in questo mondo dopo la morte incarnando la sua anima in una creatura fatata, un Aes Sidhe. Sono folletti che nascono espressamente dai resti dei mortali tumulati secondo questo rituale.” Riuscì a spiegare una questione così tecnica senza sembrare fredda, perché anche nella sua voce si percepiva la stessa meraviglia che provavamo noi.
“È bellissima.” Commentai soltanto.
“Quella che vedi è la bellezza della sua anima.” Hilda, così si chiamava la ragazza, sorrise con grande affetto verso la neonata Bean Sidhe. “Se non fosse stata degna non sarebbe riuscita a tornare. Ma ora è... e allo stesso tempo non è... la Tiffany che ricordiamo. Lei sa chi era e sa chi siamo, ma ora vede il mondo come un folletto, non più come una donna umana. Il suo approccio alla vita sarà completamente diverso.”
“Che cosa vuoi dire?”
Hilda si strinse nel mantello, rabbrividendo per il freddo.
“Voglio dire che andrò a salutarla ma poi cercherò di convincere tutti a tornare dentro, perché Tiffany vorrebbe condividere con noi la sua immensa gioia e il suo amore, e quindi vorrebbe che ci fermassimo a ballare con lei per tutta la notte. Così ragionano i folletti: una cosa bella o estatica non può essere dannosa. Non capisce più i nostri limiti.”
Sentii un brivido gelido lungo la schiena mentre assimilavo quella spiegazione. La nuova Tiffany era bellissima. Era terribile. Era selvaggia come la natura e ingenua come una bambina. Una combinazione pericolosa, da ammirare da lontano.
“Ecco, quella è la mia nipote con più buonsenso.” Osservò Holly, mentre guardavamo Hilda avvicinarsi con cautela al capannello di gente. “Dev’essere la sua metà umana. La tiene con i piedi per terra.”

Il mese di Alturiak passò rapidamente come era venuto. Le streghe ospiti erano tornate alle loro cittadine; tutte tranne Rae, l’apprendista di Tiffany, che doveva completare i suoi studi. Quanto a Tiffany, ogni tanto di notte si faceva vedere, ma non sempre. Più spesso potevamo godere del riposo di cui in inverno si ha così bisogno.
Con il mese di Ches arrivarono i primi fiori e la conferma definitiva del disgelo. Verso metà mese, i genitori dei bambini rimasti vennero a riprendersi i pargoli. Ogni giorno arrivava questo o quel fattore, e Krystel aveva una parola per tutti. La primavera era ancora una promessa, ma alla locanda tutti avevano iniziato i preparativi per salutare l’arrivo dell’Equinozio. Anche il primogenito di Krystel, di solito schivo e riservato, si stava facendo vedere più spesso del solito. Krystel ce ne svelò la ragione una sera in cui si fermò a cenare con noi (o meglio con me, Holly non mangiava).
“Duvainion ha preso una decisione. Probabilmente è stato il Rituale di Passaggio di Tiffany a convincerlo definitivamente, ma erano alcuni anni che ci pensava. Lui vive nella foresta.” Raccontò, riferendosi alla Grande Foresta che estendeva le sue propaggini quasi fino alla via mercantile fra Secomber e Uluvin. “Adesso ha deciso di diventare tutt’uno con la foresta. Vuole abbracciare il cambiamento che da tempo sente nel suo cuore, e diventare una Creatura Boschiva.”
Rimasi molto colpito da quella decisione. Come ranger, capisco l’amore per la natura e per le foreste incontaminate, ma una simile dedizione mi era estranea.
“Ne è proprio sicuro? E tu come la pensi?”
Krystel si concesse un sorriso triste.
“Mi stai chiedendo se mi mancherà mio figlio? Non credo che i nostri rapporti cambieranno rispetto ad ora. Sta solo diventando ciò che già è nel suo cuore. È sempre stato un solitario e non ha mai avuto un popolo verso cui sviluppare attaccamento, come te e come altre persone vicine alla natura. Io sono una strega e sento una responsabilità verso la gente di queste zone. Tu sei un ranger e sei legato al tuo clan, per te il clan e il suo territorio sono una cosa sola... correggimi se sbaglio, ma credo che proteggere la natura e proteggere la tua gente siano due necessità che si rafforzano a vicenda.”
Annuii, sorpreso. Non pensavo che fosse arrivata a capirmi così bene.
“Mio figlio non ha delle vere radici. Lo so che è un’affermazione buffa, se pensi che diventerà una Creatura Boschiva,” ancora quel sorriso triste, “ma è così. Suo padre era un elfo selvaggio, e se fossimo rimasti con il suo popolo forse Duv avrebbe sviluppato un senso di appartenenza verso di loro, ma ce ne siamo andati quando il mio compagno è morto. Da allora l’ho cresciuto da sola. So che mi vuole bene e che ne vuole alle sue sorelle, ma l’attaccamento non fa parte di lui.”
“Quindi lo aiuterai nel suo cambiamento. Farete un rituale o qualcosa del genere.”
“Sì Johlariel, faremo un rituale in occasione dell’Equinozio di Primavera.” Non scese nei dettagli, coprendo il suo silenzio con una sorsata di infuso caldo.
“E sul serio per te questa cosa va bene?” Ripetei la domanda perché non riuscivo a capacitarmi della sua risposta. Mi sentivo un po’ stupido, ma non riuscivo proprio a capire. Per noi elfi il concetto di famiglia è sacro, anche perché siamo così poco fertili.
“Che madre sarei se impedissi ai miei figli di fare ciò che il loro cuore gli detta? Io li supporterò sempre. A cosa servirebbe il contrario?” Mi domandò, con onestà disarmante, e mi resi conto che non avevo una risposta. “Se anche dovessi vedere Duvainion ancor meno di ora, so che continuerà a volerci bene ed è l’unica cosa che conta.”

L’Equinozio arrivò. L’Equinozio passò, portandosi dietro tutti i suoi cambiamenti. Questa volta non mi fu concesso assistere al rituale di trasmutazione, e la mattina dopo Duvainion se n’era già andato, di ritorno nella sua amata foresta. Un peccato, perché devo confessare che ero curioso, anche se forse la mia curiosità era inopportuna.
“Ho deciso di parlare con mia sorella” annunciò Holly quella mattina.
“Ah bene, alla fine siamo qui solo da due mesi.” Fu il mio solo commento.
Holly ignorò il sarcasmo.
“Quindi cosa hai concluso?”
“Che mi serve tempo per pensarci. Ultimamente ho assistito a... alle azioni di gente che ha scelto di cambiare la propria condizione... e la cosa mi affascina ma mi preoccupa anche. Ma ci penserò, sul serio.”
Accettai la sua posizione. Era la sua vita, o qualunque cosa fosse.
“C’è un’altra cosa. Krystel vorrebbe riprendere a viaggiare.” Disse tutto d’un fiato.
“Come? Ma lei non vive qui in modo stanziale?”
Si passò una mano dietro alla testa, era chiaramente a disagio ma non sapevo perché. “Più o meno. Molte streghe sono semi-nomadi e girano nella loro regione per coprire un’area più vasta. Ma lei nel corso della sua vita ha anche viaggiato più lontano, e vorrebbe ricominciare a farlo. Dice che serve ad ampliare la mente.”
Scrollai le spalle: a quello non potevo controbattere, anche io viaggiavo per ragioni simili.
“Quindi, se per te va bene... partiremo dopo la festa di Pratoverde.”
Battei le palpebre una o due volte, senza capire. “Come, tutti e tre?”
“Io preferirei non lasciarla sola. Non dopo l’ultima volta.” Si giustificò. “E penso che desideri recarsi nella Brughiera Sterminata e quello è un luogo pericoloso. Lei dice che lo conosce bene, ma in alcune zone è una vera palude ed è infestata dai troll, non me la sento di perderla di vista. Per te è un problema viaggiare in tre?”
Avrei fatto una battuta sul non perderla di vista, ma qualcosa nel tono di Holly mi dissuase.
“Cosa è successo l’ultima volta?” domandai, percependo del dolore nel modo in cui aveva sorvolato rapidamente l’argomento.
“Non sono riuscito a proteggerla adeguatamente.” Disse soltanto, ombrandosi. E non ci fu verso di scucirgli altro.

Mesi dopo eravamo tutti e tre appena emersi a fatica dalla Brughiera Sterminata.
“Sai cosa? Penso che farò incantare ulteriormente la mia sciabola.” Annunciai, saggiando il filo della lama con un dito. Non ero soddisfatto della sua utilità contro i troll.
“Forse sei tu che non la sai usare a dovere.” Mi provocò Holly. “Che ne dici di dimostrare quanto vali?” Sfoderò le sue spade corte; era una sfida in piena regola. Era molto che non avevamo occasione di addestrarci un po’ combattendo contro un avversario abile e non contro mostri senza cervello, quindi accettai con slancio. La scarsa utilità della mia arma contro i troll mi aveva reso frustrato.
Purtroppo non avevo calcolato che combattere contro di lui è a sua volta una cosa più frustrante di un coito interrotto.
“Maledizione, ma ti degni di prendere un colpo?” sbottai a un certo punto.
“Combattiamo da solo tre minuti e già pretendi di colpirmi? Mi deludi Johel.” Rispose con un gran sorriso, deviando il mio ultimo affondo con una delle sue lame e scattando avanti con l’altra in un attacco poco convinto, che parai senza problemi.
“Sei fastidioso!”
Gongolò in modo ancora più fastidioso.
“Non è colpa mia se sei un incapace!”
A questo insulto gratuito, mi fermai. “Holly, che diamine stai facendo?”
Finse di non capire.
“Ti conosco Holly, ti stai rendendo antipatico apposta. Perché?”
Stavolta sospirò e abbassò le armi.
“Ricordi che c’è stato un periodo in cui io e te ci vedevamo solo d’estate?”

Sarebbe partito. Con sua sorella. Per tutto l’inverno, in un luogo troppo pericoloso per me.
“Tornerai, giusto?”
Allargò le braccia, come per indicare tutto se stesso. “La mia stessa natura indica che io torno sempre!” rise.
“E la riporterai indietro sana e salva?”
“Corro più rischi io di lei” fu l’enigmatica risposta.
“E quando ci rivedremo... avrai un’altra forma?”
Sorrise, ma era un sorriso rassegnato.
“Credo di no. Non ho ancora deciso nulla.”

           

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Capitolo 9
*** 1308 DR: La strega della palude ***


1308 DR: La strega della palude, ovvero Quando una cosa dovrebbe essere un ossimoro ma con la giusta cocciutaggine funziona


Nel racconto precedente ho lasciato un buco di diversi mesi, fra Ches ed Eleint. È il momento di raccontare che cosa facemmo quell’estate.

Viaggiare insieme al mio amico e a sua sorella era molto diverso da viaggiare solo in due. Le streghe hanno solo due modi per viaggiare: uno rapidissimo con la magia e uno lentissimo a piedi.
Quando una strega si sposta a piedi (o su una cavalcatura o un carro, non siamo fiscali) la sua professione in qualche modo le impone di fermarsi in ogni luogo in cui ci sia una stortura, e raddrizzarla.
Ad esempio, un normale avventuriero viene attaccato dai briganti e si difende, magari ne uccide qualcuno o li consegna alla giustizia, oppure scappa. Una strega si difende, incapacita i briganti, parla con loro per capire se sono davvero briganti, e se viene fuori che si sono ridotti al brigantaggio perché spinti dal bisogno, la strega non si ferma finché non ha colmato quel problema sociale. C’è stata una carestia? Il signore del luogo impone tasse troppo alte? C’è una guerra? Qualunque sia il motivo la strega si ferma e non riparte finché la situazione non è aggiustata. Non accadde quell’estate, ma era successo altre volte che una strega ci mettesse due anni a percorrere un viaggio di forse duecento miglia.
Per me non era un problema, avevo una vita lunga davanti a me e nessun altro impegno particolare. Holly era un tipo adattabile e soprattutto aveva un blocco mentale quando si trattava di mettere in discussione l’autorità di sua sorella.

La nostra strada ci portò a nord. Per tacito accordo ignorammo la Grande Foresta, avrebbe complicato inutilmente le cose. Arrivati a Uluvin abbandonammo la strada principale per addentrarci nelle pianure coltivate a ovest della foresta. Alla nostra sinistra vedevamo in lontananza le colline Sumber, che sembrano formare un’unica catena da Uluvin a Yartar.
Passammo per villaggi così piccoli da non essere segnati su nessuna mappa e ogni tanto riuscivamo perfino a viaggiare su sentieri e strade sterrate che collegavano questi centri abitati. Altre volte scoprivamo che una di queste strade conduceva solo a una fattoria e poi si perdeva nel nulla, quindi dovevamo continuare viaggiando sugli stretti camminamenti che separavano i campi di grano. Eravamo quasi arrivati al fiume Dessarin, o meglio al ramo del Dessarin che aveva origine nella Grande Foresta. L’ultimo villaggio prima del fiume era chiuso in una ferrea quarantena autoimposta perché era stato colpito da un’epidemia di febbre miliare, che aveva mietuto alcune vittime fra gli anziani e i bambini. Io rimasi al di fuori della zona di pericolo, ma Krystel e Holly proseguirono e ci fermammo lì per un po'. All’inizio i contadini non si fidavano di loro, ma erano troppo disperati per rifiutare qualsiasi aiuto. Holly era già morto, quindi ovviamente immune alle malattie, e il suo aiuto fu prezioso per occuparsi dei corpi e dei pazienti più gravi. Noi elfi siamo portatori sani di questo morbo, quindi non mi azzardai a entrare nel villaggio per paura di diffondere inconsapevolmente il contagio.
Due settimane dopo riprendemmo il viaggio. Il fiume Dessarin era in piena a causa delle piogge primaverili e non c’erano ponti nel raggio di molte miglia, ma uno dei contadini del villaggio che avevamo aiutato si offrì di traghettarci dall’altra parte sulla sua chiatta da pesca.
Sbarcammo sulla sponda nord, a circa mezza giornata di strada a est di Yartar. Prendemmo la strada in direzione est; ormai eravamo quasi arrivati alle propaggini meridionali della Brughiera Sterminata, ma non ci addentrammo subito nella brughiera, era meglio aggirarla per un tratto. La strada ci avrebbe condotti fino alla città di Everlund, ma noi intendevamo deviare molto prima. Nel punto in cui la strada passava radente alla Grande Foresta a sud-est, e si vedevano le fronde di un bosco anche in lontananza a nord-ovest, quello era il segnale che dovevamo uscire dalla strada e tagliare per i prati. La primavera era in piena fioritura e il nostro cammino era spesso rallentato dalle piogge e dal fango, nonostante fossimo ancora sulla terraferma. Quando arrivammo al limitare del bosco il terreno si rivelò più solido (grazie a Corellon), ma noi ovviamente non saremmo passati dal bosco. Ci tenemmo sulla striscia di terra di nessuno fra il bosco e la brughiera. Percorremmo quel tratto di viaggio il più possibile in silenzio.
Dopo circa un giorno di cammino, il bosco alla nostra destra finì rapidamente com'era iniziato, il cambio di panorama fra gli alberi fitti e le vaste distese di erba alta era improvviso e inaspettato.
“Queste terre sono bellissime!” commentai quando arrivammo alle rive di un altro fiume, che si snodava come un nastro d’argento a est e a nord-ovest.
“A oriente, dove il fiume Rauvin curva di nuovo, dovrebbe esserci la città di Silverymoon.” Illustrò Krystel. “Non l’ho mai vista, ma ne ho sentito parlare. A nord invece, dall'altra parte del fiume, c’è il Bosco della Luna.” Qualcosa nel suo tono lasciò intendere che avrebbe potuto dire molto altro ma preferiva non farlo. C’era una punta di dolore nel suo tono di voce?

Le meraviglie di Silverymoon e del Bosco della Luna non erano per noi, evidentemente. Un’avventura diversa ci attendeva a ovest, nella brughiera.

“Perché la chiamano Brughiera Sterminata se a un certo punto diventa solo un putrido acquitrino?” sbottai irritato, dopo che per l'ennesima volta mi era scivolato un piede nella fanghiglia liquida.
“In effetti questa parte della Brughiera assomiglia più a una palude.” Ammise Krystel candidamente.
“Sai chemmifrega, io levito” gongolò Holly, che aveva fatto sparire il ciondolo di Trappola Fantasma e si godeva la sua incorporeità.
“Se non smettete di fare rumore ci attirerete addosso tutti i troll della zona. Supponevo che degli elfi fossero più silenziosi.”
“Possiamo esserlo, se vogliamo.” Ribatté Holly, risentito.
Ma evidentemente non volevamo. Una dozzina di troll sbucarono fuori dal fango e ci saltarono addosso.

Al tramonto finalmente arrivammo in vista di una costruzione di pietra, un tor con la base a forma di stella.
“È qui che dovevamo arrivare?”
“No, questo è un luogo che chiamavamo Cima della Stella. Perché è una collinetta.” Spiegò lei, con una punta di imbarazzo. Non era una vera collinetta, era a malapena un dosso. “E perché il tor è a forma di stella. La costruzione è completamente in disuso, è un rudere. È un buon punto di riferimento però, e so che il cottage della Strega della Palude non è lontano.”
Arrivammo al cottage quando ormai il sole era calato. Sorgeva in centro a una specie di isola di terreno solido in mezzo al putridume.
“Sul serio un tempo vivevi qui?” chiese Holly alla sorella, con evidente disgusto nella voce.
“Ho vissuto qui alcuni degli anni più felici della mia vita, mentre tu vivevi in un posto molto peggiore.” Lo zittì lei. E in effetti dopo questo lui rimase in silenzio, un risultato notevole.
Bussò alla porta.

Venne ad aprirci una donna che a prima vista dimostrava una ventina d’anni. Aveva deliziosi boccoli castani, ma era l’unico aspetto di lei davvero gradevole. Tutto il resto era un po’... troppo. La sua pelle era pallida e sembrava liscia come porcellana, ma era pallida in modo malsano. Le sue labbra erano violacee come se avesse scelto una tinta per labbra che era più inquietante che seducente. I suoi abiti neri avevano l’aspetto trasandato di chi non è abituato a ricevere ospiti, e al collo portava un’elaborata collana di ossa... spero... di mucca o di una simile bestia.
“Krystel!” sorrise a labbra chiuse, e incredibilmente quel sorriso la rese bella.
“Merrique. È un piacere rivederti. Possiamo entrare?”
“Ma certo. Avete il permesso di entrare.” Formulò in tono teatrale, e poi rise brevemente come se avesse fatto una battuta.

Non sapevo perché fossimo lì, ma non attesi molto prima di trovarmi un'occupazione. Mi ero accorto che sembravo esercitare un forte fascino sulla nostra ospite, e lei dopotutto non mi dispiaceva.
“Stai attento se vuoi corteggiare quella lì.” Mi sussurrò Holly la mattina dopo. Merrique non si vedeva da nessuna parte. “Potrebbe non essere la cosa più sicura del mondo.”
“Che intendi dire?”
“Be'... tanto per cominciare, è una donna.” Questo commento mi strappò una risata. “In più è una strega. I mostri della palude si tengono alla larga da lei, e poi c’è il dettaglio che è un vampiro.” Enumerò contando sulle dita.
“Ah-ah. Non è un vampiro.” Misi da parte le sue ansie, pensando che scherzasse. Mi guardò con estrema serietà. “Non è un vampiro... vero? Krystel?” Chiamai, ora con una punta di panico nella voce.
“È un vampiro.” Confermò lei “E visto che Holly è morto e il mio sangue non è molto buono per lei, faresti meglio a stare attento. Lei non berrà da te senza il tuo permesso, ma sei di gran lunga il bocconcino migliore qui, in ogni senso, e l’attrazione sessuale a volte fa perdere il controllo perfino ai vivi.”
Solitamente sono più che felice di essere definito bocconcino da una bella donna, ma in questo caso ne avrei fatto volentieri a meno.

Dopo qualche notte capii che Krystel aveva detto il vero: non si sarebbe nutrita da me senza il mio consenso. Sembrava che vivesse soprattutto di sangue di troll, anche se ammetteva lei stessa che era disgustoso. Era quello a dare quel colorito strano alle sue labbra e a far risaltare le borse sotto agli occhi. Sarebbe stata una donna bellissima se si fosse nutrita in modo adeguato, ma non avevo alcun desiderio di diventare il suo pasto.
Con il tempo capii anche perché eravamo lì. Holly e Merrique passavano molto tempo insieme, immagino a parlare. Krystel li lasciava volentieri da soli per andare a fare scorte di erbe strane nella palude, e mi trovai spesso ad accompagnarla per la sua sicurezza... e per la mia.
“Che hanno da dirsi tuo fratello e quella strega?”
Venne fuori che era il tipo di domanda che avrebbe dato il via a una lunga spiegazione.
“Merrique è stata la mia prima apprendista. Era diventata da poco una strega a pieno titolo e stavo pensando di lasciarle la palude, quando lei una notte andò a rifugiarsi nel tor di Cima della Stella, che è un luogo che indirizza e potenzia la magia in modo particolare, e compì un rituale di sua creazione che la rese una creatura della notte. Non ne fui felice. Per niente. A mio parere aveva violato l’ordine naturale. Litigammo, e nella sua furia confesso che mi spaventò: era un vampiro giovane che non sapeva controllare né la sua rabbia né la sua sete. Me ne andai, lasciando a lei il cottage e la responsabilità della brughiera. Però c’era una cosa che non riuscivo a spiegarmi e che mi tormentava: come aveva potuto usare un rituale da strega per trasformarsi in qualcosa di completamente innaturale? Non dovrebbe essere possibile. Così alcuni anni dopo tornai da lei. Aveva continuato nel suo apprendistato, anche se da sola non è mai facile, e per una creatura come lei era ancora più difficile. Nonostante questo, e la cosa mi sorprese ancora di più, non aveva perso i suoi poteri di strega. Decisi di restare e di aiutarla a trovare il suo personalissimo equilibrio fra ciò che è naturale e... be', lei.”
“E perché ora siamo qui?”
Krystel raccolse le ultime erbe per quella notte e le ripose nel suo cestino mentre ponderava sulla risposta da darmi.
“Lei ha trovato una dimensione in cui poter esistere, ma conosce benissimo le conflittualità di voler essere vivo e morto allo stesso tempo. L’acuta mancanza che si prova verso le sensazioni dei viventi, e allo stesso tempo la sensazione di potere data dall'essere al di là della morte. Speravo che potesse aiutare mio fratello a capire cosa vuole fare della sua esistenza.”

Alla luce di questa mia nuova conoscenza sul suo passato, cominciai a rivalutare Merrique. Con noi si era sempre comportata in modo corretto, soprattutto con me viste le circostanze. Cominciai a parlare con lei.
Scoprii molte cose interessanti a cui non avevo mai pensato: tanto per cominciare, lei riusciva ancora a trarre un certo sostentamento dalla terra, come tutte le streghe, cosa che la manteneva in forze anche quando non riusciva a nutrirsi di sangue. In secondo luogo, mi fece notare che i vampiri mantengono un contatto molto stretto sia con la terra che con la vita.
“Necessitiamo di riposare nella terra” Mi spiegò. “Molti pensano che basti una bara, ma serve anche un po’ di terra del luogo in cui siamo stati seppelliti, o siamo morti. Per me, quel luogo è il tor di Cima della Stella. Il pavimento è stato completamente inglobato dal terreno, quindi quando mi serve un po’ della mia terra vado lì. Lì i miei poteri di strega sono anche più forti.” Un discorso affascinante. “E poi c'è il sangue. Il sangue è la vita. È simbolo della vita stessa presso molte culture, per questo i sacrifici di sangue hanno tanto valore. Fra tutti i non-morti, i vampiri sono quelli più dipendenti dalla vita. Un lich basta a se stesso, e in definitiva anche un fantasma, o uno zombi senza cervello. Un vampiro ha ancora una sorta di ciclo vitale. Ci sono molte cose che non possiamo più fare, ma anche altre che... possiamo.” Concluse, con un sorriso enigmatico.

Qualcuno può trovarlo disgustoso, qualcuno potrebbe considerarmi una specie di eroe del sesso estremo, ma divenni il suo amante. Dopo averla conosciuta bene, per me non era più una creatura della notte o un cadavere, era una persona con un nome, un'anima e una mente invidiabile. Ogni tanto le permettevo di prendere un po' del mio sangue e grazie ai nostri incontri la vidi rifiorire. Anche il suo aspetto fisico migliorò notevolmente con una... dieta più adeguata.
Una mattina di fine estate, mentre Krystel cucinava delle frittelle sostanziose e stranamente buone visti gli ingredienti di partenza, notai che i due fratelli continuavano a scambiarsi strani sguardi.
Dopo un po', ne ero semplicemente esasperato.
“Che cosa c'è? Cos'è che non mi state dicendo?”
Un ultimo, penoso sguardo, poi alla fine fu Krystel a prendere la parola.
“Oggi ce ne andiamo.”

Solo: “oggi ce ne andiamo.”
Quell’affermazione cadde fra noi come un macigno.
Non sapevo bene cosa dire. Certo, prima o poi ce ne saremmo andati, ma perché senza preavviso?
“Perché adesso? Perché così? Vorrei dire addio a Merrique.”
“È stata lei a chiedermi di andarcene ora. Si sta affezionando troppo a te.”
“Quindi? Anche io mi sono affezionato a lei.”
“Johel, i vampiri non si innamorano.” Intervenne Holly “Sviluppano un’ossessione.”
Krystel annuì per confermare le parole del fratello.
“Andremo via ora che tiene a te abbastanza da lasciarti andare per il tuo bene, ma non abbastanza da charmarti per farti restare con lei come un burattino senza volontà.”
“Ma... non avrebbe bisogno di farlo, a me piace la sua compagnia.”
Holly sospirò e si passò una mano sul volto.
“Johel ascolta. So che lei ti tratta con ogni riguardo, ma devi già mangiare il doppio del normale solo per mantenere le forze. Che accadrebbe se dovesse assuefarsi al tuo sangue? Diventerai sempre più debole, troppo debole per andartene se volessi farlo, e troppo confuso per desiderare di farlo.”
“Non rivedresti più il tuo clan e la tua famiglia.” Rincarò Krystel “E tutto per stare con una donna che sarà continuamente pungolata dal senso di colpa per la tua condizione, e che cercherà di tacitare questo senso di colpa dandoti più estasi, più sesso e più dominazione mentale per convincerti che la ami. Ti assicuro che non vuoi tutto questo e dovresti venire via fintanto che non lo vuole neanche lei.”

Non amavo Merrique, quindi fu abbastanza facile andarmene. Non facile come bere un bicchier d’acqua, perché avrei voluto dirle addio e dirle che la stimavo per la persona che era, per il controllo che aveva sui suoi istinti.
Forse sarebbe stato un discorso razzista. Non lo so. Ma so che me ne andai con il cuore un po’ pesante e mi voltai indietro più di una volta lungo il cammino, ma era giorno e lei non poteva vedermi.

           

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Capitolo 10
*** 1315 DR: La Caccia ***


1315 DR: La Caccia, ovvero Uno dei periodi più oscuri di Holly



Tarda primavera, 1314

“Sono di nuovo in partenza” mi aveva annunciato Holly. “Sono diretto in un luogo dove vorrei che non mi seguissi.”
“Missione segreta o luogo pericoloso?”
In realtà conoscevo la risposta. Holly ha ben pochi segreti con me.
“Missione abbastanza oscura, visto che nemmeno io so cosa sto andando a cercare... e luogo pericoloso.”
“Quanto pensi che starai via?”
Si strinse nelle spalle come a dire che non lo sapeva, e nei suoi occhi grigi vidi solo sincerità.
“Il viaggio da solo mi porterà via un po’ di tempo. La mia destinazione dovrebbe essere nel Cormyr.”
Nel Cormyr?” sottolineai in tono sarcastico.
“In senso lato.”
Sospirai sconsolato, trovando conferma dei miei sospetti; non aveva mentito, non potevo seguirlo.
“Aspetterò il tuo ritorno qui, nella foresta di Sarenestar.”
Annuì, accettando la mia decisione. Sapeva che anch’io ogni tanto dovevo far fronte agli obblighi che avevo verso il mio clan.


Estate, 1315

Non sapevo per quando aspettare il suo ritorno, ma quattordici mesi di assenza cominciavano a sembrarmi un po’ troppi. Il Cormyr è lontano ma non così lontano. Che avesse avuto problemi nello svolgere la sua missione? Non sapevo nemmeno quanto sarebbe dovuta durare.
Avevo quasi deciso di rivolgermi a un veggente, quando una notte Holly ricomparve dal nulla.
“Johel” alzò una mano a mo’ di saluto. E basta. Dopo più di un anno.
“Uh, che splendida ed emozionante avventura. Ti prego, non raccontare tutto subito, lasciami il tempo di metabolizzare.”
La battuta non gli suscitò nemmeno un sorriso. Nemmeno una contrazione all’angolo della bocca. Notai che stava anche evitando il mio sguardo.
“Parto di nuovo.” Buttò lì. “All’equinozio d’autunno mia sorella riprenderà con i suoi viaggi pericolosi, e già l’anno scorso l’ho lasciata andare da sola.”
Fissai lo sguardo su di lui, cercando di capire il motivo del suo strano comportamento. Più di un anno di assenza, nemmeno un saluto né un sorriso, nessuna spiegazione sulla sua lunga missione e poi...? Riparte subito?
“Holly, perché ti stai comportando come se la mia compagnia fosse l’ultima cosa che vuoi?”
Finalmente alzò il viso e riuscii a vedere la sua espressione, i suoi occhi. Sembrava l’immagine della disperazione.
Non era triste. Era di più. Era soverchiato dalla tristezza come qualcuno che per quasi tutta la sua vita si è sforzato di non avere emozioni, e da quando ha iniziato a provarne non riesce a darsi un limite.

Non lo vedevo così da quando... dalla prima volta che l’avevo incontrato. C’era qualcosa nei suoi occhi, oltre al dolore; qualcosa che era sempre lì come uno spettro latente e solo a volte si rivelava in tutta la sua forza. Senso di colpa.
“Ti chiedo scusa, Johel. Non è affatto così. La tua amicizia significa moltissimo per me.” Ecco, adesso ero preoccupato da morire. Non è da lui dire una cosa del genere. “Ma ora devo proprio andare.”

In quel momento capii con chiarezza cristallina che se l’avessi lasciato andare, non sarebbe tornato mai più.
A livello razionale non era una cosa possibile, sapevo dove viveva la sua famiglia, in qualche modo lo avrei ritrovato... ma non reagii in modo razionale. Sulla spinta di quel sospetto gli afferrai un polso prima che potesse allontanarsi.
Sotto la manica di cotone, la sua carne era fredda e immobile.
Lo lasciai andare di scatto.
“Holly, ma sei... morto?”

Si rifiutava ancora di guardarmi, ma lo vidi annuire lentamente.
“Ma... eri appena tornato in vita! Pochi anni fa!”
“Scusami tanto Johel, non sapevo che ci fosse un contratto secondo cui dovevo vivere un numero minimo di anni dopo la resurrezione.” Rispose in tono amaro, grondando sarcasmo.
Be', almeno era una reazione.
“Vuoi dirmi come è successo?” domandai a bassa voce.
Scosse la testa.
“Scusami. No. È troppo doloroso.”
“Sono il tuo migliore amico, sai che a me puoi dire tutto.”
“Non saresti più il mio migliore amico se sapessi cosa ho fatto.”
Ecco, questo mi colpì. Avrei dovuto aspettarmelo, se avevo correttamente interpretato la sua espressione come senso di colpa. Forse anche vergogna.
“Ti accompagno da tua sorella.” Decisi, improvvisamente. Provò ad opporsi, ma ero irremovibile. Non sarei riuscito a farlo parlare ora, ma in qualche settimana di viaggio forse sì.

Quando arrivammo in vista di Secomber, in tempo per l’equinozio d’autunno, ero riuscito a scucirgli solo una cosa: era morto a Shilmista.
Perché fosse andato a Shilmista, non me lo aveva voluto dire. Capisco che per recarsi da Sarenestar al Cormyr la strada più veloce sia puntare verso nord, e quella strada ideale passa proprio in mezzo a Shilmista, ma tutti sanno che i suoi abitanti non apprezzano i visitatori a meno che non siano elfi.
“Non sono andato a Shilmista, va bene?” Sbottò alla fine, dopo che glie l’ebbi chiesto per l’ennesima volta. “Ed è proprio questo il punto!” La vergogna nella sua voce toccò vette mai raggiunte finora.
“Ma se non ci sei andato, come hai fatto a morire lì?”
Mi rivolse uno sguardo di pura irritazione.
“Fatti gli affari tuoi.”
“Sono affari miei!” avevo alzato la voce ma non ero riuscito a contenermi. Per fortuna solo la vuota campagna notturna ci stava ascoltando. “Affermi che non vorrei più essere tuo amico se sapessi che cosa hai fatto. Benissimo allora! Dimmelo, perché non hai il diritto di conservare la mia amicizia con l’inganno. Oppure prenderò per buone le tue parole e non ti parlerò mai più. È questo che vuoi?”

Se fosse stato di un altro umore probabilmente avrebbe detto qualcosa come se non mi parlassi più sarebbe una benedizione, ma da quando era morto (questa volta) sembrava aver perso la capacità di scherzare.
Avevo chiaro in mente quello che mi aveva detto alcuni anni prima: i fantasmi fanno fatica a cambiare, sono come cristallizzati nel punto di vista che avevano al momento della morte.
La prima volta, Holly era morto compiendo un gesto eroico, e come fantasma era abbastanza in pace con se stesso anche se continuamente alla ricerca di nuove pericolose avventure. Questa volta era morto pensando di aver fatto qualcosa di sbagliato, e questo maledetto idiota è già fin troppo portato al senso di colpa quando è vivo, quindi ora sarebbe stato l’incarnazione della depressione per tutto il tempo in cui fosse rimasto in questa forma.
Ero deciso a convincerlo a tornare in vita il prima possibile, perché disperavo di fargli cambiare idea sulla sua colpa fintanto che era un fantasma. Non sapevo ancora quale fosse questa colpa, ma ero pronto a scommettere che avesse esagerato le cose nella sua mente.

“Non merito la tua amicizia, e nemmeno quella del tuo popolo.” Dichiarò con quella voce triste che avevo imparato a odiare. “Sono un egoista e un debole perché vorrei poter mantenere la tua amicizia comunque. Ma hai ragione, meriti la verità.”

Cominciò a raccontarmi la sua storia.
“Non volevo passare da Shilmista.” Chiarì, tanto per cominciare. “Anche se la mia religione in un certo senso me lo avrebbe imposto, so bene che non c’è spazio per la diplomazia a Shilmista. Potrei dirti che l’ho fatto per rispettare il desiderio di quegli elfi di non avere visitatori molesti a turbare la sacralità della loro casa. La verità è che l’ho fatto solo in minima parte per questo motivo, ma soprattutto perché non avevo voglia di rallentare il mio viaggio dovendo spiegare ogni tre passi che non sono un nemico.”
“Non avresti spiegato nulla.” Lo interruppi. “Ti avrebbero bersagliato di frecce e saresti stato ucciso o scacciato molto prima di poter aprire bocca.”
Annuì, accettando in silenzio la mia obiezione, poi continuò a raccontare.
“Volevo aggirare la foresta; le due scelte che avevo erano tenermi a ovest nelle pianure oppure a est sulle montagne Fiocco di Neve. Decisi di passare dalle montagne: in teoria gli elfi le battono raramente, inoltre ho più familiarità con i terreni montuosi che con le pianure, dove chiunque ti può individuare a miglia di distanza.”
“Fammi indovinare: era una di quelle rare volte in cui gli elfi battevano le montagne?”
Sospirò, e c’era tutta la tristezza del mondo in quel sospiro.
“Vorrei che fosse così semplice.”
Attesi con pazienza che ricominciasse il suo racconto. Sembrava che gli costasse molta più fatica di quando aveva cominciato.
“Ero sulle montagne da diversi giorni. Mi tenevo sulle pendici, a volte scendevo fino alle colline, perché in alta montagna viaggiare diventa un lavoro lento e difficile. Sostanzialmente mi stavo facendo gli affari miei e ammetto di essere stato troppo poco all’erta... o forse loro erano davvero bravi a muoversi silenziosamente... ma ad un certo punto mi sono trovato circondato da elfi dei boschi. Non erano felici di vedermi. O meglio...” si corresse “probabilmente erano soddisfatti di avermi trovato, ma di sicuro non erano felici.”
“Ti è sembrato che ti cercassero?” Indagai, perché mi era parso di cogliere un riferimento quando aveva detto erano soddisfatti di avermi trovato.
Se lo avessero ucciso in quel momento senza spiegazioni, Holly non avrebbe avuto motivo di sentirsi in colpa, quindi doveva esserci dell’altro.

Ci volle un po’ prima che il mio amico ritrovasse la forza di parlare.
“Avevano subito un attacco. La notte prima. Stavano cercando i colpevoli.”

Dopo un minuto di silenzio, capii che non avrebbe detto altro. Mi sentii in dovere di prendere la parola.
“E secondo quale logica della tua mente bacata una cosa del genere sarebbe colpa tua?
“Tu non li hai visti.” Rispose prontamente, senza guardarmi in faccia.
“Che cosa?”
“I corpi.” Sussurrò. “Decine di corpi straziati. Quasi tutti femmine o bambini. Gli aggressori hanno attaccato quando i guerrieri erano lontani per... cacciare, credo.”
Le sue parole erano appena udibili anche per l’udito fine di un elfo, ma sentirle fu come ricevere un pugno nello stomaco.
Fino a quel momento mi ero concentrato su quello che era accaduto al mio amico, ma sentirmi descrivere questa scena mi fece realizzare l’altro lato della tragedia. Erano morti degli elfi, elfi dei boschi come me. La foresta di Shilmista non è molto lontana da Sarenestar, un tempo queste due foreste e la Wealdath erano un'unica grande distesa boschiva che copriva tutto il Tethir e parte del Calimshan; gli elfi di Shilmista erano nostri lontani parenti.
Immaginare una carneficina di innocenti era già abbastanza doloroso, ma doverla vedere... forse cominciavo a capire quello che Holly aveva provato. Non lo lascia mai intendere ma è sensibile a certi argomenti, e un massacro è decisamente qualcosa che riesce a suscitargli orrore.
“Quando ho visto quelle... persone... le loro vite spezzate, cancellata ogni promessa del loro futuro... mi chiedi qual è il mio crimine?” Incrociò il mio sguardo e negli occhi aveva una luce febbrile, folle. “Quello che avrei potuto fare per evitare quella tragedia. Tutto quello che non ho fatto, per negligenza o per pigrizia o per timore del rifiuto... tutto questo è la mia colpa.”
Le sue parole caddero nel silenzio. Perfino gli insetti notturni sembrarono tacere per un momento, come se la gravità della situazione avesse saturato l'aria.
“Non hai fatto niente” sussurrai, debolmente.
“Non fare NIENTE!” gridò, portandosi le mani alla testa in un gesto di frustrazione. “Non fare niente, andando contro ai miei doveri come Ruathar, e contro i dettami della mia religione. Non entrare nella foresta perché gli elfi di Shilmista sono delle spine in culo. Be', di certo non lo saranno più quegli innocenti che sono morti!” Continuò in tono amaro. “Hanno torto a non fidarsi di nessuno, Johel? Hanno forse torto?!”
“Adesso SMETTILA!” gridai a mia volta. Sapevo che sarebbe stato inutile, che i fantasmi non cambiano, che era impantanato nel senso di colpa che aveva provato nel momento della sua morte; ma dovevo gridargli addosso, non sarei riuscito a fermarmi. “Cosa pensi di aver ottenuto facendoti uccidere? Gli hai restituito i loro cari? O li hai soltanto spinti ad assassinare un innocente?”
Mi rivolse uno sguardo così carico di rabbia che per la prima volta in sessant'anni ebbi paura di lui. I sassi sul terreno iniziarono a vibrare in risposta alla sua ira glaciale.
“Non sono innocente! Non osare chiamarmi innocente! Sai che non lo sono, lo sai dal maledetto giorno in cui mi hai incontrato, e a maggior ragione non lo sono per quanto riguarda quest’ultimo disastro.” Parlò tutto d’un fiato, come chi non ha bisogno di respirare per vivere. Dopo questa sfuriata sembrò calmarsi un pochino. “Mi chiedi a cosa sia servito morire? Per l’inferno, dovevano elaborare il lutto. Le loro famiglie erano state trucidate, avevano cercato inutilmente i colpevoli per tutto il giorno e alla fine hanno trovato me. Mi sarei perfino vergognato a dirgli che non ero un nemico. Di certo non mi ero comportato da amico, e soprattutto in quel momento avevano bisogno di un nemico.”
“Dèi.” Mi passai una mano sul viso, accorgendomi solo allora che la mia fronte era imperlata di sudore freddo. “È stato solo per questo? Per dare loro quello che volevano?”
Esitò un momento, incerto.
“No.” Ammise infine. “Loro avevano bisogno di un nemico a cui dare la caccia, per sfogare il senso di impotenza e fare il primo passo sul sentiero della guarigione. Io avevo bisogno di espiare la mia colpa. E Shilmista aveva bisogno di un protettore aggiuntivo... be', forse non ne aveva bisogno in modo assoluto, non sono così supponente, ma non intendevo ripetere due volte lo stesso errore; di certo non avrò altre occasioni di entrare a Shilmista e di rendermi utile in qualche modo.”
“Che cosa intendi dire?”
Sospirò, raccogliendo il coraggio per parlare. “Avrebbero potuto uccidermi sul posto, ma siccome avevano trovato solo me, volevano fare qualcosa di più... rituale. Siamo giunti a una specie di accordo. Io ho accettato di essere la loro preda di caccia. Avrei potuto rifiutare e farmi uccidere subito, ma loro volevano la loro dannata caccia, e io glie l’ho resa possibile a una condizione: che il mio corpo fosse seppellito.”
Cominciavo a capire quale fosse il suo piano. Era un pensiero deprimente, era terribile che avesse mantenuto un simile sangue freddo in quella situazione, ma era anche un’idea degna di lode.
“E durante la caccia hai fatto in modo di trovare una ghianda.” Dedussi.
“Sono piuttosto dolorose da ingoiare.” Mi confidò, dando conferma alla mia teoria.
“E ora toglimi una curiosità, oh grande protettore.” Chiesi ancora, sempre con sarcasmo. “Cosa pensavi di poter fare da solo contro gli aggressori? Pensi che avresti potuto fermarli tutti, o almeno fare la differenza?”
Una persona normale avrebbe incrociato le braccia o avrebbe cercato qualche altra forma di autocontatto in una situazione così chiaramente disagevole, ma per lui questi gesti non avevano lo stesso significato. Invece le sue braccia rimasero rigide lungo i fianchi, e solo il suo stringere i pugni mi rivelò la sua frustrazione.
“Se avessi fatto la differenza solo per una persona ne sarebbe valsa la pena.”
“E pensi forse che saresti riuscito ad arrivare fino a quel villaggio? Poco fa eri d’accordo nell'ammettere che gli elfi ti avrebbero ucciso o scacciato molto prima.”
“In quel caso la mia presenza li avrebbe messi in allarme e non sarebbero stati colti alla sprovvista.” Ribatté, puntuale.
Sospirai, cercando di trattenere la poca pazienza che avevo riguadagnato.
“Hai una risposta a tutto, vero? Ci hai pensato bene a questa cosa.”
Piegò un angolo della bocca in un accenno di sorriso, ma era un sorriso triste.
“Devi essere pazzo, Johel, se pensi che io possa liberarmi di questi pensieri anche solo per un'ora.”

E tu devi essere pazzo se pensi che ti lascerò in questo stato un'ora più del necessario. Pensai di rimando. Giuro che ti convincerò a tornare in vita.

           

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Capitolo 11
*** 1315 DR: L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 1) ***


1315 DR: L’altra mia tomba è sempre un albero (Parte 1), ovvero Il brutto è che quando li conosci di persona poi non riesci più a prenderli a calci


La festa dell’equinozio d’autunno venne in qualche modo rovinata dal fatto che Krystel avesse scoperto che suo fratello era morto una seconda volta. Holly non si era accorto dell’effetto che aveva avuto sugli altri, era troppo occupato a lasciarsi invadere dai suoi stessi pensieri deprimenti, ma un’ombra di tristezza era calata sugli abitanti della locanda.
“Krystel, te ne prego, cerca di convincerlo a tornare in vita il prima possibile.” Le chiesi al termine dei festeggiamenti, la sera prima della loro partenza. “Tu sei l’unica a cui dia ascolto.”
“Da ascolto anche a te” mi rispose “e in questa situazione in cui sono coinvolti degli elfi la tua opinione dovrebbe pesare più della mia, perfino secondo la sua logica.”
“Non ti sto chiedendo di fargli cambiare idea sulla sua colpa.” Chiarii. “Su quello hai ragione, è più facile che ci riesca un elfo. Ti chiedo solo di convincerlo a tornare in vita, perché finché è un fantasma non si scollerà mai dalle sue idee nocive.”

Il giorno dopo salutai Holly e Krystel e ripartii verso sud, mentre la loro strada li avrebbe portati a nord. Ma non mi recai a Sarenestar; la mia meta era la foresta di Shilmista.

L’inverno sembrava tallonarmi da vicino mentre mi spostavo a passo d’uomo verso sud. Avrei potuto prendere un cavallo, ma sentivo di aver bisogno di camminare e di riflettere. Per fortuna raggiunsi i territori meridionali dove la neve è una vista rara, molto prima che le strade del nord restassero bloccate per il gelo. Giunsi in vista della mia destinazione in una tersa mattina di fine Marphenot. La foresta di Shilmista era ancora solo un’ombra verde in lontananza, e già mi interrogavo su cos’avrei detto per spiegare la mia presenza. Non sapevo neanche dove fosse il villaggio che era stato attaccato, ma Holly veniva da sud, quindi avrei fatto meglio ad arrivare da quella parte anch’io; inoltre così sarebbe stato più plausibile se avessi detto che venivo da Sarenestar. Mi presi qualche altro giorno per fare un largo giro intorno alla foresta e arrivare da meridione.

Avevo messo piede nella foresta da poche ore e già mi sentivo osservato. L’ambiente stesso aveva un’aria cupa, greve, più di quanto ricordassi dalle mie precedenti visite.
“Fermo dove sei!” mi ordinò una voce, in lingua elfica. Penso che il grido provenisse dall’alto, ma l’eco rendeva impossibile capire da dove esattamente. Si trattava della normale conformazione del territorio, o era un effetto magico?
Mi fermai e unii le mani in alto sopra la testa, a indicare che non intendevo impugnare le armi né lanciare incantesimi.
Un elfo si lanciò giù da un ramo e atterrò con grazia sul terreno in parte coperto di foglie. Era chiaramente un elfo dei boschi, la pelle ramata e i capelli castani non lasciavano dubbi sulla sua discendenza. Teneva fra le mani un arco con una freccia incoccata, ma l’arco non era in tensione e la freccia era abbassata. Ah, i privilegi di essere un elfo.
“Tintagel, è davvero quello che sembra?” Domandò l’elfo sconosciuto, parlando apparentemente al nulla.
Una voce gli rispose dall’aria, appena a un paio di metri da me. “Sì, è davvero un elfo.”
Probabilmente c’era un mago nascosto o invisibile che mi aveva appena divinato.
L’arciere davanti a me si concesse un sospiro di sollievo e tolse la freccia dalla cocca.
“Chiedo scusa per il freddo benvenuto.” Cominciò. Be', era un eufemismo. “Purtroppo siamo in una situazione di allerta e non siamo avvezzi a ricevere visitatori.”
Mi sembrava un invito ad andarmene, anche perché non mi aveva neppure detto il suo nome.
“Mi chiamo Johlariel Arnavel, vengo dalla foresta di Sarenestar.”
“Arnavel? Appartieni a quel clan?” l’elfo fece un passo verso di me manifestando la sua curiosità.
“Appartengo alla famiglia Arnavel” puntualizzai. Il fratello di mio padre era il capoclan degli Arnavel, che in lingua elfica antica significa Spade del Sud. Il nostro è sempre stato un clan guerriero; al tempo in cui le quattro grandi foreste dell’Amn, del Tethyr e del Calimshan erano una, il nostro clan proteggeva le propaggini meridionali di quell'immensa distesa boschiva. Quando l'antica foresta di Keltormir si era ritratta lasciando solo le quattro foreste di Shilmista, Wealdath, Sarenestar e Arundath, il nostro clan occupava già quasi tutta la foresta di Sarenestar.
“Il mio nome è Saelas di Shilmista, del clan Caelar”. Si presentò l’elfo. Non conoscevo benissimo i vari clan di Shilmista, ma mi sembrava che fosse un clan di elfi dei boschi che viveva nel sud, perché nel nord vivevano più che altro elfi selvaggi. Mi chiesi se fosse il suo villaggio quello che... ma non l’avrei chiesto. Non sapevo se la notizia fosse trapelata al di fuori della foresta e non volevo rischiare domande scomode. Era già un segnale molto positivo che mi avesse offerto il suo nome.
“Molto lieto di fare la tua conoscenza. Ma non sei solo, giusto?”
L’aria accanto a me tremolò quando il mago lasciò cadere il suo incantesimo di invisibilità. Studiai con curiosità il nuovo arrivato: pelle ramata, capelli neri, portamento fiero... avrei detto che fosse anche lui un elfo dei boschi, ma mi confondeva il fatto che fosse un mago. Noi non siamo famosi per fare affidamento sulla magia arcana.
“Sono Tintagel di Shilmista.” Si presentò senza citare le sue discendenze e affiliazioni. “Siamo lieti della tua visita, Johlariel Arnavel di Sarenestar, ma vorremmo conoscerne la ragione.”
Se avesse lanciato su di me un incantesimo per rivelare le menzogne, me ne sarei accorto? Decisi per una serie di mezze verità.
“Sono un ranger, ma anche un diplomatico. Da troppi anni non ci sono comunicazioni fra le nostre foreste, era tempo di riallacciare i rapporti.”
Accolsero la notizia con evidente interesse.
“Desideri dunque recarti da Re Galladel?”
“Sarebbe un onore, ma vorrei anche fare la conoscenza degli abitanti dei villaggi che incontro sul mio cammino.”
Saelas si adombrò all’improvviso. “Temo che non troverai nessun villaggio entro un giorno di cammino da qui. Naturalmente puoi fermarti al nostro accampamento se hai bisogno di rifocillarti e riposare.”
Questo mi mise subito in allerta. “C’è qualcosa che non va? Il tuo tono lascia immaginare brutte notizie.”
L’arciere mi guardò con espressione greve, poi annuì cautamente. “Giungi qui in un momento molto triste, sebbene la tua offerta di rinnovata amicizia ci allieti. Appena un anno fa il villaggio di Silverthorn è stato attaccato e decimato, e siamo ancora in allerta dopo quella tragedia.”
Il tono in cui lo disse mi convinse che doveva essere proprio il suo villaggio. Gli espressi i sensi del mio cordoglio, naturalmente, ed ero sincero.

“Perché questa allerta? Non avete ancora trovato i colpevoli? O si tratta solo di una precauzione per evitare problemi futuri?”
Intanto mi stavano scortando verso il loro campo, perché avevo deciso di accettare la loro ospitalità.
“Abbiamo preso i colpevoli. Sono stati abbastanza sciocchi da tornare per tentare un secondo attacco. Ma noi abbiamo teso loro una trappola perché il nostro chierico aveva ricevuto una premonizione sul loro ritorno.”
Una premonizione? Molto conveniente. Pensai, sapendo quanto fosse rara una simile eventualità. “Il vostro chierico deve essere benedetto dal suo dio.” Commentai, lanciando un'esca.
“Straordinariamente.” Abboccò Saelas. “Ha sorpreso anche me. È giovane, ma molto devoto.”
Arrivammo al loro campo. Era ben mimetizzato, le tende erano quasi indistinguibili da zolle di terra coperte di foglie, ma era chiaramente una sistemazione temporanea.
“Non sembra il campo di un posto di guardia stabile” osservai, a bassa voce. L’ultima cosa che volevo era offendere qualcuno.
“Siamo troppo pochi per questo.” Spiegò il mago. “È un campo mobile, ci spostiamo pattugliando i confini meridionali e orientali.” Dal suo tono, sembrava non fosse avvezzo a una vita nomade e non mi pareva neppure ansioso di abituarsi.
“Non vi pesa questo stile di vita?” indagai, rivolgendomi a entrambi “Sembra un sistema che può funzionare per far fronte a un’emergenza, ma non per sempre.”
“Ma l’emergenza è viva e presente, buon Johlariel. La terra sotto i nostri piedi sta tremando.” Recitò Saelas, sempre con quel tono cupo.
Non avevo avvertito alcun tremore o terremoto di recente, quindi immaginai che parlasse per metafore. La mia espressione probabilmente tradì i miei dubbi, perché Tintagel mi venne in aiuto.
“Saelas intende dire che il pericolo viene dal basso. Sono stati dei drow ad attaccare il villaggio di Silverthorn.”
Spalancai gli occhi per la sorpresa. Dei drow! Ma non poteva essere, non c’erano città sotterranee drow vicino a Shilmista.
Senza accorgermene avevo dato voce ai miei pensieri, e Tintagel annuì accettando il mio ragionamento. “È vero, non ce ne sono. Per questo non ci aspettavamo l’attacco. Ma Azadeth, il nostro chierico, è riuscito a interrogare uno dei prigionieri e a scoprire cosa facessero qui.”
“Asp... prigionieri? Siete riusciti a catturarli vivi?” domandai sbalordito, mangiandomi le parole.
“Come ti ho detto, sapevamo del loro arrivo e abbiamo preparato una trappola.” Gongolò Saelas.
Fischiai in segno di ammirazione.
“Mi piacerebbe raccontarti il resto, ma io e Tintagel dobbiamo tornare a pattugliare.” Si scusò Saelas. “Ti porto dal nostro chierico, è lui il responsabile qui.”

Così conobbi il loro chierico, Azadeth. È un nome strano per un elfo, significa letteralmente vita eterna o colui che vivrà per sempre. Magari aveva scelto quel nome quando aveva preso i voti, è una cosa un po' all'antica ma non del tutto inusuale.
Azadeth era un giovane elfo dei boschi, e quando dico giovane intendo che non aveva ancora visto trascorrere un intero secolo. Sembrava un ragazzino che veste i panni di un adulto: era nervoso, ma aveva una solida consapevolezza delle sue responsabilità e faceva del suo meglio per farvi fronte. Non avevo alcuna fretta, quindi rimasi alcuni giorni ospite del loro accampamento, prestando anche il mio aiuto come ranger e cacciatore. In quel breve periodo riuscii a conquistarmi la fiducia di Azadeth e a scucirgli informazioni sulla loro situazione corrente.

“Conosci il regno di Iltkazar?” Mi domandò, ma spero fosse una domanda retorica.
“Certo, è un regno nanico le cui caverne principali si trovano nello strato più superficiale del Buio Profondo, più o meno a metà strada fra le nostre foreste. Non abbiamo molti contatti con quei nani, ma sono consapevole della loro esistenza e non abbiamo mai avuto contrasti con loro.”
“Nemmeno noi!” Si affrettò a specificare il chierico. “Anzi, abbiamo avuto contatti commerciali con loro in passato e abbiamo un accordo di avvertirci a vicenda in caso di avvistamenti di giganti, un fastidioso nemico comune. Ma ora il pericolo per i nani degli scudi non sono i giganti. Iltkazar si è chiusa al mondo di superficie perché stanno combattendo una guerra contro i duergar di Duns... Dunspeirrin.” Concluse, inciampando un po’ nelle consonanti. “Nessuno all’esterno ha saputo della guerra, forse hanno pensato che non li avremmo aiutati, e in effetti non abbiamo le forze per combattere contro un esercito e in un territorio a noi alieno.”
“Non ho idea di cosa sia Dunspeirrin... una città duergar?”
Annuì. “Una città di duergar sotto le montagne del Turmish. I nani grigi hanno schiavi di diverse razze, fra cui anche drow.”
Ah. I pezzi cominciavano a combaciare.
“Saelas ha detto che sono stati dei drow ad attaccarvi. È vero?”
“Saelas ti ha detto la verità. Erano drow della città di Dunspeirrin, trascinati qui dalla guerra.”
Il quadro generale cominciava ad avere un senso. Una cosa però non mi era chiara.
“I duergar sono così folli da attaccare due fronti contemporaneamente? Che interesse hanno nella foresta di Shilmista?”
“Non sono stati loro a comandare l’attacco contro Shilmista. Durante i combattimenti contro i nani, un gruppo di schiavi drow è riuscito a uccidere il comandante duergar che li controllava e a fuggire. Sono scappati verso i monti Fiocco di Neve e per un po’ sono sopravvissuti nelle caverne. Con loro c’era una femmina, almeno penso che ne avessero solo una. Non era una vera sacerdotessa, i duergar non l’avrebbero mai permesso, ma sapeva che in quanto femmina aveva qualche possibilità di riguadagnare il favore della loro diabolica dea. Sia maledetto il suo nome.” I suoi occhi brillarono di puro odio per un momento.
“Quindi hanno pensato di riguadagnare il favore della Regina Ragno massacrando un villaggio di elfi. È questo che è successo?”
Azadeth abbassò lo sguardo, tradendo il dolore che ancora provava al pensiero di quelle morti.
“Erano soldati. Non dei semplici sbandati. Sapevano pianificare, di certo alla loro vile razza viene naturale. Hanno osservato i nostri ritmi e le nostre abitudini per alcuni giorni e poi hanno colpito.”
Riflettei per un lungo momento su quelle rivelazioni.
Era una storia molto triste da qualunque lato la si guardasse, ma c’era ancora qualcosa che non mi quadrava.
Alla fine ci arrivai. Azadeth. Sa troppe cose. Ha davvero ottenuto queste informazioni da un prigioniero? Una femmina non avrebbe mai ammesso di non essere una sacerdotessa, e un maschio... forse nemmeno saprebbe dire se una femmina sia una sacerdotessa o no. E poi c’è la faccenda della premonizione che avrebbe avuto, quella che li ha salvati dal secondo attacco. È tutto molto oscuro.

Decisi di tenere sotto controllo il chierico, con discrezione. Al tramonto lo udii rivolgere le sue preghiere a Solonor Thelandira, il suo dio, e poi a Corellon Larethian. Questo mi parve strano, Solonor è uno dei servitori di Corellon e tutte le preghiere rivolte a lui rinforzano anche il potere del Padre degli Elfi, o almeno così sostengono i nostri chierici. Ma lasciai correre, forse il giovane chierico era solo molto devoto anche a Corellon.
Più tardi quella sera uscì, dicendo ai due elfi di pattuglia al campo che sarebbe andato a rivolgere una preghiera per le anime dei defunti. I due guerrieri annuirono e lo lasciarono passare. Mi avvicinai casualmente a loro.
“Perdonate l’intromissione, è prudente che il vostro unico chierico si allontani da solo?”
Si scambiarono uno sguardo preoccupato.
“Lo fa piuttosto spesso. Sua madre è stata uccisa in quel terribile attacco e Azadeth non aveva nessun altro al mondo. Da allora si è rifugiato nella religione, e sembra che il suo dio lo protegga perché non gli è mai successo nulla di male da quando ha iniziato questi suoi pellegrinaggi di preghiera.”
Notai en passant che aveva detto il suo dio e non il nostro dio, ma in quel momento non volli approfondire.
“Vi offendereste se lo seguissi di nascosto, per accertarmi che non gli accada nulla di male?”
Uno dei due mi gratificò con un sorriso stanco. “Te ne saremmo grati. È il nostro unico chierico.”
L’altro gli diede una gomitata e gli rivolse un’occhiataccia. “Vaelayr, non parlare in questo modo. Azadeth è uno di noi e noi diamo valore alla sua vita indipendentemente dalla sua utilità.”
Vaelayr alzò le mani in segno di scusa. “Certo, certo. Non è quello che intendevo. Azadeth è un elfo, ovvio che la sua vita abbia valore.”
Decisi su due piedi che Vaelayr non mi piaceva. Chiunque abbia bisogno di porre tante condizioni per dare valore a una vita, non può piacermi fino in fondo. Comunque era evidente che avessero dei problemi con il giovane chierico ma io non ero ancora abbastanza in confidenza con loro per indagare oltre. Li salutai con un cenno silenzioso e cercai le tracce di Azadeth.
Lo seguii a distanza per un po’. All’inizio si recò in una radura dove l’erba cresceva alta e incolta. Non c’erano segni a indicare che fosse un luogo di sepoltura perché gli elfi dei boschi credono nel lasciar tornare i corpi alla terra, ma il lungo tempo che il chierico passò lì fermo immobile mi convinse che quello dovesse essere proprio il luogo in cui si era svolto l’attacco. Qualsiasi segno del fatto che quell’angolo di bosco fosse stato abitato ormai era stato inglobato dalla terra e dall'erba.
Mi aspettavo che Azadeth tornasse verso l’accampamento a questo punto, ma non lo fece. Proseguì dirigendosi verso i bordi orientali della foresta, in prossimità delle colline. Il terreno iniziava già a sollevarsi in una dolce salita ma la foresta si arrestava prima che la pendenza si facesse troppo ripida.
L’ultima quercia della foresta era leggermente isolata, ma non troppo. Capii immediatamente di che quercia si trattava.
Certo, non hanno voluto seppellirlo entro i confini della foresta. Ragionai. Però non hanno potuto spingersi troppo lontano perché il terreno roccioso delle colline che impedisce agli alberi di mettere radici impedisce anche di scavare una tomba. Ma perché Azadeth è qui?

Il giovane elfo si spinse fino a sotto le fronde della quercia e vedendoli a confronto ebbi l’impressione che fossero stranamente simili: giovani, fuori posto e turbati.
La quercia aveva solo un anno quindi non era molto alta, il tronco era sottile e non era cresciuto perfettamente dritto. Per la verità era un po’ contorta, ma non so se fosse per il terreno pieno di sassi o perché la forma del fusto rifletteva il turbamento interiore del frammento di anima che conteneva.
Azadeth appoggiò una mano sulla corteccia e sembrò cercare rifugio sotto quei rami mezzi spogli che si protendevano verso il cielo come braccia scarne. Si sedette fra le radici e cominciò a parlare a bassa voce. Dovetti rimanere in completo silenzio e concentrarmi, perché perfino il mio respiro copriva il suono delle sue parole.

“Io non so cosa fare.” Stava dicendo. “Mia madre ha sempre creduto in me, diceva che la mia fede era forte e sincera e che sarei stato un buon chierico. Ma lei è morta, che cosa poteva saperne del futuro? Io non so se ce la faccio.” Si fermò per un momento e pensai che stesse piangendo in silenzio, ma quando ricominciò a parlare non aveva il fiato spezzato di chi piange. “Lei mi manca, mi mancano tutti, terribilmente. Mi dispiace dover dire a te queste cose. So che vorresti che io guarissi. Gli altri hanno tamponato il dolore con la rabbia e l’odio, hanno trovato un nuovo scopo nella loro esistenza e quello scopo è la vendetta; ma per me una cosa simile non può funzionare.”
Prese alcuni respiri profondi, come se stesse scacciando la nausea.
Quando parlò di nuovo, la sua voce tremava di meno e risuonava un po’ più forte attraverso la brina notturna.
“Mi hai mostrato che la vendetta a volte porta a colpire alla cieca, anche se il sentimento che c’è alle spalle è giusto. Perché io non riesco a farlo capire anche agli altri? Devo portare il peso terribile della verità senza poter condividere questo fardello, come posso guidare il mio villaggio con saggezza se io stesso sto ancora imparando cosa sia la saggezza?”
L’albero ovviamente non rispose.
“Non hanno rispetto per me.” Mugugnò infine Azadeth. “Non mi vedono abbastanza combattivo e pensano che io sia un codardo. Non otterrò mai che mi ascoltino, in questo modo.”

Dèi. Se Holly fosse stato vivo, e se fosse stato in sé, avrebbe applicato il suo metodo educativo un calcione e fuori dal nido, con uno così. Pur con tutte le attenuanti del lutto recente e dell’età.
Ma Holly non c’era e dovevo essere io a fare le sue veci. Magari con un po’ più di tatto.

Scelsi quel momento per lasciare il mio nascondiglio e avvicinarmi a lui. Lo feci apertamente, per non farlo spaventare. Mi vide, si allarmò come se lo avessi sorpreso a rubare in chiesa e fece per alzarsi.
“No, no, ti prego. Resta pure seduto. È un triste giorno se un elfo non può più sedersi accanto a un albero.” Le mie parole erano tese a ricordargli che non stava facendo nulla di sospetto.
“Perché mi hai seguito?” Domandò, chiaramente sulle spine.
Mi sedetti accanto a lui mentre ponderavo sulla risposta.
“Azadeth, quanti anni hai?”
Sembrò incuriosito dalla domanda, ma rispose comunque. “Ottantadue.”
“E sono in errore se ipotizzo che tu sia il più giovane fra i sopravvissuti di Silverthorn?”
Mi guardò con occhi tristi, vacui, e infine scosse il capo. “Non sei in errore.”
“Bene, allora. Hai la tua risposta. Non ti rispettano perché sei giovane, perché sei un chierico e non un guerriero, e perché reagisci al dolore in modo diverso da loro.” Arrossì, imbarazzato che avessi ascoltato le sue confessioni, ma non gli permisi di distogliere lo sguardo. “Lascia che ti dica una cosa. È importante. Tu sei stato cresciuto e addestrato per essere la guida spirituale di un villaggio. Ma non c’è nessun villaggio. Lo capisci questo?”
I suoi occhi si riempirono improvvisamente di lacrime, ma non le lasciò cadere.
“Azadeth, ti prego. Devi cambiare prospettiva o non crescerai mai. Non hai più un pacifico villaggio di cacciatori con famiglie felici che perpetuano il loro modello di vita attraverso le generazioni. Ti resta solamente una banda di guerrieri dal cuore ferito. Quindi ora ti chiedo: intendi restare qui a lamentarti che la vita è ingiusta e che nessuno ti rispetta, oppure sei pronto a lasciare andare tua madre e tutte quelle povere vittime e occuparti di guarire le ferite di chi è rimasto? So che ti è stata data una grande responsabilità. Troppo grande per la tua età, forse. Però è nei momenti difficili che viene fuori il vero coraggio.”
Capii che le mie parole stavano facendo breccia in lui e mi permisi di mettergli una mano sulla spalla.
“Avanti. So che Saelas, Vaelayr e gli altri non lo dimostrano, ma hanno bisogno di te.”
“Hanno bisogno che li guarisca se dovessero farsi male. Ma non ci sono state altre battaglie nell'ultimo anno quindi non gli servo veramente. Se non che...”
“Avanti, se non che... cosa?”
Esitò ancora un momento. “Se non che, Saelas sta insistendo con re Galladel per permettere a questo gruppo di unirsi ai nani di Iltkazar nella loro guerra. Non è che gli importi davvero dei nani, vuole solo portare la sua vendetta il più in alto possibile, uccidendo tutti i drow e i duergar su cui riuscirà a posare gli occhi.”
“Mi sembra una pessima idea.” Dichiarai senza mezze misure. “Un contingente così piccolo non farà la differenza, ma attirerà l’attenzione dei duergar sulla vostra foresta. Se hanno a cuore il futuro di Shilmista non dovrebbero partire.”
Annuì, accettando le mie parole. Non avevo bisogno di convincerlo; contrariamente a quello che pensava, la saggezza faceva già parte di lui.
“Lo so, ma loro non la vedono così. Temo che non gli importi di Shilmista in generale ma solo del lutto che abbiamo subito noi di Silverthorn.”
“Solonor Thelandira è anche un dio protettore delle foreste. In quanto sua voce in questo clan, non dovrebbero ascoltare il tuo consiglio?”
Scosse la testa prima ancora che avessi finito di parlare.
“Secondo loro il clero di Solonor non è abbastanza aggressivo nei suoi propositi di protezione. Da quando abbiamo trovato i resti del massacro, tutti gli altri si sono votati a Shevarash. Il semidio della vendetta.”
Non aveva bisogno di spiegarmi chi fosse Shevarash, lo sapevo dannatamente bene. Maledizione. Sarà difficilissimo farli ragionare.
“È importante che re Galladel non gli dia mai il permesso di andare dai nani.”
“Cosa dovrei fare?” Sbottò. “Andare di persona a parlare con il re? Saelas andrà su tutte le furie! Non solo, potrebbe decidere di partire comunque, anche senza il permesso del re. Secondo le nostre leggi questo comporterebbe l’esilio per lui e per chiunque lo seguisse, ma ai miei compagni non farebbe altro che male sentirsi rifiutati e scacciati dalla loro stessa foresta. Un esilio li cristallizzerebbe nel loro rancore e renderebbe impossibile qualunque guarigione.”
Questo discorso lucido e lungimirante mi colpì, e molto. Gli posai entrambe le mani sulle spalle.
“Azadeth, credo che tua madre avesse ragione. Hai la stoffa per essere un ottimo chierico e per fare da guida spirituale a questo gruppo. Hai dimostrato di tenere a loro più di quanto loro tengano a te. Ora ti manca solo di imparare a non farti calpestare.”
Lo aiutai a rialzarsi. Afferrò il mio avambraccio e io il suo, nell’equivalente elfico di una stretta di mano.
“Io voglio aiutarti.”
Questo lo sorprese, ma non dubitò delle mie parole.
“Come?”
“Come si faceva un tempo. È Saelas il loro capo adesso, no? Sfidalo a duello per il comando.”
“Cosa? Stai scherzando?” La sua voce salì di un’ottava, credo fosse nel panico.
“Tranquillo. Non adesso. Prima ti addestrerò ad essere un guerriero.”
“Ma... ma ci vorranno anni perché io arrivi al livello di Saelas. E lui non aspetterà tanto prima di voler partire per Iltkazar.”
“Non ci vorranno anni. Mesi, forse. Ti dovrai impegnare. Tanto, al momento i tuoi servigi come chierico non sono richiesti, dico bene?” Lo provocai.

Azadeth accettò la sfida. Contrariamente a quel che pensava di se stesso, di certo non era un codardo.

           

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Capitolo 12
*** 1315 DR: L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 2) ***


1315 DR: L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 2), ovvero Gli occhi vedono quel che il cuore vuole vedere


Il giovane Azadeth accettò la mia proposta e divenne mio allievo. Ogni mattina, pomeriggio o sera trovavamo un’ora o due per allenarci, anche quando pioveva o faceva freddo. Non era del tutto digiuno di combattimento, i chierici non lo sono mai, ma non era nemmeno particolarmente dotato. Però aveva molta buona volontà, ed è già qualcosa. In quelle settimane diventammo anche amici, anzi ho idea che abbia iniziato a vedermi quasi come una figura paterna.
Una sera eravamo andati ad allenarci vicino alla quercia, come facevamo spesso. Quando fu troppo stanco per continuare, lasciai che si sedesse a riposarsi e poi decisi che i tempi erano maturi per indicare finalmente il metaforico tarrasque nella stanza.
“Che cosa sai di lui?”
“Lui chi?” Mi domandò, ancora confuso per le botte che aveva preso.
Indicai la quercia con un cenno della mano. Azadeth impallidì, rimase in silenzio per un po’, ma sapevo che aveva troppo rispetto per me per mentirmi.
“Ah. Lui. Perché, tu cosa sai di lui?”
Decisi di scoprire subito le mie carte. Lo avrei messo più a suo agio.
“So che è un Ruathar. So che non sembra affatto un Ruathar. Dico bene?”
Azadeth lasciò andare il respiro che aveva trattenuto.
“Mannaggia se non lo sembra.” Sussurrò, trattenendo un brivido. La sua espressione quasi infantile mi fece sorridere. “Era dannatamente convincente nel ruolo dell’assassino.”
“Sì, è molto bravo nel recitare quella parte.” Anche se non ha mai voluto usare questa sua dote per spingere una donzella fra le mie braccia, il bastardo. “So anche che è dannatamente difficile liberarsi di lui, quindi qualunque dispiacere tu possa provare per la sua morte, ti consiglio di passare oltre.”
Pronunciai queste ultime parole solo per alleggerire la tensione, ma l’espressione tesa di Azadeth non cedette di un millimetro.
“Quando è morto non sapevo che fosse un Ruathar.” Continuò. “L’ho sorpreso alcuni giorni dopo la sua morte, quando è venuto a riprendersi il suo equipaggiamento. Era un fantasma.”
“Ah, quindi sai anche questo.” Presi nota.
“All’inizio non avrei creduto alla sua storia e lui lo sapeva, quindi continuò a recitare il suo ruolo e mi disse che era tornato per fare un altro accordo: ci avrebbe consegnato gli altri colpevoli se in cambio gli avessi restituito il suo equipaggiamento.”
“Oh, cielo. Ecco la famosa premonizione di cui mi hanno parlato Tintagel e Saelas.”
Azadeth arrossì. “Un inganno necessario. Non ne vado fiero.”
“Corrompere le giovani anime, un’altra azione turpe molto tipica di lui.” Scherzai. “Che cosa è successo dopo?”
“Ecco... con il tempo ho cominciato a dubitare che fosse davvero chi diceva di essere.” Raccontò il ragazzo. “C’erano dei punti poco chiari, come il fatto che gli ci fosse voluto un po’ di tempo per trovare i colpevoli e organizzare un piano... come se avesse bisogno di studiarli. Inoltre c’erano problemi di comunicazione perché non parlava bene la loro lingua, e allora mi sono chiesto, come poteva essere un loro alleato?”
“Cioè vuoi dirmi che tu... ti sei fatto queste domande?”
Ero incredulo. È già strano che Holly possa convincere qualcuno di non essere colpevole, ma che qualcuno sviluppi dei dubbi di per sé, è qualcosa di più unico che raro. “Sei davvero intelligente, Azadeth, sono colpito dalla tua capacità di mettere in dubbio ciò che sai. È una dote preziosa.”
I complimenti lo fecero arrossire come una scolaretta.
“Alla fine mi confessò la verità, ma dovetti tirargliela fuori con le pinze, insomma, per così dire.” Terminò il suo racconto. “Non hai idea di come sto male per lui da allora.”
“Non hai già i tuoi problemi a cui pensare? Lui è tormentato dal senso di colpa per non aver fatto nulla per evitare quella tragedia. Evita di ricambiare sentendoti in colpa per la sua morte, è stata una sua scelta.”
Il mio tono dovette sembrargli troppo freddo o brusco, perché mi rivolse uno sguardo in tralice.
“Gli hai parlato, quindi? Lo conosci bene?”
“Non so se lo conosco bene. Ma è il mio migliore amico, quindi forse sono una delle persone che lo conosce meglio.”
Le sue labbra si mossero, ma non ne uscì alcun suono. Continuò solo a fissarmi come un gufo per qualche secondo.
“Non... non commenterò l’assurdità della situazione in generale. Ma se è il tuo migliore amico, non ti importa di lui? Come puoi congedare tutto questo con è stata una sua scelta?”
Gli posai una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarlo.
“Non pensare che non m’importi, ma è già morto una volta nemmeno vent’anni fa, quando qualcosa diventa un’abitudine tende a smettere di sconcertare.”
Si scrollò di dosso la mia mano, guardandomi anche peggio di prima.
“Non è la sua morte a darmi pensieri, ma il modo in cui... insomma, cosa ti ha raccontato di preciso?”
Non comprendevo il motivo della sua ansia, ma lo accontentai riferendogli tutto quello che Holly mi aveva detto sulle circostanze della sua esecuzione. Azadeth mi guardava come se stessi mancando di vedere qualcosa di semplice che stava proprio davanti ai miei occhi.
“Johel, quando dei seguaci di Shevarash indicono una caccia mortale, non lo fanno per svago o semplicemente per dare sollievo al loro rancore.” Mi spiegò infine, visto che non ci arrivavo. “Stiamo parlando del dio della vendetta, che insegue e uccide i nemici degli elfi. Essere uccisi durante una caccia rituale significa essere sacrificati a Shevarash e marchiati come suoi nemici, non è solo una condanna per il corpo ma anche per l’anima. Se l’anima del tuo amico dovesse mai raggiungere il Piano della Fuga, potrebbe trovare qualcuno ad attenderla per riprendere la caccia... in eterno.”
Questa volta impallidii anch’io e per poco non mi sfuggì un’imprecazione molto brutta.
“Per essere un dio, mi pare che non abbia niente da fare.” Commentai, acido.
“Oh, non credo che Shevarash si disturbi per le anime dei mortali. Probabilmente i suoi Supplicanti, le anime dei suoi seguaci, conducono la caccia in sua vece.”
Questo mi tranquillizzò un minimo.
“Holly non me lo ha detto. Possibile che...”
Azadeth scosse la testa, prevenendo la mia domanda. “Deve avertelo taciuto di proposito; ne era stato ben informato prima di morire, perché Saelas ci teneva che vivesse le sue ultime ore nella paura per il suo destino. Ma lui ha risposto con arroganza che correre non è mai stato un problema, e Saelas è andato su tutte le furie.”
In circostanze diverse, questo mi avrebbe strappato una risata.
“Non era solo arroganza, Holly non può più provare paura.” Spiegai. “La mossa di Saelas gli ha solo dato il tempo di pianificare. Adesso è un fantasma, quindi le anime dell’Aldilà non possono arrivare a lui; e se anche dovesse decidere di tornare in vita, ho i miei dubbi che si tratterrà mai sul Piano della Fuga sufficientemente a lungo da diventare un bersaglio.”
Questa volta sembrò davvero un po’ rincuorato.
“Ora Azadeth, sono davvero curioso di sapere come avete fatto a catturare i veri responsabili e quanto tu abbia appreso sul loro conto. In particolare mi interessa quello che tu sai e che Saelas e gli altri potrebbero non sapere; vorrei capire se possiamo usare lo spauracchio di altri attacchi provenienti dalle montagne per dissuaderli dall’idea di andare a Iltkazar.”
Nonostante la sua reticenza a ingannare ancora i suoi compagni, si rendeva conto anche meglio di me che era mandatorio impedire a quegli invasati di andare a muovere guerra a drow e duergar. Inoltre era un ragazzo intelligente, e come tutte le persone intelligenti era intrigato dall’idea di formulare un piano. Iniziò a vuotare il sacco.

“Quando lo sorpresi ad aleggiare vicino al nostro campo, mi è quasi venuto un colpo al cuore. Sono un chierico e dovrei sapere come affrontare un non-morto, ma quando gli ho rivolto contro il mio simbolo sacro ha a malapena battuto ciglio.”
“Sono certo che proseguendo nei tuoi studi un giorno sarai in grado di sopraffare qualsiasi non-morto” lo incoraggiai, ricordando che alcuni anni prima io e Holly ci eravamo imbattuti in un chierico molto potente che lo aveva scacciato prima che potesse aprire bocca, e poi aveva cercato di esorcizzarmi pensando che la mia volontà fosse stata soggiogata da potenze maligne. Ma questa era un’altra storia ed era anche piuttosto imbarazzante.
“Lo spero proprio. Comunque questa volta sono stato fortunato. Mi disse che voleva recuperare le sue cose e andarsene senza clamori, quindi non poteva mettere tutti in allarme lasciandosi dietro il mio cadavere. Visto che ormai lo avevo scoperto mi propose quell’accordo.” Raccontò, riferendosi all’accordo a cui mi aveva accennato prima. “Ora che ci penso, in quel momento avrebbe potuto possedere il mio corpo e cercare il suo equipaggiamento, nessuno si sarebbe insospettito.”
“Che io sappia non gli piace farlo.”
“Buon per me” sussurrò. “Comunque, l’idea di stipulare un patto con una simile creatura mi atterriva, ma lui minacciò di tormentare i suoi cacciatori e ucciderli uno alla volta se non avessi mantenuto il silenzio, quindi io... tacqui. In quei giorni ero davvero terrorizzato, ma sono un chierico e il benessere della comunità è la mia principale responsabilità.” Recitò, molto calato nel suo ruolo. Era una considerazione interessate, che mi diceva molto sul carattere e sulle ambizioni del ragazzo. I sacerdoti sono sempre un anello di congiunzione fra gli dèi e il popolo; alcuni chierici ritengono che il loro principale dovere sia verso la loro divinità, ma ne avevo sentiti altri esprimere convinzioni simili a quelle di Azadeth.
Francamente, da profano, è la posizione che apprezzo di più, ed è la più conveniente per le comunità piccole, isolate o vulnerabili come questa.
“Sentimento ammirevole. Ma hai detto in quei giorni?”
“Sì, impiegò diversi giorni per trovare il gruppo dei veri colpevoli e mi tenne aggiornato regolarmente sui suoi progressi.”
“Quindi è così che hai scoperto che erano schiavi fuggiti da Dunspeirrin?”
Il ragazzo annuì. “Sì ma non fu una scoperta immediata, perché il fantasma non parlava la loro lingua. Però ha passato molto tempo a osservarli ed è stato in grado di dirmi che secondo lui non sapevano un granché della cultura drow, ed è una cosa strana visto che erano drow. Anche senza capire la lingua ha sentito più volte dei riferimenti a Dunspeirrin, e sapeva che tipo di città fosse Dunspeirrin quindi i drow potevano essere solo schiavi oppure mercenari. Ha controllato che non ci fosse un esercito duergar accampato sotto Shilmista, ma l’esercito ovviamente non c’era perché era accampato intorno a Iltkazar.”
“Una serie di deduzioni logiche quindi.”
“Sì, ma hanno trovato conferma quando ho interrogato i prigionieri, dopo che li abbiamo catturati.”
Annuii. Era stato rischioso agire solo sulla base di congetture, ma Holly raramente sbaglia su queste cose.
“Parlami della trappola. Che cosa li ha convinti a tornare a Shilmista per un secondo attacco?”
“Eh, quello non è stato facile da pianificare. La cosa migliore sarebbe stato che il fantasma operasse una possessione spiritica sulla loro femmina convincendo tutti che stesse avendo un’esperienza religiosa. Ma c’era il problema della barriera linguistica.”
“Come l’avete risolto?”
Azadeth sospirò. “Sarebbe stato comodo poter fare in modo che lui parlasse la loro lingua, ma non c’era modo perché è un incantesimo fuori dalla mia portata e fuori dal suo repertorio. Ho accarezzato l’idea di chiedere a Tintagel di creare un oggetto magico, ma con quale scusa?”
Feci un cenno con il capo in segno di comprensione e anche per invitarlo a continuare.
“Alla fine il fantasma ha davvero posseduto la loro femmina, e ha parlato a tutti loro nella lingua dell’Abisso.”
Fischiai in segno di sorpresa. “Non sapevo che la parlasse.”
“Poco e male, per sua stessa ammissione, ma faceva conto che nessuno di loro la conoscesse e quella messinscena era solo per impressionarli.”
“E funzionò?”
Azadeth sorrise, divertito nonostante la gravità generale della situazione. “Sì, a quanto pare. Non capivano l’abissale, ma la voce spettrale che parlava per bocca della loro guida in una lingua sconosciuta e aggressiva riuscì a spaventarli. Visto che non capivano, il fantasma passò a parlare in sottocomune, dicendo che si rifiutava di parlare loro nella lingua dei loro carcerieri perché era una cosa indegna.”
“Sì, sembra una cosa sensata. Quindi è riuscito a convincerli a muovere un nuovo attacco, portandoli proprio dove volevi tu?”
“Avevamo pianificato accuratamente il luogo. Io da parte mia avevo dovuto convincere i miei compagni a dare credito alla mia premonizione.”
Ecco, questo mi interessava molto di più.
“Come ci sei riuscito? Che parole hai usato e come hai mantenuto un tono credibile?”
“Non mi è piaciuto mentire ai miei compagni ma la posta in gioco era troppo alta, e l’idea di punire i veri colpevoli mi spronava ad agire e a trovare giustificazioni per i miei mezzi poco leciti. Questo mi ha dato la forza per mantenere la facciata dell’inganno.”
“I veri colpevoli? Quindi a quel punto avevi già capito che Holly non lo era?”
“L’avevo capito, sì. Non avevo il coraggio di fargli domande dirette quindi andai in cerca del suo luogo di sepoltura per interrogare il suo corpo mentre lui era a spiare i drow. Ma sai bene cosa ho trovato sulla sua tomba.”
Annuii di nuovo. Azadeth poteva anche dire di averlo già capito, ma trovare una quercia benedetta sulla tomba di Holly lo aveva sorpreso e sconcertato comunque. Ma non volevo che cambiasse argomento e gli domandai ancora di come avesse persuaso i suoi compagni.
“Ho detto loro che il mio dio mi aveva inviato un sogno premonitore, dopotutto Solonor Thelandira è un dio che protegge le foreste e gli insediamenti elfici. All'inizio non mi diedero molto credito, pensando che vaneggiassi per via del dolore del lutto, ma io non mi sono arreso. Ho insistito ancora e ancora, facendo notare che non avevamo nulla da perdere e che il prigioniero che avevamo ucciso non poteva essere l’unico individuo coinvolto. Quando caddero nella nostra trappola le mie parole trovarono conferma; erano circa una ventina, sebbene solo pochi di loro vennero catturati vivi e interrogati.”
“Meno male che alla fine ti hanno creduto!” Esclamai senza curare di nascondere la preoccupazione. “Che sarebbe successo se i drow fossero arrivati alla foresta senza nessuno a tendere loro una trappola?” Azadeth però aveva alzato una mano come per fermarmi e stava scuotendo la testa.
“No, non sarebbe successo, il fantasma ha fatto la sua mossa solo dopo aver avuto conferma che i miei compagni avevano avvallato il mio piano. L’allettante prospettiva di poter uccidere dei drow alla fine si rivelò più forte dello scetticismo verso le mie visioni divine.”
“Bene, forse quella prospettiva potrà essere usata di nuovo a nostro vantaggio. I tuoi compagni mi sembrano ancora assetati di vendetta.”
“Non so se sono assetati di vendetta.” Mormorò Azadeth in tono cupo. “La vendetta è compiuta, contro gli autori della strage. Penso siano solo assetati di sangue. La vendetta ha tamponato il loro dolore e li ha messi nelle condizioni di iniziare un percorso di guarigione, ma si rifiutano di continuare su quel percorso. Temo che nessun atto di guerra potrà portarli a una guarigione completa.”
“Questo lo penso anche io, ma non possiamo aiutarli se non vogliono farsi aiutare. Quello che possiamo fare è impedire che la loro follia li porti alla morte, o attiri un pericolo ancora maggiore su Shilmista.”
Annuì accettando la mia obiezione. Non gli faceva piacere dover far leva sul sentimento di rivalsa che animava i suoi compagni, un sentimento che avrebbe voluto combattere anziché incentivare. Ma non aveva scelta, non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea comunque.

L’espediente funzionò. Per un po’. Nei mesi invernali vennero organizzate pattuglie più frequenti lungo il confine orientale e occasionali incursioni nelle caverne sulle pendici più basse delle montagne, ma era impensabile spingersi in alta quota con un clima sfavorevole. Quando la neve ricoprì anche le colline, ci dedicammo a rafforzare le difese della foresta ed esplorarla per assicurarci che non ci fossero cunicoli sotterranei sotto la foresta stessa.

In primavera, appena il tempo ce lo consentì, organizzammo delle vere e proprie spedizioni per esplorare le gallerie che avevano sbocco sulle montagne. Negli strati superficiali non trovammo nulla, a parte decine e decine di goblin (che poi poveracci non avrebbero meritato di essere falcidiati, alla fine non si erano mai spinti fino a Shilmista, ma non verserò lacrime per dei goblin). Se c’erano dei resti dell’accampamento dei drow dell’anno precedente, il tempo o le creature spazzine nel sottosuolo li avevano già fatti sparire.
Io e Azadeth sapevamo che il nostro inganno sarebbe servito solo a guadagnare tempo e che prima o poi avremmo dovuto inventarci qualcosa di meglio... ma per fortuna non si rese necessario. Verso il finire della primavera ci imbattemmo in una tribù di goblin dall’aspetto leggermente diverso da quelli che avevamo già incontrato, più grigi che verdi e apparentemente più sensibili alla luce. Al solo vederci fuggirono terrorizzati ma riuscimmo a catturarne qualcuno per interrogarli.
Parlavano il goblinoide con un accento tremendo e capirci fu un processo lento e difficile, ma alla fine ne venimmo a capo: era una tribù del sottosuolo che non aveva mai visto la luce del sole (non nelle ultime generazioni, almeno); quei goblin non avevano nemmeno mai visto un elfo, con la sola notevole eccezione degli elfi scuri.
Saelas e gli altri torchiarono i goblin fino ad avere un resoconto completo, che suonava più o meno così: goblin era in caverne di goblin poi arriva nani grossa tribù e altre cose non-nani che uccide goblin per risate, goblin scappa verso posti mai visti in alto dove fatica ma forse loro non segue, poi trovato voi che è altri non-nani come loro ma più chiari, quindi goblin scappa ancora perché vostro umorismo no piace e dappertutto c’è nemici di goblin.
Ci scambiammo un giro di sguardi e poi in silenzioso accordo li lasciammo andare. L’idea di essere paragonati ai drow ci aveva schifati a sufficienza.
Ma almeno ora avevamo delle indicazioni sulla loro posizione e direzione; io e pochi altri ci arrischiammo a scendere nelle caverne più profonde senza mai dividere il gruppo. Non dovevamo fare nulla, solo osservare e cercare di capire la situazione.

Dopo giorni di esplorazioni infruttuose finalmente i nostri sforzi furono ricompensati: trovammo segno del passaggio di molti stivali, per quanto non sia affatto facile trovare tracce sulla nuda roccia. Le tracce non sembravano freschissime, ma di nuovo, come si fa a dirlo con certezza?
Trovammo anche un’altra cosa: nani. Stavamo cercando di capire in che direzione andassero le tracce quando il terreno iniziò a tremare debolmente come per il calpestio di un gran numero di stivali borchiati. Una pattuglia di nani incazzati si riversò nel cunicolo.
Avremmo potuto nasconderci per tempo, ma non avevamo nulla da nascondere. Questo giocò a nostro favore, ma comunque ci volle tutta la mia esperienza diplomatica per far calmare gli esagitati difensori.
All’inizio dubitarono perfino che fossimo davvero elfi di Superficie, ma per grazia degli dèi avevano un chierico con loro che poté verificare la nostra storia. Spiegammo loro che un anno e mezzo prima la foresta di Shilmista aveva subito un attacco come effetto collaterale della guerra contro i duergar, e che eravamo scesi nelle gallerie contro il parere del nostro chierico e all'insaputa del re.
I guerrieri si limitarono a darsi di gomito e a fare commenti come “Pah! Non mi aspettavo di certo degli elfi come alleati, ed è bello vedere che il mondo è prevedibile!”
Il loro chierico invece non era in vena di battute e ci spiegò che avevano finalmente ricacciato indietro l’esercito dei duergar e ora stavano ripulendo le gallerie da eventuali nemici rimasti, trappole o focus divinatori; ci intimò senza mezzi termini di levarci dai piedi che quello non era il nostro ambiente.

Saelas avrebbe voluto proseguire contro il parere dei nani (anche se lo giudicai un comportamento molto poco ortodosso, dopotutto quello era il loro regno), ma eravamo solamente in quattro e gli altri due per fortuna mostrarono di avere almeno un minimo di buonsenso.
Non ci saremmo addentrati alla cieca nel Buio Profondo, per quanto Saelas potesse strepitare.

           

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Capitolo 13
*** 1316 DR: L'altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3) ***


1316 DR: L’altra mia tomba è sempre un albero (Parte 3), ovvero Quando non hai incantesimi per comunicare a distanza e allora vai di pala e olio di gomito


Saelas non era in pace. E quando Saelas non è in pace, ha un modo tutto suo di frantumare le palle a chi gli sta intorno.
“Sono in fuga. Tornano alla loro schifosa città sotterranea! Non avremo una seconda occasione di inseguirli e fargliela pagare!” Insisteva, più o meno al ritmo di una volta all'ora.
“Ma noi siamo solo in quattro e siamo venuti qui espressamente per indagare, non per lanciarci in pericolose iniziative.” Ribattei per l’ennesima volta. “Capisco il tuo zelo, capisco che tutti voi siate pronti a rischiare la vita, ma per riuscire a causare gravi perdite a dei nemici serve anche la forza di ferirli.”
Questa argomentazione lo mandava in bestia, ovviamente perché sapeva che avevo ragione. In un giorno di marcia forzata riuscimmo a riunirci con i nostri compagni, che ci aspettavano all'imbocco delle gallerie sulle pendici occidentali delle montagne.
Li aggiornammo rapidamente sulle novità.
Con mio grande sconforto, tutti sembravano concordare con Saelas nel voler andare nuovamente nelle gallerie e inseguire l’esercito in ritirata. Ora che il nostro piccolo gruppetto si era riunito con le altre forze, l’intera pattuglia dei sopravvissuti di Silverthorn, cominciavo a essere a corto di obiezioni.
“Che cosa facciamo?” mi sussurrò Azadeth quella sera, mentre i guerrieri e i ranger si preparavano a inoltrarsi nei cunicoli. “La situazione non è migliorata, rischiano ancora di attirare l’attenzione di Dunspeirrin sulla nostra foresta.”
“Ma non riusciremo mai a convincerli a desistere. La cosa migliore sarebbe che la missione fallisse senza morti o feriti.”
“Impossibile!” Soffiò. “A meno che non manchino in larga misura l’esercito che si ritira, ma è un esercito, anche se fosse passato da alcuni giorni le tracce si vedrebbero lo stesso.”
“Allora dovremo procedere con il piano di emergenza che avevamo concordato.” Annunciai, in tono greve ma solenne.
Azadeth sbiancò leggermente.
“Avrei preferito evitare.” Sussurrò.
“Anche io, ma siamo a corto di opzioni e abbiamo bisogno di aiuto. Ti ricordi come si fa il nodo che ti ho insegnato?”
Azadeth annuì e me lo mostrò usando il laccio di cuoio a cui teneva agganciato il suo simbolo sacro. Fece un nodo che ricordava vagamente un quadrifoglio. Non avrebbe retto alla tensione, ma non era un nodo fatto per tenere legato qualcosa, era un simbolo per comunicare un messaggio.
“Bravo ragazzo. Ricordati di stare attento alle radici, e di portare dell’acqua.”
“Acqua?” Mi guardò senza capire.
“Quando tutto sarà finito vorrai lavarti le mani, credimi.”

“Azadeth non viene con noi?” Inquisì Saelas, vedendolo andare via.
“Qualcuno dovrà restare qui a proteggere i confini della foresta, non pensi?” Risposi, un po’ più bruscamente di quanto avrei voluto.
“Potrebbe servirci qualcuno che ci curi!” Obiettò, chiaramente infastidito dalla partenza del chierico.
Spero proprio che arrivi qualcuno che ci curi, pensai fra me e me, anche se a te servirebbe un tipo di cura molto diverso.
“Azadeth non ha mai creduto nelle missioni suicide e non puoi costringerlo a seguirci.”
“Sei molto protettivo con lui, anche se non sei nemmeno di Shilmista.” Saelas mi guardò storto. Tuttavia, non insistette su quel punto. Non ero di Shilmista, ma stavo comunque scendendo nel sottosuolo con loro a rischiare la mia vita. Per questo comunque tutti loro mi rispettavano, e Saelas non sarebbe entrato in aperto contrasto con me, aveva bisogno di ogni singolo guerriero.

In un giorno, riuscimmo a ritrovare il punto in cui avevamo incontrato i nani. Il passaggio dei difensori aveva lasciato ulteriori tracce confondendo quelle originali, quindi potevamo solo seguirle sperando che avessero seguito lo stesso percorso dei duergar.
Ci fermammo a riposare, facendo turni di guardia, ma nessun mostro sembrava volersi azzardare a disturbare ancora i territori troppo vicini alla città dei nani.
Il giorno dopo raggiungemmo il contingente dei nani. Erano sempre impegnati a esplorare e ripulire le loro caverne e le loro miniere, e accolsero il nostro ritorno con la gentilezza per cui sono famosi: “Ancora voi, dannati elfi ballerini? Questo non è posto per voi!”
Alcuni dei miei compagni si risentirono un po’, ma io ero abituato a girare con Holly, che è in grado di insultare pesantemente una persona e tutti i suoi antenati in nove lingue e mezza fra cui il celestiale. I commenti dei nani mi scivolarono addosso come acqua fresca.

Saelas si fece portavoce del gruppo, ma mi feci avanti anch’io per addolcire un po’ il suo tono e fare da mediatore con i nani. Alla fine riuscimmo a raggiungere un accordo vantaggioso, perché loro ci volevano fuori dai piedi prima di subito, e il fatto che fossimo così ansiosi di gettarci nel pericolo non li riguardava minimamente. Quindi ottenemmo il permesso per spingerci avanti e cercare tracce dell’esercito nemico, una retroguardia se ve n’era una... e loro ci diedero alcune mappe dei territori circostanti. Una mappa sola non sarebbe mai bastata, ovviamente: quando si è sottoterra si deve pensare in tre dimensioni.
Prendemmo congedo dai gentili nani e ricominciammo la nostra cerca.

Alla fine del secondo giorno, non avevamo ancora trovato tracce di vita. Questo in un certo senso era positivo, perché significava che eravamo nella giusta direzione: l’esercito in ritirata si era lasciato dietro una scia di cadaveri di mostri e umanoidi, soprattutto goblin delle tribù che avevano avuto la cattiva idea di stabilirsi in quella zona.
Il terzo giorno ripartimmo di buon’ora. Non c’era alcun modo di sapere che ore fossero, forse mattina; noi elfi possiamo meditare quattro ore anziché dormire, ma il nostro mago Tintagel aveva bisogno di otto ore di riposo per recuperare la freschezza mentale necessaria a lanciare incantesimi.

Procedemmo così per alcuni giorni, nel buio che sarebbe stato assoluto senza gli incantesimi di luce di Tintagel.
Anche quello era stato oggetto di discussione, ma alla fine avevamo convenuto che qualsiasi creatura vivesse laggiù sicuramente aveva altri sensi per individuare la nostra presenza e la luce non ci avrebbe resi dei bersagli, non più di quanto non lo fossimo già. Noi al contrario avevamo bisogno della vista per difenderci dai predatori e trovare le tracce.
Ci stavamo addentrando sempre più in profondità, sempre più lontani dai luoghi che conoscevamo e dalla nostra splendida Superficie. Anche i più ostinati fra noi stavano iniziando a diventare claustrofobici. Sentivamo la mancanza del sole e del vento, degli alberi e della sensazione di spazio intorno a noi.
L’atmosfera nel gruppo si era fatta sempre più tesa, anche perché nessuno di noi aveva grande esperienza nel muoversi nelle caverne sotterranee.
Pregai che Azadeth avesse svolto il suo compito in modo adeguato.

Un giorno, uno di quei giorni senza nome e senza tempo, fummo attaccati a sorpresa. A quanto pare i duergar possono rendersi invisibili, sarebbe stato meglio se i nani ce lo avessero detto. Riuscimmo a ucciderne alcuni, ma presto fummo sopraffatti dal semplice numero di quelle malvagie creature, capaci di attaccare sia con le armi che con infidi trucchi magici. La loro prima mossa fu contrastare l’incantesimo di luce di Tintagel e ingaggiare il mago perché non potesse lanciarne altri, ma in qualche modo riuscimmo a restare in gruppo e a difenderci. Iniziammo un po’ alla volta a retrocedere verso le gallerie da cui eravamo arrivati, ma nel buio più completo il nostro gruppo si divise in due senza che ce ne avvedessimo.
Un colpo sordo alla mia sinistra. Tintagel smise di lanciare incantesimi a raffica contro i nostri assalitori, e capii che era stato colpito, forse a morte. Non sentivo più gli altri, o meglio, i rumori della battaglia c’erano ma rimbombavano nelle caverne da tutte le direzioni. Impossibile capire dove fossero gli altri elfi e a che distanza. Un colpo d’ascia mi aprì una brutta ferita nel fianco e poco dopo la mia mente cominciò a vacillare. Era la semplice perdita di sangue, o c’era del veleno sulla lama?
Continuai a combattere per un tempo che mi sembrò infinito, e quando persi i sensi sognai di continuare a combattere per sempre in quell'oscurità opprimente.

Mi svegliai dopo un tempo indefinito. Ore? Minuti? Non lo so, ma i duergar avevano avuto il tempo di legarci, privarci dell’equipaggiamento e medicare le nostre ferite.
Potevo vedere, grazie a una torcia che era stata lasciata accesa non lontana da noi. I miei compagni erano ancora svenuti. Li passai in rassegna, con il cuore in gola. Dalla mia posizione semi-sdraiata non era facile vedere bene, e sollevarmi e girarmi mi costò un grande sforzo e una brutta fitta al fianco ferito. Ma sembrava ci fossero tutti, e sperai che fossero vivi, perché a quale scopo portarsi dietro un cadavere?
Una risatina maligna mi strappò ai miei pensieri. Qualcuno mi stava guardando e rideva della mia confusione e dei miei sforzi. Una figura scura e longilinea si mosse, staccandosi da una stalagmite. Non l’avevo vista e non l’avrei mai vista se non si fosse mossa, perché il suo mantello con cappuccio era dello stesso color grigio fumo della roccia che ci circondava.
Si avvicinò a noi, portando una mano a schermarsi gli occhi dalla luce della torcia. Da questo dettaglio, e dalla sua corporatura sottile, dedussi che doveva essere un elfo drow.
“Ma che ricco bottino hanno portato i nani grigi.” Cantilenò, schernendoci nella lingua comune del Buio Profondo. “Qualcosa di buono ne è venuto, da questa guerra schifosa.”
Ora era abbastanza vicino perché potessi vedere i suoi occhi brillare di crudele aspettativa anche nell’ombra del suo cappuccio. Lo guardai con odio, ma rispose solo con una risata divertita.
“Capisci quello che dico, schifoso elfo?” Mi disse ancora, estraendo la sua spada lunga dal fodero e puntandomela davanti al viso. “Allora? Capisci?” Con un piccolo scatto del polso fece saettare la punta della lama più vicina al mio viso, in un gesto intimidatorio.
Qualcuno alla mia destra trattenne il fiato, e capii che i miei compagni dovevano essersi svegliati.
“Sì, ti capisco.” Riuscii a rispondere. Avrei voluto aggiungere qualche insulto, ma avevo la bocca secca e riarsa come una gola battuta dal vento, e ogni respiro mi portava in bocca il sapore del sangue.
“Bene, bene. Capisci questo allora: gli stupidi duergar pensano che la minaccia di una punizione mi tratterrà dall'uccidervi. Ma si sbagliano.” La sua lama sottile si spostò sulla mia gola, dove giocò per qualche secondo perché potessi sentire il freddo del metallo.
Improvvisamente, la spada venne allontanata dal mio collo e il drow si chinò verso di me per sussurrare: “È la prospettiva della vostra schiavitù che mi impedisce di uccidervi. Verrete a Dunspeirrin e sarete gli ultimi fra gli ultimi, verrete dati in premio a quelli di noi che si sono distinti in battaglia. La vostra tortura durerà fino al giorno della vostra morte, che vi prometto non sarà oggi.” Sorrise in modo viscido, disgustoso. “Imparerete a non temere la morte. Fra qualche giorno la starete già implorando a gran voce. Il mio destino miserabile non sarà nulla in confronto al vostr...” Il suo tono esaltato si spese improvvisamente in un gorgoglio di sangue. Chissà, forse per via di quel pugnale che gli spuntava dalla gola.
“Allora mi ringrazierai se ti libero dal tuo destino miserabile.” Sussurrò la voce di Holly, dietro di lui.

Dèi. Il sollievo. Il sollievo si rovesciò su di me come pioggia primaverile. Non credo di aver mai provato una sensazione così totalizzante di speranza e conforto, in tutta la mia vita.
Il cadavere del drow si reclinò e sarebbe caduto a terra se Holly non l’avesse accompagnato nella caduta. Probabilmente non voleva attirare l’attenzione con rumori improvvisi. Quando si avvicinò a me per controllare le mie ferite sbattei gli occhi un paio di volte, confuso.
Davanti a me c’era un mezzelfo dei boschi, pelle abbronzata, capelli castani, orecchie a malapena appuntite, i tratti del viso morbidi quasi quanto quelli di un umano. La sua corporatura però era molto più simile a quella di un elfo. Gli occhi erano grigi, come quelli del mio amico, e i suoi capelli erano acconciati in un’unica semplice treccia nella foggia che Holly prediligeva. Intorno al collo aveva il ciondolo che permetteva a una creatura incorporea di diventare corporea, e questo mi tolse ogni dubbio.
“Sei ferito gravemente.” Sussurrò, passando alla lingua elfica. Le sue mani trovarono le ferite peggiori con la sicurezza dell’esperienza, e un momento dopo sentii un flusso di energia risanante penetrare nei tagli e guarire gli organi danneggiati. Mi sentii subito meglio, ma interruppe il processo di guarigione prima che fosse completo.
“Non posso usare tutta la mia energia per guarire te, devo suddividerla fra tutti. Non posso lanciare incantesimi finché indosso questo.” Mi spiegò, indicando il ciondolo che gli permetteva di avere un corpo fisico. Era un limite di cui non ero a conoscenza, e non era di certo una buona notizia.
Mentre mi slegava i polsi e le caviglie, mi accorsi che qualcun altro stava già provvedendo a guarire gli altri: Azadeth era venuto con lui.
“Presto.” Sussurrò Holly in tono concitato mentre aiutava Azadeth a guarire gli ultimi feriti. “Hanno lasciato una guardia sola perché eravate legati e feriti, ma torneranno a momenti.”
Un avvertimento inutile, perché proprio in quel momento due guardie duergar arrivarono in vista della piccola caverna dove ci avevano ammassati, si accorsero della situazione e calarono su di noi come una piccola frana.
Mentre uno si lanciava all'attacco, l’altro abbatté la torcia con un colpo d’ascia e la spense con un piede. Calò di nuovo il buio, un buio quasi completo. Holly aveva evocato delle piccole luci che gironzolavano per la caverna, ma mai troppo lontano da lui. Sapevo perché lo faceva, doveva trovarsi sempre in prossimità di una fonte di luce, ma questa volta la cosa ci fu di grande aiuto. Tuttavia eravamo ancora disarmati, anche se di nuovo quasi sani, e in quelle condizioni potevamo al massimo sperare di evitare i colpi dei duergar. Poi, dal nulla, una serie di saette argentate si scagliò contro uno dei due malefici nani, costringendolo a fare un passo indietro: Tintagel aveva ancora gli incantesimi che aveva memorizzato, anche se gli avevano tolto il libro.
Azadeth mi trovò al tatto e mi mise in braccio la sua spada lunga, senza dire nulla. Sapevamo entrambi che nonostante il suo addestramento ero ancora un combattente migliore di lui. Ingaggiai uno dei duergar mentre Holly combatteva l’altro, e con l’aiuto degli incantesimi di Tintagel riuscimmo presto a sopraffarli e ucciderli.
“Sciocchi presuntuosi.” Sussurrò Holly, con sdegno. “Avrebbero fatto meglio a lanciare l’allarme.”
“Dobbiamo recuperare le nostre armi!” Sibilò uno degli elfi, adirato e bramoso di vendetta per il trattamento che ci avevano riservato.
“Le vostre armi non sono qui, le avranno portate via.” Holly indicò la caverna, facendo scorrere alcune delle sue piccole sfere di luce in giro per quello spazio angusto, illuminando ogni alcova. “E in ogni caso se le riaveste indietro le usereste per qualcosa di stupido, quindi è meglio evitare.” Un moto di indignazione seguì quest’ultima frase.
“Pretendi forse che ci muoviamo in questo luogo pericoloso senza delle armi adeguate?” si fece avanti Saelas, incredulo e arrabbiato.
“Quando eravate in Superficie avevate delle armi adeguate e questo vi ha portato a scendere quaggiù e rischiare di morire. Ora siete quaggiù senza armi, quindi c’è qualche possibilità che accendiate il cervello e decidiate di tornare lassù vivi.” Replicò Holly con sdegno.
“Noi siamo pronti a morire per affondare la lama della vendetta nel cuore nero dei drow e dei duergar!” declamò Saelas con arroganza.
“Lo so, ma nemmeno voi fanatici gettereste via le vostre vite in cambio di nulla, dico bene? Ed è proprio per questo che non riavrete le vostre armi. Ho giurato nel nome di Corellon Larethian che avrei fatto tutto il possibile per proteggere gli elfi” affermò Holly, rivelando così che era un Ruathar “...e se questo significa che devo trattarvi come bambini per impedirvi di lanciarvi in una follia suicida, ebbene lo farò.”
Saelas contrasse il viso in una smorfia di rabbia e pensai quasi che si sarebbe gettato su Holly.
“Affermi di essere un Amico degli Elfi, ma un amico rispetterebbe il nostro diritto di autodeterminazione.”
Holly gli rivolse quello sguardo vacuo e inespressivo che rivolge solitamente agli idioti, e che ormai ho imparato a decifrare come Se non fosse stato per me saresti già morto, e ancora che parli?
“Non sono quel tipo di amico.” Tagliò corto. “Ora torneremo tutti in Superficie o vi ci spingerò a calci se sarà necessario.”

Non fu necessario. Aveva ragione, togliere loro le armi era l’unico modo per farli desistere dalla missione; ma anche loro non avevano torto, le armi sarebbero state utili per difenderci. Avevamo raccolto le asce dei duergar morti, ma nessuno di noi le sapeva usare al meglio.
Quando si accorsero della nostra fuga, mandarono un piccolo contingente di drow e duergar sulle nostre tracce. Eravamo fuggiti solo da poche ore, che già ci trovammo a combattere ancora.
“Non sprecare i tuoi incantesimi sui drow, sono resistenti alla magia.” Consigliò Holly a Tintagel.
Il mago accettò il suggerimento e diresse i suoi ultimi incantesimi sui duergar. Holly ed io attaccammo i drow; entrambi avevamo una certa esperienza nel contrastare il loro stile di combattimento, ma questi non usavano il classico stile a due lame dei drow. Combattevano perlopiù con spada e scudo, alcuni usavano una specie di picca coniugando la naturale agilità elfica a uno stile di combattimento pensato per gli eserciti più che per i duelli. Nel complesso non erano particolarmente pericolosi, certamente meno di quanto ci aspettassimo. Ricordai quello che Holly aveva detto ad Azadeth tempo prima, riferendosi agli attentatori di Shilmista: sembravano del tutto ignoranti in merito alla cultura drow. Probabilmente erano nati schiavi ed erano stati addestrati al combattimento secondo lo stile dei duergar.
Saelas e Vaelayr combattevano usando le asce dei nani grigi, non certo molto bene ma abbastanza per difendersi. Fra loro e i drow che non combattevano da drow, quel combattimento sarebbe apparso una ridicola farsa se non fossero state in gioco le nostre vite.
“Patetiche creature.” Commentò Holly, tagliando rapidamente la gola all'ultimo combattente drow ancora in piedi. Poi rivolse la sua attenzione contro uno dei duergar e lo pungolò con la sua spada lunga costringendolo a saltellare in modo molto poco dignitoso. Ad ogni mossa di Holly nuovi tagli superficiali si aprivano sul volto e sulle mani del nano grigio, ovunque non fosse coperto dall'armatura. Il nano passò al contrattacco, gettò via l’inutile scudo ed estrasse una mazza chiodata. Si gettò su Holly agitando l’ascia e la mazza, ma una carica frontale serve di rado contro un avversario agile. Holly saltò verso il nano, evitando l’ascia che lo avrebbe falciato alle ginocchia, deviò la mazza con la spada lunga e gli atterrò con entrambi i piedi sulla faccia. I duergar sono più magri dei nani degli scudi e non hanno lo stesso comodo baricentro basso, quindi lo sfortunato duergar perse l’equilibrio e cadde supino per terra. Holly portò la spada dietro la schiena con la punta verso il basso, la puntò contro la placca centrale dell’armatura del duergar e vi si appoggiò con nonchalance.
“Sappiamo bene che questa poca pressione non può trapassare la tua bella armatura di mithril, duergar.” Gli disse in sottocomune, in tono colloquiale. “Ma ci sono dei punti di giunzione, non è vero?” Con una mossa fulminea, Holly riportò la spada davanti a sé e la piantò sotto l’ascella destra del nemico. Il duergar grugnì di dolore, ma si rifiutò di gridare, limitandosi a guardare con odio il suo avversario. “Sì sì. Con l’angolazione giusta, potrei arrivare al cuore. Dovrei farlo, immondo schiavista?” Domandò ancora, con l’aria di provocarlo. Il nano cercò di rialzarsi, ma con un’altra mossa veloce come quella di prima, Holly si girò e gli piantò la spada in un ginocchio. Questa volta, il bastardo urlò. La spada di Holly fu subito alla sua gola. “Urla ancora e ti taglio le corde vocali, poi ti faccio a pezzi un po’ alla volta e lascio i tuoi resti a segnare la via per i tuoi compagni.”
“L-La via per dove?” grugnì il nemico a terra.
“La via per una tragica morte, direi. Allora, quanto lentamente devo ucciderti?”
Il duergar rise, una risata gorgogliante, un filo di sangue iniziò a colare dalla sua bocca. Probabilmente aveva un polmone perforato, ma trovò comunque la forza di dirgli qualcosa in una lingua gutturale che ricordava vagamente il nanico.
“Scusa, non parlo il sottonanico.”
Il duergar stava soffocando nel suo sangue, ma riuscì comunque a mostrarsi offeso.
“La nostra lingua si chiama duergan” lo corresse, parlando in sottocomune.
“Come faccio a sapere come si dice sottonanico in sottonanico, se non parlo il sottonanico?” insistette Holly, divertendosi alle spalle dello sconfitto.
Il duergar lo guardò malissimo, ma non aveva altro fiato da sprecare litigando.
“Ho detto che non mi fai paura, mezzelfo. La tua gente non ha molta inventiva nelle torture.”
Holly gli sorrise candidamente e poi gli sussurrò qualcosa in una lingua che non riuscii a comprendere. In risposta il nano sgranò gli occhi e per la prima volta il suo viso solitamente poco espressivo tradì una concreta e viscerale paura. Per qualche altro interminabile attimo Holly si limitò a fissarlo sorridendo, poi con una piroetta rapidissima fece compiere alla sua spada un cerchio davanti a sé, sfiorando quasi il pavimento e recidendo la testa del duergar appena sopra al collo dell’armatura. La lama era così affilata grazie alla magia che la testa si mosse solo di pochi millimetri. Forse il nano rimase cosciente qualche altro istante prima di morire, ma aveva negli occhi lo stesso sguardo sorpreso e spaventato di poco prima.
“Avresti potuto ucciderlo un po’ più in fretta.” Commentai alla fine.
Holly guardò il cadavere senza celare il suo disgusto. “Detesto gli schiavisti, e se non fosse stato per la loro dannata guerra i drow non sarebbero mai arrivati a Shilmista. Sono solo contento che abbiano perso, questi rifiuti.”
“Che cosa gli hai detto prima di ucciderlo?” domandò Azadeth curioso, mentre ci incamminavamo per tornare in Superficie.
“Gli ho detto che avrei potuto guarire le sue ferite e tenerlo in vita.”
“Ed era così terrificante?”
Holly sorrise di nuovo in quel modo cortese che ormai identifico come una minaccia.
“Spesso non è quello che dici il vero messaggio, ma il modo in cui lo dici.”

Holly ci guidò con sicurezza verso la Superficie; era stato abbastanza previdente da lasciare delle tracce quasi invisibili che lo guidassero sulla strada che aveva percorso all’andata. Lo avevamo fatto anche noi, ma i nostri segnali erano troppo evidenti e grossolani; con un po’ di fortuna i duergar avrebbero seguito quelli (se mai si fossero dati la pena di continuare a inseguirci) e sarebbero caduti di nuovo fra le braccia dei nani. Più probabilmente, avrebbero abbandonato la caccia. Quando finalmente rivedemmo il cielo stellato, perfino gli elfi di Shilmista non riuscirono a contenere il loro sollievo e la gioia di essere di nuovo liberi, di nuovo a casa.
“Se volete accettare il consiglio di un amico che vuole solo il vostro bene, dovreste lasciar perdere l’idea della vendetta.” Disse Holly, rivolto agli elfi in generale ma guardando Saelas in particolare.
“Capisco che vi hanno fatto del male, ma se permettete alle azioni di quei drow di rovinarvi la vita, rifiutando per sempre di essere felici, allora loro avranno vinto. La loro intenzione era portare morte e dolore, quindi vi prego, abbandonate almeno il dolore. I vostri cari estinti hanno certamente trovato la pace e la gioia nei Reami di Arvandor, non vorrebbero vedervi rifiutare ogni gioia e restare soli per sempre.”
“Tu non hai nessun diritto di parlare per i morti, mezzumano” Rispose Saelas, grondando amarezza. “Dal momento che la vita è l’unica cosa a cui sembri dare valore, non parlare dei morti e non parlare di dolore, perché è ovvio che non ne sai niente.”
Holly sorrise come se celasse un segreto, cosa che in effetti era. Si tolse il ciondolo Trappola Fantasma e lo mise in una borsa conservante, dove il suo effetto non poteva più raggiungerci. Immediatamente divenne incorporeo e la borsa conservante gli cadde dalle mani.
“In realtà io sono già morto, Saelas, come puoi vedere.” A questa rivelazione, restarono tutti muti e a bocca aperta come pesci rossi. “Ma ho scelto di restare a calcare queste lande per tenere fede alla mia promessa di proteggere gli elfi, e sì, le loro vite soprattutto. Conosco bene il valore della vita, dal momento che l’ho perduta. E conosco il valore della felicità, anche se non è mai stata una compagna costante nella mia esistenza. Hai udito il mio consiglio, ma ora fai come vuoi. Ricorda solo un’ultima cosa: voi siete stati vittime di una tragedia, e le vittime hanno sempre il diritto di tornare ad essere felici.”

Più tardi, quella notte, io e Holly restammo ad osservare le ultime stelle che impallidivano mentre il sole sorgeva alle nostre spalle, dietro alle montagne.
“Grazie per essere venuto quando avevo bisogno di te.”
Holly odia i ringraziamenti, ma forse aveva bisogno di sentirselo dire.
“Vaffanculo. Che razza di discorso è? Sei mio amico, è mio dovere, che persona sarei se non ti aiutassi quando hai bisogno?”
Okay, forse no.
“Holly... come si dice in elfico?”
Holly sollevò un angolo della bocca in un lievissimo sorriso. Era quasi invisibile, ma era il primo sorriso sincero che vedevo da quando era morto.
“L’amicizia non genera debiti” si corresse, recitando la frase che gli avevamo attribuito nel corso della cerimonia in cui lo avevamo nominato Amico degli Elfi. Ogni Ruathar ha una sua frase personale in lingua elfica, intrisa di una nota magica che lo identifica infallibilmente come Ruathar davanti a qualunque elfo.
“L’amicizia non genera debiti.” Convenni con lui. “Vorrei che riflettessi su questo, anche se forse non puoi davvero comprendere perché sei un fantasma: l’amicizia funziona in due direzioni. Il fatto che tu ci aiuti non genera debiti perché sei nostro amico, ma nemmeno tu sei in debito con noi per l’amicizia che ti abbiamo concesso.” Mi guardò senza capire, come se gli chiedessi di affrontare un concetto nuovo e del tutto alieno al suo punto di vista. Di sicuro era proprio così. “Ti comporti sempre come se fossi in obbligo verso di noi per la fiducia e l’amicizia che ti abbiamo accordato. Come se dovessi continuamente provare che ne sei degno.” Continuai, interpretando il suo silenzio come disponibilità all'ascolto. “Ma gli obblighi che senti nei nostri confronti sono solo un’altra forma, più subdola, di debito. Noi ti abbiamo concesso amicizia unicamente perché tu sei nostro amico. Non devi sentirti in colpa per il disastro di Shilmista, non eri obbligato a essere nel posto giusto al momento giusto.”
Per un lungo momento tenne gli occhi sulla foresta di Shilmista, sotto di noi. Ancora immersa nelle ombre della notte, le cime degli alberi che si muovevano al vento la facevano assomigliare a una specie di mare oscuro.
“Avrei dovuto essere lì. Non perché erano elfi ma perché sarebbe stato giusto. Starei male anche se fosse stato un villaggio umano.”
“Sul serio? Altrettanto male?”
Holly si strinse nelle spalle.
“Conosco gli elfi meglio degli umani, provo un maggiore senso di familiarità verso la tua razza. Quindi no, non altrettanto male, ma penso sia normale.”
Accettai la sua spiegazione con un cenno del capo. Non mi aspettavo che cambiasse idea, e nemmeno che ammettesse la validità della mia argomentazione. Ovvio che avesse trovato una scusa. I morti non cambiano.
Così come Saelas. Era vivo solo per caparbietà, ma chiaramente una parte di lui era morta quella notte in cui era stata massacrata la sua famiglia. Secondo me una parte troppo grande di lui era morta. Non sarebbe mai tornato a essere quello di prima, e mi sorprendeva che Holly non riuscisse a vedere le chiare similitudini fra loro.

“Mi tratterrò qui ancora un po’; sono giunto a Shilmista con la scusa di riallacciare rapporti diplomatici con il loro re, ma in un anno non mi sono mai spostato dalle propaggini meridionali della foresta.” Annunciai la mia decisione senza guardare in faccia il mio amico. “Se me ne andassi ora sarebbe sospetto. Inoltre ho sviluppato un certo interesse per il benessere e il futuro di Azadeth.”
“Aza... ah sì, il Piagnone.”
“Non chiamarlo in questo modo!” gli allungai una gomitata. “Azadeth è un bravo giovane, pieno di buone intenzioni.”
Alzò le mani, in segno di resa e di scusa.
“Va bene. Ma se avessi di nuovo bisogno di me, il trucco che hai usato stavolta non funzionerà di nuovo. Sul mio cadavere c’era un solo laccio per capelli, e ora è già annodato.”
Si riferiva al nodo che avevo insegnato ad Azadeth, quello che usavamo per comunicarci a vicenda Pericolo, richiesta di aiuto immediato.
Azadeth aveva scavato la tomba di Holly, preso il suo nastro per capelli (che quindi era scomparso dalla treccia di Holly in quello stesso momento, richiamando la sua attenzione), lo aveva legato in quella foggia simile a un quadrifoglio e poi lo aveva rimesso nella tomba. Holly se l’era trovato in mano, annodato, e aveva capito subito l’origine del messaggio.
“Mia sorella ha pensato a un modo per farci comunicare quando siamo distanti. Visto che ora sto passando tutti gli inverni insieme a lei.” Cercò nella borsa ed estrasse un sacchettino che conteneva due pietre bianche. Me ne porse una.
Nel momento stesso in cui toccai la superficie liscia con le dita, ne intuii subito l’utilizzo.
“Posso parlarti a distanza con questa?” Domandai, guardando con ammirazione la piccola e anonima pietra.
“Sì, ma solo una volta al giorno. Il tuo messaggio arriverà al possessore della pietra, chiunque sia in quel momento, ma farò in modo di tenerla sempre con me.”
“Tua sorella è stata molto previdente.”
“Sì. Sarà sempre meglio che scavare tombe.” Scherzò.
“Ah, ma tanto finché lo faccio fare alla bassa manovalanza...” Risposi, stando allo scherzo.

Più tardi quella mattina ci salutammo prendendo congedo. Lui non voleva restare nei pressi di Shilmista, troppi ricordi dolorosi.
“Holly, prima di andare, toglimi un’altra curiosità. Perché un mezzelfo?”
Mi guardò come se fosse ovvio e si lanciò in una dettagliata spiegazione.
“Un elfo diventa raramente Ruathar, perché insomma, è già un elfo. Inoltre io parlo l’elfico, ma solo da sessant'anni; quindi non potrei farmi passare per un elfo adulto.” Enumerò, riferendosi alla complicatezza della lingua elfica, che può essere padroneggiata solo con la pratica e poi affinata nei decenni e nei secoli. È impossibile stabilire quanti anni abbia un elfo giudicandolo dal suo aspetto, ma si può capire dal modo in cui parla. “Gli umani a Shilmista non sono i benvenuti. Quindi restava solo un mezzelfo. Le origini elfiche giustificano facilmente il fatto che sia un Ruathar, sai quanto alcuni mezzelfi siano ansiosi di compiacere i loro cugini di razza pura.”
Lo guardai storto, come a rimproverarlo per la sua brusca e fredda considerazione.
“Non parlare così dei mezzelfi. Non prenderti gioco della loro tragica mancanza di identità.”
“Non me ne prendo gioco. Condivido la loro tragica mancanza di identità.”
Quel commento mi colpì. Non l’avevo mai considerata in questo modo. Mi balenarono in mente le sue azioni contro il duergar, è raro che Holly si diverta a tormentare qualcuno prima di ucciderlo.
“Lo sai, mi fa un po’ paura che tu sia così bravo a pianificare una menzogna.”
Si strinse di nuovo nelle spalle.
“È solo un’arte che può rivelarsi utile. Tu continua a fare il nobile ranger, e lasciami fare il furfante.”

           

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Capitolo 14
*** 1316 DR: Radici (Parte 1) ***


1316 DR: Radici (Parte 1), ovvero È un titolo a doppio senso perché sono un elfo dei boschi


A estate inoltrata lasciai la foresta di Shilmista, dopo aver stretto accordi di mutua assistenza con Re Galladel. Gli avevo anche fornito la mia versione della storia per quanto riguardava la nostra missione sotterranea; non aveva fatto annunci pubblici, ma nel privato aveva ringraziato me e Azadeth per aver impedito che Saelas trascinasse gli altri in pericoli ancora maggiori, preso dalla sua furia vendicativa.
Alcuni degli elfi di Silverthorn con il tempo sembravano iniziare a recuperare il senno. Alcuni erano rimasti traumatizzati dalla gita nel Buio Profondo. Alcuni altri erano impressionati dal fatto che un Ruathar defunto avesse rinunciato a un’eternità di beatitudine ad Arvandor (seh!) per restare sul Piano Materiale e combattere per le vite degli elfi, anche per quelli disposti a gettare via la loro. Alcuni erano semplicemente stanchi di combattere e di soffrire.
Non tutti erano in via di guarigione, ma non c’era niente che potessi fare per loro. Un malato che non vuole guarire è un morto che cammina, in senso figurato.

Mandai un messaggio a Holly con le pietre comunicanti, per sapere dove fosse. Mi aspettava nella foresta di Sarenestar, la mia casa che era diventata anche la sua, anche se in fondo al suo cuore si era sempre considerato un ospite.
Giudicai molto positivo che fosse lì. Prima della nostra avventura a Shilmista sembrava determinato ad evitare la compagnia degli elfi.

La strada era sgombra e il clima favorevole, quindi raggiunsi Sarenestar solo alcuni giorni più tardi. Holly mi aveva detto dove l’avrei trovato: i ranger del mio clan erano organizzati in pattuglie nomadi che facevano la spola fra diversi accampamenti fissi, nella zona settentrionale della foresta. A circa una giornata di cammino sorgeva Myth Dyraalis, la città nascosta dove vivevano un gran numero di elfi dei boschi, gnomi e altre pacifiche creature. Clan come il mio avevano il compito di proteggere quel sacro insediamento, e in particolare i pericoli che venivano da nord non erano da sottovalutare. A Myth Dyraalis risiedevano i membri più vulnerabili del nostro popolo, i giovani e gli anziani, il Consiglio dei saggi e dei capi clan.
Holly non si era mai tirato indietro da quel dovere, mi aveva spiegato in quale accampamento si era stabilito. Quando arrivai nella foresta, scoprii che Holly invece era andato a Myth Dyraalis. La cosa mi sorprese molto perché lui non amava i luoghi affollati, e non amava avventurarsi in quella cittadina in particolare. La sua sensazione di essere un ospite fuori posto si acuiva sempre in presenza di persone vulnerabili.
“È andato a Myth Dyraalis insieme a tua madre” mi informò Raerlan, uno dei ranger di pattuglia quel giorno e anche uno dei pochi veri amici di Holly oltre a me.
“Lui scortava lei, o vice versa?”
Raerlan si concesse un sorriso tirato. “Entrambe le cose, credo. Mi ha raccontato come è morto. Non credo che se la sentisse di andare in città da solo.”
Il mio istinto cominciò a mandarmi segnali di allarme.
“Perché, cosa è andato a fare?” Domandai, con il cuore in gola. Raerlan mi rivolse uno sguardo significativo.
Merda.

Sarenestar è troppo fitta per muoversi a cavallo, ma anche a piedi la cittadina di Myth Dyraalis distava solo sei o sette ore da quell'accampamento.
Feci tutta la strada di corsa.
Trovai mia madre fuori dalla Sala del Consiglio, insieme a lord Lobick Binkoble Bilmink Gearfuzz, portavoce della comunità degli gnomi della città. Vedendomi arrivare, il gentile gnomo mi salutò con un cenno del capo e ci lasciò soli.
“Tuo zio Fisdril è in consiglio insieme ai saggi e agli altri capiclan.” Annunciò mia madre, parlando a voce bassa come per non disturbare un momento solenne o di cordoglio.
“Ti prego, dimmi che non c’entra Holly.”
Mi guardò negli occhi, e nel suo sguardo colsi solo tristezza e impotenza.
“Holly ha chiesto un processo. Per stabilire se può mantenere il titolo di Ruathar. Hanno chiamato i chierici, che cercheranno di entrare in comunione con il Padre degli Elfi o con un suo emissario per dirimere la questione.”
“Cosa pensi che accadrà?”
Mia madre sospirò. “Ho ascoltato la sua storia. Se vuoi la mia opinione spassionata, non è stata colpa sua. La sua sollecitudine è degna di lode, ma secondo me sta solo facendo perdere tempo al Consiglio.”
“Spero che anche il Consiglio la pensi allo stesso modo.”

L’accesso alla sala del Consiglio era precluso al pubblico, tranne che nelle grandi assemblee e nei momenti in cui il Consiglio doveva fare proclami. Questo processo si sarebbe svolto a porte chiuse. Non potevo fare altro che aspettare.
Meno di mezz'ora dopo, le porte si aprirono per lasciar uscire la maggior parte degli elfi che si erano radunati nella sala. Fra loro c’era anche il mio amico.
“Che cosa pensavi di fare venendo qui, Holly? Ti sembra appropriato disturbare il Consiglio per le tue paranoie mentali da fantasma?” Lo aggredii, dando sfogo alla mia irritazione.
Holly mi agitò un dito davanti al viso come se fossi un bambino da rimproverare.
“Non sono paranoie mentali da fantasma. Se il responso fosse chiaro come dici, lo avremmo già, e invece non è così.”
Cosa? Questo mi sorprese e accese la mia preoccupazione.
Ora che i portoni erano aperti l’accesso alla sala era consentito, quindi ignorai Holly e mi feci strada all'interno del grande edificio. La sala del Consiglio era una struttura maestosa, costruita usando come colonne portanti i tronchi di grandi alberi ancora vivi e vegeti. Il sole del tramonto filtrava fra le foglie verdi del tetto creando suggestivi giochi di colore, ma non ero in vena di fare caso all'arte o alla bellezza.
“Solaias” chiamai, avvicinandomi al Sommo Sacerdote di Corellon. Con lui c’erano altri chierici, fra cui Caelim, devoto a Solonor Thelandira, l’altro dio profondamente onorato dal nostro popolo. Sapevo però che era stato Solaias a stabilire un contatto con i reami divini, perché era lui il sacerdote più esperto.
“Ah, Johlariel.” Il chierico aveva un’aria molto stanca e provata, ma riuscì a trovare un sorriso per me. “Sei qui per parlare del tuo amico?”
“Sono qui per parlare del nostro amico.” Lo corressi, senza riuscire a liberare del tutto il mio tono dall'astio serpeggiante che provavo. Solaias se ne accorse e alzò una mano facendomi cenno di calmarmi.
“Nonostante quello che pensa, nessuno gli attribuisce la colpa o la diretta responsabilità per la tragedia occorsa a Shilmista.” Mi rassicurò.
Questo in effetti contribuì a calmarmi.
“Ma allora cos'altro c’è da dire?”
“Non lo so. L’entità con cui ho preso contatto non ha risposto alle mie domande, ma mi ha comunicato alcune parole: Alleato planare superiore. È un incantesimo molto complesso che richiede di avere grande esperienza nei misteri divini.”
“Ci occorre un alleato da altri Piani? E perché?”
Solaias agitò una mano come per dissipare le mie domande. “Immagino che lo scopriremo domani, quando avrò preparato l’incantesimo.
Ora devo prendere congedo, mi aspettano molte ore di meditazione e di preghiera.” Il sacerdote sembrava nervoso, cosa strana per lui che solitamente era così sicuro di sé. Questo incantesimo era davvero così impegnativo? Mi era sempre stato insegnato che quando la fede di un chierico è forte e il suo cuore è sincero, non c’è incantesimo che il suo dio gli negherebbe... ma forse era una fandonia messa in giro dai chierici stessi.

Il giorno dopo, a mezzogiorno, sembrava che tutta la comunità elfica di Myth Dyraalis si fosse stipata sugli spalti della Sala del Consiglio per assistere al rituale di convocazione.
Solaias e i suoi assistenti avevano tracciato con cura un cerchio magico, con glifi incomprensibili, candele, incenso e tutto il necessario. Gli spettatori sembravano soprattutto curiosi di sapere perché un processo relativamente semplice avesse richiesto l’evocazione di un emissario delle divinità.
Anche Holly era presente; se ne stava in piedi non lontano dai chierici, accompagnato da due guerrieri elfi che secondo la tradizione avrebbero dovuto controllare che non fuggisse. In questo caso era solo una formalità, ma mi dava fastidio comunque.

Solaias allargò le braccia e improvvisamente nella sala calò il silenzio. Uno dei suoi assistenti gli portò una pergamena chiusa con un nastro dorato, trattandola come se fosse una reliquia sacra.
Se c’è una cosa che la compagnia di Holly mi ha insegnato è a guardare oltre le apparenze cercando un secondo o anche un terzo strato di significato in ogni forma di comunicazione, e una rappresentazione scenica era una forma di comunicazione. In quel momento, con l’occhio clinico dato dall'abitudine, vidi un chierico che per lanciare quell'incantesimo aveva bisogno di leggerlo su una pergamena, e che quindi avrebbe potuto fallire... nella Sala del Consiglio, in modo plateale. Guardando ancora più in profondità, compresi che tutta la teatralità del momento serviva probabilmente a dargli sicurezza o a non sminuire la sua posizione davanti a tutti a causa di questa sua mancanza.
Solaias doveva essere consapevole della gravità del momento, ma era un buon sacerdote e si era preparato a dovere; anche se l’incantesimo era al di là delle sue possibilità, riuscì a leggere la pergamena e ad eseguirlo alla perfezione.

Non so che formula abbia recitato perché la sua preghiera simile a un canto era in una lingua a me ignota, forse la lingua degli esseri dei Piani celesti. Ad ogni modo c’era una parola che aveva ripetuto più di una volta, Karasel. Non sapevo cosa volesse dire, era un nome o un’incitazione?
All’improvviso una vampata di luce divampò nel cerchio magico e una musica celestiale riempì l’aria, riverberando in centinaia di eco negli angoli e negli anfratti della sala. Era talmente bella che perfino gli animaletti che vivevano sugli alberi si avvicinarono per ascoltare. In un crescendo di note, la luce lentamente si dissolse e la momentanea cecità di chi ne era rimasto abbagliato cominciò lentamente a svanire. Holly guardava ancora verso il cerchio magico, ma vidi che aveva una mano sopra agli occhi per schermarsi un po’ dalla luce. I chierici avevano continuato a cantilenare a occhi chiusi, saggiamente.
Una figura dall'aspetto vagamente alieno cominciò a delinearsi mentre la luce svaniva.
Quando finalmente fummo tutti in grado di vederla bene, non sapevo cosa pensare.
Era chiaramente di sesso femminile anche se era più grande di una donna, era ben proporzionata ma decisamente fuori scala. La parte inferiore del suo corpo assomigliava alla coda di un serpente di colore bruno-dorato ed era attorcigliata a terra, quindi sicuramente se si fosse levata in tutta la sua altezza sarebbe stata ancora più imponente. La parte superiore aveva fattezze umanoidi, sarebbe potuta passare per una mezzelfa dai tratti vagamente serpentini. I suoi lunghi capelli, bruno-dorati come la coda di serpente, cadevano sciolti e selvaggi sulle spalle e alcune ciocche erano adornate da piccoli ciondoli a forma di note musicali. Le sue splendide ed enormi ali da angelo sembravano composte di sottili piume di oro puro. Nel complesso era bellissima, ma anche un po’ terrificante. La musica che produceva suonando il suo flauto d’argento era meravigliosa quanto lei.

Quando ebbe finito di suonare il brano che aveva iniziato, la creatura ripose il flauto con tutta calma. Da quel gesto intuii che probabilmente dava più valore all'arte stessa che al motivo per cui si trovava lì. Lasciò vagare il suo sguardo per la sala e alla fine posò i suoi occhi dorati sul sacerdote che l’aveva evocata.
“Io sono Karasel, campionessa di Faerinaal” annunciò, parlando nella lingua comune. Un fiume di sussurri cominciò a serpeggiare nella sala. Il nome di Faerinaal era noto a quelli che sapevano qualcosa dei misteri divini: era il mitico consorte di Morwel, Regina delle Stelle, Signora degli Eladrin. Il fatto che una servitrice prediletta di un Nobile Tulani fosse stata inviata proprio nella nostra foresta, e per una questione minore, era davvero un evento inatteso e sconvolgente.
“Nobile signora, per quale motivo sono stato incaricato di evocare proprio voi? In che modo la mia richiesta di avere una guida in una decisione terrena può aver toccato così alte sfere?” inquisì Solaias, dando voce al dubbio di tutti noi.
La maestosa lillend sorrise con indulgenza, e quando parlò di nuovo la sua voce aveva un’intonazione più soffice. “La vostra questione non è che un pretesto per trovare un accordo che possa essere vantaggioso per tutti. Posso parlare con il Ruathar?”
Holly si fece avanti in silenzio, incapace di staccare gli occhi da quella creatura celestiale. Lei lo squadrò a sua volta per molti interminabili secondi.
“Sono a conoscenza del motivo per cui non ti reputi più degno di farti chiamare amico” cominciò lei, con il tono di voler fare un'arringa “ma secondo il parere dei tuoi compagni mortali, e anche secondo il parere dei Seldarine, la tua unica colpa è stata una certa misura di negligenza. Considerata la tua condizione, si può capire per quale motivo non avessi desiderio di calcare il suolo di Shilmista. Hai qualcosa da obiettare al riguardo?”
Holly la stava già guardando storto e colse l’occasione per ribattere. “Sì, signora, ho qualcosa da obiettare. Non desidero che vengano usati due pesi e due misure. Dovrei essere giudicato in quanto Ruathar e non in quanto... qualsiasi altra cosa.”
Karasel annuì con aria seria, accettando la sua recriminazione.
“Se devo giudicare il tuo caso semplicemente come Ruathar, non c’è nulla che ti obbligasse a recarti all'interno dei confini di Shilmista. Il tuo cordoglio per l’accaduto è naturale, ma il senso di colpa che provi non è diverso da quello che coglie i sopravvissuti a un disastro: privo di alcun fondamento logico. Al contrario, gli elfi di Shilmista sono clan isolazionisti e non amano gli stranieri, tollerando solo la compagnia di altri elfi; evitare di recarti in casa loro è stato rispettoso delle loro preferenze.”
“Ma io avrei dovuto cercare un contatto.” Insistette lui. “Me lo imponeva il mio credo religioso.”
Karasel sorrise sottilmente. “Allora dovresti chiedere alla tua dea di esprimere il giudizio, non agli elfi. Prima che ti arrabbi, conosco anche la sua opinione, ed è quella che ti ho esposto all'inizio: eccessiva leggerezza e negligenza.”
“Qual è il verdetto, dunque?” Holly lo domandò quasi in tono di sfida.
Karasel sospirò, forse a corto di pazienza. Holly è una persona a cui ci si abitua nel tempo, e nel tempo si impara ad apprezzare i suoi lati positivi, ma all'inizio molti giudicano insopportabile il suo carattere testardo e irrispettoso.
“Anche tu, come tutte le persone del mondo, non sei infallibile. Non tormentarti perché non hai il dono della preveggenza o dell’onnipresenza, se ti interessa sviluppare simili capacità dovresti cercare di diventare un dio anziché importunare coloro che lo sono già.”
Holly prese il commento per quello che era, una provocazione, e alzò gli occhi al cielo. “Però i miei signori comprendono il tuo desiderio redimerti dai tuoi errori, e questo desiderio ti fa onore. Nel tuo cuore sei un amico degli elfi, desideri continuare a essere amico degli elfi e loro ti considerano un amico. Pertanto sono stata inviata qui per proporti un modo per fare ammenda, così da ristabilire il tuo onore di difensore del popolo elfico. A quel punto, perfino tu dovrai riconoscere che meriti il nome di Ruathar.”
Questo riuscì a suscitare il sincero interesse di Holly. Lui era un guerriero e una soluzione pratica poteva soddisfarlo molto più delle vuote parole di un chierico o perfino di un dio.
“Hai tutta la mia attenzione, Signora.”
Il sorriso furbo di Karasel si estese anche ai suoi luminosi occhi dorati.
“Penso che dovremmo parlare in privato.”

La sala venne fatta sgomberare. Restarono solo Karasel, Holly e Solaias... e in realtà anch'io, perché imposi caparbiamente la mia presenza affermando che se Holly fosse partito per una missione pericolosa, non l’avrei lasciato andare da solo.
“Non sarà solo, buon ranger.” Mi corresse Karasel. “Anche io andrò con lui. Inoltre ci sono altri due volenterosi eroi che sono già stati reclutati a Evermeet per la missione: lady Shanyrria Alenuath, una esperta cantora della lama, e lord Yalathanil Symbaern, un potente e anziano mago.”
Le rivolsi uno sguardo che esprimeva tutti i miei dubbi. “Signora, a maggior ragione non posso lasciare Holly in compagnia di simili persone, dovrò dare fondo alle mie doti diplomatiche se vogliamo che questo sodalizio duri più di cinque minuti. È un amico affidabile e starei al suo fianco fino all'ultimo respiro, ma è lento ad ispirare fiducia.”
Holly mi rivolse un'occhiata sprezzante ma non disse nulla. Poteva anche mettere il broncio, ma lo sapeva che avevo ragione.
Karasel considerò la mia idea molto seriamente. “Non posso davvero ribattere a questo.” Decise infine. “Ma prima di prendere un impegno così gravoso, aspetta almeno di sentire in cosa consiste la missione, perché nonostante sia di rilevanza capitale per il futuro della razza elfica è anche estremamente pericolosa e oscura.”
Holly adesso era molto interessato.
Mannaggia a lui, mannaggia a me, mannaggia a chi l’ha messo sulla mia strada.

Non riporterò il nostro dialogo nei dettagli, ma la parte rilevante si può narrare in forma di racconto. Karasel ha l’indole della cantastorie e ci rivelò affascinanti angoli oscuri della storia del popolo elfico.
Beh, di un popolo elfico.

Migliaia di anni fa, prima che i continenti si separassero, prima delle Guerre della Corona e prima che i drow venissero banditi nel sottosuolo, la razza dei loro predecessori elfi scuri viveva sotto la luce del sole insieme agli altri popoli elfici. La prima nazione di elfi scuri ad essere fondata fu Ilythiir, inizialmente un piccolo regno che nel tempo crebbe ad occupare le lande che oggi sono note come le pianure dello Shaar. Con il tempo quel regno divenne sempre più corrotto, dedito allo schiavismo e al culto di Ghaunadaur (Holly si lasciò sfuggire una smorfia a questo punto, detesta in modo particolare il dio delle melme e i suoi seguaci). Il regno divenne aggressivo verso i suoi vicini ma non si lanciò in vere e proprie campagne di conquista prima delle Guerre della Corona. La storia che ci interessa però ebbe luogo molto prima.
A quel tempo, e stiamo parlando di circa 25000 anni fa o anche più, gli elfi scuri erano ancora ignoranti sul resto del mondo e inconsapevoli delle potenzialità degli altri reami elfici, e il regnante di Ilythiir, il crudele arcimago Ka’Narlist, si limitava a raccogliere informazioni e condurre abietti esperimenti magici nel suo castello ad Atorrnash. Pochi secoli dopo la malvagità delle macchinazioni e delle ambizioni di Ka’Narlist riuscì ad attrarre perfino l’attenzione di Lolth, la demoniaca Regina Ragno, che decise in quel momento che avrebbe preso l’arcimago come consorte e conquistato la fedeltà degli elfi scuri. Desiderava tornare ad essere una dea venerata su Toril come era stata un tempo.
Lolth e Ka’Narlist generarono molti figli, mortali con sangue divino, che si mescolarono con gli elfi scuri di Ilythiir dando vita a una progenie perfino più vile e malvagia di quanto già non fosse. Fu probabilmente in quel periodo che alcuni elfi scuri, disgustati da quel livello di corruzione, fuggirono nel nord per fondare un altro regno insieme agli elfi silvani. Il sangue di Lolth quindi scorreva soltanto negli elfi scuri di Ilythiir, e della capitale Atorrnash in particolare.
Fu proprio nel suo castello ad Atorrnash che Ka’Narlist trovò la morte, millenni dopo, quando il mythal dell’Ever’Sakkatien devastò le lande di Toril causando la separazione delle terre emerse e fra le altre cose la caduta e la completa distruzione della città.
Si diceva però che forse Ka’Narlist potrebbe essere in qualche modo sopravvissuto alla caduta, in spirito se non nel corpo, rinchiudendo la sua anima dentro una delle perle nere in cui di solito imprigionava le anime dei suoi nemici.

Ora, a distanza di quasi ventimila anni, qualcosa di oscuro si stava risvegliando sotto il Bosco del Crepuscolo, sulle rive meridionali del Lago dei Vapori.
Era sempre stata una foresta selvaggia e inospitale, infestata da creature malvagie, ma ora c’era qualcosa di più.
Karasel non sarebbe stata mandata a prendere contatti con il Consiglio stesso di Evermeet se la minaccia non fosse stata reale e attestata. Una minaccia che poteva riguardare tutta la razza elfica e anche ogni altra razza civilizzata dei Reami, se Ka’Narlist fosse davvero stato ancora vivo e avesse trovato un modo per sfuggire alla sua prigione, oppure se qualcun altro avesse trovato la città sepolta di Atorrnash e i malvagi artefatti magici che conteneva. Era qualcosa che avremmo dovuto indagare e fermare, a qualunque costo.

           

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Capitolo 15
*** 1316 DR: Radici (Parte 2) ***


1316 DR: Radici (Parte 2), ovvero Atto Primo: Derlusk


Se mi si chiedesse se esiste al mondo una città umana più graziosa e più culturalmente frizzante di Derlusk, avrei qualche difficoltà a rispondere. Ci sono porti più grandi, ci sono città più belle, ma solo Derlusk riesce a coniugare il magnetismo della cultura e dell’arte con il clima leggero di una cittadina portuale tranquilla. Avrei fatto volentieri il turista in una città simile, in cui in ogni taverna c’è un bardo.
Holly ovviamente odiava ogni angolo di quella città. Probabilmente proprio a causa dei bardi.
Karasel e Holly erano entrambi sotto mentite spoglie, lui in forma di mezzelfo come a Shilmista grazie all'oggetto magico che si era procurato anni prima da mastro Murghol, lei coperta da un’illusione che la faceva apparire come un'elfa della luna.
“Ti sei affezionato al tuo aspetto da mezzelfo?” gli domandai, commentando la sua scelta.
“Diciamo solo che in presenza di elfi di Evermeet ho intenzione di fare in modo che mi calcolino il meno possibile.”
“Una scelta saggia” intervenne la nostra compagna celestiale “perché loro non sanno niente di voi due. Tanto vale costruirsi subito una reputazione che loro possano accettare.”
“Reputazione? Speravo di farmi passare per un semplice avventuriero abile nell'esplorare dungeon che sente il richiamo del dovere verso le sue origini elfiche.” Propose Holly. Karasel annuì, approvando la sua linea di condotta.
“Evviva la fiducia all'interno di un gruppo di eroi che stanno per infilarsi in un pericolo mortale!” Sussurrai mettendoci tutto il mio sarcasmo e un sorriso falsamente entusiasta.
“Sì. Infatti. Preservare la fiducia è proprio lo scopo di questo inganno.” Holly mi mise a tacere con il suo solito cupo pragmatismo.
Elfi di Evermeet. Sigh.

Quella sera avremmo incontrato gli elfi nostri futuri compagni di avventura. Raccomandai un milione di volte a Holly di essere rispettoso ed educato, e di non dire cose come fantastico, una donna e un vecchio (cosa che aveva già detto, ma solo a me). Holly faceva segno di sì con la testa ma non sapevo se avesse capito davvero.
Lo scoprii quella sera.
Shanyrria Alenuath e Yalathanil Symbaern ci aspettavano in una taverna poco affollata, per gli standard di Derlusk, che vuol dire comunque fin troppo piena per i gusti di un elfo. Shanyrria era una graziosa elfa della luna, pallida, capelli neri e occhi azzurri come il cielo d’estate. Aveva un sorriso luminoso e decisi subito che sarebbe stato un piacere lavorare con lei. Yalathanil al contrario si guardava intorno come se disapprovasse ogni singola persona, ma è un comportamento prevedibile da parte di un elfo del sole, specialmente un mago. Il suo aspetto non tradiva la sua età ma Karasel ci aveva detto che aveva quasi mille anni ed era un mago di grande potere e importanza. Holly piegò il busto in avanti in una specie di piccolo inchino e si calò perfettamente nella parte del mezzelfo in soggezione davanti a esponenti così potenti della razza elfica. Fingeva di essere un mezzelfo dei boschi per dare credibilità al fatto che vivesse nella nostra foresta e parlava accentuando un pochino il nostro accento regionale. A volte, sul serio, mi fa paura che sia così bravo a fingere.
Io cercai di essere gentile e accomodante ma capii subito che mi avevano inquadrato come quello che sicuramente sarà il primo a morire, e Yalathanil in particolare mi trattava con una certa condiscendenza. La cosa mi irritò; ero venuto per dare una mano, anche per facilitare la collaborazione fra loro e Holly, e ora lui si comportava da mister perfettino e quello indesiderato finivo per essere io... Aspetta.
“Holly, una parola” gli dissi quando il nostro incontro conoscitivo fu terminato. Senza aspettare una conferma, lo presi per un gomito e lo trascinai verso vie meno frequentate. “Tu non vuoi che io venga. È per questo che ti sei comportato così bene?”
“Mi hai detto tu di comportarmi bene!” Si scrollò di dosso la mia mano, offeso. “E naturalmente non voglio che tu venga, potrebbe essere una missione senza uscita, come ti viene in mente che io voglia che tu venga? È una situazione così fuori dal comune che nemmeno il teorema dell’armadio la può calcolare.”
“Ma io verrò con te lo stesso, perché cosa accadrebbe se la vostra collaborazione dovesse venire meno nel bel mezzo del pericolo?”
Holly continuò a guardarmi male.
“Se proprio devi venire” borbottò infine “almeno mettiamo insieme qualche piano d’emergenza nel caso in cui capiti proprio quello.”
“Ma certo! Vedrai, io e te lavoriamo bene insieme.”
Cercai di dargli una pacca sulla spalla, ma si scostò come se avessi voluto attaccarlo. “Op! Johel, dovrai impegnarti molto di più se speri di colpire qualche mostro, laggiù!”
“E tu non riuscirai a fare nemmeno un attacco furtivo se tradisci la tua presenza prendendo in giro i tuoi avversari” risposi, stando al gioco.
La mattina dopo ci saremmo trovati con Karasel, Yalathanil e Shanyrria alle porte della città. Decisi che dovevo assolutamente godermi la mia ultima notte di libertà.

La mattina dopo, di buon’ora, ci ritrovammo al luogo prestabilito: sotto l’arco di blocchi di pietra bianca che sovrastava i portoni della città. Karasel ci informò che prima di partire c’era ancora un’ultima incombenza che dovevamo svolgere, necessaria alla missione: cercare di reclutare un’altra persona. Non lontano dalle porte della città sorgeva un’alta torre. Aveva tutta l’aria di essere la torre di un mago, soprattutto perché c’era fuori un cartello:

Torre del molto grande e nobile mago Linomer
Si riceve solo nei giorni dispari e solo la mattina


Rimasi a guardare il cartello per qualche momento con una certa perplessità, e non solo per la grammatica. Avevamo già un mago nel gruppo e per la mia esperienza due maghi nella stessa squadra sono come due galli in un pollaio; era davvero una buona idea?
Karasel però non aveva dubbi di sorta e ci fece cenno di spalancare l’uscio, che era abbastanza grande per permettere il passaggio anche a una creatura come lei.
La torre internamente era vuota, c’era solo una rampa di scale che saliva a spirale lungo tutta la parete esterna. Le scale si fermavano poco sotto al soffitto, e man mano che salivamo riuscimmo a vedere che c’era una porta, messa in orizzontale, che fungeva in qualche modo da botola. Io, Holly e Shanyrria arrivammo in cima alle scale senza accusare stanchezza, ma Karasel e Yalathanil erano saliti volando quindi ci aspettavano in cima ormai da un po’.
Karasel bussò a quella buffa porta e dall'interno una voce maschile, che aveva l’intonazione musicale della parlata elfica, ci invitò ad entrare liberamente.
Il molto grande e nobile mago Linomer era un elfo della luna, almeno così mi parve. Il naturale pallore della sua razza era mitigato da una leggera abbronzatura (a Derlusk il clima è molto clemente), i suoi lunghi capelli erano biondi ma così chiari da risultare quasi argentei.
“Benvenuti. Prego, accomodatevi.”
C’era una teiera con della tisana pronta per noi e un vassoio di gipple, dolcetti tipici del posto e dalla forma inquietante. Karasel guardò quella specie di colazione come se fosse di cattivo auspicio.
“Lord Linomer, grazie per averci ricevuti.” La lillend passò a fare le presentazioni di tutti noi, ma sembrava che il mago l’ascoltasse con scarso interesse.
“Sono onorato di conoscere tutti voi, ma state sprecando il vostro tempo.” Ci disse, prima ancora che Karasel iniziasse a esporgli le nostre richieste. “Il potente mago Linomer non verrà con voi.”
Karasel lo fissò in silenzio per un lungo momento, infine sospirò. Si voltò verso di noi e si degnò di spiegare: “Lord Linomer è il mago della città, ma è anche una sorta di custode per la regione, un baluardo contro il male. È lui il latore delle informazioni sulle strane attività nel Bosco del Crepuscolo.”
“Sono un po’ più di questo.” La corresse Linomer, e non capii se si riferisse alle informazioni o a se stesso. “C’è un grande male sotto quella foresta e sotto il braccio di mare davanti ad essa. Nessuno sa esattamente perché, o cosa nascondano le profondità della terra, ma la leggenda vuole che lì sotto sia sepolta un’antica città degli elfi scuri. Non so se la leggenda corrisponda al vero ma questo luogo viene pattugliato e tenuto sigillato dai maghi fin da prima della fondazione della città di Derlusk. Non è un caso se io mi trovo qui, ho ricevuto questo compito dal mio predecessore tre secoli fa. L’incantesimo che sigilla i cunicoli sotterranei di questa regione è sempre rimasto in piedi, è sempre stato necessario rinnovarlo solo una volta ogni cento anni, ma di recente qualcosa sta iniziando a cambiare. Energie malvagie filtrano dal sottosuolo e contaminano la terra stessa, nonostante i miei sforzi. Ho iniziato a dover ripetere l’incantesimo di costrizione con molta più frequenza.”
“Ogni quanto?” Intervenne Yalathanil, che tra tutti noi era il più esperto in materia ed era quello che più facilmente poteva farsene un’idea.
“Da quando questa contaminazione è cominciata, o meglio da quando è giunta in superficie facendomene accorgere, ho dovuto rinforzare l’incantesimo inizialmente una volta all'anno.”
Yalathanil aveva un’espressione che non prometteva nulla di buono. Perfino io, da profano, arrivavo a capire che non erano buone notizie.
“Inizialmente?” Indagò, volendo approfondire.
Linomer sospirò.
“Inizialmente. In seguito, vedendo con che velocità il mio incantesimo iniziava a lasciar filtrare le energie negative, ho dovuto iniziare a farlo una volta al mese. Nel frattempo avevo già iniziato a compiere delle indagini e a quel punto ho contattato un emissario dei Seldarine, pensando che volessero saperlo o che potessero mandare un aiuto.”
“Quand’è l’ultima volta che hai rinnovato l’incantesimo?” domandò Karasel.
Linomer ci rivolse un sorriso triste e aprì le braccia in un gesto d’impotenza.
“Non mi avete lasciato finire. Non è più sufficiente rinnovare l’incantesimo una volta al mese. Per la verità, in questo momento state parlando con un simulacro. Il vero mago Linomer è sceso in una caverna nei pressi del Bosco del Crepuscolo e sta ripetendo l’incantesimo ininterrottamente da giorni, fermandosi solo per far riposare la mente.”
Queste parole furono seguite dal più totale silenzio mentre tutti cercavamo di venire a patti con le implicazioni. Fui colto da un capogiro, e grazie al cielo ero già seduto su una delle sue comode poltroncine. Una tazzina si infranse a terra rompendo il silenzio spettrale, e per un momento credetti che fosse la mia. Per fortuna no, era quella di Shanyrria.
“Di certo capite perché non può venire con voi.” Aggiunse il simulacro.
Altro silenzio.
“Io verrò con voi, se non vi dà fastidio che dimentichi i vostri nomi ogni giorno. Noi simulacri siamo incapaci di apprendere informazioni nuove, e purtroppo le mie capacità non sono utili come quelle del mio originale, ma ne so più di chiunque altro sul male che contamina queste terre e sono comunque in grado di lanciare un Rimuovi Maledizione o un Localizza creatura.”
Yalathanil rispose con una certa sgarberia lasciando intendere che i poteri limitati di un mago che era capace approssimativamente la metà di lui non ci sarebbero stati molto utili. Il falso Linomer si strinse nelle spalle e insistette con argomentazioni molto valide: poteva essere una buona guida nel riconoscere la fonte di energie magiche che conosceva molto meglio di noi, poteva occuparsi di questioni triviali permettendo a Yalathanil di risparmiare i suoi incantesimi, e inoltre non gli importava di morire perché era solo un fantoccio non-vivo.
Karasel non aveva gli scrupoli o la supponenza di Yalathanil e accettò con gratitudine la presenza del secondo mago.
Fu così che il nostro gruppo si arricchì di un nuovo membro, e io quantomeno non ero più l’unico a sentirsi fuori posto.

           

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Capitolo 16
*** 1316 DR: Radici (Parte 3) ***


1316 DR: Radici (Parte 3), ovvero Atto Secondo: il Bosco del Crepuscolo


Arrivammo al Bosco del Crepuscolo prima del tramonto. Linomer insisteva nel dire che la foresta era abitata da presenze oscure e che quindi sarebbe stato più prudente accamparci e cercare una via per il sottosuolo con il favore della luce del sole, ma Holly obiettò che se ci stavamo per infilare in un dungeon potenzialmente mortale allora era un po’ sciocco preoccuparsi dei pericoli che avremmo potuto trovare in superficie. Holly ha un po’ questo atteggiamento da qualunque mostro affrontato sulla Superficie sarà per forza più debole di quello che puoi trovare sottoterra; l’ho sempre giudicato supponente per questo, ma dopo la mia avventura nel Buio Profondo pochi mesi prima avevo cominciato a ricredermi.
Il sole aveva appena iniziato a calare, ma addentrandosi sotto le fronde del fitto e oscuro Bosco del Crepuscolo si aveva l’impressione che il tempo corresse più veloce e che la notte scendesse all'improvviso.
Camminammo nel buio per almeno un paio d’ore, con il solo ausilio delle luci danzanti di Holly; per fortuna la nostra acuta vista elfica ci permetteva di trovare il sentiero anche in quell'oscurità quasi totale. Il sottobosco era fitto e fastidioso. Holly apriva la fila, accompagnato da Linomer che era l’unico a conoscere l’ubicazione dell’ingresso delle gallerie.

Potrei dire che quella prima parte del viaggio fu facile, ma sarebbe una menzogna. Diciamo piuttosto che le difficoltà che ci trovammo ad affrontare erano alla nostra portata.
In un momento imprecisato della notte ci trovammo ad attraversare una zona più grigia e morta del normale. Tutta la foresta era un po’ secca e contorta, ma in questa zona gli alberi avevano addirittura perso le foglie e si tendevano verso il cielo come mani scheletriche.
“Siamo vicini alle caverne?” Domandai a bassa voce. Non c’era nessun nemico in vista, ma quel luogo metteva soggezione.
“No.” Rispose Linomer, anche lui a bassa voce. “La stranezza è proprio questa, in alcune zone la foresta è più corrotta che in altre, indipendentemente dalla vicinanza alle gallerie.”
“Forse è una mia impressione...” s’intromise Shanyrria con voce tremula. “Ma non sembra anche a voi che questi alberi fossero più lontani un momento fa?”

Quattro creature che sembravano alberi contorti, ma che potevano muoversi velocemente quanto un elfo, si lanciarono su di noi protendendo i loro artigli di legno.
Purtroppo per loro, le spade di metallo tendono a essere un po’ più efficaci.
La battaglia si concluse in qualche minuto; Shanyrria, Holly ed io avevamo fatto gran parte del lavoro perché non volevamo che gli incantesimi ad area dei maghi devastassero la foresta. Per quanto fosse corrotta, era comunque una foresta, e se fossimo riusciti nei nostri intenti presto sarebbe stata ripulita dall’influenza malvagia che l’aveva impregnata.
“Ho sentito parlare di creature del genere, chi è sopravvissuto ai loro assalti li chiama Alberi Oscuri.” Disse Holly, ma sembrava perplesso. “Solo che credevo che bevessero sangue.”
“Non sono Alberi Oscuri” lo corresse Linomer, con voce triste. “Quelli vivono nelle giungle, questo non è il clima giusto. Queste creature sono qualcosa di diverso... e credo che un tempo fossero Treant, nobili guardiani della foresta. I saggi druidi del passato chiamavano queste creature Metarborei, e hanno il potere di corrompere gli alberi intorno a loro.” Con un ampio gesto del braccio indicò la porzione di foresta in cui ci trovavamo, che agli occhi sembrava rinsecchita e morta ma a sensazione sembrava emanare malvagità.
“Treant corrotti dalla malvagità che risale dal terreno?” La voce melodiosa di Karasel era un sussurro appena udibile, ma era sufficiente per far trasparire il suo orrore. “Avremmo dovuto arrivare prima.”
“Questo è sicuro.” Concordò Holly. “Ogni ritardo ha sempre un prezzo e quel prezzo spesso sono vite rovinate. L’unica cosa che possiamo fare è non tardare ancora. Io dico di proseguire senza accamparci, ma la decisione ultima naturalmente spetta a voi.” Così dicendo si girò verso noi quattro elfi. Già, lui era un non-morto e non necessitava di riposo, e probabilmente nemmeno Karasel.
“A me sta bene continuare.” Convenne Linomer. Noialtri avevamo solo camminato durante il giorno, e non era stata una marcia particolarmente faticosa, quindi acconsentimmo a proseguire. Yalathanil bevve una pozione, forse un rinvigorente, e ci seguì senza lamentarsi nonostante la sua età avanzata.

Per quella notte però i problemi non erano ancora finiti. Ormai non eravamo molto distanti dal luogo in cui Linomer ci stava guidando, ma Holly fece cenno al gruppo di fermarsi.
“Vedo delle auree malvagie” ci annunciò a bassa voce. “Qualcosa di molto cattivo e molto potente è passato di qui. Karasel, lo vedi anche tu?”
La lillend annuì. “Hai ragione, e non è trascorso molto tempo.”
“Io vado a vedere.” Decise Holly.
“Aspetta, vai da solo?” Lo fermai.
“So essere molto silenzioso se voglio.”
“Ma con quelle lucine ti vedranno arrivare da un miglio di distanza.” Obiettai, indicando le piccole sfere di luce che gli giravano intorno ai piedi.
“Vorrà dire che le spegnerò.”
Provai a obiettare ancora, ma non volle ascoltarmi. Con un gesto congedò le luci danzanti e sembrò scomparire nell'oscurità.

Attendere il ritorno di Holly, in una foresta oscura e corrotta, in compagnia di persone che conoscevo appena... fu una dura prova, ma probabilmente era lo stesso per gli altri. Non è che non mi fidassi di loro, avevamo combattuto insieme ed ero convinto della loro sincera motivazione verso la missione, ma comunque non ero tranquillo.
“Ehilà!” Holly sbucò alle mie spalle praticamente dal nulla. Nello stato di tensione in cui ero, avevo già sfoderato la mia sciabola elfica prima di capire che era lui. Holly alzò le mani in un gesto di resa. “Cavolo, Johel, pensavo che fossimo ben oltre questo stadio.”
Abbassai la lama, guardandolo molto male. “Non mi devi arrivare alle spalle. Te l’ho detto migliaia di volte.”
Holly congedò il mio disagio con uno sbuffo e si rivolse agli altri. “C’è una banda di briganti che pianifica di indebolire Derlusk attaccando le carovane via terra e le navi che escono dal porto. Hanno degli accordi con alcuni pirati, ma la vera cattiva notizia è che sono capitanati da un beholder.”
Yalathanil non nascose la sua sorpresa davanti al suo tono così tranquillo. “Lo dici come se ci fosse anche una notizia buona.”
Holly si strinse nelle spalle come se non avesse una vera risposta. “Che è solo uno? Che esistono creature più pericolose di un beholder? ...Che non piove? Ecco, sono già tre notizie positive.”
Yalathanil lo guardò come se volesse schiaffeggiarlo, ma fu Linomer a sorprenderci tutti prendendo la parola. “Io lo ammazzo quel brutto figlio di un’orchessa e di un rospo!” Sibilò, tirandosi su le maniche. “Minacciare la mia città... Mi farò una collana con i suoi occhietti marci!”
Sapevamo che Linomer era una sorta di guardiano per la città di Derlusk e per tutta la regione, ma non pensavamo che prendesse la cosa così a cuore anche quando si trattava di problemi triviali come un gruppo di banditi; ci eravamo fatti l’idea che si fosse stabilito nella zona solo per controllare l’incantesimo che sigillava il dungeon.
Non c’era verso di dissuaderlo, quindi non ci restava che aiutarlo per rendere la sortita più rapida e indolore possibile. Abbattere il beholder non fu facile, ma unendo le nostre capacità in concerto riuscimmo a sopraffare il nemico, anche grazie all'effetto sorpresa. Non si aspettava che ci fossero avventurieri così folli da addentrarsi nella sua foresta, soprattutto di notte. Io mi ero limitato a bersagliarlo a distanza con le frecce perché l’infame cercava sempre di fuggire in volo, sottraendosi alle spade dei miei compagni, ma come piacevole conseguenza ero fuori dalla portata dei suoi raggi.
Se fosse dipeso da me, avrei lasciato fuggire i suoi galoppini umani e mezzorchi, ma Linomer li inseguì caparbiamente e uccise tutti quelli che riuscì a raggiungere. Devo dire che non mi aspettavo tanta brutale determinazione da parte di un mago elfo dall’aspetto bonario e abbastanza raffinato.

“Ho dovuto usare alcuni buoni incantesimi per abbattere quel mostro” esordì Yalathanil quando infine Linomer tornò nei ranghi. “Quindi ora propongo di fermarci a riposare.”
Aveva l’aria stanca e abbastanza irritata. Sì, probabilmente avevamo chiesto troppo a un mago anziano e abituato alle comodità (oltre che al comando, scommetto).
Nessuno mosse obiezioni, cercammo un luogo riparato in cui accamparci e ci sistemammo sotto le fronde di un grosso larice.
“Io faccio la guardia.” Decise Holly in tono definitivo, e abbandonò il campo prima che qualcuno potesse obiettare. Forse la compagnia forzata di tante persone l’aveva indisposto.

Quella notte, prima di dormire, io e Shanyrria riuscimmo a scambiare due parole con Linomer.
“Mi sorprende che un elfo della luna abbia così tanto a cuore il destino di una città di umani.” Confessò Shanyrria, con un certo imbarazzo. “Insomma, non è che io abbia qualcosa contro gli umani ma è... strano.”
“Gli elfi di Evermeet sono abituati a considerare gli umani come creature inferiori.” Le fece notare il mago, senza alcuna traccia di tatto o di imbarazzo. “Ma per me tutti i popoli pacifici hanno diritto a esistere e a non essere molestati da creature malvagie.”
“Non tutti gli umani sono pacifici.” Intervenni. “Le foreste dell’Amn e del Calimshan stanno avendo problemi con i nobili umani, che si comportano da veri bastardi come se la terra gli appartenesse di diritto. Talvolta ci hanno perfino mosso guerra. Non dico che tutti gli umani siano malvagi, ma sono facilmente corruttibili dal potere e sembra che in alcuni di loro ci sia un’indole malvagia e portata alla prevaricazione.”
Linomer sorrise tristemente. “In molte creature purtroppo c’è un’indole malvagia e portata alla prevaricazione. Gli umani dei Regni di Confine spesso si fanno la guerra, città contro città, ma io che posso fare se non proteggere i deboli e gli innocenti dai criminali come quei banditi? Vorrei riuscire a preservare ciò che c’è di buono negli esseri umani... perché anche se i loro governanti spesso sono malvagi, so che la maggior parte dei popolani e dei contadini sono brave persone.” Con questo, tornò a guardare Shanyrria. “E la loro vita non vale meno della nostra.”
La fanciulla s’irrigidì, colta nel vivo. “Ora mi fai passare per un’insensibile razzista. Io viaggio molto nel continente, collaboro spesso con gli umani.”
“Ah-ah” Linomer si esibì nella parodia di una risata. “Ho molti amici umani ma. Che discorso prevedibile. Scommetto che se qualcuno ti chiedesse se hai antenati umani nella tua linea di sangue...”
Non ho antenati umani. Non c’è niente di vero in quella voce!” Shanyrria sembrava quasi insultata.
“Ma il pensiero stesso è offensivo per te, vero?”
“Parli come qualcuno che ha sangue umano nelle vene.” L'elfa gli rivolse uno sguardo velenoso. “Il tuo discorso è completamente disinteressato, o stai difendendo te stesso?”
Linomer rise, stavolta una risata sincera. “Io sono un pupazzo fatto di fango e animato con la magia. Non serbare rancore nei miei confronti, te ne prego, perché domattina non ricorderò questa conversazione e non saprò perché sei arrabbiata con me.”
Il broncio di Shanyrria si addolcì un po’. “Non ho alcuna intenzione di litigare con un alleato. Perdona la mia curiosità.”
“E tu perdona la mia intransigenza. Voglio rispondere alla tua domanda: il grande mago Linomer ha nelle vene tanto sangue umano quanto sangue elfico.”
Quelle parole inevitabilmente ci portarono ad analizzare con lo sguardo le sue fattezze, i suoi tratti delicati e le sue orecchie a punta. C’erano segni di ascendenza umana? Francamente non mi sembrava, di sicuro non era un mezzelfo. Tanto sangue umano quanto sangue elfico.
“Guardatemi pure finché ne avete voglia.” Ci concesse Linomer, magnanimo. “Molta gente non riesce a smettere di ammirare la mia bellezza.” Con un sorriso sornione si sistemò nel suo sacco a pelo e chiuse gli occhi, fingendo di addormentarsi.

La mattina dopo mi alzai prima degli altri (con l’eccezione di Karasel, che non aveva bisogno di dormire) e uscii dalla tenda. Alla luce del giorno la foresta sembrava leggermente meno tenebrosa e spettrale, ma quella poca luce che filtrava fra le fronde non poteva allontanare del tutto l’inquietudine.
Non quando il nostro accampamento era disseminato di cadaveri di ragni giganti.
Mi avvicinai alla carcassa di un aracnide grosso quanto un cavallo, il più grande fra i cadaveri accumulati sotto il nostro albero. Aveva chiari segni di armi da taglio sull'addome.
“Holly, tu lo sapevi che c’era una colonia di ragni mostruosi sopra il nostro accampamento?” Domandai, con la fastidiosa sensazione che la voce mi fosse uscita un po’ troppo acuta.
“Hm-hm” annuì lui, mentre aiutava Karasel a preparare una specie di colazione.
“E non hai pensato di avvertirci?”
“Nah.” Holly scrollò le spalle. “Sareste andati in paranoia per niente. Questi sono semplici animali, non sono molto pericolosi, e la loro presenza tiene lontani altri predatori. Era un luogo sicuro in cui accamparsi, ed era anche l’unico spiazzo senza quell'odioso sottobosco.”
“Va bene, io ci rinuncio.” Alzai le braccia al cielo in segno di frustrazione. “Dimmi almeno una cosa.”
“Hm?”
“La nostra colazione non ha nulla a che vedere con le tue prede, vero?”
Karasel scoppiò a ridere. Era un suono davvero rincuorante in un contesto così tetro.

           

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Capitolo 17
*** Inframmezzo - Presentazione dei personaggi di questo arco narrativo ***


Presentazione dei personaggi di questo arco narrativo, visti da dietro le quinte


Anche coloro che hanno più dimestichezza con la narrativa fantasy che con le meccaniche di D&D, potrebbero gradire un po’ di "numeri" per capire con più precisione chi sono gli eroi di questo arco narrativo e quale sia il loro effettivo potere. Il Grado Sfida di una creatura rappresenta, in parole povere, la sua letalità. Nella maggior parte dei casi, il Grado Sfida coincide con il livello.
Non si sa di che livello fosse l’arcimago Ka’Narlist, ma si suppone che fosse approssimativamente di livello 30 se non di più (è vissuto migliaia di anni e ha attirato le attenzioni di una dea). Questo gruppo, secondo le meccaniche del gioco, potrebbe affrontare agevolmente un nemico di livello 19, si troverebbe in serie difficoltà con un nemico di livello superiore, ma statisticamente verrebbe completamente polverizzato da un nemico di livello 26 o più. In pratica, se Ka’Narlist si risveglia questa storia non avrà un epilogo.

Johlariel Arnavel
Elfo dei boschi, ranger, specializzato nell'esplorazione di foreste e nel combattimento di giganti, drow e aracnidi. Generalmente bravo anche nei rapporti diplomatici. Quasi inutile in una missione come questa.
Grado Sfida 14

Holly
Ufficialmente mezzelfo, fantasma, ladro e guerriero. Specializzato nell'esplorazione di dungeon, letale nel combattimento contro creature malvagie e ormai esperto nel combattimento difensivo / non letale contro creature neutrali o buone (con cui potrebbe anche non combattere, ma ha quel carattere lì...).
Grado Sfida 20

Karasel
Lillend (una creatura celestiale), stregona e trovatrice delle stelle, specializzata nelle arti magiche e nella musica bardica; di solito si occupa soprattutto del ritrovamento di artefatti, ma può combattere se è costretta a farlo. Karasel fa parte della Corte delle Stelle ed è la campionessa di Faerinaal, consorte della Regina Morwel.
Grado Sfida 18

Yalathanil Symbaern
Elfo del sole, mago. È un nobile dell’isola elfica di Evermeet, patriarca della casata Symbaern, molto rispettato per le sue capacità magiche nonostante il suo carattere poco socievole.
Grado Sfida 18

Shanyrria Alenuath
Elfa della luna, maga, guerriera e cantora della lama. Shanyrria è al servizio della nobile casata Alenuath di Evermeet ma spesso si reca nel Faerûn, soprattutto ad Evereska, per combattere organizzazioni malvagie che minacciano le comunità elfiche locali. È un’avventuriera vivace e solare che ama la vita all'aria aperta.
Grado Sfida 16

Linomer (Simulacro)
Apparentemente elfo della luna, mago. Linomer è una persona tranquilla e stranamente poco arrogante per gli standard dei maghi. Inizialmente si era stabilito a Derlusk solo per tenere d’occhio il dungeon, ma con il tempo è diventato protettore della città e della regione. Linomer sembra godere di lunghi periodi di ozio, ma probabilmente impiega il suo tempo per studiare. Ha creato un Simulacro che accompagnasse gli eroi nella loro missione, ma un Simulacro può avere solo circa la metà del potere del mago che lo ha creato.
Simulacro, Grado Sfida 15, nonostante sia solo un mago di livello 9 (gli altri 6 punti di Grado Sfida derivano dalla sua razza; no, non è davvero un elfo della luna)
Vero Linomer, Grado Sfida 36 (nonostante questo non è assolutamente al livello di Ka’Narlist perché c’è una differenza abissale fra un mago di livello 30 e un mago di livello 18 con un +18 al Grado Sfida per via della sua razza)


*Disclaimer*: Shanyrria Alenuath e Yalathanil Symbaern non appartengono a me, fanno parte dell'ambientazione. Nemmeno Karasel è una mia creazione, è la campionessa di Faerinaal secondo il Libro delle Imprese Eroiche.
I disegni non sono opera mia.

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Capitolo 18
*** 1316 DR: Radici (Parte 4) ***


1316 DR: Radici (Parte 4), ovvero Atto Terzo: una falsa partenza


“Questo è l’ingresso per i sotterranei. Quello di cui sono a conoscenza, almeno.” Linomer ci indicò una fenditura in una collinetta. “Ci si deve stringere un po’ per entrare, ma dentro la caverna si allarga.”
Era vero: dopo l’ingresso stretto e disagevole, la caverna si apriva in un corridoio abbastanza largo per lasciar passare due persone affiancate. Fu lì che trovammo il vero Linomer con il suo piccolo accampamento.
Non ci rivolse la parola. Non poteva. Era troppo concentrato nel tessere il suo incantesimo. Forse nemmeno ci vide passare.
Il nostro compagno simulacro però sapeva bene cosa fare: estrasse dalla sua borsa alcuni amuleti per noi e ci raccomandò di metterli al collo.
“Vi devo spiegare in che modo funziona la barriera: in teoria blocca tutto. Creature animate da energia positiva o negativa, costrutti, creature senzienti, qualsiasi combinazione di queste cose. Creature evocate. Energia che proviene da altri Piani o dal Piano Materiale. Se provaste a lanciare un Fulmine dentro i cunicoli, la barriera lo fermerebbe. All'interno dei cunicoli, la magia funziona normalmente perché la Trama comunque esiste anche lì, però è impossibile evocare creature o invocare energie da altri Piani.”
“Niente incantesimi di guarigione, quindi?” Domandò subito Holly.
“Di norma no, ma indossando questi amuleti potremo ignorare tutte le restrizioni della barriera.”
Ci lasciò qualche minuto per metabolizzare quello che ci aveva detto.
“C’è una cosa che non hai citato. La materia inanimata. Quella passa normalmente?” chiese Yalathanil, dando sfoggio della proverbiale intelligenza dei maghi.
“Certo, quella passa normalmente, se ad esempio ci fosse un terremoto le rocce si sposterebbero dentro o fuori dall'area della barriera. Ma ha importanza?”
“Sì, se pensi che un oggetto nefasto, un artefatto o una gemma che contiene un’anima potrebbe tranquillamente rotolare fuori.”
Linomer lo guardò senza nascondere la sua perplessità.
“Se ipotizziamo che l’anima dell'arcimago drow potrebbe essere dentro una perla, e se questa fosse scivolata sempre più giù fino a raggiungere zone del Buio Profondo oltre la barriera, come ha fatto la sua corruzione a raggiungere la Superficie?”
“Scendiamo a scoprirlo!” s’intromise Holly, con finto entusiasmo. “Stare qui a litigare non serve a molto.”

Ci addentrammo più a fondo nella caverna fino a trovare la barriera. Holly rimase a chiudere la fila; sapevo qual era il problema, indossando l’amuleto la magia del ciondolo avrebbe soppresso temporaneamente l’effetto di un altro oggetto magico che portava, la spilla che chiudeva il suo mantello. Quella spilla era ciò che proteggeva il suo aspetto illusorio dagli incantesimi di divinazione, compreso Visione del Vero. Era improbabile che qualcuno lo guardasse con Visione del Vero proprio in quel frangente, ma con un mago esperto come Yalathanil non si sa mai.
Oltrepassammo la barriera, trattenendo il respiro. Se nella foresta già si sentiva un po’ l’influenza di un’energia malvagia, qui praticamente saturava l’aria. Veniva istintivo coprirsi la bocca come se l’aria puzzasse, ma non era un odore, era qualcos'altro. Qualcosa di altrettanto soffocante e inevitabile.
Linomer tracciò attorno a sé un cerchio magico che avrebbe dovuto proteggerci dal male a patto che gli stessimo vicini, e ripeté l’incantesimo su di me perché si era deciso che sarei rimasto tendenzialmente nelle retrovie insieme a Yalathanil. Dopo pochi metri ci trovammo a calpestare qualcosa di duro e molto scomodo, e Linomer per poco non si storse una caviglia.
“Che cos'è?” Sussurrò fra le imprecazioni. Aveva una torcia su cui aveva lanciato Luce, l’abbassò per vedere meglio.
La luce venne raccolta e rifratta da migliaia di piccoli cristalli. L'intera caverna era invasa da punte di cristallo trasparenti, alte quanto una falange, che sembravano ricoprire solo alcuni tipi di roccia, ma non me ne intendo molto di sassi. Quello spettacolo era a dir poco mozzafiato, bellissimo.
Linomer allontanò la torcia dal terreno e mugugnò agli altri di stare attenti a dove mettevano i piedi (o la coda, nel caso di Karasel).
Proseguimmo per molti minuti. Linomer lasciò che Holly andasse avanti in esplorazione, non curandosi del fatto che così sarebbe rimasto all'esterno del cerchio di protezione, e scambiò qualche rapida frase con Karasel in una lingua a me ignota. Lei rispose con un sussurro quasi inudibile e mi accorsi che il mago era inquieto. Ma in fin dei conti lo eravamo tutti.
La sensazione era quella di scendere in profondità molto lentamente, come se quei cunicoli rimanessero vicini alla Superficie. La caverna divenne sempre più luminosa man mano che scendevamo, a causa di quei cristalli che la facevano brillare come se fosse piena di stelle.
Nonostante la bellezza del luogo, la caverna continuava a essere pregna di energia sacrilega, perché nonostante il Cerchio Magico contro il Male Karasel stava cominciando a provare nausea e disagio.
Alla fine arrivammo a un punto morto. La galleria si interrompeva con una parete cristallina, che sarebbe stata trasparente se non fosse stato per le incrinature nella roccia, che le davano un aspetto smerigliato.
“Beh, questo è senz’altro anomalo.” Considerò Holly, passandosi una mano dietro alla testa. “Non ho mai visto una parete di cristallo come questa in un sotterraneo.” Con la sua spada ticchettò contro la roccia, sentendo il suono che produceva in risposta. “Sembra sia spessa diversi metri.”
“E blocca la galleria” osservò Yalathanil con voce tetra. “Dobbiamo trovare un’altra strada.”
Holly però lo fermò con un cenno della mano.
“Aspetta. La cosa che hai detto... blocca la galleria. No. No! Questo è il punto! Non sappiamo nemmeno se ci sia una galleria più avanti.” Lo guardammo tutti senza capire, in attesa che spiegasse. “Insomma, si suppone che la città degli elfi scuri fosse sprofondata nella terra nel corso del primo Sundering. Ma questo vuol dire che un tempo si trovava in Superficie.”
“Sì, esatto.” Confermò Karasel. “Le antiche leggende dicono che si trovasse vicino al mare.”
“Quindi, la terra trema e si spacca.” Holly si lanciò in una serie di ipotesi, inconsciamente mimando la scena a gesti. “La città crolla, e finora abbiamo dato per scontato che sotto la città ci fossero delle gallerie o delle grotte con una gran quantità di vuoto. Ma se invece il terremoto avesse aperto una specie di voragine, separando il terreno come ha separato i continenti, e la città vi fosse caduta dentro... poi sarebbe stata seppellita dai detriti di terra e roccia, che avrebbero sigillato le gallerie, e... e dall'acqua del mare. C’era il mare, quindi sicuramente avrà riempito le cavità.”
“Una volta tutta questa zona era sepolta dal mare.” Intervenne Linomer, cercando di essere d’aiuto. “Nella foresta si possono trovare ancora i segni di antiche creature marine che sono come stampati sulle rocce. Per il mio maestro questo era un chiaro segno del fatto che questa terra sia emersa dal mare.”
“Quindi, il mare entra, insieme ai detriti. Se siamo fortunati, scava delle gallerie. Poi, con ogni probabilità, l’acqua defluisce via dai cunicoli quando queste terre emergono nuovamente dal mare... o forse è il mare che si ritira, non importa. E se l’acqua è davvero defluita via, avrà portato via con sé le parti molli: terra, fango e sabbia.”
“Lasciando solo i cunicoli.” Yalathanil concluse il ragionamento. “Ma non è detto che quei cunicoli siano collegati a questo.”
Holly annuì, manifestando la sua approvazione per la deduzione del mago.
“Questa galleria non aveva sbocchi secondari, solo alcove e brevi cunicoli ciechi. Dobbiamo cercare un altro ingresso.”

Quando uscimmo nuovamente all'aperto era quasi mezzogiorno. Il passaggio dall'oscurità totale alla luce del sole allo zenit era abbastanza violento da infastidire chiunque, anche creature della Superficie come me. Ma almeno era bello poter respirare di nuovo un’aria accettabilmente pulita.
Holly mi si avvicinò con la scusa di pattugliare insieme il territorio in cerca di altri possibili ingressi alle gallerie, e mi sussurrò con fare cospiratorio: “Allarme troll. Linomer sa di me.”
Sei parole che calamitarono la mia completa attenzione.
“E sarebbe un allarme troll? Questo è almeno un allarme drago!” Sibilai in risposta, facendo riferimento alla scala di pericolo che usavamo per le nostre comunicazioni segrete. Allarme troll indicava un pericolo piuttosto basso, su una scala che consta in: Orco, Troll, Gigante, Drago, Divinità incazzata, Ragazza che dice ‘fai come vuoi’, e infine Vuoto divora-mondi.
“Ne ha parlato solo con Karasel, e facendo in modo che gli altri non sentissero. Lei gli ha detto che va tutto bene, quindi è un allarme troll, ma sarebbe meglio che non restasse solo con Yalathanil o con Shanyrria questo pomeriggio. Domattina avrà dimenticato tutto, ma oggi fammi un favore e tienilo impegnato.”

Fu così che nel corso della nostra cerca io mi imposi facendo coppia con Linomer. Il mago sembrava davvero sulle spine, più volte sembrò sul punto di dirmi qualcosa, ma si trattenne sempre.
Passammo il resto della giornata a cercare altre gallerie, specialmente vicino al mare. In quel tratto, la foresta si trovava su una scogliera che si alzava di parecchi metri sopra il livello del mare. Dalla costa arrivava il tipico odore di zolfo del Lago dei Vapori, ma ormai eravamo abituati a cose peggiori.
Karasel poteva volare, quindi ci fu di grande aiuto in questo frangente. Fu lei a trovare un altro possibile accesso. Arrivarci sarebbe stato tutt'altro che facile, perché l’ingresso era molto in basso lungo la scogliera, pochi metri sopra il livello del mare. Karasel però probabilmente ci aveva visto giusto, perché anche questo cunicolo era foderato di cristalli, che arrivavano quasi all'imbocco della galleria.

Decidemmo di accamparci e riposare prima di cominciare l’ardua discesa, anche perché nessuno di noi voleva passare una notte più del necessario in quel luogo pregno di oscurità e corruzione.
Quella sera, con l’aria di voler chiacchierare del più e del meno, Linomer mi si sedette accanto. Parlammo un po’ delle stelle e della loro importanza per l’orientamento e per la magia, e poi quando gli altri si furono addormentati, con Karasel che stava di guardia, Linomer finalmente si decise a mostrare le sue carte.
“Domattina lo avrò dimenticato, ma penso che sia giusto che tu sappia. Il tuo amico, quello che viaggia con te...”
“Lo so.”
Mi guardò sorpreso, per un lungo momento.
“Che cos'è che sai?” Domandò infine, sondando il terreno.
“Dipende da cosa sai tu.”
“Domattina l’avrò dimenticato.” Ribadì. “Quindi puoi dirmi tutto, che importanza ha?”
“Potresti anche andare a svegliare Yalathanil e Shanyrria e riferire tutto. Ma vorrei darti un paio di cose su cui riflettere. Holly sapeva che tu sai la verità su di lui, me lo ha detto mentre uscivamo dalla grotta. Però non ha fatto niente per costringerti a tacere, giusto?”
Linomer corrugò la fronte, come se fosse immerso in una riflessione, poi annuì di malavoglia.
“Inoltre, beh, perché pensi che proprio lui sia stato invitato a venire con noi?”
Questa volta mi guardò come se non avesse risposte.
“Me lo sono chiesto. Non lo so, a me sembra una follia. Laggiù è un ricettacolo di malvagità, non abbiamo bisogno di persone corruttibili.”
“Mio caro mago, penso che una persona che ha già familiarità con il male sia meno corruttibile di chi non lo conosce, e pensa ingenuamente di poterlo controllare. Credo che Holly sappia esattamente fin dove può spingersi.”
Linomer rimase a lungo a guardare le stelle, riflettendo sulle mie parole.
“Vorrei tanto poterci dormire su.” Mugugnò infine, prima di ritirarsi nella nostra tenda.

           

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Capitolo 19
*** 1316 DR: Radici (Parte 5) ***


1316 DR: Radici (Parte 5), ovvero Atto Quarto: solo quattro ne restar


Il mattino dopo cominciammo la lunga e difficoltosa discesa della parete rocciosa. No, scherzo. Linomer lanciò Levitazione su ciascuno di noi. Ci teneva a rendersi utile nel suo ruolo di mago di supporto.
Probabilmente l’avventura suona meno epica se non ci sono ostacoli fisici da superare, ma eravamo tutti felici di avere con noi un mago disposto a sprecare i suoi incantesimi elementari.
L’ingresso della caverna era come Karasel lo aveva descritto, ricoperto di cristalli su ogni sua superficie. Eravamo ancora all’esterno della barriera e l’aura malvagia era molto mitigata, ma già si sentiva, più forte che nella caverna da cui eravamo entrati il giorno prima e dove il vero Linomer era occupato a tessere il suo incantesimo.
Questa volta Holly fece in modo di oltrepassare la barriera molto prima di noi, mentre io distraevo il falso Linomer. Non volevamo proprio che si ripetesse lo stesso inconveniente del giorno prima. Appena oltrepassata la barriera Holly si tolse l’amuleto; non avrebbe potuto incanalare energia di guarigione, ma era un misero prezzo da pagare per la tranquillità del gruppo.
All'interno, ci accolse la solita aria pesante e la disgustosa sensazione di essere assediati dal male. Di nuovo non so come avremmo fatto senza le protezioni magiche.

Dopo un po’ che camminavamo, divenne chiaro che probabilmente stavolta avevamo fatto centro. Riuscimmo ad addentrarci in quei cunicoli per ore, non che questa sia di per sé una buona notizia, ma dovevamo essere sulla strada giusta.
“Odio questi stupidi cristalli” si lamentò Shanyrria, quando per l’ennesima volta si punse il lato di un piede a causa di quegli spunzoni di roccia. Sì, erano belli, ma quanto erano fastidiosi.
“Io li trovo carini” intervenne Holly, fermandosi per aspettarci. “Anche se naturalmente tutti li odiano.”
“Uh? Chi è che li odia?” Domandai, senza davvero prestare attenzione alla questione.
“Gli gnomi delle profondità. Li odiano perché sono cristalli infestanti.”
Yalathanil sbuffò in tono derisorio. “Come fa una roccia a essere infestante? Non è viva.”
Holly si strinse nelle spalle. “Non sono un esperto di sassi, ma so che questi cristalli... com'è che si chiamano... Quarzi Rampicanti, ecco. Credo che siano proprio loro per il modo in cui riflettono la luce e la trasmettono agli altri cristalli. Ma, dicevo, sono infestanti. Hanno come delle radici, non so come facciano, dev'essere un processo alchemico spontaneo, ma trasformano la roccia che toccano in altri quarzi rampicanti. Gli gnomi delle profondità li odiano perché trasformano interi filoni di gemme in questi cristalli graziosi ma inutili.” Per confermare la sua teoria, invitò Linomer a lanciare un semplice incantesimo di Luce su una qualsiasi delle pietre. Appena il mago ebbe infuso di luce magica un piccolo prisma di quarzo, l’intera caverna si illuminò come se ognuno di quei quarzi fosse stato ugualmente incantato.
“Sono belli da mozzare il fiato.” Sussurrò Shanyrria. “Accidenti, ma non potevo continuare a odiarli e basta?”
Linomer dissolse il suo incantesimo e la caverna tornò a essere immersa nell'oscurità, fatta eccezione per la torcia che reggeva.
“Puoi continuare a odiarli, Shanyrria. Se ho capito bene, sono tutti collegati fra loro, giusto?” Holly annuì, non capendo dove il mago volesse arrivare. Io forse cominciavo ad avere un sospetto. “E sono ottimi conduttori di energia, a quanto pare.” Concluse, tetro come un boia.
Yalathanil ci arrivò all'istante.
“Materia non vivente! La barriera non la blocca!”
Linomer annuì di nuovo.
“Questo spiega tutto. Lentamente, nel corso degli anni, i quarzi si espandono fino a raggiungere la barriera e oltrepassarla senza problemi, perché sono solo materia inerte. L’energia malvagia riesce a fluire nonostante la barriera perché il quarzo è un conduttore perfetto. Spiega anche la contaminazione nella foresta in luoghi non vicini alle gallerie; devono essere luoghi in cui sono presenti filoni di quarzi rampicanti nel terreno.”
“Molto arguto.” Si complimentò Yalathanil, ma senza molto entusiasmo. “Ma ci dev'essere qualcosa che genera questa energia sacrilega. Un'aura così potente non può essere solo energia residua, non dopo quasi ventimila anni!”
“Dobbiamo sapere di più su queste pietre” intervenne Karasel, guardando direttamente Holly. “Forse riusciremo a risalire al luogo d'origine di questa malvagità.”
Holly annuì e cercò di riportare alla mente tutto quello che sapeva.
“Non ne so moltissimo in realtà... ma da qualche parte ci dev'essere una pietra più grande, chiamata Quarzo Radice. Da quella si dipanano tutti i filoni dei quarzi rampicanti. Bisogna distruggere quella per fermare definitivamente il dilagare di questi cristalli, perché proprio come dei vegetali, se anche li spezzassimo o li staccassimo dal terreno, ricrescerebbero fintanto che esiste un Quarzo Radice. Anche quello però ha capacità rigenerative. Io non so quale logica o quale magia ci sia dietro, ma gli gnomi usavano incantesimi del ghiaccio per indebolire il Quarzo Radice e poi abbatterlo con i picconi. Forse anche i picconi erano incantati con la magia del freddo.”
“Ma la fonte dell’energia malvagia deve coincidere con il Quarzo Radice?” Insistette Karasel.
Holly si passò una mano dietro la testa, a disagio. “Non lo so davvero, ma quando Linomer ha lanciato quell'incantesimo di luce, non è stato necessario che il bersaglio fosse il Quarzo Radice, la luce si è comunque diffusa a tutti i cristalli.”
“Quindi la fonte dell’energia sacrilega potrebbe essere ovunque.” Concluse Shanyrria, ombrandosi. “Odio questi stupidi cristalli. C'è altro che dovremmo sapere?” Guardò storto Holly, come se lo incolpasse di non averci pensato prima, ma lui poveraccio non è un mago e dubito che di energie ne capisca molto più di me.
“Non credo.” Rispose Holly, ma dal suo tono si capiva che non era un esperto nella materia. “Per quel che ne so sono infestanti solo per la roccia... non sono pericolosi. A meno che tu non sia un sasso.”

Riprendemmo il cammino, e proseguimmo senza intoppi per un paio d’ore, con i nostri incantesimi di protezione costantemente rinnovati.
Yalathanil si appoggiò un momento a una parete, per riprendere fiato. Camminare su un terreno irregolare non era facile per nessuno, tantomeno per lui che non è un gran camminatore.
Senza preavviso, la roccia su cui era appoggiato si deformò e una grossa mano si strinse intorno al suo gracile torso. Yalathanil gridò e si preparò a lanciare un incantesimo, ma aveva un braccio bloccato nella stretta del mostro che ora stava uscendo dalla roccia.
Credo che fosse un elementale della terra. Sembrava un elementale della terra, ma era fatto di roccia mista a cristalli trasparenti, gli stessi che ricoprivano ogni superficie. Un elementale del cristallo? Un golem molto particolare? Qualunque cosa fosse, la spada sottile di Shanyrria probabilmente sarebbe stata di scarso aiuto, e avevo dei dubbi anche sulla mia lama.
La spada bastarda di Holly almeno era un po’ più resistente, non riusciva ad aprire ferite nella dura corazza dell'elementale ma quando il mostro veniva colpito la lama rilasciava ondate di energia che sembravano ferirlo.
“Il potere sacro della mia arma... ha effetto contro questo coso perché è malvagio! Se avete incantesimi che feriscono le creature malvagie è il momento di usarli!” Ci invitò Holly.
Ferito alla mano che reggeva Yalathanil, il grosso umanoide di roccia (non poteva essere un elementale, gli elementali non sono malvagi!) lasciò andare il mago ed emise un urlo sordo e lacerante. Si rivolse contro Holly che l’aveva colpito e gli allungò un manrovescio, mandandolo quasi schiena a terra.
Holly si rialzò, scrollandosi di dosso schegge di cristallo.
Merda. Non fatevi colpire! I quarzi, dèi che idiota che sono, i quarzi sono pericolosi solo se sei un sasso. Questa creatura è morta! È un necroelementale della terra!”

Non avevo idea di che diavolo fosse un necroelementale, ma stavo per scoprirlo nel modo peggiore. Tutti stavamo per scoprirlo, perché anche con l’aiuto di Karasel che era la nostra campionessa del Bene e di Yalathanil che era il nostro mago più potente, ci volle un po’ prima che capissimo come mettere alle strette il mostro e infine come abbatterlo.
Per allora, ne erano arrivati altri due.
Lo scontro si fece particolarmente arduo, il nostro gruppo venne separato mentre un necroelementale ingaggiava me, Karasel e Yalathanil, e l’altro minacciava Holly, Shanyrria e Linomer. Linomer riuscì a lanciare un'ultima volta una serie di dardi incantati prima che il nemico lo schiacciasse con un poderoso schiaffo contro la parete della grotta. Quando l'elementale spostò l’enorme mano, del nostro compagno restava solo una macchia di argilla contro la parete punteggiata di cristalli. Shanyrria era ferita malamente e non si reggeva più in piedi. Holly stava fra lei e l’enorme nemico non-morto, fermamente deciso a difenderla ad ogni costo, ma le sue possibilità di movimento erano limitate a causa dello spazio e della necessità di difendere la compagna. Di certo non aiutava che quei bastardi potessero sparire nella roccia a piacimento.
Alla fine riuscimmo a liberarci di loro, ma non fu semplice. Un compagno ci aveva rimesso la vita, e tutti noi eravamo feriti e stanchi.
“Dobbiamo uscire di qui.” Decretò Holly. “Shanyrria deve riposare e guarire, Karasel non sta bene, Yalathanil deve aver quasi finito gli incantesimi, e Johel, beh Johel è inutile di base.”
Il mio primo istinto fu protestare a gran voce, ma mi rifiutai di cedere alle provocazioni quando un amico era appena morto. Va bene, era solo un Simulacro, ma era comunque senziente e ci aveva accordato la sua fiducia. Raccolsi il suo Amuleto e il resto dell’equipaggiamento che non faceva parte della sua forma di base; non volevo che qualche nefasta creatura lo trovasse e ne facesse uso.

Nessuno obiettò alla decisione di tornare fuori. Sulla via del ritorno, Karasel cominciò a sentirsi davvero male nonostante le protezioni magiche.
Quando uscimmo nuovamente all’aria aperta, Karasel dovette riposare alcuni minuti prima di avere la forza di volare fino in cima alla scogliera, dove ci eravamo accampati la notte precedente. Questa volta fu Yalathanil a dover lanciare un incantesimo di levitazione su di noi, per fortuna era ben munito di pergamene.

“Karasel, non puoi continuare. Non devi più scendere laggiù.” Disse Holly, prendendo la parola per primo.
“Non essere sciocco, questa missione è stata affidata a me prima di tutto.” Obiettò lei, allontanando le obiezioni di Holly con un gesto della mano come se stesse scacciando una mosca.
“Ma hai visto cosa è successo a quegli elementali? Non potevano scappare dal dungeon racchiuso nella barriera e sono morti lentamente! Riesci a immaginare che fine orribile?” Holly alzò la voce, come sempre quando si accalora. “E sono tornati come non-morti perché non avevano scelta. Le loro anime non potevano andare da nessuna fottuta parte perché la barriera non permette alle creature senzienti di uscire, anche se non sono animate. Vuoi morire lì sotto, Karasel? Vuoi che la tua anima sia intrappolata per sempre in quel luogo di dolore, senza mai poter tornare sul tuo Piano natio?”
Questa volta la nostra compagna divenne pallida come un cencio.
“Io... non lo avevo considerato.”
Ti prego. Lascia il comando della missione a Yalathanil e rimani qui. Quel luogo per te è puro veleno!”
Karasel sospirò. “Vedo quello che stai facendo, non credere. Vuoi dimostrarmi che la tua preoccupazione è disinteressata, al punto che prenderesti ordini da un elfo del sole pur di convincermi a restare qui.”
Holly le prese una mano fra le sue, e con estrema solennità recitò: “Prenderei ordini da un elfo del sole spocchioso e arrogante, simpatico quanto un attacco di colite, purché tu accetti di restare qui...” Yalathanil aveva un’espressione offesa e oltraggiata come non ne avevo mai viste, e girando con Holly ne ho viste tantissime. “Non perché io voglia dimostrare qualcosa a te, ma perché dopo di te lui è il più esperto e il più competente fra noi, ed è quello che ha le migliori chance di guidarci alla soluzione del problema.”
“Ed è anche quello che ha salvato il tuo fondoschiena mezzo umano dalle grinfie di quel necroelementale!” Sbottò Yalathanil, incapace di trattenersi oltre.
“Oh, non esagerare adesso.” Shanyrria lo richiamò all’ordine, tirandolo discretamente per una manica. “Credo che avrebbe potuto abbattere quel mostro senza il tuo aiuto, se non avesse dovuto preoccuparsi di difendermi.”

Era ormai notte e non avevamo né il tempo né la voglia di montare la tenda, quindi dormimmo sotto le stelle.
“Senti, Holly” gli dissi a un certo punto, consapevole che doveva essere sveglio per forza. “Niente accesso ad altri Piani significa che noi, se morissimo laggiù, non potremmo essere resuscitati?”
Holly esitò un momento prima di rispondere. “No, a meno che il rituale non venga officiato direttamente laggiù, e da qualcuno che indossa uno di questi amuleti, perché immagino che serva energia positiva.”
“Tu però... se morissi laggiù... non potresti riformarti come fanno di solito i fantasmi, giusto? Perché non avresti accesso all'energia negativa di cui avresti bisogno.”
Questa volta rimase in silenzio molto più a lungo.
“Sei troppo sveglio per il tuo stesso bene.”
“E quindi tu sei più o meno nella stessa situazione di Karasel?”
Holly scrollò le spalle.
“Sì, immagino di sì.”
“E non ti importa? Stavi per morire per difendere Shanyrria!” Sibilai, cercando di gridare sottovoce.
“Mi dispiace, Johel. Sei un amico e non meriti l’incombenza di dover stare dietro a uno come me. Ma lo sai che non m’importa.”



********************
Nota: necessaria spiegazione per chi non ha familiarità con D&D e le sue diverse energie.
Energia positiva: è l'energia che anima gli esseri viventi, viene usata per curare. Esiste qualche raro caso in cui l'energia positiva può invece fare danni agli esseri viventi. L'energia positiva danneggia i non-morti. Non ha connotazioni etiche: anche un non-morto buono viene ferito dall'energia positiva, e un vivente malvagio ne viene curato. L'energia positiva viene generata sul Piano dell'Energia Positiva e i chierici possono richiamarla per curare o resuscitare persone, o per ferire o scacciare i non-morti.
Energia negativa: il contrario dell'energia positiva: danneggia i viventi, guarisce i non-morti, non mi pare siano riscontrati casi in cui l'energia negativa ferisce i non-morti, e anch'essa non ha connotazioni etiche. Tuttavia una creatura non senziente, se vivente, è considerata neutrale (come un insetto), mentre una creatura non-morta, anche se priva di intelletto, viene considerata malvagia perché l'energia negativa è "innaturale". Questa cosa è controversa ed è cambiata nel corso delle edizioni, in D&D 3.0 uno zombie senza cervello era neutrale (e secondo me aveva più senso così, non ha nemmeno autocoscienza come fa ad essere malvagio), ma nell'edizione 3.5 è diventato malvagio probabilmente perché ai creatori è sembrato privo di senso che, ad esempio, i paladini non potessero distruggere zombi e scheletri con Punire il Male. Insomma è diventata più stretta l'associazione "non morto = malvagio", anche se alcuni non-morti senzienti possono essere buoni. L'energia negativa viene generata sul Piano dell'Energia Negativa e i chierici possono richiamarla per ferire le persone o curare i non-morti, e alcuni non-morti quando vengono distrutti si possono riformare richiamando a sé energia negativa (lo fanno in automatico, non possono farlo ad esempio in un'area consacrata o dentro alla barriera descritta in questa storia).
Energia sacra: energia buona solitamente di origine divina, che ostacola o ferisce le creature malvagie. Solitamente ostacola o ferisce con ancor più forza i non-morti malvagi e gli Esterni malvagi (demoni, diavoli ecc). Se espressamente specificato ad esempio in un incantesimo, può ferire anche creature neutrali. Spesso, ma non sempre, l'energia sacra o sostanze a base di energia sacra (come l'acqua benedetta) danneggiano anche non-morti neutrali e buoni.
Energia sacrilega: energia malvagia solitamente di origine divina (ma non solo), che ostacola o ferisce le creature buone. Solitamente ostacola o ferisce con ancor più forza gli Esterni buoni (celestiali, angeli ecc). Se espressamente specificato ad esempio in un incantesimo, può ferire anche creature neutrali. (L'energia che permea il dungeon di Atorrnash è energia sacrilega).

           

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Capitolo 20
*** 1316 DR: Radici (Parte 6) ***


1316 DR: Radici (Parte 6), ovvero Atto Quinto: sempre più in profondità nella pattumiera dell’Abisso


Il giorno dopo provammo per la terza volta ad addentrarci con successo nei cunicoli sotterranei alla ricerca della città perduta di Atorrnash.
Ormai ci eravamo abituati al modo strano in cui la luce si rifletteva nei cristalli, ma di sicuro non ci aiutava ad orientarci. Per fortuna avevamo Holly, che ha una certa esperienza di esplorazione di dungeon, e aveva tenuto a memoria alcuni punti di riferimento.
Per noi quelle gallerie erano tutte uguali e Yalathanil stava cominciando a dubitare della competenza di Holly (non gli era molto simpatico), ma quando ritrovammo i cadaveri dei necroelementali dovette ammettere anche lui che eravamo sulla strada giusta, o almeno sulla stessa strada del giorno prima.
I necroelementali erano rimasti dove li avevamo lasciati il giorno prima, una cosa senza dubbio rassicurante. Non so se i necroelementali di solito si rigenerino, ma senza accesso al Piano dell’Energia Negativa dubito proprio che si sarebbero rialzati.
“Ci stanno provando.” Mi sussurrò Holly poco dopo, tirandomi da parte con la scusa di andare in avanscoperta insieme. “I necroelementali stanno cercando di rianimarsi risucchiando la mia energia negativa, attraverso questi cristalli che mi tocca calpestare. Non intendo lasciarglielo fare, ma ci stanno provando.”
“Cavoli! Pensi che sia così che si sono animati la prima volta?”
“Che cosa vuoi dire?”
Gli esposi la teoria su cui avevo ragionato quella notte, dopo che io e Holly avevamo avuto quella conversazione prima di dormire.
“Karasel ha detto che la leggendaria città degli elfi scuri si diceva fosse costruita in pietra nera... com'è che ha detto... nera come le anime dei suoi abitanti?”
Holly alzò gli occhi al cielo a quell’espressione inutilmente teatrale. “Sì, e allora?”
“E allora non si è mai parlato di una città di cristallo, e se questi quarzi c’erano sia qui che all'imbocco dell’altra galleria, e anche sotto tutta la foresta, allora il quarzo radice dev'essere nel dungeon che vogliamo esplorare, forse proprio nella città. Non so a che velocità crescano questi cosi, ma non credo che i necroelementali siano stati infettati e uccisi prima che la città fosse sotterrata, e di sicuro è successo dopo che la barriera è stata eretta; altrimenti sarebbero semplicemente scappati.”
“E quindi, se la barriera era già stata eretta, da dove hanno preso l’energia negativa necessaria per tornare come non-morti?” Concluse, afferrando il ragionamento. “Hai ragione, è un’ottima domanda, e in effetti una città che sprofonda ammazzando migliaia di persone in un colpo solo... a logica dovrebbe produrre un dungeon pieno di fantasmi, spettri e altri non-morti.” Holly sembrava intrigato dalle mie deduzioni.
“Eppure non ne abbiamo incontrato neanche uno, per ora.” Conclusi in un sussurro. Non sapevo se gli altri elfi fossero già a portata d’orecchio.
“Se la tua teoria è giusta, non ne incontreremo... o forse ne incontreremo pochi. Quanta energia negativa serve per risvegliare tre enormi elementali, e quanta ne possono produrre spettri e fantasmi di comuni cittadini?”
“Non sappiamo se fossero solo in tre!” Aggiunsi. “Forse stiamo per addentrarci in un labirinto di caverne abitate da necroelementali.”
“Ti preferisco quando sei ottimista, Johel.”
Oh, cielo. Non l’avrei mai detto.

Non incontrammo altri necroelementali, ci trovammo ad affrontare altri pericoli.
Primo fra tutti, il nostro umore sempre più tetro, a causa della continua esposizione all'energia malvagia e anche a causa della lontananza dal sole e dall'aria fresca.
Ci toccò dormire lì, e durante il sonno il Cerchio Magico contro il Male si dissolse (anche se lanciato da Yalathanil, durava comunque solo tre ore). Non so i miei compagni, ma il mio sonno fu tormentato da incubi di fallimento e morte. A giudicare dalle loro espressioni, anche Shanyrria e Yalathanil non dovevano aver dormito bene.
A metà del secondo giorno di cammino, o almeno penso che fosse il secondo giorno visto che avevamo già perso il senso del tempo, fummo attaccati da un demone servo del dolore.
Quella laida creatura probabilmente era calata sulla città come un avvoltoio nel momento in cui Atorrnash era stata distrutta, ma poi il demone era rimasto intrappolato nella barriera e ora era disoccupato da millenni... e non vedeva l’ora di nutrirsi dei nostri rimpianti e dei nostri sentimenti di perdita (sono fiero di dire che in quell'occasione sono stato molto utile in combattimento, mentre Holly al contrario aveva troppe debolezze esposte davanti a un nemico del genere). Lo scontro con un nemico così infido e senza scrupoli, che cercava di vincere facendo leva sulle nostre debolezze psicologiche, mise ancora più alla prova i nostri nervi già stressati.
Non avevamo il coraggio di dirlo ad alta voce, ma camminare in un dungeon labirintico e invaso da energie malvagie non era esattamente cibo per la speranza, e ognuno di noi nel suo cuore sentiva ripetere ogni minuto quella domanda: E se il demone avesse ragione? Se non riuscissimo mai ad uscire? Se fallissimo qui? Se morissimo qui?

Holly cercava di tenerci alto il morale, in un modo tutto suo: rendendosi insopportabile.
Lui ha questa idea che l’odio sia un sentimento abbastanza forte da surclassare la paura, e chissà, forse ha ragione. Non potendo farsi odiare, scelse una linea di condotta che lo portò presto a entrare in competizione con Yalathanil su qualsiasi argomento. Il mago sembrava davvero trovare la forza di andare avanti grazie al fatto che se Holly non si fosse arreso, allora di sicuro non l’avrebbe fatto nemmeno lui, e certamente non per primo. Shanyrria provava un simile sentimento verso il mago, non avrebbe gettato la spugna prima del suo compatriota, forse sarebbe stata una vergogna per lei.

Il terzo giorno non incontrammo nemici e forse questo era anche peggio: non avevamo nulla che ci distraesse dai nostri pensieri cupi e dai dissidi interni al gruppo. Cominciavo a sentire la mancanza dei combattimenti.
Venni accontentato il mattino dopo: stavamo passando sotto un arco che sembrava curiosamente artificiale, quando qualcosa ci scagliò contro una scarica di energia elettrica. Fummo circondati da tre oggetti volanti non identificati a forma di ottaedri, che rilasciavano scariche elettriche come se fossero stati costruiti per difendere qualcuno o qualcosa.
Ci stavamo avvicinando alla città? Era questo che quegli antichi congegni meccanici animati dalla magia stavano proteggendo? L'arco ci era sembrato artificiale, che fosse un esemplare di architettura elfica?
Abbattere quei dannati cosi non fu facile, ma soprattutto perché non si lasciavano colpire. Di nuovo, le mie frecce si rivelarono abbastanza utili, ma ancora di più i dardi incantati di Yalathanil.
Dopo aver distrutto quei tre... costrutti?... ci fermammo ad esaminare meglio la caverna che avevamo raggiunto; in alcuni punti le sue forme sembravano in effetti troppo squadrate, si vedeva chiaramente nonostante tutte le superfici di roccia fossero invase dai cristalli. Se un tempo la stanza (credo fosse una stanza) conteneva oggetti, oramai non ne era rimasto più nulla. In un punto però c’era una cosa molto interessante: una parete che all'epoca doveva essere stata sottile, o forse una porta di pietra, e che era stata completamente convertita in quarzo; il risultato era una sottile parete di cristallo trasparente, che dietro di sé nascondeva alcuni oggetti. Un tempo forse era stato forse un armadio o uno sgabuzzino segreto? Avremmo potuto distruggere in qualche modo la parete di quarzo e scoprire cosa fossero quegli oggetti, ma secondo Holly non emanavano energia malvagia e distruggere i quarzi è qualcosa che porta via molto tempo e fatica, quindi lasciammo perdere.

Nella stanza non c'era nient’altro di interessante, quindi proseguimmo.
Holly andò avanti in esplorazione un altro po’, poi tornò indietro e mi tirò da parte, senza farsi vedere dagli altri.
“Johel, adesso dobbiamo mettere in scena una recita delle nostre. Come sai ho un oggetto che mi permette di cambiare aspetto, è necessario che tu ricordi che sono sempre io, qualsiasi cosa succeda, e che tutto quello che farò è per il meglio.”
Il suo tono era davvero preoccupato stavolta e quindi promisi che non avrei perso la testa e che non mi sarei tradito.
“Che cosa dobbiamo fare? Perché?”
“Non posso dirti perché.” Soffiò, facendo attenzione che gli altri due fossero ancora fuori portata. “Ma ecco cosa devi fare: aspetta che Shanyrria e Yalathanil ti abbiano quasi raggiunto, poi svolta il prossimo angolo, a quel punto chiudi gli occhi e tienili chiusi finché non te lo dico io, hai capito? Johel, farai come ti ho detto?”
“Sì, sì! Farò come hai detto, ma ora calmati, non è la prima volta che mentiamo a qualcuno!”

Holly sparì oltre l’angolo. Come aveva detto lui, attesi che i nostri compagni fossero a pochi passi di distanza, poi mi incamminai nella stessa direzione, verso l’unica uscita della stanza, svoltai l’angolo (era una svolta obbligata a destra) e chiusi gli occhi.
Qualcosa, o meglio qualcuno, mi afferrò rudemente bloccandomi un braccio dietro la schiena, e un coltello venne poggiato contro la mia gola. Potevo sentire il freddo del metallo, il filo della lama, ed era una sensazione terrificante; ma dovevo fidarmi di Holly, dovevo credere che fosse lui.
La voce melodiosa di Shanyrria gridò una parola sola, una parola che spiegava tutto l’orrore che si sentiva nel suo tono: “Drow!
La persona alle mie spalle rise, una risata glaciale e crudele, e la mano che teneva il coltello fece scorrere il piatto della lama sulla mia gola esposta. Quello che speravo fosse Holly rispose in un elfico pesantemente accentato: “Non dovevate venire qui, sciocchi elfi! Troverete la morte in questo luogo, e il vostro sacrificio ridarà forza al grande Ka’Narlist!”
Yalathanil stava già cominciando a lanciare un incantesimo, ma Shanyrria lo fermò: “No! Potresti colpire Johlariel!”
Il drow alle mie spalle rise in segno di scherno. “Io sono resistente alla magia, come tutta la mia razza! Dovrai trovare un altro modo per fermarmi, mago... Pensaci con calma, mentre porto via quest'altro rifiuto.”
Detto questo, cominciò a camminare all'indietro sempre tenendomi bloccato il braccio e con il coltello contro la gola. Io tenni gli occhi chiusi, senza abbandonare la speranza: il mio carceriere non mi stava puntando il filo della lama contro la pelle, come se non volesse rischiare di ferirmi. Credevo ancora che fosse Holly.
Sentii i passi leggeri di Shanyrria avvicinarsi a noi, ma il drow fece il gesto di spingermi il coltello più vicino all'incavo del mento e i passi subito si fermarono. Non so quanto a lungo ci muovemmo camminando all'indietro, ma dopo un po’ percepii un’altra svolta a sinistra e poi, oh siano benedetti gli dèi, il suono più bello del mondo: “Ora puoi riaprire gli occhi.”
Lasciai andare il respiro che avevo trattenuto, e mi accorsi che stavo quasi soffocando per l’ansia ma non me n’ero reso conto.
Di nuovo rumore di passi in avvicinamento, questa volta di corsa. Ebbi appena il tempo di aprire gli occhi e girarmi, per vedere Holly che riprendeva il suo aspetto da mezzelfo dei boschi. Un istante dopo Yalathanil e Shanyrria svoltarono l’angolo, lei pronta al combattimento con la spada sguainata, lui con già un incantesimo pronto sul palmo della mano.
Vedendoci entrambi sani e salvi, si fermarono di colpo, sbalorditi.
“Cosa...? Che fine ha fatto... c’era un drow!” balbettò Shanyrria.
“Lo hai messo in fuga tu?” chiese Yalathanil, rivolto a Holly.
“Una veste lunga con le stelle? Ma eri serio?” domandai invece io. Gli altri due mi guardarono strano, poi guardarono Holly.
“Beh, che c'è? Nella mia mente è così che si vestono i maghi.”
“Giravamo con due maghi e nessuno di loro si è mai sognato di... vabbè, io ci rinuncio.”
Alzai le braccia, vedendo che Holly aveva preso il classico sguardo da secondo te me ne frega davvero qualcosa.
“Eri tu! Hai finto di essere un drow!” Shanyrria si gettò addosso a Holly e gli schiaffeggiò una guancia con forza. Holly accettò la sberla senza replicare, non era abituato a contraddire le donne. “Ce l’hai un’idea dello spavento che ci hai fatto prendere? Hai terrorizzato il povero Johlariel!”
“Lo so e mi dispiace, ma era necessario.” Replicò a bassa voce.
“E come facciamo a sapere che possiamo fidarci di te, e che non ci stai mentendo anche adesso?” s’intromise il mago.
Holly alzò un sopracciglio, scettico. “Uhm... perché se potessi scegliere in quale forma illusoria vivere, non sceglierei mai un mezzo umano?”
Yalathanil provò a ribattere a questo, ma non trovò argomentazioni. Elfi del sole. Bah.
“Pretendo comunque di controllare la tua identità! A meno che tu non abbia qualcosa da nascondere.”
Holly ne aveva di cose da nascondere, ma sfoggiò tutta la tranquillità di un’anima innocente e allargò le braccia per indicare a Yalathanil di procedere pure. L’elfo borbottò una litania e si passò due dita sugli occhi. Quando riaprì le palpebre, le sue iridi brillavano di una luce dorata.
“Uhm... sembra che tu sia davvero un mezzo umano.” Sancì dopo un prolungato esame. “Ma preferirei ripetere il controllo dopo che ti sarai tolto tutti i tuoi oggetti magici.”
Holly acconsentì. Poggiò per terra in un ordinato fagotto le sue armi, l’amuleto di Trappola Fantasma e quello che gli aveva dato Linomer (che di solito teneva in tasca), il mantello, i guanti, si tolse perfino gli stivali, i vestiti (quelli magici) e l'armatura.
“Soddisfatto adesso?” Yalathanil lo osservò ancora per un momento e infine annuì, convinto.
Per fortuna gli unici due oggetti magici di cui Holly aveva davvero bisogno per passare questo test passarono inosservati anche all'occhio del mago; uno era la fascia del camuffamento di Holly, che poteva a sua volta essere camuffata in guisa di altri oggetti e che era diventata una forcina per capelli, e l'altro oggetto era il fermaglio del suo mantello che lo schermava da Visione del Vero, e Holly l’aveva discretamente agganciato all'interno della sua canotta mentre si toglieva il mantello. Entrambi erano incantati per apparire come non-magici ed il potere stesso del fermaglio proteggeva questa illusione di non-magicità da Visione del Vero. Holly si rivestì in fretta, mentre Shanyrria insisteva nell'interrogarlo.
“Perché hai fatto una cosa del genere? Non ti sembra che siamo già abbastanza paranoici e atterriti da questo posto?”
“Mi rendo conto che sia stato disagevole, ma prima di tutto vi volevo vivi.” Rispose Holly, finendo di sistemarsi. “Guarda l’architrave della porta sotto cui siamo passati. Ci sono i quarzi che coprono tutto come al solito, ma il simbolo si vede ancora sotto lo strato di cristallo.”
Tutti e tre ci concentrammo per cercare il simbolo di cui aveva parlato. Sì, forse si intravedeva qualcosa sotto al cristallo.
“E hai anche intenzione di dirci che cos'è?” sbottò Yalathanil, seccato per l’espediente di Holly e anche perché non conosceva quel simbolo.
“Si tratta di una specie di... recinto per cani, in un certo senso. Abbiamo appena attraversato una stanza molto grande, non l’avete vista bene perché era immersa nell'oscurità, ma era enorme e aveva questo simbolo inciso anche all'altro ingresso. Serve a tenere dentro quelle cose e a impedire loro di percepire cosa c’è all'esterno.”
“Quali cose?” Shanyrria si sforzava di vedere cosa ci fosse all'interno, ma in effetti la luce non era sufficiente.
Holly evocò delle piccole luci danzanti e le mandò in giro per la stanza, entro la portata dell’incantesimo, raccomandandoci di restare al di fuori della stanza. Le luci illuminarono delle cose, probabilmente delle creature, ma non assomigliavano a nulla che avessi mai visto e si faceva perfino fatica a capire come fossero fatte. Quando finalmente riuscii a comprendere la loro fisionomia, Holly spostò le luci danzanti e ci mostrò che c’erano decine di quelle cose, forse perfino un centinaio. Erano... grosse, potevano assomigliare vagamente a degli animali, ma era come se parte del loro scheletro fosse all'esterno. Non li saprei davvero descrivere.
“Holly, ma che cosa sono?” sussurrai, in preda all'orrore.
“Si chiamano cerebrilith, sono mostri che provengono da un altro Piano d’esistenza. Hanno poteri psionici e a volte gli Scorticatori Mentali li tengono come bestie da guardia. Ma non sono bestie, sono intelligenti, forti e resistenti, e non amano essere tenuti in schiavitù.” Ci spiegò, passando poi a dipingere le loro qualità combattive. Più ne sentivo parlare, più mi terrorizzavano, non tanto per la loro forza individuale quanto per il loro numero.
“Quando non hanno nulla da fare a volte si quietano cadendo in uno stato catatonico come ora... ma captano le energie mentali. Quando sono così profondamente addormentati, l’unica cosa che li sveglia è un pensiero diretto.” Spiegò Holly.
“Aspetta... quando dici un pensiero diretto, intendi qualcosa come oh mio dio sono circondato da cerebrilith?” Domandò Yalathanil, tanto per chiarire.
“Sì, ma è sufficiente anche oh mio dio, sono circondato da cose, cosa sono queste cose?” Precisò il mio amico. “Insomma, lo sentono se stai pensando a loro.”
Yalathanil rabbrividì senza volerlo. “E tu ci hai fatto camminare in mezzo a queste cose...”
“In una stanza molto buia, dove non le potevate vedere, soprattutto se avevate la mente ben concentrata altrove.” Lo interruppe Holly. “L’odio è il miglior catalizzatore d’attenzione che ci sia.”
Bene, adesso almeno sapevo perché mi aveva fatto chiudere gli occhi. Io non avrei creduto al suo inganno e avrei rischiato di accorgermi di quelle cose addormentate non lontano da noi.
Shanyrria cercò di smettere di rabbrividire, ma senza grande successo. “Senti, non è che io non lo capisca. Se ci avessi detto di loro, non saremmo riusciti a non pensarci, è una cosa troppo istintiva.” Ammise la ragazza. “Però non mi piace il modo in cui ci hai mentito.”
Holly si strinse nelle spalle. “Non avevo scelta.”
“Lo so, ma non mi piace comunque.” Insistette lei, e gli voltò le spalle risentita.
“E allora fai pace con il cervello” sillabò Holly, ma non lo disse. Riuscii a leggere il labiale solo perché ero molto vicino. Meno male che non lo disse, Shanyrria era certamente un’alleata più malleabile di Yalathanil, non potevamo permetterci di indisporla.
“Ma dovremo rifare questa strada quando dovremo uscire...” obiettai, realizzando con orrore quella semplice verità. Il trucco di Holly poteva funzionare una volta sola.
“Usciremo con un teletrasporto.” Tagliò corto Yalathanil. “Era una cosa che avevo già messo in conto. Ma questo ostacolo significa che non potremo più tornare indietro e riprovare, come abbiamo fatto dopo i necroelementali. Da questo momento possiamo andare solo avanti.”
Che gioiosa prospettiva.

           

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Capitolo 21
*** 1316 DR: Radici (Parte 7) ***


1316 DR: Radici (Parte 7), ovvero Atto Sesto: il sangue della progenie oscura


Dopo la gabbia dei cerebrilith non incontrammo altri pericoli immediati, così ci fu il tempo per studiare un po’ l’ambiente intorno a noi.
Il dungeon era sempre composto di grotte naturali probabilmente scavate dall'acqua (trovammo altri fossili racchiusi fra i quarzi), alcuni di questi cunicoli a volte diventavano così stretti che era impossibile passare oltre e ci toccava tornare indietro e cercare un’altra strada.
Non che sapessimo dove stavamo andando, eh. Proprio no. Però muovendoci in una certa direzione i cristalli sembravano diventare più grandi, forse era la strada giusta per avvicinarsi al Quarzo Radice.
Il problema è che quando i cristalli diventavano troppo grandi, ostruivano il passaggio.

Nei giorni seguenti riuscimmo a fare solo qualche progresso, l’ambiente intorno a noi sembrava suggerire che avessimo trovato la città; a volte trovavamo delle stanze, o parti di edifici crollati, che si riconoscevano per le linee più squadrate e meno naturali. L’architettura a suo tempo sarà stata molto bella, ma ora era completamente incomprensibile, anche perché la struttura della città era collassata su sé stessa e a volte trovavamo una stanza dentro un’altra in modo da somigliare casualmente a un soppalco, o una stanza che si interrompeva bruscamente aprendosi su una voragine o una crepa.
Nelle “case” era più facile trovare trappole magiche. Alcune, che forse erano a pressione, non funzionavano più perché il pavimento era ricoperto di quarzi che sostenevano il nostro peso. Altre, quelle che si attivavano cogliendo la prossimità di esseri viventi, ci scaricarono addosso incantesimi antichi e sconosciuti. Io stesso rimasi in forma di topo per una parte del viaggio, al sicuro fra le mani di Holly, finché Yalathanil non trovò il contro-incantesimo.
Ho ricordi confusi di quelle ore, ma ricordo Holly affermare con leggerezza che i topi sono un ottimo cibo per ragni e forse era quello il proposito della trappola. Come facesse a mantenere il morale alto per me era un mistero, visto come solitamente era portato alla depressione da quando era morto, ma probabilmente voleva essere d’esempio oppure provava vera soddisfazione dall'essere impiegato in una missione utile. Noialtri ci sentivamo molto più impantanati nell'atmosfera cupa e desolante del dungeon, e ogni giorno che passava ci sentivamo sempre peggio.

In una stanza trovammo una Succube. Forse a suo tempo era stata la compagna di giochi di qualche mago drow, ma adesso non vedeva un uomo da quasi ventimila anni e arrivò perfino a giurare che avrebbe fatto la brava se le avessimo dato soddisfazione.
Nemmeno io sono pazzo fino a questo punto. Yalathanil la confinò dentro a un Cerchio Magico contro il Male e passammo oltre.

Fu molto più difficile quando trovammo un'elfa dei boschi. Ovviamente non poteva esserci un'elfa dei boschi di nome Yselde dentro un dungeon sigillato da millenni, ma lei sembrava così innocente e indifesa, con quegli occhi grandi e spaventati... finché Yalathanil non si lanciò nuovamente Visione del Vero, e sopraffatto dall'orrore e dal disgusto per quell'inganno scaricò sulla creatura un incantesimo così devastante che la uccise sul colpo, nonostante fosse un demone resistente agli incantesimi. Quando riprese la sua forma nella morte, riuscii a vederla come la vedeva lui: non una fanciulla elfa, ma un mostro mangiatore di cadaveri simile a un ghoul, con lunghi denti giallastri e grandi artigli. Potevo capire perché Yalathanil si fosse arrabbiato così tanto, probabilmente i suoi nervi erano giunti al punto di rottura e vedere una creatura immonda imitare le movenze e la vita di un’elfa innocente l’aveva portato oltre il limite del suo autocontrollo. L’utilizzo di tanta energia magica però aveva stancato il nostro compagno, quindi cercammo un posto difendibile dove riposare.
Yalathanil aveva ancora Visione del Vero negli occhi, e ne approfittò per assicurarsi che intorno a noi non ci fossero nemici invisibili o eterei. Questa verifica richiedeva una certa concentrazione, ma dopo qualche secondo lo vedemmo sussultare e fermarsi di colpo.
“Cosa? Che cosa vedi?”
La voce del mago uscì in un sussurro. “Siamo circondati da fantasmi. Sono sul Piano Etereo, e ci stanno guardando.”
Impiegammo qualche secondo a riprenderci dallo shock.
“Come?” balbettò Shanyrria, portando la mano alla spada e guardandosi intorno come se si aspettasse di poterli vedere.
“Sono ostili?” Chiese Holly nello stesso momento. “Li puoi descrivere?”
Yalathanil esitò per un lungo momento.
“Non sembrano ostili. Ci osservano.” Il mago si lanciò in una descrizione minuziosa, da studioso. “La maggior parte di loro appaiono come elfi scuri... molto simili ai drow, ma la loro pelle è scura e non completamente nera. Sono vestiti riccamente, dovevano essere i padroni della città. Altri invece sono elfi dalla pelle più chiara. Non so dire se fossero schiavi o servi. La cosa strana è che nessuno di loro porta i segni della morte, mi aspetterei che un fantasma mostrasse attraverso il suo aspetto il modo in cui è deceduto.”
“Non necessariamente.” Intervenne Holly. “I fantasmi possono imparare a controllare il loro aspetto in certa misura, per assomigliare a com'erano in vita.”
Yalathanil archiviò quell'informazione ma non fece commenti.
“Si sono accorti che li vedo. Credo che stiano cercando di comunicare. Stanno tutti puntando il dito verso la stessa direzione.”
“Solo io lo trovo profondamente inquietante?” mormorò Shanyrria, atterrita.
“Sarà una trappola?” domandai, condividendo la preoccupazione della guerriera.
“Per quello che vale, anche gli elfi chiari stanno indicando dalla stessa parte.” Disse in tono dubbioso. “Ma ci sarà da fidarsi? Potrebbero essere sotto il controllo mentale degli elfi scuri.”
“Oh, non lo so. Sai quanto è difficile controllare la mente di un non-morto.” Obiettò Holly.
“Sai davvero un sacco di cose sui non-morti!” Incalzò Yalathanil, irritato dai continui interventi del mio amico.
“Un giorno se vuoi ti racconterò la storia della mia vita, ma non mi sembra il momento. Allora, seguiamo le indicazioni dei fantasmi oppure no? Sei tu a capo della spedizione, quindi la decisione è tua.”
Yalathanil si fermò a riflettere un momento, ma non voleva apparire debole ai nostri occhi. La decisione andava presa in fretta.
“C'è la possibilità che sia una trappola, ma noi siamo stanchi e io non ho più incantesimi potenti in repertorio. Dobbiamo riposare, prima di addentrarci in luoghi perfino più pericolosi di questo.”

Dormire con la consapevolezza che un'orda di fantasmi ci stava osservando fu una delle cose più difficili della mia vita. Holly si era offerto di farci da guardia mentre dormivamo, ma Shanyrria si era opposta a lasciar fare tutto a lui. “Avrai bisogno di riposare anche tu!” aveva obiettato, “Sarebbe la seconda notte che fai tu da guardia, prima o poi cadrai esausto.”
Per tutta risposta Holly si tolse uno dei suoi guanti e le afferrò una mano. Shanyrria sussultò.
“Sei freddo!”
“Perché sono morto.” Rispose lui pacatamente. “Non ho bisogno di dormire.”
Questo calamitò subito l’attenzione dei due elfi.
“Sei cosa?” Yalathanil quasi gridò.
“Sono un fantasma.” Holly mantenne un tono colloquiale, mentre io imprecavo mentalmente.
“Ma sei solido!”
Holly sospirò preparandosi a fronteggiare i sospetti dei due. “Possiedo un oggetto magico che rende solide le creature incorporee. Non mi fa apparire vivo, per quello devo basarmi sulla recitazione e su un po’ di semplice cosmesi.”
“E ci stai dicendo tutto questo solo ora perché...?” inquisì Yalathanil.
“Perché no? Siete miei alleati ed è giusto che smettiate di preoccuparvi di cose come il mio sonno. È anche giusto che sappiate che all'occorrenza posso fare cose come passare indenne nel veleno, resistere all'influenza mentale o camminare attraverso le pareti sottili, anche se non ho nessuna voglia di attraversare questi cristalli contaminati da energia sacrilega. La sola idea mi fa ribrezzo.”
“E perché mai? Non sei anche tu una creatura del male?” chiese Shanyrria, guardandolo con una smorfia di disgusto.
“I fantasmi non sono necessariamente malvagi.” Inaspettatamente, l’aiuto arrivò da Yalathanil. “Sono solo legati in modo malsano alla loro esistenza mortale. Perché non sei in pace, Holly? E in che modo sei stato coinvolto in questa missione?”
Holly sorrise tristemente.
“Sei davvero intelligente, mago. Forse è il momento di raccontare un pezzetto della mia vita. Ero un Ruathar, un amico degli elfi consacrato tale dal clan di Johlariel.” Gli sguardi dei due si spostarono su di me, ma solo brevemente. Io annuii per dare credito alla storia. “Sono morto per non essere riuscito a proteggere un villaggio di elfi da dei saccheggiatori drow, e il peso della mia incompetenza grava sulle mie spalle, impedendomi di meritare il riposo dei giusti.” Il tono con cui raccontò della sua morte non lasciava dubbi sul senso di colpa che ancora provava per l’accaduto.
“Quindi questa missione sembra proprio calzare a pennello, immagino. Impedire il possibile ritorno di un antico mago drow...” ragionò l’elfo del sole.
“Non riporterà indietro gli elfi che sono morti per la mia negligenza, ma potrebbe prevenire la distruzione di innumerevoli altre vite innocenti.” Concluse il mio amico, allargando le braccia. “Nulla può porre rimedio alla mia colpa, posso solo sperare che recuperare l’onore sia sufficiente a concedermi il riposo e a farmi riconciliare con la mia coscienza.”
I due elfi rimasero in silenzio per un lungo momento, ciascuno immerso nelle proprie riflessioni.
“Finalmente capisco le tue motivazioni.” Mormorò l'elfa della luna. “Non mi capacitavo del fatto che un mezzo umano fosse così infervorato per questa missione. Ora pensò che potrei fidarmi di te più di prima.” Decretò infine.
Holly annuì, nei suoi occhi si poteva leggere qualcosa di simile alla gratitudine. “So di non essere una persona simpatica. Ho le mie ragioni per non esserlo. Ma combatterò al vostro fianco finché la questione non sarà risolta oppure fino alla mia distruzione, se così vorrà il destino.”
“Se sei anche tu un fantasma, forse potresti parlare con quelle creature.” Azzardò Yalathanil. “Anche se mi sembra strano che se ne stiano sul Piano Etereo.”
“Penso che avrò bisogno della tua supervisione in questo compito.” Concesse generosamente Holly, anche perché non voleva dare l’impressione di fare le cose alle spalle del mago.
Ovviamente avrebbe comunque fatto un sacco di cose alle spalle del mago...

Dopo alcune ore di riposo, tranquilli che il nostro compagno ci avrebbe protetti da ogni pericolo o avrebbe almeno dato l’allarme, ci svegliammo dal nostro sonno e cominciammo a prepararci per la giornata. Sempre che fosse giorno. Chi lo sapeva più, ormai.
Yalathanil alternò le ore successive fra riposo e preparazione degli incantesimi, mentre io e Shanyrria rimanevamo con lui per la sua protezione e Holly si avventurava ad esplorare l'area immediatamente intorno a noi, senza spingersi troppo lontano.
Di solito tornava ogni quarto d’ora circa, ma una volta rimase via quasi mezz’ora. Stavo per andare a cercarlo quando sbucò fuori da un corridoio laterale, con un’espressione scioccata e un sottile libro fra le mani.
“Che cosa hai trovato?” Domandai, incuriosito sia dall'oggetto che dalla sua apparente reazione allo stesso. “Quel libro era qui nel dungeon? Sembra conservato troppo bene...”
“Era in una Borsa della Conservazione.” Mugugnò, in tono vago. “Nascosto fra le pagine di un grosso tomo sul culto di Lolth e la sua esaltazione. Questo è... un diario, credo. Il diario di una persona che sembrava avere due menti, o forse due anime.”
“Che cosa vuoi dire?” domandò Yalathanil con interesse, avvicinandosi.
Holly si sedette, aprì il diario con immensa cura e cominciò a leggere la prima pagina.


“Primo giorno del primo mese, Anno 7890 del regno del grande arcimago Ka’Narlist, Primo del suo nome, Grande Padre della progenie oscura.
Io, Nenshalee Yril’Lysaer, primogenita del nobile casato Yril’Lysaer, fra pochi giorni riceverò l’investitura di novizia e verrò ammessa alla comprensione dei misteri della somma signora degli ilythiiri, la nostra Madre Oscura, la Regina Ragno. Sono grata di poter essere uno strumento nelle Sue mani divine. Il mio sangue è il sangue della progenie oscura e non deluderò i miei onorevoli antenati. Non temo la cerimonia che verrà, poiché Lady Lolth già sussurra nella mia mente le sue benedizioni. Mia madre dice che sono precoce, che sono molte generazioni che una fanciulla non riceveva la chiamata prima dei quindici anni. So che sarò all'altezza delle aspettative di mia madre.”



Mi accorsi che stavo tremando, ma per mia consolazione anche gli altri due elfi sembravano sconvolti. Quindici anni? Era una bambina!
L'espressione di Holly era solo incredibilmente triste. “Le prossime pagine sono solo vaneggiamenti e inni alla sua demoniaca padrona. Ma poi c’è questo.” Saltò avanti di alcune pagine.


“Dodicesimo giorno del terzo mese, Anno 7910
Non tutte le mie compagne all'Accademia hanno il dono del sangue della progenie oscura, alcune di loro sono lente nell'afferrare il vero significato dei Misteri anche se sono molto più vecchie di me. Mi odiano, ma so che è invidia, perché la somma Regina Ragno sussurra nella mia mente e non nella loro. I miei incantesimi riescono meglio dei loro e la mia carriera si prospetta rapida e fruttuosa.
Tuttavia c'è qualcosa che mi turba. Alcune non riescono ad afferrare i Misteri non per stupidità, ma perché nel loro cuore si annida il dubbio. Nizana, la mia unica amica, mi ha confidato le sue perplessità.
Una mossa molto stupida. La mia mente è un libro aperto per Lady Lolth e ora la Dea vuole la morte di Nizana. Avverrà per mano mia, lo so, la Regina Ragno me l’ha comandato e io desidero con tutto il cuore obbedirle. Ma talvolta sento che una parte del mio cuore invece si ribella. Non posso certamente tenere a Nizana più di quanto io ami la mia Regina, ma... l’idea di ucciderla a volte mi esalta, a volte mi disturba. Non so perché. E intanto mi interrogo sul perché lei abbia questi suoi dubbi; sono un errore della sua mente inferiore oppure è a me che viene impedito di vedere qualcosa? E ne vale poi la pena, quando ho la grandezza della mia Dea che mi riempie il cuore e l’anima?”



Holly girò ancora qualche pagina. “Le pagine seguenti sono un’alternanza di Adoro e venero la mia grandissima Dea e dubbi e frasi disperate come Vorrei che mi fosse stato consentito avere un pensiero solo mio, almeno una volta. Sembrano le parole di una pazza, o di una persona soggetta a una maledizione... la maledizione di essere un burattino nelle mani di una dea.” Sfogliò ancora qualche pagina. “Ecco, qui c’è qualcosa di interessante.”


“Sesto giorno del decimo mese, anno 7990
La mia bambina sta cominciando ad avere le sue prime visioni e la Dea già le sussurra all'orecchio. Ha soltanto sei anni e il mio cuore è gonfio di dolore. Non provavo un dolore simile da quando trent'anni fa ho dovuto sacrificare a Lady Lolth il mio servo Armen, per i pensieri peccaminosi che il mio amore per lui aveva suscitato. Una relazione con un elfo chiaro è proibita, mi sarebbe stato consentito di usarlo come giocattolo ma niente di più. Quel che è peggio, so che non mi amava. Ho commissionato l’omicidio di tutta la sua famiglia perché fosse solo mio, ma anche se non l’ha mai scoperto, lui non mi amava. E io sono una sacerdotessa di Lolth! Avrebbe dovuto essere onorato del mio interessamento!
In quel frangente ho agito come i nostri costumi prevedono, e come Lolth stessa mi sussurrava all'orecchio, ma far morire la sua moglie elfa non lo ha reso mio. I miei filtri d’amore hanno solo simulato quel nobile sentimento che io invece provavo davvero per lui.
Non avrei dovuto indulgere in un simile sentimento, non avrei mai dovuto chiedermi se un nostro eventuale figlio avrebbe potuto essere meno imprigionato dai legami del sangue della progenie oscura.
Ovviamente il sangue diluito ha meno potenza! Avrei dovuto capire che Lady Lolth si sarebbe adirata.
Ma ora che il mio amore è morto, chi pagherà per i miei pensieri eretici se non io? Sono stata una bambina prodigio, chiamata ai misteri sacerdotali prima di molte altre, ma la mia carriera non è stata brillante come avevo sperato. Troppi ostacoli sul mio percorso, troppe volte i miei piedi sono scivolati sul sangue delle persone che amavo e che ho dovuto uccidere. Ora il mio cuore è pesante perché so che mia figlia sta già ricevendo la preparazione speciale di Lady Lolth, perché possa sostituirmi. L’influenza della Dea su una mente così giovane la sta già rendendo più spietata di quanto io non sia mai stata.”



Senza fare commenti, Holly saltò alle ultime pagine.


“La terra ha tremato all'improvviso e la città, che credevamo solida come la pietra in cui è fatta, è crollata miseramente nella voragine che si è aperta. Il tempio di Lolth, in cui mi trovavo al momento del crollo, è parzialmente sopravvissuto alla caduta ed è rimasto sigillato dai detriti che hanno creato in questo spazio una bolla d’aria. Molte delle sacerdotesse sono rimaste intrappolate sotto le macerie e sono morte comunque.
Prego la Dea che mia figlia sia al sicuro, nelle foreste fuori dalla città. Mai avrei pensato che le regioni più esterne del regno potessero essere più sicure della Capitale, e mai avrei pensato che qualcosa di buono sarebbe potuto venire dal suo viaggio nelle provincie.
Non so che cosa ne sia stato dell'Arcimago, il mio onorato avo. Dopo ottomila anni di regno in cui è stato il nostro baluardo e punto fermo, sembra sparito nel nulla.
Non so cosa sarà di quelli di noi che sono temporaneamente sopravvissuti.
La scossa di terremoto mi ha fatta cadere e sbattere la testa, quando mi sono risvegliata mi trovavo in piedi, io e le mie compagne sacerdotesse formavamo un cerchio. Non ricordo di essermi alzata e messa in posizione, non ricordo di aver cominciato una formula magica, ma non ero io a parlare comunque. Io ero solo una spettatrice, Lady Lolth stava usando il mio corpo come aveva fatto molte altre volte. Tutte le mie sorelle sacerdotesse non erano che fantasmi, erano morte nel crollo e le loro forme incorporee innalzavano le loro voci spettrali alla volta distrutta del tempio. Non avevano più l’aspetto che avevano avuto in vita, tutte loro erano identiche, di una bellezza annichilente; erano possedute dalla Dea.
Di norma non sarebbe possibile possedere una creatura incorporea, ma il legame che ha la nostra progenitrice con noi sacerdotesse della sua linea di sangue è talmente forte che può prendere il controllo di noi sempre e comunque. La mia convinzione è che quanto più spesso e di frequente ci possiede, tanto più una piccola parte di Lei rimanga dentro di noi, come una scintilla di potere divino. Questa scintilla che rimane ancorata alla nostra anima, insieme alla grande familiarità nei nostri confronti, ha permesso alla Dea di prendere possesso delle anime delle mie compagne, e per un fantasma anima e corpo sono la medesima cosa.
Ho officiato il rituale insieme a sette sacerdotesse che erano a tutti gli effetti degli avatar della Regina Ragno. Io non avevo alcun controllo sul mio corpo e sulla mia voce, ma la comunione con la Dea era tale che riuscivo a leggere le sue intenzioni come un libro aperto. Stava sigillando l’intera città.
Non sapeva se Ka’Narlist fosse vivo o morto, ma non voleva rischiare di averlo di nuovo in circolazione, così ci stava condannando tutti a una prigionia eterna e a morte certa.
Quando la nostra cantilena fu terminata, potevo sentire fisicamente che una enorme barriera stava crescendo intorno alla città. Lady Lolth ha subito ritirato la sua coscienza da me e dalle sacerdotesse fantasma prima di rimanere bloccata nella sua stessa trappola, ma le loro essenze erano state completamente consumate da quella possessione; sono rimasta solo io.
Io, nella sala principale del suo sacro tempio, accasciata sull'altare semidistrutto, forse l’unica persona ancora viva in città. Viva, ancora per poco. Ma per la prima volta, la mia mente era completamente libera dalla sua influenza.
Da questo momento non avrò più bisogno di un diario, perché non ho più bisogno di fare chiarezza nella mia mente. Né avrei tempo per scriverlo comunque. Devo cercare un modo per sopravvivere a questo disastro, e senza l’aiuto di Lolth, maledetto sia il suo nome.”



Holly chiuse il diario. Non era l’ultima pagina, ma era l’ultima pagina scritta. Se l’autrice fosse davvero sopravvissuta, non lo sapevamo, ma la lettura di quelle memorie ci aveva lasciati di sasso.
Lolth era stata la prima a creare la barriera contenitiva intorno alla città? Ora erano dei maghi buoni a tramandarsi quel compito, ma cosa poteva esserci di così terribile in quella città da far preoccupare perfino una dea? Era davvero così devastante la prospettiva che Ka’Narlist potesse tornare a piede libero?

           

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Capitolo 22
*** 1316 DR: Radici (Parte 8) ***


1316 DR: Radici (Parte 8), ovvero Atto Settimo: la regina della città fantasma


“Questo diario dovrebbe essere portato a Evermeet e studiato.” Propose Yalathanil, quando Holly ebbe finito di leggere. “Se sono esistiti elfi scuri dai poteri così immensi, o meglio che potevano veicolare direttamente il potere della loro divinità senza esserne distrutti, dobbiamo studiare il caso e cercare di capire se esistano ancora discendenti di quella stirpe.”
“Sono passati quasi diciannovemila anni dalla distruzione di Atorrnash,” obiettò Holly “se qualcuno di quella stirpe è sopravvissuto al disastro non credi che ormai il sangue sarà un pochino annacquato?”
“Non sappiamo quanti ne siano sopravvissuti. E se fossero riusciti a tramandarsi il potere e ora nascondessero questa loro forza in qualche città sotterranea?”
Holly sospirò esasperato, ma mi infilai nel discorso prima che potesse aprire bocca e dire qualcosa di troppo sarcastico.
“Hanno avuto diciannovemila anni per sferrare il loro attacco. Non hanno nemmeno vinto le Guerre della Corona. Se avessero avuto ancora tutto questo potere, avrebbero dovuto usarlo prima. Prima che il sangue si diluisse. In un qualsiasi momento della Storia fra la caduta di Atorrnash e ora.” Dedussi, cercando di riportare Yalathanil alla ragionevolezza.
Yalathanil mugugnò, poco convinto, ma Shanyrria gli posò una mano sul braccio e gli parlò con pacatezza. “Non hanno tutti i torti, devi riconoscerlo. Studiare l’argomento potrebbe essere utile, ma non mi sembra una necessità dettata dall'emergenza.”
“Desidero comunque che mi affidi quel diario.” Insistette in tono freddo, allungando una mano verso Holly.
Non senza una certa reticenza, Holly si avvicinò e gli porse il diario con cura, come se gli porgesse un neonato. Yalathanil allungò una mano, ma appena i suoi polpastrelli sfiorarono l'aria intorno al diario ritrasse la mano come se avesse toccato il fuoco.
“Questo oggetto è protetto da una magia potentissima! Non posso toccarlo.”
Holly lo guardò con perplessità, e così anche Shanyrria.
“In che senso? Che cosa accadrebbe se lo toccassi?”
Yalathanil agitò le dita vicino alla copertina del diario, come per saggiare l’aria.
“Non lo so. Non posso proprio toccarlo. Se ci provo, le mie mani si fermano. Sembra un riflesso involontario, come muovere la gamba quando si viene colpiti al ginocchio.”
“Forse per questo io posso toccarlo.” Commentò Holly, soppesando il diario. “Non ho riflessi involontari e non subisco gli inganni della mente.”
“Bene, vorrà dire che ricopieremo il contenuto del diario. Forse non sarò in grado di replicare gli incantesimi di cui è impregnato, e se c’è un testo nascosto ci vorrebbe troppo tempo per farlo salire a galla, ma le informazioni esplicite che contiene sono già molto su cui lavorare. Aprilo.”
Holly lo aprì per mostrare le pagine al mago.
“Uhm, bene, perlomeno è leggibile. E la lingua elfica in cui è scritto è un po’ arcaica ma comprensibile.”
“Intendi ricopiarlo ora?”
“Sì. Non sappiamo cosa accadrà nel nostro futuro e forse non ne avrò un’altra occasione. C’è un incantesimo che mi permette di copiare testi non magici, in questo modo se si tratta di uno scritto illusorio l’incantesimo non copierà nulla e, perlomeno, sapremo che il testo è magico.” Detto ciò, estrasse dallo zaino un libro bianco e un pennino, ma non l’inchiostro.
Si sedette a terra chiedendo a Holly di mettersi al suo fianco. Aprì il libro bianco sulle ginocchia e, cantilenando, cominciò a passare il pennino sopra alle pagine scritte del diario, ma non a contatto con i fogli. Man mano che il pennino scorreva verso il basso, un testo identico a quello del diario appariva sul libro vuoto del mago, le parole erano scritte perfino nella stessa calligrafia.
Il diario non era molto corposo, saranno state duecento pagine, e in poco più di dieci minuti Yalathanil aveva finito.
L’incantesimo non era pensato per copiare illustrazioni o lettere miniate, ma per fortuna nel diario non c’era nulla di tutto ciò. E anche le pagine scritte a quanto pare non nascondevano altri significati celati con la magia, perché il testo venne trascritto integralmente senza problemi.
“Bene, molto bene. L’incantesimo di protezione a quanto pare serviva solo a proteggere i pensieri privati della donna che ha scritto il diario... sempre che non ci sia altro, ad esempio incantesimi nascosti nella copertina o nella rilegatura, o testi celati nelle pagine bianche. Purtroppo non ho il tempo di controllare anche questo, adesso, e non ho preparato gli incantesimi adatti.”
Holly chiuse il diario e lo strinse in modo leggermente possessivo. Yalathanil si alzò con un sospiro e ripose nel suo zaino il libro su cui aveva trascritto le memorie dell'elfa scura vissuta all'epoca del crollo.
“Ora intendi seguire l’indicazione dei fantasmi?” Chiese Shanyrria, a bassa voce.
Continuava a non sembrarci un’idea fantastica, ma stavamo procedendo senza saper bene dove andare, quindi non potevamo ignorare quell'indizio, ovunque potesse condurci.

Il nostro mago ci guidò seguendo le indicazioni degli spiriti, neanche fosse stato uno sciamano. Non fu facile trovare la strada, perché loro sul Piano Etereo non avevano le nostre stesse barriere, e se anche indicavano una direzione chiara e semplice per noi voleva dire dover cercare un cunicolo che arrivasse dove loro volevano condurci. Camminammo per quasi tutto il giorno, intralciati dal terreno sconnesso, dalle trappole magiche e in una caverna più grande anche da una banda di cinque creature grandi quanto dei troll ma fatte di aria, a forma di piccoli tornado. All'inizio pensavo fossero Elementali dell'aria, ma secondo Holly avevano un'aura malvagia. Non c’era motivo per cui fossero anche loro Necroelementali, a meno che qualche altra creatura più potente di loro non li avesse uccisi... ma qualunque cosa fossero, le armi magiche furono più che sufficienti a disfarci di loro, e le armi sacre funzionavano ancora meglio.

Impiegammo ore a raggiungere il luogo che i fantasmi volevano indicarci. Visti gli ostacoli sul cammino, ormai stavamo sospettando che volessero solo condurci alla morte facendoci cadere nelle trappole, ma alla fine invece arrivammo davvero a destinazione. Non sapevamo ancora cosa avremmo trovato, però.
Eravamo di fronte a una maestosa porta di ferro. Holly controllò, ma non trovò trappole. Un tempo doveva essere legata dai cardini alle pareti di pietra, ma i cristalli avevano inglobato i cardini e la porta risultava bloccata. Yalathanil usò un incantesimo che emanava un piccolo cono di ghiaccio per indebolire i cristalli, poi li distruggemmo a colpi di spada, quel tanto che bastava per permettere alla porta di aprirsi.
Stavamo per entrare, ma Yalathanil ci fermò stendendo un braccio. “Uno dei fantasmi sta indicando la tua scarsella, Holly” ci informò, in tono dubbioso. “Che cosa tieni lì dentro?”
Holly aprì la borsa incriminata e mostrò il contenuto: un piccolo kit di arnesi da scasso, un sacchettino di monete e il diario di Nenshalee Yril’Lysaer.
“Indica proprio il diario” specificò il mago “e poi indica la porta. Ripete queste due azioni di continuo.”
“Forse... forse dietro questa porta c’è una libreria?” azzardò Holly.
“Scopriamolo!” temerariamente Shanyrria si fece avanti e afferrò uno dei battenti, tirando la porta verso di sé.
La porta si mosse forse di mezzo pollice, ma qualcosa la bloccava. Shanyrria guardò a terra; i quarzi. Avevamo eliminato quelli sui cardini, ma anche i cristalli che crescevano dal terreno impedivano alla porta di aprirsi.
“Posso dire che sono proprio stufa marcia di questi maledettissimi cosi?” sbottò l'elfa, esasperata.
Non sono mai stato più d’accordo con qualcuno, ma lamentarsi non serviva. Con un sospiro, ci preparammo a ripetere il tedioso lavoro.

Finalmente riuscimmo ad aprire la porta quel tanto che bastava per sgusciare all'interno. Ci trovammo in una sala molto grande, parzialmente crollata. In alcuni punti il soffitto mancava, rivelando altri spazi aperti al piano superiore. La cosa strana è che le macerie del soffitto crollato non erano dove avrebbero dovuto essere, ma qualcuno o qualcosa le aveva ammucchiate ai lati della stanza.

Esplorammo la grande sala ma non c'era nulla; c’erano però aperture per altre stanze (alcune completamente crollate, bloccate dai detriti, altre ancora abbastanza agibili). Se un tempo c’erano state delle porte, dovevano essere state di legno perché ormai non ne rimaneva nulla.
Sembra che siamo entrati in un grande complesso. Da che parte dovremmo andare?” si domandò Holly, guardandosi intorno rapito.
“I fantasmi indicano di proseguire dritti. Visto che li abbiamo seguiti finora, non ha senso smettere adesso.”
Seguimmo Yalathanil e le sue indicazioni. La porta davanti a noi era un’apertura mezza crollata, ma oltre un piccolo corridoio da claustrofobia si apriva un’altra stanza, ancora più grande di quella d’ingresso. Questa era davvero enorme, chiaramente fatta per contenere decine o anche centinaia di persone. In fondo, su una pedana di pietra rialzata (ormai così coperta dai cristalli che i gradini erano diventati inagibili) c’era un grosso opulente trono. Era anch’esso coperto dai quarzi, ma era come se qualcuno li avesse limati o rimossi ciclicamente perché era solo una leggera patina bianca.

Sul trono c'era una fanciulla.
Un'elfa scura, questa volta. Se si trattava nuovamente di un demone, aveva scelto l’aspetto sbagliato per intenerire un gruppo di avventurieri elfi.
La ragazza, o qualunque cosa fosse, se ne stava spaparanzata in una posizione che avrebbe fatto invidia a un gatto: la schiena sul sedile del trono, le gambe incrociate contro lo schienale, la testa ciondolava nel vuoto dove di norma avrebbero dovuto esserci le gambe, le braccia erano spalancate sul sedile e raggiungevano i braccioli. Una cascata di capelli biondo platino scendeva fino al pavimento, ma alla ragazza non sembrava importare.
A prima vista sembrava addormentata, ma non poteva essere.
Sembrava anche molto attraente, nonostante la pelle scura... ma anche questa probabilmente era un'illusione.

La ragazza spalancò gli occhi di colpo. Aveva degli occhi pazzeschi, di un azzurro ghiaccio così chiaro da sembrare bianco. Ci fissò per alcuni secondi da quella sua strana posizione, senza fare una piega, poi si decise a tirarsi su. Sollevò il busto e si girò in modo da sedersi sul trono in modo normale, ma i suoi movimenti erano rigidi, come se non si ricordasse più come si fa a muoversi.
Aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono. Diede un paio di piccoli colpi di tosse, come per testare che la sua gola funzionasse a dovere, poi ci parlò con una voce sorprendentemente chiara.
“Avete risvegliato la regina della polvere. Dichiarate il vostro intento, stranieri.”
Regina della polvere non era un titolo molto poetico, ma per una volta la mia mente era lontana mille miglia dal fare considerazioni simili.
Dopo qualche secondo di silenzio tombale, Holly diede discretamente di gomito a Yalathanil.
L’elfo del sole recuperò il suo solito portamento nobile e altezzoso e si fece avanti.
“Le nostre scuse, Maestà. Non avevamo previsto di trovare qualcuno ancora in vita.”
“E avevate ragione.” Rispose l'elfa scura, in tono quasi annoiato. “Questo però non risponde alla mia domanda.”
Va bene, ce lo aspettavamo, ma averne la conferma fu comunque terrificante.
Seguì altro silenzio. Questa volta Holly prese la parola, esasperato dalla titubanza di Yalathanil.
“Perdona il nostro silenzio, Maestà, siamo intimiditi dalla tua presenza.” Cominciò, chinando il busto in un inchino. “Siamo qui per risolvere un problema di contaminazione che procede da questo dungeon verso l’esterno.”
“Menzogne!” Scattò lei, alzandosi in piedi. “Questa città è racchiusa in una barriera, non c’è verso che qualcosa da qui possa arrivare all'esterno. Siete qui perché volete rubare i miei segreti e la mia magia!”
Yalathanil fece un passo indietro e Shanyrria poggiò una mano sull'elsa della spada.
“Non ci interessa la magia malvagia e corrotta del tuo popolo!” Scattò l’elfo del sole, indignato. “Il nostro compagno ha detto il vero. I cristalli che hanno proliferato in questo dungeon si sono spinti fin oltre la barriera magica, e parte dell’energia sacrilega di questo luogo è fluita fino all'esterno, veicolata dai quarzi rampicanti.”
“E siete venuti fin qui per distruggere la fonte dell’energia sacrilega?” Dedusse, ma in tono derisorio. Evidentemente vedeva sé stessa come la fonte dei nostri problemi. E altrettanto ovviamente trovava ridicola l’idea che potessimo distruggerla. Yalathanil colse l’implicita minaccia e fece quell'espressione che fa sempre quando si prepara alla battaglia...
“Distruggere i cristalli probabilmente sarà sufficiente.” Intervenne Holly, in tono pacato. Solo in quel momento notai che non aveva mai raddrizzato il busto dopo il suo inchino, e aveva ancora gli occhi a terra. “Fintanto che la barriera separerà la città dalla Superficie, non sarà necessario darsi battaglia.”
“La barriera deve restare dov'è.” Affermò l'elfa scura, con una convinzione che ci prese alla sprovvista. Solitamente un prigioniero tende a voler uscire... invece lei no? Perché?
“Su questo siamo perfettamente d’accordo.” Yalathanil riprese la parola. “Siamo qui per distruggere il Quarzo Radice che ha causato il dilagare di questa piaga minerale, in questo modo cesserà di espandersi. Per quanto riguarda i cristalli che già sono cresciuti spingendosi oltre la barriera, essi si trovano anche dentro la roccia, sarà difficile disfarsene. Per questo siamo venuti anche a indagare sulla causa di queste emanazioni malvagie, ma pensavamo... avevamo sentito dire che forse l’antico arcimago Ka’Narlist era riuscito a sopravvivere infondendo la sua anima dentro a una perla magica.”
La donna mostrò una certa sorpresa davanti a questa ipotesi, ma inizialmente non rispose. Il fatto che non avesse obiettato lasciava intendere che potesse essere vero.
“Ka’Narlist si trovava nella sua torre, in questo castello, quando il terremoto ha squarciato la penisola e distrutto la nostra splendida capitale. La torre è crollata, ma la stanza dell'arcimago è ancora raggiungibile, se si sa da dove passare. Tuttavia, la prima volta che mi ci sono avventurata, appena mi sono affacciata alla porta una strana energia senziente ha cercato di possedere il mio corpo. Per fortuna ero abituata a un ben altro genere di possessioni e sono riuscita a resistere a quell'assalto mentale, anche se a fatica. Da allora non ho più avuto alcun desiderio di tornare in quella stanza.”
“Allora dopo aver distrutto il Quarzo Radice è in quella stanza che dovremo recarci a controllare... con il tuo permesso.” Holly era stranamente diplomatico, per uno che una volta ha mandato all'inferno due draghi.

La donna restò in silenzio per un lungo momento, a riflettere. Una ciocca di lunghi capelli biondi le era scivolata davanti al viso, avrebbe dovuto oscillare seguendo il suo respiro ma non lo faceva. Avevo passato abbastanza tempo con Holly da riconoscere un non-morto da questi dettagli, anche quando aveva l’aspetto di un vivo.
“Avrete libertà d’azione all'interno del mio regno.” Decretò infine. “Ma a tre condizioni. Primo, non farete nulla che possa compromettere la barriera. Secondo, non ruberete nulla che mi appartenga, e con questo s’intende che restituirete il diario che avete preso. Terzo... il vostro compagno così beneducato rimarrà qui a parlare con me.” Così dicendo, spostò lo sguardo su Holly. “Confido che non abbiate bisogno di lui per abbattere un pezzo di roccia.”
Noi tre elfi ci guardammo l'un l'altro con stupore. Holly? Che poteva volere da lui?
Cercai lo sguardo di Holly, che finalmente si era rialzato, e nei miei occhi colse la mia muta domanda. Annuì.
“Maestà, prima di andare per la nostra missione ho due perplessità da esporre.” Yalathanil si fece avanti coraggiosamente. La donna sembrò infastidita dal suo atteggiamento, ma gli fece cenno con la mano di proseguire. “Nel cercare il quarzo, di cui non conosciamo l'ubicazione, potremmo incontrare molti altri demoni e trappole. Con la vostra richiesta, ci state privando di un valido guerriero.”
“Se ciò che state cercando è quel grosso monolite di cristallo che s'erge dove un tempo c'era la piazza piccola delle aste, allora gli spiriti dei morti vi guideranno in quel luogo... ma dovrete affrontare con le vostre forze i pericoli che incontrerete sul cammino, i vostri problemi non sono affar mio. La mia condizione per lasciarvi portare a termine la missione senza annichilirvi subito per la vostra invasione e per il furto del diario, è che il vostro compagno rimanga qui fino al vostro ritorno.” Ci guardò negli occhi uno alla volta, come per sfidarci ad obiettare. “La tua seconda domanda, elfo?”
Yalathanil riuscì a sostenere il suo sguardo di ghiaccio. “Hai posto tre condizioni molto ragionevoli, ma non hai preteso che non cercassimo di distruggerti.”
Questa volta la Regina della polvere sbottò in una risata breve, aspra, sarcastica. Sembrava il suono di pietra che sfrega contro altra pietra.
“Solo i deboli o gli stolti pongono simili condizioni. Se siete abbastanza potenti da uccidermi, non avete bisogno del mio permesso per esplorare questo luogo. Se invece non ne siete in grado, avete bisogno di restare nelle mie grazie. La scelta se tentare o non tentare spetta a voi, ma avrete una sola occasione e se la sprecherete andrete a fare compagnia alle anime dei defunti, nel Piano Etereo di questo piccolo mondo sotterraneo, per tutta l’eternità.”
Guardai Yalathanil con preoccupazione; se aveva intenzione di sfidare una regina non-morta che era in quel dungeon da molte migliaia di anni, e che per il momento non sembrava aggressiva... forse non ero molto ansioso di unirmi alla battaglia.
Lui guardò me, e probabilmente lesse il mio viso come un libro aperto. Poi guardò Shanyrria. Aveva un’espressione molto simile alla mia.

Uscimmo da quella stanza senza Holly, seguendo le indicazioni degli spiriti.

           

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Capitolo 23
*** 1316 DR: Radici (Parte 9) ***


1316 DR: Radici (Parte 9), ovvero Atto Ottavo: veri progressi, per una volta


I defunti ci condussero ancora nel salone d’ingresso dell’antico castello, e da lì nuovamente fuori. Dopo un po’ che li seguivamo si presentò un altro problema.
“L’effetto di Visione del Vero è terminato.” Yalathanil si fermò e sembrò che fosse colto da un capogiro. Accennò ad appoggiarsi alla parete, ma si trattenne; lì dentro scorreva energia sacrilega e di solito quando stavamo male appoggiarci ai quarzi ci faceva solo stare peggio. “Non posso continuare a lanciare questo incantesimo in eterno, e non posso nemmeno sprecare poteri più alti per questo incantesimo, mi servirebbero se dovessimo incontrare altri mostri.”
Ci guardammo l’un l’altro, incapaci di decidere cosa fare. Yalathanil era il capo della nostra spedizione, e non stava producendo nessuna idea o soluzione. Io non avrei voluto fermarmi e lui lo sapeva; Holly è mio amico e non volevo lasciarlo nelle mani di quella pericolosa creatura nemmeno un minuto più del necessario. Però mi rendevo anche conto che il mago aveva bisogno di riposare per recuperare gli incantesimi... purtroppo eravamo bloccati da impedimenti più grandi di noi.
“Proseguiamo nella direzione indicata dai fantasmi e cerchiamo un luogo dove riposare.” Decise il mago. “Senza i miei incantesimi sono inutile, e avremo bisogno di congelare il Quarzo Radice per distruggerlo.”
Guardò proprio me mentre lo diceva, perché sapeva che Shanyrria non lo avrebbe contraddetto. Sostenni il suo sguardo per qualche istante, lasciando che vedesse il mio malcontento, ma alla fine annuii. Non potevo pretendere miracoli, e dopotutto Yalathanil desiderava concludere la missione in fretta tanto quanto lo volevo io.
Trovammo un posto difendibile e preparammo il campo. Decisi che avrei fatto io la guardia, ero troppo nervoso per dormire in ogni caso. Mentre ci stavamo sistemando, successe una cosa nuova e inaspettata: uno dei fantasmi si manifestò.

Comparve lentamente; prima sembrava solo una nebbiolina strana, ma poco alla volta prese forma.
Era un elfo, probabilmente un elfo chiaro. Sembrava anziano, o forse le fatiche della vita lo avevano fatto invecchiare precocemente. Nei suoi occhi si leggeva una grande stanchezza, e una tristezza di fondo che era diventata abitudine.
“Vi saluto, visitatori.” Parlava in quel linguaggio elfico un po’ arcaico ma ancora comprensibile, come la regina non-morta. La sua voce però era calma e gentile. “Portare la mia coscienza sul Piano Materiale è molto faticoso, quindi non potrò rimanere a lungo.” Come per confermare le sue parole, cominciò a sbiadire di nuovo, ma se ne accorse e si concentrò per rendere nuovamente nitidi i contorni della sua sagoma trasparente. “Molti di noi stanno raccogliendo le forze per tentare questa impresa e domani probabilmente riusciremo a guidarvi, venendo noi da voi, se voi non potrete vederci per tutto il tempo.”
Yalathanil si pose davanti all'anziano spirito, fungendo da nostro portavoce, e gli rivolse un inchino formale. “Vi ringraziamo per il vostro aiuto. Senza la vostra guida impiegheremmo giorni per trovare il cristallo che dobbiamo abbattere.”
“La Regina non lo permetterebbe” sussurrò lo spirito. “I vivi devono stare con i vivi, e i morti con i morti. La gente di Superficie non è benvenuta qui. Completerete la vostra missione e andrete, così lei comanda.”
“Voi siete tutti bloccati qui?” Domandai, avanzando per arrivare accanto al mago. “Siete anime prigioniere di questa barriera?”
Il vecchio elfo annuì, e c’era tutto il peso dei millenni in quel gesto.
“La barriera è una prigione, ma anche una casa. Ci protegge da un destino ben peggiore, e la nostra Regina protegge la barriera. Ella non è una carceriera, è la nostra Signora e agisce per il bene comune.”
Queste parole mi stupirono molto. Poteva essere vero? O era solo l’espressione dello strano e malato attaccamento che a volte sviluppano gli schiavi per i loro padroni, o i prigionieri per i loro aguzzini? Non potevo chiederglielo, perché dopo quelle parole lo spirito era scomparso in uno sbuffo di nebbia. Forse non volevo nemmeno saperlo. Tanto i morti non cambiano idea.

Il giorno dopo i morti riuscirono a guidarci fino al cristallo, ma ci volle un po’ di tempo per trovare una strada agibile che non fosse interrotta da crolli o strettoie impraticabili.
“Sono strani questi fantasmi” osservò il mago in tono discorsivo. Alcune persone parlano quando sono nei dungeon, o in generale quando sono sole, perché traggono conforto dal sentire una voce familiare e questo allenta la loro tensione. Sospetto che Yalathanil invece amasse sentirsi parlare sempre e comunque. “Non dovrebbe costargli tanta fatica manifestarsi sul Piano Materiale. Inoltre sembrano fin troppo tranquilli, troppo poco aggressivi. Non è quello che mi aspetterei da chi è morto all'improvviso e in circostanze drammatiche.”
“Non sono tutte le morti drammatiche?” Domandai, ma solo per il gusto di ribattere. Infatti mi ignorò.
Arrivammo al cristallo incontrando solo qualche intoppo minore, come trappole mortali (che però i fantasmi ci indicavano per tempo) e uno squadrone di una mezza dozzina di Vrock che avevano colonizzato una grossa caverna. Coriacei da uccidere, i bastardi.
“I demoni si rifiutano di obbedire alla Regina” ci spiegò un fantasma, un ragazzino elfo vestito poveramente. “Lei li distrugge, ma quelli si riformano in un centinaio di anni.”
Parlava come se cent’anni per loro non fossero niente. In effetti, cosa sono cent’anni per chi è morto da diciannove millenni?

Finalmente arrivammo al Quarzo Radice. Era grosso come un albero, aveva una circonferenza tale che non sarei riuscito a circondarlo con le braccia (e nemmeno ci tenevo a farlo... per la cronaca, non lo faccio nemmeno con gli alberi veri, lo so cosa si dice di noi elfi).
Cominciammo a lavorare di buona lena; Holly ci aveva spiegato che il cristallo va congelato, abbattuto alla base, e poi va estirpata la radice vera e propria, che si trova sotto al cristallo principale; può avere qualsiasi dimensione ma dovrebbe avere un aspetto grigio-perlato.
Impiegammo ore e ore di lavoro per abbattere quella mostruosità (dovevamo comunque tenerci in equilibrio su un terreno molto disagevole, le punte degli altri cristalli). Anche perché abbattere il cristallo non bastava, dovemmo trovare quello che un tempo era il livello del pavimento, quindi scavando ancora fra i cristalli più recenti per arrivare alla vera base del Quarzo Radice. Non era un lavoro per delle spade, per fortuna Yalathanil aveva evocato dei picconi. Non era nemmeno un lavoro da elfi, picconare quarzi nelle gallerie; cominciavo a sentirmi un po’ un nano.
“Vedo qualcosa... illumina meglio qui!” Squittì Shanyrria.
Nonostante scavare la roccia non sia un lavoro adatto a una fanciulla, la nostra fidata compagna non si era tirata indietro e ora era stanca quanto noi, ma nel suo tono di voce si sentiva una nota di speranza.
Scoprimmo che probabilmente aveva ragione: c’era qualcosa lì, qualcosa di grigio e di perfettamente circolare, come se fosse stato intagliato e lavorato. Scavammo con ancora più foga fino a riuscire a estrarre un dischetto di pietra grande quanto il palmo di una mano e spesso un pollice. Tenerlo in mano non dava disturbi peggiori che tenere in mano un qualsiasi altro pezzo di quarzo.
“Credi che sia questa, la radice?” Domandai a Yalathanil. Le mie braccia esauste e la mia schiena dolorante pregavano per una risposta positiva.
“Esiste un modo per saperlo.” Affermò con sicurezza, affidando temporaneamente la roccia all'elfa della luna. Si chinò, e con grande regalità nonostante il fiato corto riuscì a lanciare un incantesimo di luce su un cristallo qualsiasi. La luce si diffuse, ma non a tutti i cristalli; era come se dal Quarzo Radice i quarzi rampicanti si diffondessero a raggiera, diretti verso i meandri della terra e verso la Superficie. Ora, soltanto uno di quei raggi si illuminò. Provò a ripetere l’incantesimo di luce su un quarzo dall'altra parte della piccola caverna, e ottenne un effetto simile.
“Bene. A quanto pare l’energia, a partire da qualsiasi cristallo, veniva veicolata in due direzioni... verso l’esterno e verso il Quarzo Radice, che a sua volta la ridistribuiva agli altri raggi della composizione cristallina.” Spiegò, dando voce alle deduzioni di tutti noi.
“Questo significa che già così abbiamo ottenuto molto, perché ovunque si trovi la fonte dell’energia sacrilega, ora starà già ammorbando solo una piccola parte di questo dungeon e una piccola porzione della foresta... dico bene?” Ragionò Shanyrria, con una nuova luce negli occhi.
“Assolutamente. Possiamo essere fieri di quanto abbiamo fatto finora e del fatto di essere arrivati fin qui ancora tutti vivi, perlomeno quelli di noi che erano vivi fin dall'inizio. Ma abbiamo ancora molto da fare. Prima di tutto dobbiamo capire cosa fare con quel quarzo.”
“Holly ha detto che le basse temperature fermano la crescita di questi quarzi... potremmo scaricarlo su un ghiacciaio o qualcosa del genere.” Propose l'elfa.
“Sì, ma pensa anche alle potenzialità di un materiale così raro! Ora è stato usato per veicolare energie malvagie, ma pensa a quello che potrebbe fare nelle mani giuste, se tenuto sotto controllo.”
Io alzai le mani, chiamandomi fuori dalla discussione. “Se volete portare quel coso a Evermeet per purificarlo e usarlo per altri scopi, a me non interessa affatto.”
“Grazie per la gentile concessione, elfo che non dovrebbe nemmeno essere qui.” Biascicò l’anziano mago.
“Ehi, se avevi qualcosa da recriminare sulla mia presenza potevi dirlo prima che sudassi sette camicie per abbattere questo cristallo, o prima che rischiassi la vita contro elementali non-morti e demoni!” Ribattei, ormai a corto di pazienza.
Yalathanil mi fece cenno di lasciar perdere, ma decisi di interpretarlo come un cenno di scuse.
“Andiamo a completare la missione.” Parlò con il tono di un insegnante che richiama all'ordine degli studenti distratti.

Tornare al castello fu più facile di quanto non fosse stato andare in cerca del cristallo. Nessuno di noi si orientava alla perfezione sottoterra, così avevamo lasciato dei simboli incisi nei quarzi. Simboli semplici, come un graffio di spada a ogni bivio per indicare la direzione da cui eravamo venuti.
Ritrovammo il portone di metallo, l'ingresso del castello, il corridoio mezzo crollato per la sala del trono. Rientrammo in quella sala, annunciandoci bussando contro la parete. Una precauzione inutile, l’immensa sala era vuota.
Un fantasma si palesò a noi per informarci che la regina era impegnata a conversare con il visitatore, e che noi avremmo aspettato nella camera d’ingresso. Potevo vedere che Yalathanil era estremamente irritato per come la Regina della polvere lo stava trattando, come un ospite di poco conto o peggio un servo.
Aspettammo, comunque, perché non c’era nient’altro che potessimo fare. Avevamo anche molto bisogno di riposarci. Eravamo talmente stanchi che riuscimmo a dormire perfino lì, nel castello di un’antica elfa scura non-morta, guardati a vista dai suoi fantasmi.

Holly si fece attendere per altri due giorni, e noi oramai lo davamo per perso. Yalathanil segretamente biasimava lui per l’interesse che aveva suscitato nella Regina della polvere, ma probabilmente senza quell'interesse non ci sarebbe stato consentito di portare a termine la nostra missione. L’atmosfera era parecchio tesa e cominciavamo a pensare che non avremmo mai rivisto la luce del sole, a meno di non fuggire con un teletrasporto senza portare a termine il nostro compito per intero. Ma eravamo tutti elfi di parola e anche se avevamo ottenuto molto non volevamo andarcene senza la perla con l’anima di Ka’Narlist, e io non volevo andarmene senza Holly.
Quando il mio amico finalmente si ripresentò, il mago lo affrontò a muso duro.
“Che cosa hai fatto per tutto questo tempo con la regina?” Inquisì subito, senza nemmeno esprimere un minimo di sollievo per la sua ricomparsa.
“Sesso sfrenato, che altro?” Rispose Holly, prendendosi gioco di lui. Se Yalathanil non era minimamente gentile con lui, lui avrebbe ricambiato il favore.
Avevo iniziato questa missione con l’idea di fare da paciere fra questi due caratteri forti, ma l’elfo del sole era odioso quanto Holly e senza nemmeno doverlo fare di proposito, era proprio così di carattere. Non avevo più alcuna voglia di mettermi in mezzo, specialmente ora che il nostro lieto fine cominciava a intravedersi all'orizzonte.
“Sii serio!” Sbottò il mago.
“Scusa, ma sono vincolato al silenzio. La signora mi ha sigillato le labbra con un incantesimo.”
Yalathanil lo guardò dubbioso, mugugnando, ma non disse nulla. Immagino che non avesse modo per smentire quell'affermazione.

“Se siete pronti, io direi di andare a prendere la perla. Mi sono fatto spiegare esattamente dove si trova.”
Dall’antico atrio del castello, dove ci trovavamo, due porte si aprivano su corridoi ancora agibili; uno portava alla sala del trono dove eravamo già stati, l’altro scoprimmo che portava a delle scale che non esistevano più, o meglio c’erano solo i primi gradini. Oltre quei gradini c’era una spessa parete in cui qualcuno aveva aperto un foro circolare, forse proprio la Regina. Oltrepassammo quella soglia artificiale; oltre, si apriva una grande caverna, con i resti di una torre crollata che si adagiava sulla superficie inclinata del suolo di roccia e cristalli.
“Le scale un tempo erano esterne, ma ora non ce n’è più traccia. Mi sono fatto spiegare bene dove cercare, però. Il piano inferiore della torre è quello che ora si trova alla nostra destra; conteneva la biblioteca. Da lì una scala interna segreta conduceva allo studio privato dell'arcimago, dove è morto.”
“Ci sono protezioni magiche sull'accesso a queste stanze?” Chiese subito Yalathanil.
“Un tempo c’erano” raccontò Holly, arrampicandosi rapidamente su un lato della torre. Per come era caduta, la porta di ingresso ora si trovava sulla faccia superiore. “Ma la regina le ha disattivate millenni fa, quando è entrata nello studio dell'arcimago e ha rischiato di essere posseduta.” Mentre raccontava, sfondò con un calcio la porta principale. Non era chiusa a chiave ma solo bloccata con un sottile chiavistello di metallo, che saltò via sotto la pressione del piede di Holly. La porta si spalancò verso il basso, rimanendo a penzolare nel vuoto.
Nessuna trappola scattò.
Anche all'interno era tutto invaso dai cristalli, ma per fortuna le porte avevano infissi in metallo che avevano impedito ai maledetti quarzi di bloccarne l’apertura. Quei rialzi in metallo forse un tempo erano serviti a non far entrare l’acqua piovana nella biblioteca, ma quello era un problema che non sussisteva più.
In compenso, i libri che dovevano essere stati stipati all'interno erano completamente marciti a causa dell’acqua di mare che per secoli aveva invaso il luogo. Non era rimasto nulla che un tempo fosse stato organico.
Holly si diresse a passo sicuro verso un grosso oggetto spiraliforme completamente coperto di cristalli, che forse un tempo era una scala a chiocciola. Doveva permettere di arrivare al piano superiore, ma il buco nel soffitto ora per noi era un buco in una parete. Non era facile passare perché avremmo dovuto accovacciarci, camminando su un pavimento inclinato, ma Holly ci fece cenno di restare fermi.
“C’è una potentissima aura malvagia oltre questa parete e secondo la regina è emanata dalla perla di Ka’Narlist. Ha ipotizzato che quella perla funzioni come una sorta di giara magica: cercherà di possedere chiunque entri nel suo raggio d’azione, ma ha bisogno di una linea di visuale, per così dire. Finché rimarrete in questa stanza sarete schermati da questa parete... che un tempo era il soffitto della biblioteca.”
Dèi, che schifo. Mi allontanai il più possibile dal foro di accesso allo studio privato del mago.
“Quindi, ora se Yalathanil volesse essere così gentile da affidarmi il cofanetto consacrato in cui dobbiamo rinchiudere la perla... andrò dentro a prenderla.”

Gli elfi di Evermeet insorsero subito, protestando.
“Sono io a capo di questa spedizione!” Gridò il mago, dimenticando il suo contegno elfico.
“Andrò io a prendere la perla.”
“E cosa accadrà se Ka’Narlist riuscirà a possederti?”
“La mia forza di volontà è grande!” Insistette, piegando le labbra in una smorfia offesa che lo faceva apparire davvero vecchio.
“Se non fosse abbastanza grande? Pensaci, Yalathanil. Sei intelligente, ma l’intelligenza non è la stessa cosa della volontà. Ti trovi da molti giorni in un dungeon che ti ha logorato i nervi e dove scommetto che non hai mai goduto di una notte di sonno soddisfacente.” Gli fece notare Holly. “La mia forza di volontà non sarà grande quanto la tua, ma ho il vantaggio di essere un fantasma. Non c’è posto nel mio corpo per un’altra anima perché il mio corpo è la mia anima.”
Shanyrria si mise al suo fianco, ma prese le parti di Holly. “C’è ragionevolezza nelle sue parole, Yalathanil. Lui può non piacerti, ma siamo sicuri che nessuno sacrificherebbe la sua individualità per farsi possedere da un antico arcimago spietato. Sul diario c’era scritto cosa succede ai fantasmi che vengono posseduti.”
“Comunque solo una divinità potrebbe arrivare a possedere un fantasma.” Insistette Holly. “Ka’Narlist sarà stato tante cose, ma se fosse stato un dio non se ne sarebbe rimasto per millenni rinchiuso in una perla.”

Alla fine, a malincuore e in inferiorità numerica, Yalathanil accettò la validità del piano di Holly e gli consegnò lo scrigno dove rinchiudere l’oggetto incriminato
E dopo tutta quella fatica, dopo tutto quel tempo, ci sembrò incredibile con quanta rapidità Holly entrò e uscì, con lo scrigno appesantito dal prezioso contenuto. Sembrava come il decorso di una malattia; si sta male, si combatte l’infezione, sembra che guarire sarà una cosa lunghissima, poi arriva un chierico e con una preghiera e un gesto della mano stai subito meglio.
E fu così che ci sentimmo, quando rinchiuse la perla dove non poteva nuocere: subito meglio.

Quando Holly tornò nella biblioteca con lo scrigno in mano, Yalathanil lo fermò sollevando un palmo.
“Fermo dove sei. Dimostra che sei tu.”
“Come prego?”
“Dimostra che sei tu e che non sei stato posseduto.”
Holly contrasse un muscolo della fronte in uno scatto involontario, segno che si stava arrabbiando.
“Oh, va bene.” Prese un bel respiro, afferrò saldamente lo scrigno nella mano sinistra e liberò la destra per poter indicare ciascuno di noi.
“Tu” cominciò, puntando Yalathanil “sei uno spocchioso vecchio arrogante.” Passò a indicare me.
“Tu non riuscirai a farti Krystel.”
Poi si rivolse a Shanyrria.
“E tu...” lasciò oscillare il dito, mentre ci pensava. “Tu sei un'elfa gracilina e per quanto alleni i tuoi muscoli non arriverai mai all'eccellenza. Il tuo punto di forza è senza dubbio l’agilità, dovresti rivedere il tuo stile di combattimento per puntare su quella.
“Ma ho una spada lunga. Ben difficile maneggiarla con destrezza!” Obiettò l’elfa.
“Difficile ma non impossibile, potrei insegnarti una scorciatoia o due.” Ribatté lui in tono piacevole.
Anche tu sei arrogante e spocchioso, te ne rendi conto?” Ritorse Yalathanil, offeso.
“No, no. Io sono irrispettoso e paternalista. Può sembrare la stessa cosa ma è diverso.”

“Sei sicuro di aver preso la perla giusta? Secondo la leggenda, Ka’Narlist ne aveva molte.” Gli chiese il mago, dopo aver lasciato sedimentare il risentimento per gli insulti. Dopotutto, se Holly fosse stato posseduto, Ka’Narlist si sarebbe comportato con gentilezza per farsi credere un alleato... oppure ci avrebbe grattugiati subito con un incantesimo.
“Tranquillo, mago, sono capace di riconoscere un’aura malvagia quando la vedo, e questa perla emanava più cattiveria di un bambino piccolo.” Holly alzò lo scrigno perché fosse all'altezza degli occhi del mago: all'interno potevamo vedere i gigli dorati raccolti nei giardini di Acquelucenti, che erano stati messi apposta nello scrigno per fungere da prova; il contatto con la perla li stava facendo rapidamente appassire e annerire sotto i nostri occhi.
“Va bene, riconosco che hai fatto un buon lavoro.” Ammise l’elfo del sole, un po’ a collo torto. “Ora dammi lo scrigno.”
“No.” Soffiò Holly.

No? No?
Maledizione, Holly, non abbiamo bisogno di altri problemi con Yalathanil!
Pensai, cominciando a sentire il panico.
“No? Che scusa pensi di inventare stavolta, mezzumano? Pensi che potrei risentire delle malvagie influenze della perla anche attraverso lo scrigno di cristallo consacrato e ferro delle miniere di Monte Celestia?”
“Niente affatto. Penso solo che tu sia uno stronzo, quindi affiderò lo scrigno a Johel. Così avrò la certezza che riporterai indietro almeno lui.”
Holly mi mise lo scrigno in mano e per istinto lo strinsi, anche se ero sconcertato da quei discorsi.
“Cosa... che cosa vuol dire?” balbettai.
“Yalathanil, che significa questo?” gli domandò Shanyrria, appendendosi quasi al suo braccio. L’austero mago non rispose, si limitò a rivolgere a Holly uno sguardo scuro.
“Da quanto lo sai?” Domandò con voce greve.
“Cosa, che te ne andrai senza di me? Lo so da quando lo sai tu.” Holly gli rivolse un sorriso tirato.
“Mi rincresce molto, non credere. Non sono del tutto senza cuore. Tu sei stato molto utile alla nostra causa, ma l’esistenza di un mezzumano non è tanto importante da giustificare un simile rischio.”
“Ma di che cosa stai parlando?” insistette Shanyrria, strattonandolo. Nonostante il pavimento irregolare, Yalathanil rimase solido come una roccia e con la stessa rigidità mentale continuò ad ignorarla.
“Non ti permetterò di fare una cosa del genere!” Esclamai, ma più che altro a beneficio del pubblico. L’idea che il mago potesse decidere di lasciare indietro Holly era un’ipotesi che naturalmente avevamo considerato, e Holly aveva già un piano, ma non potevamo permettere che gli altri due lo intuissero.
“Sono ancora in grado di riconoscere la magia del sangue quando la vedo in azione.” Commentò lui semplicemente, a beneficio di noi due, come se questo avesse potuto spiegare qualcosa. Poi tese una mano verso Holly. “Devo chiederti di restituire l’amuleto che permette di passare oltre la barriera. Sono certo che capirai.”
Holly sospirò, infilò una mano in tasca ed estrasse la catenina con l'amuleto in questione. La porse a Yalathanil, sostenendo il suo sguardo.
“Prima che andiate, c’è altro che devo darvi.” Disse, fermando il mago prima che cominciasse l’incantesimo di teletrasporto. Aprì il suo zainetto magico e ne estrasse due pratici guanti senza dita, di cuoio verde e con alcune borchie di bronzo incastonate. “Shanyrria, con questi potrai maneggiare la tua spada lunga come se avesse il peso di un'arma per bambini. In questo modo potrai usare un’arma simile facendo il miglior utilizzo della tua agilità.”
Lei prese i guanti che Holly le porgeva, stupita per il suo gesto. “Sei... sei sicuro?” Dal tono in cui lo disse, capii che non si riferiva al funzionamento dei guanti.
Holly le rivolse un sorriso triste. “Certo. Appartenevano a un tizio che poi è morto, e ora non gli servono più.”
Shanyrria lo guardò con le lacrime agli occhi. Holly è sempre uno sgarbato pezzo di merda, quindi ogni volta che compie un gesto di gentilezza riesce a brillare come un diamante.
Yalathanil doveva essere intrappolato in pensieri simili, perché abbassò lo sguardo pieno di vergogna. Bene, brutto bastardo.
“Johel, temo di non avere nulla per te tranne una rassicurazione: lascia che io resti qui, di sicuro sarò in buona compagnia.”
Misi il broncio ed evitai di guardarlo, ma risposi comunque con un filo di voce. “Io non capirò mai certe tue decisioni, Holly.”
Infine, il mio amico si rivolse a Yalathanil, ma lo fece in una lingua che io, lui ed il mago capivamo e Shanyrria no: il sottocomune.
“Tradire un alleato e tradire la propria etica in nome di un bene superiore richiede molto coraggio. Io non sono in collera con te per questo, quindi voglio farti un dono. Hai lo spirito di un combattente, anche se sei un mago, e un combattente più di ogni altra cosa ha bisogno di potersi giustificare moralmente i suoi colpi. Solleva il tuo cuore, dunque. Non sono davvero un mezzelfo.”
Yalathanil lo guardò in volto, cercando di dare un senso alle sue parole. Nei suoi occhi vidi passare una serie di emozioni; confusione, rabbia, sospetto, poi di nuovo rassegnazione.
“Sono in collera con te per le tue continue menzogne, ma questo purtroppo non ti rende meno alleato. Questo vecchio combattente deve convivere con le sue scelte, come tutti.”
Holly sorrise, senza malizia.
“Pensa a questo allora; io ho lo spirito di un ladro. Magari un giorno uscirò di qui e non sarebbe colpa tua.”
“Non ci riuscirai.” Ribatté il mago, sicuro come la morte.
“Puoi sempre sperare che ci riesca.” Rispose Holly agitando una mano in segno di saluto.

Ma certo che ci sarebbe riuscito. Dopotutto la morte non è affatto sicura.
E Holly ha davvero l’indole del ladro. Quindi ovviamente non si era lasciato sfuggire la possibilità di sottrarmi dalla tasca l’amuleto del defunto Linomer, mentre tornavamo al campo dopo la battaglia contro i necroelementali.

           

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Capitolo 24
*** 1316 DR: Radici (Parte 10) ***


1316 DR: Radici (Parte 10), ovvero Un epilogo, o il prologo di una nuova avventura?


Il teletrasporto di Yalathanil ci portò fuori da quel dungeon da incubo, nel luogo dove avevamo campeggiato per l’ultima volta con Karasel, sulle scogliere che si affacciano sul Lago dei Vapori. Ah, poter respirare di nuovo aria fresca! Poter spalancare le braccia sapendo che non colpirai delle pareti di pietra! Sopra di noi c’era un immenso e bellissimo cielo stellato, e rivedere quel panorama così familiare mi commosse.
Karasel ci accolse con grande gioia e con la speranza negli occhi. “Siete tornati! La missione è compiuta? E dov’è Holly?” La sua voce era come musica purificatrice e realizzai solo in quel momento quanto mi fosse mancato sentirla.
Yalathanil le consegnò lo scrigno con solennità, fiero del nostro lavoro. “Siamo riusciti a recuperare la perla che contiene l’anima di Ka’Narlist e a distruggere il Quarzo Radice che faceva espandere questa infestazione di cristalli fino a fuori dalla barriera. La missione principale è conclusa, ma ci sarebbe ancora altro da fare; sarebbe meglio distruggere completamente quei cristalli, perché laggiù ci sono altre fonti di malvagità, seppure minori; ci sono demoni, artefatti malvagi, e... una potente signora non morta.”
“Sono molto lieta e soddisfatta del vostro operato, avete dimostrato coraggio e dedizione senza pari. Mi piacerebbe che scrivessi un rapporto per me, Yalathanil, così vedrò come organizzarmi per eventuali future spedizioni per purificare questo dungeon. E mi rincresce profondamente che, a fronte del fatto che siamo partiti in sei, solo tre siano riusciti a vedere la fine della missione.”
“Holly non è morto.” Esplose Shanyrria, irritata, senza più potersi trattenere. “Yalathanil lo ha lasciato laggiù di proposito, intrappolato in quella fogna di città sepolta!”
Yalathanil le lanciò uno sguardo di avvertimento, ma lei non si lasciò sottomettere: sostenne il suo sguardo con fierezza e in segno di sfida.
“Holly comprendeva la necessità del mio gesto. Non parlare di cose che non sai.” La mise a tacere il vecchio mago.
“Voglio farti notare, nobile Yalathanil, che ciascuno di voi è stato reclutato dalla sottoscritta.” Intervenne Karasel, in tono pacato ma in cui si coglieva una nota di biasimo. “E ciascuno di voi godeva della mia totale fiducia.”
“Nobile signora, non dubito della lealtà di Holly alla vostra causa, ma anche un portatore sano può essere pericoloso quanto un infetto.” Obiettò, storcendo la bocca in una smorfia di disgusto. “Lui aveva legami fin troppo stretti con quel luogo.”
“Lo so.” Ammise pacatamente la lillend. “Mi serviva qualcuno che sapesse muoversi in un reticolo di caverne, che potesse toccare la perla di Ka’Narlist senza esserne posseduto, e che all’occorrenza potesse superare incantesimi di abiurazione della magia del sangue.”
Yalathanil fece un passo indietro come se Karasel lo avesse schiaffeggiato.
“Voi sapevate...”
“Sapevo che un tempo la città di Atorrnash era abitata da creature senza volontà, con un legame così stretto con la loro divinità che essa poteva possedere chiunque di loro in qualunque momento. Se mai c’è stato un momento della Storia in cui gli elfi scuri hanno avuto qualcosa di simile a una mente comune, è stato il regno di Ka’Narlist. Era necessario che chiunque della classe dominante potesse accedere a qualunque luogo o a qualunque oggetto, perché chiunque di loro poteva essere scelto come burattino per la malefica Lolth. Va da sé che facessero uso quasi esclusivamente della magia del sangue, visto che erano tutti discendenti dei figli di Lolth e Ka’Narlist. Ma sebbene pochissimi di loro siano sopravvissuti al disastro del Sundering, il loro sangue è sopravvissuto e si è mescolato molte volte per giungere fino ai giorni nostri. Non soltanto tutti i drow, ma anche molti mezzidrow, Crinti, umani, perfino alcuni mezzelfi ed elfi hanno dentro di loro tracce di quella discendenza senza nemmeno saperlo. Dopo tutti questi millenni, il sangue si è diluito e la maledizione che portava con sé è svanita o si è molto indebolita.”
“Non rappresenta un pericolo, quindi? Ne siete sicura?” Insistette Yalathanil.
Karasel si mise una mano sul cuore. “Sicura come del fatto che anche domani il sole sorgerà. L’ultima linea di discendenza che vantava una relativa purezza, si è estinta più di due secoli fa sotto le lame e gli incantesimi dei loro stessi concittadini, nella città corrotta di Menzoberranzan. Non più una sola goccia del loro sangue scorre nel sottosuolo di Faerûn e Lolth ha perduto per sempre le sue ultime seguaci predilette.”
“Tutto ciò è fonte di immenso sollievo.” Sospirò Yalathanil, e finalmente la tensione che irrigidiva le sue spalle lo abbandonò. “Holly quindi non è pericoloso?”
“Non è pericoloso per il suo sangue, è pericoloso per le sue competenze, ma solo per i suoi nemici... e grazie al cielo lui sta dalla parte giusta. Avrei potuto scegliere moltissime altre persone al posto di Holly, ma lui aveva delle ottime capacità combattive e grande esperienza da esploratore. Se lui dev’essere imprigionato per una lontana discendenza, allora vale lo stesso per migliaia di persone nel mondo... e anche per qualche elfo dei boschi che vive a Evermeet.” Concluse Karasel, con un sorriso birichino.
Quest’ultima osservazione provocò al mago una contrazione involontaria di una guancia, ma lui spinse da parte con decisione quel pensiero e prese un respiro profondo. “Va bene. Vado a recuperarlo, allora.”
“Sul serio?” Io e Shanyrria l’avevamo chiesto in contemporanea, sbalorditi.
“Sì, sì! Maledizione, sul serio.” Il vecchio mago agitò le braccia come per tenerci lontani. “Non sono crudele per il gusto di esserlo, cercavo solo di agire per il bene comune.”
“Non credo che sia una buona idea teletrasportarti nuovamente nel regno di una regina non morta senza alcun preavviso né permesso.” Lo fermai, prima che potesse cominciare l’incantesimo. “Non preoccuparti per Holly, riuscirà ad uscire da solo.”
“Non vedo come potrebbe.” S’irrigidì il mago, che non amava essere contraddetto.
“Con un piccolo trucco di prestidigitazione, forse... vorrei che tutti tirassimo fuori i nostri amuleti per oltrepassare la barriera.” Proposi.
Ognuno di loro si tolse l’amuleto dal collo o lo estrasse dalla tasca, così che ciascuno di noi ne aveva in mano uno, tranne Yalathanil che ne aveva due.
“Bene, e allora?” Domandò il mago, non capendo dove volessi arrivare.
“E allora so che non lo hai mai davvero considerato perché non era una persona vera, ma dove si trova l’amuleto di Linomer secondo te?” Gli chiesi con un sorriso sghembo.
Yalathanil mi guardò per un momento, sbuffò e scosse la testa. “Anni e anni a studiare i massimi sistemi della magia con la precisione di un numerologo, e all’improvviso non so più contare fino a sei.” Shanyrria si morse le labbra per sopprimere un risolino. “Va bene, torniamo a Evermeet. Ho davvero bisogno di una purificazione, un bagno e una notte di riposo. Poi penserò a come scrivere il mio rapporto.”

Yalathanil e Shanyrria partirono subito per la loro preziosa isola con un teletrasporto.
Karasel aveva una priorità impellente, portare lo scrigno con la perla di Ka’Narlist in un luogo dove potesse essere attentamente custodita, prigioniera di strati e strati di energia sacra e incantesimi di purificazione.
Io invece sono un semplice ranger senza importanza e con relativamente poche responsabilità, quindi rimasi a Derlusk in villeggiatura finché Holly non riuscì ad emergere dal dungeon. In quel periodo riuscii anche a stringere amicizia con il vero mago Linomer, che poco dopo la fine della nostra missione aveva interrotto le sue continue cantilene.
Quando Holly riemerse, ci raggiunse alla torre del mago.

“Felice di poterti finalmente incontrare.” Lo salutò il mago, quando finalmente il mio amico si fece strada oltre la porta-botola del suo appartamento in cima alla torre. “Mi piace ringraziarti per l’eccellente lavoro svolto; da quanto avete rimosso la perla di Ka’Narlist e il Quarzo Radice, l’energia sacrilega ha smesso di scorrere copiosa verso l’esterno. Naturalmente quei cristalli andrebbero purificati, la terra stessa potrebbe farlo ma impiegherebbe secoli... e poi là dentro ci sono ancora delle fonti di malvagità.”
“Minacciano la foresta?” Chiese subito Holly, senza nemmeno ricambiare il saluto.
“Poco. La mia aspirazione sarebbe tornare laggiù e distruggere i cristalli, se non tutti almeno interrompere i collegamenti fra i cristalli a contatto con le fonti di malvagità e quelli che si spingono all’esterno della barriera.”
“Un lavoro certosino, quel luogo è enorme.” Sospirò Holly. “Comunque, sono felice di vedervi entrambi sani e salvi. Yalathanil e Shanyrria sono tornati a Evermeet?”
Gli raccontai tutto quello che ci eravamo detti appena fuori dal dungeon, e gli riferii anche le decisioni degli elfi e di Karasel. Holly fischiò in ammirazione.
“Avevo giudicato male quello stronzo di Yalathanil.” Ammise. Sì, il mago aveva sorpreso anche me.
“E allora perché lo chiami stronzo?” Domandò Linomer, che chiaramente non conosceva bene Holly.
“Per tradizione!” Rispose con un gran sorriso. “Ad ogni modo Karasel è stata molto carina a raccontare tutte quelle verità creative sul mio conto.”
“Karasel è una barda.” Gli ricordai. “Chi meglio di un bardo per romanzare un po’ la realtà?”
Linomer spostò lo sguardo da me a lui, ma non disse nulla.
“Holly, mi puoi raccontare cosa vi siete detti tu e la Regina della polvere in quattro giorni di colloquio?” Gli chiesi infine, perché ero roso dalla curiosità.
Holly sorrise e fece spallucce.
“Mi ha chiesto di com’è il mondo adesso. Lei passa molto tempo in stato di quiescenza perché laggiù non c’è nulla da fare. Ha già letto ogni libro che si sia salvato dal disastro, ha scavato dentro sé stessa per scoprire quale sia la sua vera personalità ora che è libera dal giogo di Lolth, e ogni tanto va a distruggere i demoni che infestano il dungeon... tranne la succube, credo sia più o meno sua amica... ma comunque per la maggior parte del tempo rimane in una sorta di stato meditativo. Aveva perso del tutto il senso del tempo e ha voluto un resoconto preciso di com’è il mondo oggi.”
“Progetta di uscire?” Chiese subito Linomer, preoccupato.
“No, no.” Holly mise le mani avanti. “Se uscisse dalla protezione della barriera, Lolth potrebbe prendere nuovamente il controllo della sua anima e del suo corpo. Lei non vuole una cosa simile. C’è un motivo preciso se è diventata un lich.”
“Un lich?” Ripetei, sentendo lo stomaco che si attorcigliava. “Non sono sempre creature malvagie?”
Holly annuì con grande serietà. “Certo, Nenshalee Yril’Lysaer è malvagia. Il fatto di essersi liberata dall’influenza di Lolth non cambia il fatto che sia cresciuta in una società priva di etica in cui era considerato normale avere schiavi, uccidere la gente per motivi futili, o evocare demoni per questioni triviali. Solo che... esistono diversi tipi di malvagità. Ci sono persone malvagie per necessità, o per abitudine, e poi ci sono persone malvagie per il gusto di esserlo. Nenshalee è malvagia, ma non quanto lo era Ka’Narlist, e non ha mai avuto altrettanta ambizione. Si accontenta di perseverare la sua esistenza in prigionia, e in un certo senso ha a cuore il bene del suo popolo.”
“Questo l’ha detto anche uno dei fantasmi, ma che cosa vuol dire?” Gli chiesi, sporgendomi in avanti sulla mia poltroncina. Il mio tè ormai si era raffreddato, ma l’avevo del tutto dimenticato.
“I fantasmi sono quello che rimane del suo popolo. Non sono veri fantasmi, cioè, non come me. Loro sono morti, davvero morti, solo che le loro anime non possono raggiungere l’Aldilà per via della barriera quindi stazionano sul Piano Etereo.”
Linomer impallidì e per un momento le sue mani tremarono, facendo rovesciare un po’ di tè dalla sua tazzina. “Per gli dèi. Non ci avevo mai pensato. Delle povere anime sono impossibilitate a raggiungere la pace eterna per colpa della barriera...”
“Non c’è alcuna speranza di pace eterna.” Lo interruppe Holly. “Non per loro. Nella città di Atorrnash erano tutti seguaci di Lolth. Anche gli elfi chiari. Erano costretti, nessun altro culto era consentito. Le loro anime appartengono alla Regina Ragno, e se la barriera cadesse gli spiriti verrebbero tutti reclamati dall’Abisso.” Fece una pausa, per darci il tempo di lasciar sedimentare il concetto. “Anche per questo motivo Nenshalee è diventata un lich: come forma di assicurazione. Chi si azzarderebbe a far cadere la barriera, se poi dovesse trovarsi a fare i conti con una lich epica posseduta da Lolth?”
Tutti e tre rabbrividimmo all’idea. Che orribile, orribile prospettiva.

“Dovremmo organizzare una seconda spedizione.” Decise infine Linomer. “Per distruggere i cristalli, possibilmente per liberare quel dungeon da un po’ della sua spazzatura... e confesso che mi piacerebbe davvero poter fare qualcosa di utile per quegli spiriti. Non mi sembra giusto che siano condannati all’Abisso per una fede che alcuni di loro hanno perfino abbracciato controvoglia.”
“Io vorrei aiutarli a prescindere.” Rincarò Holly. “Magari esistono alternative a quell’Aldilà. Dovrei provare a consultarmi con un esperto.”
“Un chierico?” Domandai, dubbioso.
“No, un chierico di qualsiasi fede ha le stesse limitazioni di credo, tutti loro pensano che l’Aldilà sia qualcosa che dipende dalle divinità. Ma... ricordi cosa ha detto una volta Krystel, al funerale di Tiffany? Quello che facciamo della nostra vita e della nostra morte, è una nostra decisione.”
“A chi pensi di chiedere quindi?” Intervenne Linomer, ugualmente interessato. Lui è un mago, quindi qualsiasi forma di conoscenza stimola la sua curiosità.
“Pensavo più a uno sciamano.” Ragionò Holly. “Non ne conosco nessuno, ma forse Krystel sì. Ma prima di tornare da mia sorella, devo sbarazzarmi di questa esistenza non morta e tornare vivo. Lei non mi vuole più intorno in questa forma.”
“Uh? E perché? Hai viaggiato a lungo con lei anche così, e non le ha mai dato fastidio.”
“Sì, ma quando ci siamo lasciati aspettava di nuovo un bambino. Mi ha detto che la mia energia negativa può essere dannosa per una donna incinta o per un neonato.”
Avevo ricominciato a bere il tè, ormai freddo, ma lo risputai poco elegantemente nella tazzina. Mi era andato di traverso e tossii per non soffocare. “Cos... cosa?” Un altro colpo di tosse. “Un altro??
“Già... molto meglio che Yalathanil non lo scopra mai, vero?” Holly ridacchiò. “Andrebbe fuori di testa.”

           

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Capitolo 25
*** 1316 DR: Epilogo (Parte 1) ***


1316 DR: Epilogo (parte 1), ovvero I soldi non fanno la felicità, ma aiutano


Holly aveva stilato una lista di cose da fare. Era più facile comprenderla, procedendo all’indietro: per andare a finir di ripulire il dungeon e possibilmente aiutare i fantasmi aveva bisogno di consultare uno sciamano, per trovare uno sciamano aveva bisogno di chiedere a sua sorella, per potersi di nuovo avvicinare a lei doveva prima tornare in vita, per tornare in vita gli serviva un rituale operato da un sacerdote o da una sacerdotessa, ma le componenti materiali necessarie per quella magia erano diamanti del valore di almeno 25.500 monete d’oro e inoltre gli servivano altre 3000 monete circa per pagare l’esecuzione del rituale.
“Lo vedi, Johel, il problema di essere persone che hanno a cuore il prossimo è che si rimane sempre invischiati in missioni senza guadagno.” Si lamentò quel pomeriggio, dopo che ci fummo congedati dal mago Linomer. “Abbiamo rischiato la vita pro bono publico, e non sono contrario alla cosa, il problema è che ora per fare soldi mi tocca pensare a qualcos’altro.”
“Sono sicuro che una persona creativa come te se ne uscirà con una buona idea.” Risposi, senza prendere sul serio le sue recriminazioni.
“Il dramma è che qualunque modo per fare soldi velocemente è in un certo senso immorale. Se una città fosse in pericolo, non vorrei essere pagato per aiutarla. Potrei andare a cercare la tana di un drago cromatico, ma non mi piace l’idea di uccidere una creatura che se ne sta per i fatti suoi, anche se è malvagia. Non so come uscire da questo circolo vizioso.”
“Se posso suggerire: trova una creatura malvagia che stia minacciando una città, uccidila, non farti pagare, ma tieni per te tutto ciò che ha accumulato.” Suggerii.
“Questa è un’idea eccellente!” Mi gratificò con un sorriso esagerato e due pollici in alto. “Visto che ci hai pensato, ora non vorrai piantarmi in asso? Vieni con me, ho bisogno della tua mente brillante.”
“Venire con te... dove?”
“Penso che potremmo tornare nel Bosco del Crepuscolo e cercare il covo di quel beholder e dei briganti che abbiamo sgominato. Potrebbero avere accumulato delle ricchezze, specialmente se erano in combutta con dei pirati. Magari hanno dovuto corrompere qualcuno o progettavano di farlo.”
Sbuffai, sentendomi preso in giro. “Ci avevi già pensato, non è vero? Non avevi nessun bisogno dei miei consigli.”
“Volevo vedere se lo avresti suggerito. In questo periodo non sono sicuro che le mie idee siano sempre eticamente giuste, ho bisogno di qualcuno con cui confrontarmi.”
Lo disse in tono leggero, ma io capii subito che in realtà era un discorso molto serio. Era ancora morto... ed era morto in circostanze che gli avevano fatto dubitare di se stesso... quindi aveva perfettamente senso che avesse bisogno di una bussola morale.
“Però è strano.” Obiettai. “Quando sei venuto a salvare me e gli elfi di Shilmista sapevi cosa fare, e anche nella città sepolta di Atorrnash sei stato in grado di pensare con chiarezza e lungimiranza, arrivando anche a ingannare gli altri quando si è reso necessario, come quando abbiamo attraversato la stanza con quei mostri orrendi, i cere... cerebrilith?”
Holly corrugò leggermente la fronte, come fa sempre quando è concentrato su un concetto difficile. Sapevo che stava soppesando le mie parole.
“Quando uno di voi si va a imboscare sottoterra...” cominciò, e capii che intendeva uno di voi elfi, “...ecco, mi prende una preoccupazione che non puoi capire. Non è il vostro ambiente, non potete dare il meglio per sopravvivere, non ci vedete e non è sempre possibile usare i vostri archi lunghi. In certi luoghi del Buio Profondo, perfino la magia funziona in modo diverso. Per questo riesco a ragionare più lucidamente: quando si tratta di sopravvivenza, posso mettere da parte ogni remora sulle sottigliezze dell’etica.”
“Mentre quando ci troviamo in Superficie o nelle nostre foreste, gli ampi spazi aperti fanno in modo che tutta la tua intelligenza si dissolva nell’etere?”
Holly non sorrise alla battuta. “Fisicamente improbabile, ma il risultato sembra essere lo stesso.”
Poggiai una mano sulla spalla del mio amico in segno di comprensione e vicinanza. “Non dovresti ragionare così.”
“Così come?”
“Quando ti abbiamo accolto come Ruathar, la foresta di Sarenestar è diventata anche casa tua. Puoi non essere ancora perfettamente a tuo agio con le nostre usanze, ma non sei un ospite.”
Holly tentò nuovamente un sorrisetto ironico. “Sono autorizzato a non sapermi comportare, quando sono fuori dalla foresta di Sarenestar?”
“Assolutamente no!” Gli diedi una sonora pacca sulla spalla. “Forza, parlami dei tuoi progetti per fare soldi, e io ti dirò in che girone infernale finirai dopo la tua vera morte.”
Mi avviai per la strada che portava fuori città, con Holly che mi tallonava dappresso.
“Non essere sciocco, io sono più il tipo di manigoldo che finisce nell’Abisso.”

Ci volle qualche ora, ma alla fine trovammo il luogo in cui avevamo combattuto contro il beholder.
“Il loro covo sarà da qualche parte.” Ragionò Holly.
“Cerchiamo le tracce del beholder?” Scherzai. Ovviamente i beholder non lasciano tracce, fluttuano. Holly mi accordò un sorrisetto per la mia battuta.
“In realtà è una buona idea, Johel. Dovremmo pensare come un beholder. I loro covi solitamente si sviluppano in verticale, non in orizzontale, perché a loro è più congeniale spostarsi in questo modo.”
“Quindi il loro covo è in un buco oppure su un albero?”
“É probabile. Ma per trovarlo, sarà meglio seguire le tracce dei suoi tirapiedi. Loro avranno lasciato delle vere orme nel terreno.” Indicò con un ampio gesto la radura intorno a noi. “Quindi forza, ranger delle foreste! Datti da fare!”
Ah. Ecco perché mi voleva con sé.

Trovammo il covo, ma era stato ripulito. C’erano altre tracce, umanoidi. Alcuni briganti forse erano riusciti a scappare, e se è così, erano certamente tornati a recuperare il maltolto.
Seguimmo le tracce fino alla costa. Era ormai notte quando lo trovammo, in una grotta al livello del mare: un mezzorco ben piazzato, alto una volta e mezzo me, con bicipiti come tronchi d’albero... ma il cervello di un gamberetto. Era ubriaco marcio e se ne stava praticamente sdraiato su una borsa dall’aspetto costoso.
Io e Holly restammo in piedi a guardarlo per lungo tempo, mentre russava sonoramente e ogni tanto biascicava parole incomprensibili.
“Ebbene...” Dissi alla fine, per rompere il ghiaccio. “A questo punto, cosa dovremmo farcene di questo qui?”
“Hai suggerimenti?” Mi chiese Holly, prima di sbilanciarsi.
“Siamo in una grotta, quindi hai una volta rocciosa sopra la testa che impedisce ai tuoi pensieri di volare via.” Lo presi in giro, riprendendo il discorso di prima. “Mi aspetto che tu sappia uscirtene con un buon piano.”
Holly mi prese in parola. Il mio era un discorso serio e lui lo sapeva.
“Lo leghiamo, lo svegliamo, lo interroghiamo sui suoi eventuali propositi criminali, e poi decidiamo il da farsi.” Elencò. “Ho la tua approvazione?”
“Certo, ma che mi dici di quella borsa? Probabilmente contiene ciò che cerchiamo.”
Holly esitò.
“Sì, ma... non sappiamo ancora cosa ci sia dentro, quasi sicuramente merce rubata o di contrabbando. Se fosse qualcosa di nocivo dovremmo distruggerlo indipendentemente dal suo valore.”
“Corretto di nuovo!” Lo gratificai con un sorriso mentre preparavo la corda con cui legare il brigante. “E se invece fossero soldi, gemme, oggetti magici non dannosi o qualsiasi bene di consumo?”
Questa volta lo vidi tentennare.
“Uhm... in quel caso... ecco... non ci sono un po' troppi fattori da considerare?”
Cominciai a legare il mezzorco, ma non era un compito facile. Holly mi aiutò a girarlo, pesava almeno un paio di quintali. Lavorammo in silenzio, mentre riflettevo sulla sua strana risposta e gli lasciavo il tempo di approfondire. Anche dopo aver completato il nostro compito, Holly non aggiunse nulla, quindi mi presi la briga di riaprire il discorso. “Quali fattori da considerare?”
“Se si trattasse di oggetti che appartengono a qualcuno, forse dovremmo restituirli.”
Lo guardai per un lungo momento, profondamente indeciso, ma alla fine il mio lato rispettoso della legge vinse la battaglia interiore. “Sì, suppongo tu abbia ragione. Sperando di ricevere una ricompensa, magari.” Sospirai. “Però non mi aspettavo da te un simile rispetto per le regole del vivere civile.”
“Non me ne frega niente delle regole del vivere civile.” Mugugnò Holly. “Ma so cosa vuol dire essere affezionati ad alcuni oggetti. Io non sopporterei di perdere la mia spada bastarda, per esempio. E sono molto legato anche all’arco che il tuo clan mi ha donato.”
Sì, Holly ha proprio un amore malsano per le sue armi, bisogna riconoscerlo… anche se in questo caso è giustificato perché si tratta di oggetti sacri. Soppressi un risolino, concentrandomi sul compito di slegare i nodi dei lacci che chiudevano la borsa.
“Uh, è molto più grande all’interno!” Annunciai, sbirciando dentro. “Ma ora è troppo buio per fare un inventario decente.”
“Bene, pensiamo al nostro amico furfante allora.”

Lo svegliammo raccogliendo un po’ d’acqua di mare in una gavetta e lanciandogliela in faccia. Il bestione si mosse a disagio e lentamente riprese conoscenza.
Mi nascosi in un’alcova della grotta per non farmi vedere; lasciai l’interrogatorio a Holly, è più bravo di me a intimidire la gente.
Cinque minuti dopo il mezzorco stava piagnucolando come un infante e aveva rivelato al mio amico tutti i suoi piani, i dettagli dell’accordo con i pirati e anche la provenienza del tesoro. Holly non aveva nemmeno dovuto toccarlo, era bastato fare leva sulla sua codardia usando le minacce giuste. I prepotenti diventano sempre degli agnellini quando si trovano davanti qualcuno più forte di loro, sono capaci solo di schiacciare i più deboli.
“Ti prego... ti prego.” Ripeteva il mezzorco. “Posso esserti utile, ti servirò, ucciderò i tuoi nemici per te...”
“Me li uccido da solo i miei nemici.” Rispose Holly, grondando sdegno. Con una mossa fulminea colpì il brigante alla tempia usando il piatto della sua spada bastarda, e la creatura già confusa per il panico e per l’alcol ricadde a terra come un frutto marcio.

Raccogliemmo la sua borsa, ma non osammo toccare gli altri suoi effetti personali per paura di prenderci la scabbia.
“Cosa ne facciamo ora di lui?”
Holly scrollò le spalle. “Se lo consegniamo alla città, Linomer lo ucciderà. Hai visto come il suo Simulacro ha reagito davanti al beholder.”
“E non si è forse meritato un simile destino?”
“Immagino di sì, ma confessando tutto si può dire che abbia collaborato con la giustizia, non credi?” Obiettò Holly.
“Per paura.” Puntualizzai.
Il mio amico non sembrava convinto.
“Holly, se lo lasciamo in libertà farà nuovamente del male a degli innocenti. Lo so che tu pensi che per chiunque possa esserci una redenzione, ma quanto poco è probabile? E quanto dolore porterà ancora se lo lasciamo andare?”
Holly sospirò.
“Non per chiunque, non sono pazzo. Vorrei solo avere le tue certezze, Johel.”

Svegliammo di nuovo il mezzorco. Di sicuro ormai gli bruciavano gli occhi, a forza di buttargli acqua salata in faccia.
Riprese conoscenza, grugnendo. Questa volta Holly gli lasciò il tempo di riprendersi, prima di chiedergli: “Qual è il tuo nome?”
“Allora non eri un incubo” rispose lui, guardando il mio amico con terrore.
“Un nome molto lungo” commentò Holly, con asciutto sarcasmo.
“No, io...” il mezzorco inciampò nelle parole, confuso. “Korum. Korum Barehead.”
“Korum Barehead, verrai con me alla città di Derlusk.” Decretò Holly. “Ti costituirai alle guardie e confesserai i tuoi crimini, e forse, se riuscirai a renderti utile sgominando il pericolo dei pirati, ti permetteranno di continuare a vivere.”
Il brigante, Korum, lo guardò con occhi vacui. La paura lasciò il posto al dubbio e infine alla rabbia.
“No! Non lo farò.” Ruggì.
Questo colse di sorpresa sia me che Holly. Era la prima volta che quel manigoldo mostrava un po’ di coraggio, o anche solo di convinzione.
“Derlusk è una fogna che deve sprofondare nel sangue!” Continuò, troppo arrabbiato per fare caso alla nostra reazione. “Quella cagna di mia madre viveva a Derlusk. Quando sono nato mi ha buttato in mare perché che schifo i mezzorchi. Non ero degno della sua graziosa e pulita città. Voglio vedere Derlusk distrutta e pisciare sulle sue rovine, non mi interessa quanto mi costerà! Voglio veder morire ogni uomo, donna e bambino, voglio bruciare le loro case e prendermi i loro averi. Io sono nato pirata e morirò pirata, le guardie cittadine possono incularsi con le loro picche!” Sbraitò, completamente preso dalla sua sete di sangue.
Holly gli diede un’altra spadata in testa, facendolo svenire di nuovo.
“Ma sta diventando un’abitudine!” Esclamai, coprendomi gli occhi con una mano. “Perché lo hai fatto svenire? Non riusciremo mai a trascinarlo di peso fino a Derlusk.”
Holly scosse la testa e mi guardò. I suoi occhi erano invasi dalla tristezza.
“Non lo porteremo a Derlusk. Non c’è niente lì per lui.” Avvicinò la spada al collo esposto del mezzorco svenuto, e capii quello che voleva fare. “La sua storia è molto triste, ma più il rancore è giustificato e più è improbabile che qualcuno cambi idea. Non c’è speranza di redenzione per costui, ma merita una morte veloce e indolore.”
“Merita la morte senza dubbio.” Incrociai le braccia, contrariato. “Ma non sono certo che meriti una morte veloce. Ha saccheggiato, depredato, stuprato e ucciso...”
“E farà i conti con il peso delle sue azioni quando arriverà nell’Aldilà.” Tagliò corto Holly.
Sollevò la bastarda, esitò un altro momento per imprimersi nella mente il volto rilassato della sua vittima, poi abbassò la lama facendole descrivere un arco discendente. La decapitazione fu rapida come era stato per il duergar tempo prima, ma stavolta priva di dolore e paura.

Il giorno dopo eravamo nuovamente in città. Avevamo preso una stanza in una locanda, e anche se era una locanda economica capivo quello che aveva inteso Korum Barehead definendo Derlusk graziosa e pulita città. Anche la locanda più povera aveva sempre tovaglie pulite e fiori alle finestre, e la taverna più malfamata poteva vantare al massimo qualche baro. Era il luogo più tranquillo e più borghese che avessi mai visitato.
“Dunque, questo è il nostro ricavato.” Annunciai, svuotando la borsa sul pavimento della nostra stanza, approfittando del grande tappeto al centro della camera per attutire il rumore. “E non dobbiamo nemmeno preoccuparci di restituire questi oggetti ai loro proprietari, visto che li hanno ottenuti depredando un antico tempio sepolto fra le polveri dello Shaar.”
Holly prese fra le mani una delle tozze e brutte statuette d’oro, idoli a immagine di qualche divinità da tempo dimenticata. “Vero, ma questa roba andrebbe purificata un po’. Probabilmente era il tempio di una divinità malvagia.”
“Le monete invece sembrano della valuta corrente.” Ipotizzai, studiandone una. “Queste non sono antiche. Le avranno rubate a chissà chi.”
Holly si sedette a gambe incrociate, pensieroso. “Johel, pensi che dovremmo dividere questo tesoro? Non abbiamo sgominato il beholder e la sua banda da soli.”
Ah, dannazione. Speravo proprio che non se ne uscisse con quest’idea, ma almeno avevo già la risposta pronta.
“Linomer non era davvero con noi, è stato il suo Simulacro a fare la maggior parte del lavoro, e la povera creatura è stata distrutta. Non penso che dovremmo contarlo per la spartizione.”
Holly corrugò la fronte, segno che non era troppo d’accordo, ma non mosse obiezioni. “Per quanto riguarda Karasel, non credo che una creatura celestiale abbia grande interesse nei beni materiali, tanto più che si tratterebbe di poche migliaia di monete. Rimangono Yalathanil e Shanyrria. Capisco che tu avessi un debole per lei, ma...”
“Ehi, no, ferma.” Holly sollevò entrambe le mani. “Che vuol dire che avevo un debole per lei?”
“Voglio dire... quando Yalathanil ti ha chiesto di provare la tua identità, tu hai insultato sia lui che me, ma non hai detto niente di sgradevole a Shanyrria.”
“Ho criticato il suo stile di combattimento!” Recriminò Holly, offeso. “Una guerriera esperta come lei l’avrà trovato offensivo per forza.”
“Ah-ah. Se lo dici tu...”
“Però è vero, non possiamo dividere il tesoro con quei due. Per farlo dovremmo recarci a Evermeet. Certo, se tu ci vuoi andare...”
Sollevai un sopracciglio in modo molto eloquente.
“Prenderò il tuo silenzio per un no.” Concesse, agitando una mano.
“E tu invece?”
Holly mi guardò come se fossi completamente pazzo.
“Preferirei essere scorticato, ricoperto di miele e poi appeso sopra a un formicaio.” Storse la bocca in una smorfia amara mentre lo diceva. Io mi limitai ad annuire.
“Mi sembra perfettamente ragionevole” mormorai. E lo pensavo sul serio.

Mi accollai l’incombenza di fare l’inventario del tesoro dei briganti.
“Tremila monete d’oro e cinquantanove d’argento.” Enumerai. “Poi alcuni oggetti preziosi, come questo pugnale dall’aspetto inutile ma costoso... e gli idoli d’oro massiccio, frutteranno in tutto qualche migliaio di monete. Ma se ci fossero oggetti magici qui in mezzo, potrebbero valere un po’ di più.”
Holly annuì, concordando con la mia valutazione.
“Immagino che non chiederemo proprio a Linomer di identificarli, nel caso, vero?”
Mi strinsi nelle spalle, ragionando in fretta.
“Non sarebbe molto saggio.

           

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Capitolo 26
*** 1316 DR: Epilogo (Parte 2) ***


1316 DR: Epilogo (Parte 2), ovvero Un viaggio normale, sì, sono tutti così


Inizialmente viaggiammo in nave su un mercantile che da Derlusk era diretto nel Calimshan, facendo tappa a Suldolphor. Approfittammo della varietà di negozi offerti da quella metropoli per vendere gli oggetti che avevamo trovato in mano al brigante.
“Guarda, a quanto pare abbiamo già ricavato quanto basta per pagare il rituale di resurrezione.” Annunciai, appoggiando la borsa conservante piena di soldi sul pavimento della cabina che condividevamo. Anche se saremmo rimasti al porto per tre giorni, avevamo reputato più sicuro dormire nella nave.
“Sul serio?” Mi domandò sorpreso, sbirciando nella borsa.
“Alcuni di quegli oggetti erano magici!” Rivelai con un gran sorriso.
“Abbiamo abbastanza per pagare il rituale e per il passaggio in nave, ma temo niente di più.”
“Sì, ma che mi dici della tua parte?”
“Non mi interessa.” Respinsi l’offerta spingendo la borsa verso di lui. “Io sono un elfo dei boschi, noi non siamo così attaccati al denaro; le cose migliori della vita, dopotutto, sono gratis.”
“Uh, certo. Immagino che tu ti riferisca a tramonti, graziosi animaletti e alberi da abbracciare...” Mi prese in giro, perché sapeva benissimo a cosa mi stessi riferendo.
“Sì, sì. Mentre tu riscopri il tuo lato poetico, io vado in città a cercarmi qualcuna di quelle belle cose gratis, hm?”
“Ma sul serio ti piacciono, le donne umane?” Lo sentii ridacchiare, ma io stavo già uscendo.

Due giorni dopo ripartimmo, e tutto procedette bene per circa un’ora, forse due.
Purtroppo, attraversando lo Stretto delle Tempeste, la nave si imbatté per l’appunto in una tempesta, che per poco non la fece affondare. Il sottoscritto passò i giorni seguenti a vomitare fuoribordo, almeno finché non mi abituai alla nuova strana pendenza della nave... e giurai a me stesso che non avrei messo più piede su una barca, almeno per dieci anni.
Il capitano ordinò una tappa forzata nel porto di Almraiven, una città criminale e corrotta (in pratica il primo vero baluardo nella regione orientale del Calimshan) ma che aveva il pregio di vantare il miglior cantiere navale del Faerûn meridionale. Decidemmo di scendere lì; la città era molto vicina alle propaggini meridionali della foresta di Sarenestar.

Ci fermammo poco, solo il tempo necessario per riferire l’esito della missione, poi ripartimmo verso ovest e poi a nord lungo la Costa della Spada. A piedi. Basta navi. Basta.
Attraversammo le propaggini occidentali della Wealdath, fermandoci a salutare il clan dei miei parenti. Holly evitò con cura il luogo della sua prima sepoltura, dicendo che lo metteva a disagio. Tuttavia non potevamo fermarci a lungo e presto la strada fu nuovamente sotto i nostri piedi.

L’autunno stava cedendo il posto all’inverno, e la cosa sembrava tanto più improvvisa quanto più ci spostavamo verso settentrione. Dopo Baldur’s Gate il nostro cammino fu spesso contrastato da venti freddi che ci correvano incontro come se volessero rallentarci di proposito, e presto iniziammo a vedere le campagne spruzzate dalle prime nevi.
“Non vedo l’ora che tu torni in vita, almeno al ritorno potremo comprare dei cavalli.” Mi lamentai, in un piovoso pomeriggio. Aveva scrosciato tutto il giorno, l’acqua fredda mi si era infilata in posti che nemmeno sapevo di avere e non desideravo nulla più di una locanda con una sedia vicino al camino, e un letto caldo.

Arrivammo in un villaggio chiamato Kheldrivver, un insieme di casupole sul versante di una collina che si affacciava sulla strada mercantile. Il villaggio era sovrastato da una struttura bassa e squadrata che poteva essere un tempio o un monastero, difficilmente un palazzo perché era disadorna e brutta.
C’era una sola locanda, completamente dimenticabile se non per il nome curioso (Naso di Troll), e i prezzi veramente fuori dal comune. Tuttavia pioveva, faceva freddo ed era quasi notte, quindi non era il caso di essere pretenziosi.
La locanda offriva anche vitto e alcolici, anche qui nulla di memorabile ma sempre meglio delle mie scorte da viaggio. Il villaggio di Kheldrivver contava solo 150 persone, testa più testa meno, ma aveva una piccola comunità di nani che sapevano mescere una birra piuttosto robusta.
“Sei sicuro di reggere la birra nanica?” Mi chiese Holly a metà serata. Almeno credo.
“Eh... cosa?”
“Johel, dovresti... dovresti smettere di bere, amico.”
Mi sporsi in avanti e gli sussurrai, con l’aria di voler fare un discorso profondo: “Ma tu... ci credi alle vite passate?”
Holly si appoggiò allo schienale della sedia, pensieroso. “Intendi, la reincarnazione? Boh, immagino di sì. Alcune persone ci credono, per cui immagino che possa succedere.” Rispose, tenendosi sulle sue. “In realtà, un po' ci spero.”
Annuii, anche se non avevo esattamente capito il suo discorso.
“Io so che è una cosa vera. Perché tu, è ovvio, nella vita passata tu eri un nano.”
Holly sbatté le palpebre un paio di volte. Essendo morto non ne aveva davvero bisogno, lo faceva solo quando era perplesso.
“Un nano.” Ripeté, lentamente. “Ho paura a chiederti perché.”
“Be’, perché sei...” Cominciai, ma lui m’interruppe.
“Se stai per fare un commento sulla mia altezza, ti prenderò a pugni anche se sei ubriaco.”
“...scorbutico.” Conclusi, correggendomi appena in tempo. “Dici un sacco di parolacce.”
“Questo è ingiusto, è uno stereotipo razziale. I nani non dicono parolacce. Non più di chiunque altro. Sono un po' ruvidi, ma è il loro modo di essere.” Mi rimbrottò.
Avevo ascoltato solo mezza frase, ma andai avanti, perché non avevo ancora scoccato tutte le frecce della mia faretra.
“Non solo quello. Sei sempre offensivo con noi elfi.” Recriminai, agitando un dito nella sua generica direzione.
“Dèi, quanti calci nel culo avresti dovuto prendere e non hai preso...” mormorò, poggiando la faccia contro il palmo della mano e scuotendo la testa.
“E sei testardo come un nano.”
“Bene, grazie. Lo prendo come un complimento!”
“Detesti i due... dur... i nani grigi.”
“No, detesto gli schiavisti. Mastro Murghol è un duergar e non ho niente contro di lui.” Rispose prontamente, parlando a bassa voce.
“Be’, ma poi... non ti perdi nelle gallerie.”
“Ci mancherebbe, sono un esploratore di dungeon. Tutto questo è pretestuoso!”
“E reggi l’alcol come un nano, perché dici tutte queste parole difficili dopo la birra e...”
“Senti amico, sei tu che stai bevendo, io sono sobrio, lo capisci? Io non posso bere, non posso mangiare, il mio stomaco non funziona!”
Lo guardai con quella che spero fosse un’espressione saggia, mentre riflettevo sulle sue obiezioni.
“Sono contento che non sei un nano anche in questa vita.” Gli dissi alla fine, cercando di mettergli una mano sulla spalla. “Se tu nascevi nano, anche tua sorella era una nana, e non mi piacciono le donne con la barba.”
“Johel, tu non dovresti bere. Vino elfico al massimo, ma niente di più, va bene?”
Presi il mio boccale di birra nanica con entrambe le mani, tirandolo verso di me in un gesto protettivo. “Ma mi piace questa broda...”
Non chiamarla così. Se qualcuno ti sente... è molto offensivo.”
“Ma ormai è calda, come la devo chiamare?” Guardai il mio boccale mezzo vuoto, sconsolato. Poi mi venne in mente una cosa: “Holly, mi puoi raffreddare la birra? Tu hai sempre un’aria fredda intorno quando... quando...”
“Quando sono incorporeo.” Mi aiutò a completare il pensiero. “Non posso farlo adesso. E comunque non lo farei, è umiliante.”
Borbottai il mio malcontento, buttando giù un altro sorso. Era buona, anche se calda. Aveva un retrogusto pungente.
“Fra poco tornerai in vita e non potrai più farlo.” Ribattei, sconsolato. “Era l’unica cosa buona del fatto che eri morto.”
Holly mi guardò con occhi così assassini che mi chiesi se avesse anche del sangue di basilisco nelle vene.
“Però potrò di nuovo pisciarti nel bicchiere, il che è un considerevole passo avanti.”
“Maledetto nano.” Biascicai, mentre mi alzavo in modo non troppo stabile. Mi mossi verso le scale, con l’idea di raggiungere la nostra camera. Non credo che ci sarei arrivato, senza il suo aiuto.

“Facciamo che tu non berrai più per qualche anno.” Fu il saluto di Holly, la mattina dopo a colazione.
“Ho fatto qualcosa di imbarazzante?”
“Johel, sei un elfo adulto. Non puoi contare sempre su di me per restare fuori dai guai.”
“Oh dèi.” Mi passai una mano sul volto. “Che cosa ho fatto?”
“È piuttosto imbarazzante... diciamo che hai mostrato uno stranissimo e malato interesse per la testa di troll in cartapesta che è... che era attaccata all’insegna.”
No” mormorai, rabbrividendo.
“Poi hai cominciato a parlarmi convinto che io fossi un nano. È stato strano, all’inizio, ma a un certo punto ti sei messo a farfugliare cose senza senso affermando di parlare il nanico.” Questa volta gemetti qualcosa di incoerente. “E hai fatto apprezzamenti pesanti su mia sorella dicendo che ti piace la sua fluente barba bianca.”
“Ma che dici, non ho mai visto la sua fluente barba bianca!” Sbottai adesso, incrociando le braccia. “Holly... non è che mi stai prendendo in giro?”
Holly mi rivolse un sorriso furbo che vuol dire tutto e niente.
“Potrei aver gonfiato un po' le cose.” Ammise. “Però la parte in cui mi credevi un nano era vera.”
“Perché sei basso.” Tagliai corto.
“Oh, cielo. Perfino ieri sera avevi argomentazioni migliori. Allora, vuoi una pozione per il dopo sbornia?”
“Ho un’idea migliore. Non ho avanzato mezzo boccale, ieri notte? Non credo che oggi sopporterò a lungo la tua compagnia, da sobrio.”

Una decina di giorni dopo finalmente arrivammo in vista di Waterdeep, con mio grande sollievo. La Città degli Splendori non era mai stata una vista così splendida.

           

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Capitolo 27
*** 1316 DR: Epilogo (Parte 3) ***


1316 DR: Epilogo (Parte 3), ovvero Di istinti e di princìpi


La nostra prima tappa a Waterdeep fu tornare al sanatorio dove lavorava il povero Lólindir, il drago in forma umana (o meglio, elfica) che custodiva le spade corte di Holly. Questa volta il mio amico voleva parlagli di persona. Indagando discretamente, avevo scoperto che il guaritore era impegnato nel turno pomeridiano e avrebbe terminato di lavorare dopo il tramonto.
Io e Holly lo stavamo aspettando ingannando il tempo in una taverna dall’altra parte della strada. Era una via piuttosto stretta e non c’era posto per sistemare tavoli all’esterno (ma non sarebbe stata comunque la stagione giusta), quindi ci eravamo sistemati dentro, ad un tavolo vicino alla finestra. La finestra era solo un buco nel muro che in inverno veniva chiuso con delle persiane; filtravano spifferi freddi dalle assi non perfettamente allineate, ma il lato positivo era che ci lasciavano abbastanza spazio per sbirciare fuori.
Il sole era calato da un po’, quando alla fine la figura minuta e longilinea di un elfo della luna uscì dal portone del sanatorio. Holly lasciò che si incamminasse fra gli stretti vicoli e poi gli andò dietro.
“Buongiorno, Lólindir. O dovrei dire buonasera.” Lo salutò Holly, prendendolo di sorpresa. Il ragazzo fece quasi un salto fuori dagli stivali e si voltò rapidamente.
Tu!” Lólindir lo squadrò da capo a piedi; Holly aveva abbandonato il suo travestimento da mezzelfo, ma aveva un cappuccio ampio che gli copriva il viso. A quanto pare Lólindir l’aveva riconosciuto comunque.
“Io.” Annuì laconicamente il mio amico.
“Sei qui per le tue maledette spade?”
“Suvvia, non sono maledette.” Holly agitò una mano come per dissipare le accuse del giovane. “E non sono qui solo per quelle. Volevo anche parlare con te.”
“Non hai mandato quel messaggero elfo, stavolta?” Gli occhi verdi del drago lo squadrarono con sospetto. “Oppure lo hai già ucciso?”
“Sono qui.” Uscii dalla viuzza laterale dove mi ero fermato. “Vivo e vegeto. Pensavo voleste parlare da soli.”
Lólindir mi rivolse solo un breve sguardo, ma notai che faceva molta fatica a distogliere gli occhi da Holly. Tutte le creature tengono d’occhio le cose di cui hanno paura, è un istinto naturale.
“Non voglio affatto parlare con lui!” Disse infatti, con voce leggermente troppo acuta.
“Per questo invece dobbiamo.” Intervenne Holly. “Lo so che non sono stato gentile con te quando eri piccolo, io non sono mai gentile con nessuno, e so che posso essere abbastanza spaventoso. Non so trattare con i bambini e all’epoca ci sapevo fare ancor meno. Però ci tenevo che tu capissi che non ti avrei mai fatto del male, e che non lo farei nemmeno adesso.”
Holly aveva parlato in tono pacato, senza traccia di sarcasmo, e so che per lui rivolgersi con questo tono a un estraneo è la cosa più vicina possibile a un discorso col cuore in mano. Era sincero, e credo fosse anche dispiaciuto che Lólindir avesse ancora paura di lui.
“Non potresti farmi del male.” Rispose l’altro, alzando il mento in segno di orgoglio. “Nemmeno se lo volessi.”
Quella di Lólindir probabilmente era solo l’arroganza di un ragazzo spaventato, ma non credo che Holly potesse capirlo. Lui non crede nella validità strategica di mostrarsi più forti di quanto si è, quindi si aspetta che nessuna creatura dotata di astuzia lo faccia. In effetti, la sbruffoneria non è mai una tattica vincente, a meno che non sia supportata da vera forza.
E Holly sapeva che Lólindir non era così potente, non ancora.
Rivolse al drago un rigido inchino. “Molto bene, allora. Tornerò quando saprò come farmi ascoltare.”
Volse le spalle a Lólindir e se ne andò per la sua strada. Guardai l’altro “elfo” con aria interrogativa, e senza volerlo incrociai il suo sguardo altrettanto perplesso. Lui però sembrava anche un po’ in allarme.
Mi affrettai a seguire Holly, prima di perderlo nel dedalo di viuzze. Lo raggiunsi in tempo per sentirlo imprecare contro gli stupidi draghi che si credono superiori a tutti gli altri.
Già. Come sospettavo, non aveva capito.

“Devo recarmi al mio tempio.” Mi annunciò poco dopo, mentre ci dirigevamo verso il porto. Era una cosa che già sapevo, avevamo fatto tutta quella strada apposta, quindi non capii il senso della sua affermazione.
“Sì, e quindi?”
“Non avrei nulla in contrario se tu stavolta venissi con me.” Chiarì, parlando in tono quasi interrogativo.
“Oh...” Bene, questa sì che era una sorpresa. “Sono lusingato che tu voglia la mia compagnia.”
“Non ho detto che la voglio.” Holly sollevò le mani come per dirmi di andarci piano.
Un’altra delle sue verità letterali. La sua obiezione poteva facilmente essere interpretata come non voglio la tua compagnia, ma quello che aveva letteralmente detto era che non l’aveva chiesta. Era vero, non aveva domandato la mia compagnia. Nondimeno, la voleva.
Holly è una persona contorta. Usa la verità per mentire e le menzogne per dire la verità.
“Mi ero ripromesso di non salire più su una nave.” Mugugnai, un po’ preoccupato.
“La nave deve solo passare attraverso un Portale, non c’è alcun rischio che incorra in una tempesta.” Mi prese in giro. “Preoccupati piuttosto della pericolosità del luogo in cui ci stiamo recando.”
“Sono convinto che non mi avresti... non chiesto di venire con te, se il viaggio fosse stato troppo pericoloso.” Risposi soltanto.
“Vero anche questo.” Sospirò. “Ti presterò la mia fascia per camuffarti e il mio fermaglio che ti proteggerà da qualsiasi divinazione, indossali fin da ora e cerca di abituarti. Raggiungeremo il porto segreto appena prima dell’alba.”
“Come fai a sapere quando partirà la nave?”
“Non lo so. Non so nemmeno se sia in porto.” Confessò. “Ma non voglio rimanere in città sotto la luce del sole senza i miei mascheramenti. Piuttosto aspetterò nella grotta del porto clandestino.”

Fummo fortunati. La nave era in porto e sarebbe partita quel pomeriggio. Ingannai l’attesa giocando a carte con il capitano, che mi ripulì di almeno dieci monete d’oro prima che realizzassi che in quel mazzo c’erano almeno cinque assi. Però ne approfittai per testare il mio travestimento da umano, e sembrava funzionare perché nessuno dei marinai sospettò che fossi qualcosa di diverso da ciò che sembravo. Dovevo tenere a mente che le illusioni da sole non bastavano, dovevo anche mimare gli atteggiamenti degli umani, le movenze. Holly è più bravo di me in questo, ma anch’io stavo migliorando.
Quando finalmente l’equipaggio fu pronto per partire, io e Holly salimmo a bordo. Il capitano fece mollare gli ormeggi e la nave galleggiò placida verso il Portale. Fu questione di un attimo; l’aria intorno a noi si oscurò, e quando uscimmo dal Portale... be’, non che si vedesse tutta questa differenza. L’ambiente era illuminato solo dalle luci della città e da fioche fosforescenze emanate da non voglio sapere cosa.
“Non passeremo per la città.” Mi rivelò Holly. “Mi sono accordato con il capitano per noleggiare una scialuppa. Viaggeremo lungo il fiume.”
“Un fiume pieno di mostri?” Indagai, con un sorriso amaro.
“Preferisco definirlo un fiume pieno di sorprese.” Corresse il tiro. “Comunque il viaggio che dobbiamo fare è davvero breve.”

Era breve davvero. Remammo per forse quaranta metri, tagliando la corrente lenta e pigra del fiume, prima di raggiungere un’insenatura talmente insignificante che c’era spazio a malapena per tirare in secca la scialuppa.
“Ora, la strada è veramente molto stretta. Non così stretta da non riuscire a passare, ma abbastanza da non poter usare agevolmente una spada lunga. Vorrei che tu prendessi l’arco che il tuo clan mi ha donato, è più maneggevole del tuo.” Mi spiegò, porgendomi il suo arco. Lo accettai, visto che si trattava di una decisione tattica.
“Prevedi che saremo attaccati?”
“Non si sa mai.” Holly non si sbilanciò. “Lascia andare avanti me, ma tieni gli occhi aperti e seguimi.”
Annuii, stringendo fra le mani la preziosa arma. Sarebbe stato facile seguire Holly, aveva sempre con sé una fonte di luce.

Camminammo lentamente, lui davanti e io che lo seguivo, per alcuni metri. La strada era stretta come aveva detto Holly, non avrei potuto allargare completamente le braccia.
Arrivammo a un bivio. In silenzio, Holly svoltò a destra e io lo seguii. Il sentiero qui era, se possibile, ancora più angusto. Dopo una decina di metri lo spazio intorno a noi si allargò leggermente. C’erano due strade sulla nostra destra, Holly scelse la seconda. La sensazione era di stare tornando più o meno in direzione della scialuppa, ma sicuramente mi sbagliavo.
Oltrepassammo una specie di piazzola leggermente più larga in cui trovammo i resti, mezzi mangiati, di quelli che sembravano pipistrelli. Holly li ignorò e mi fece cenno di proseguire. Poco dopo, sulla sinistra si aprì un altro passaggio, ma il mio amico ignorò anche questo, anche se mi sembrava che avesse aumentato la velocità. “Svoltando a sinistra saremmo arrivati alla città” mi confidò poco dopo “e noi ora non lo vogliamo.”
Dopo l’incrocio con la strada che portava in città, il nostro sentiero si allargava un pochino per poi restringersi nuovamente pochi metri dopo, in modo improvviso, non graduale. Proseguimmo in quel modo scomodo per molti altri minuti. La nostra strada piegava a sinistra, poi a destra, poi di nuovo a sinistra e… lì incontrammo un altro bivio, che ci lasciava scegliere se proseguire dritti o andare a sinistra.
Era difficile accorgersene perché Holly aveva vicino a sé delle piccole luci danzanti che lo seguivano ovunque, ma dal sentiero alla nostra sinistra proveniva una tenue luce.
“Dobbiamo andare a sinistra ora. Siamo quasi arrivati.” Mi sussurrò in lingua elfica. “Rimani qui, vado a controllare.”
Rimasi lì. Con il cuore un po’ in gola, nell’oscurità crescente man mano che Holly si allontanava.
Tornò poco dopo, facendomi cenno che tutto andava bene. Dèi, che sollievo.
“Puoi dismettere il tuo travestimento. Non la prendono bene quando qualcuno mente loro.” Mi consigliò.
Soppressi un risolino, nonostante la tensione. “Uh, per te questo dev’essere un vero inferno.”
Holly sollevò un angolo della bocca in una specie di mezzo sorriso. “Non sai quanto. Ora ricordati, la maggior parte dei miei compagni non sa che lavoro per loro. La mia identità deve rimanere segreta e non ho mostrato il mio viso nemmeno alla guardia che staziona più avanti... ma gli ho dato una parola d’ordine che mi identifica come inviato in incognito. Ci lascerà passare, ma non proferire parola finché non saremo arrivati.”
Ero sorpreso da tanta segretezza, ma non mossi obiezioni. C’era senza dubbio un valido motivo se Holly non poteva rivelarsi nemmeno ai suoi alleati.

La guardia aveva le fattezze vagamente arrotondate di un mezzo umano, anche se le sue orecchie erano appuntite quasi quanto quelle di un elfo. Quando mi vide sgranò gli occhi come se fossi stato una bestia rara, ma mantenne il silenzio e si fece da parte per lasciarci passare. Potevo sentire il suo sguardo sulla mia schiena finché non sparimmo alla sua vista, quando il sentiero curvò bruscamente verso sinistra.
“C’è una cosa che ti dovrei chiarire.” Mi disse ad un certo punto. Il suo passo era più rilassato, come se si sentisse più al sicuro ora. “Quando dico che è un tempio... be’, non lo è. Non c’è una vera costruzione, cioè a volte ci sono delle costruzioni temporanee oppure le persone usano quello che trovano sul posto, ma più che altro si tratta di un gruppo di fedeli seminomadi.”
“Uh. Accidenti. Ma non è pericoloso... voglio dire, qui?
“Certo che è pericoloso.” Holly beccò come se avessi fatto una domanda idiota. “Questo posto è pieno di bestiacce, e quel che è peggio, di melme. Ti ho mai detto che odio le melme?”
Solo un centinaio di volte, stavo per rispondere, ma Holly mi fece cenno di tacere e fermarmi. Eravamo arrivati.

Holly era stato ingiusto. Un tempio c’era. Era semplicemente una piccola alcova con una statua della divinità, ma se ci sono i fedeli, un simbolo sacro e uno spazio delimitato, allora è un tempio.
C’era davvero una piccola comunità di fedeli. Erano quasi tutte femmine, quasi tutte poco vestite, e senza accorgermene rimasi a fissarle imbambolato per diversi secondi. Mi ripresi solo quando Holly mi schiacciò discretamente un piede.
Uno dei pochi maschi venne a parlare con noi, tenendo le armi pronte. Holly gli si rivolse in una lingua che non capivo, senza mai mostrare il suo volto. Ad un certo punto credo che abbiano parlato anche di me, perché il guerriero mi rivolse uno sguardo strano, ma poi ci fece cenno di seguirlo e ci condusse verso un’area più riparata.
A un certo punto ci indicò di proseguire da soli e dopo un’altra svolta trovammo un’altra sacerdotessa, splendidamente assorta in quella che per il suo culto probabilmente è una forma di preghiera. Era completamente nuda.
Ti odio, Holly. Pensai con tutte le mie forze, mentre mi coprivo bene con il mantello per nascondere la mia grossa gaffe. Ti odio, ma sei davvero un amico.

La sacerdotessa finì di... pregare... e poi si voltò verso di noi come se fosse sempre stata consapevole della nostra presenza.
“Ben tornato, Campione.” Disse con voce soave, rivolgendosi a Holly. “La Signora ha sentito la tua mancanza.”
Holly si inchinò con deferenza. Non con rigidità o con sarcasmo, ma con vera deferenza, una cosa che non gli avevo mai visto fare tranne che durante la cerimonia in cui lo avevamo nominato Ruathar.
“Sono soltanto un servo.” Rispose con modestia. “La Signora non è mai lontana dai miei pensieri.”
La bellissima sacerdotessa (nuda) si avvicinò a noi e posò una mano sulla guancia di Holly, facendogli capire che si poteva alzare. “Ma lei non può esserti davvero vicina quando sei morto. Dimmi che sei tornato per chiedere di poter respirare di nuovo.”
Holly chiuse gli occhi e annuì, a labbra strette. La sacerdotessa sorrise, condiscendente. Poi finalmente si voltò verso di me.
“Tu devi essere Johlariel. Il tuo amico mi parla sempre di te. É un piacere fare la tua conoscenza, e voglio ringraziarti per essere stato una guida per Holly in un mondo che non conosceva.”
Avrei voluto rispondere qualcosa di galante e arguto, ma mi uscì solo un verso strozzato e un “Piacere... mio, Signora.” Poi mi venne in mente che sarebbe stato educato inchinarmi e piegai il busto in avanti, prendendo quella scusa per abbassare gli occhi a terra, anziché lottare con tutta la mia volontà per tenere lo sguardo sul suo viso e non sul suo corpo (molto nudo).

La Gran Sacerdotessa rimase in preghiera per molte ore, per preparare il rituale che avrebbe riportato Holly in vita. Nel frattempo, ebbi l’occasione per parlare con due altre sacerdotesse, le poche che sapevano chi fosse Holly.
Ci dipinsero uno scenario abbastanza deprimente. Avevano molti nemici, e di recente avevano subito perdite non indifferenti.
“Abbiamo respinto un’invasione di melme.” Ci confidò una delle ragazze. “Ma a caro prezzo. Quattro delle nostre sacerdotesse sono morte e alcuni guerrieri sono rimasti feriti, anche se sono in via di guarigione. Inoltre un drago d’ombra si è sistemato in una caverna qui nei dintorni, e non è un vicino facile con cui convivere.”
Holly alzò la testa, interessato. “Posso immaginare. Quanto è grande?”
“Non lo sappiamo con certezza. Un alleato halfling si è offerto coraggiosamente per una missione di spionaggio, ma in tre giorni non è ancora tornato e temiamo che non tornerà affatto.” Mormorò l’altra, scuotendo la testa sconsolata.

Circa un metro.
Non l’halfling ovviamente, né il drago. La testa del drago. Era lunga circa un metro.
“Mi rincresce immensamente, non ho trovato il povero halfling.” Esordì Holly la mattina dopo, poi scaricò ai nostri piedi quel macabro trofeo. Le due sacerdotesse lo guardarono in silenzio sbigottito.
“Holly, quante volte ti ho detto di non portare cadaveri di mostri a colazione? Parola mia, sei peggio di un gatto.” Lo rimproverai, senza scompormi. Lo sapevo che sarebbe andato, aveva mostrato fin troppo interesse per quel drago la sera prima.
Quanto a me, una volta superato l’ovvio disagio iniziale, mi ero mostrato interessato a ben altro. Il mio fascino esotico aveva aiutato, e in quelle poche ore avevo imparato un sacco di cose che non sapevo. Un sacco di cose tutte nude.
Le due sacerdotesse continuarono a guardarlo in silenzio sbigottito, come se all’improvviso avessero paura di lui.
“Mie signore, al momento sono ancora un non morto. Immune agli attacchi meschini del cono d’ombra di questo drago. Non si sarebbe ripresentata un’occasione del genere.” Spiegò Holly, sempre con quel tono da servitore.
La spiegazione perfettamente logica del suo successo contribuì a risollevarle un pochino.
“Ti siamo grate per la tua sollecitudine.” Mormorò una delle due, alla fine.
“Non ditelo nemmeno.” Si schernì Holly. “Vorrei chiedervi però se ho il permesso di tenere la testa.”

La Gran Sacerdotessa ci raggiunse poco dopo. Aveva indossato un leggero vestito, forse di seta, ma era praticamente trasparente. Rivolse appena un’occhiata alla testa recisa.
“Ci mancherà la tua efficienza.” Sospirò, in tono leggermente abbattuto. “E ci mancherà anche il povero ser Pippin, pace all’anima sua.” Scosse la testa, lasciando ondeggiare la sua cascata di capelli d’argento. Immagino che il povero ser Pippin fosse l’halfling.
“Vorrei potervi essere d’aiuto più di così.” Ammise Holly. “Ho tre volte un debito di vita con voi.”
La signora alzò una mano per segnalargli di tacere. “Non puoi rimanere qui, attiri troppo l’attenzione facendo cose come questa.” Gli fece notare, indicando la testa mozzata. “Sarebbe un disastro se le persone sbagliate cominciassero a farsi le domande giuste. Sono lieta che tu abbia trovato una casa fra la gente di ser Johlariel.”
Holly annuì, accettando la logica della donna.
“Ora, se sei pronto... seguimi.” Gli fece un cenno con la testa. Lui mi lanciò una borsa conservante vuota, facendomi cenno di metterci dentro la testa del drago, e le andò dietro.
Come al solito, tocca sempre a me il lavoro sporco.

           

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Capitolo 28
*** 1316 DR: Epilogo (Parte 4) ***


1316 DR: Epilogo (Parte 4), ovvero Trattato sulla diplomazia e sul perché Can Che Abbaia Non Morde


Holly e la conturbante sacerdotessa erano spariti da un po’. Ne approfittai per approfondire la conoscenza con gli altri fedeli del “tempio”. Avevo già conosciuto le due sacerdotesse la notte prima, ma non si può dire che avessimo passato molto tempo a parlare.
Erano tutti molto incuriositi da me. La maggior parte di loro non aveva mai visto un elfo dei boschi. Nel corso di quelle ore, molti si fermarono a chiacchierare con me chiedendomi come fosse la mia vita, che cosa significasse vivere in una foresta con un clan di elfi. Tutti quanti parlavano il Comune più che discretamente, quindi riuscii a farmi capire. In cambio mi raccontarono storie sulla loro vita lì, ma erano quasi tutte storie di combattimenti contro i mostri o conto i loro molteplici nemici, o di missioni rocambolesche per liberare schiavi.
Ammiravo quelle persone per la loro dedizione totale, avevano scelto di vivere in modo molto precario per assecondare i loro princìpi. Conoscendoli arrivai a capire un po’ meglio la dedizione di Holly, che a volte reputavo un po’ estrema; non era affatto estrema se paragonata alla loro.
Credo di essere rimasto un paio d’ore in attesa di notizie, cercando di schiacciare la sottile preoccupazione che provavo, quella voce nella mia testa che diceva E se qualcosa andasse storto? La possibilità di scambiare racconti di vita mi diede modo di distrarmi un po’, ma sotto sotto ero sempre in tensione.
Alla fine, la Gran Sacerdotessa tornò da me.
“Il tuo amico è vivo. Fra poco si sveglierà. Desideri essere presente?”
Naturalmente desideravo esserci. La seguii di buon grado nel luogo in cui aveva svolto il rituale, ed ero così in pensiero che non le guardai neanche il fondoschiena.

Holly era steso su un blocco di pietra che immagino facesse la funzione di altare. All’inizio mi sembrò morto, ma guardandolo bene alla fioca luce dei fuochi fatui mi accorsi che respirava lentamente. Era come addormentato, avvolto nel suo mantello. Probabilmente quel singolo strato di tessuto, per quanto pesante, non poteva tenere lontano il freddo della pietra, perché Holly cominciò presto a rabbrividire nel sonno.
“Sta riprendendo la sensibilità. È importante che in questi primi momenti prenda confidenza con il suo nuovo corpo, bisogna stimolare il senso del tatto perché all’inizio sarà un po’ insensibile.”
Lui è sempre insensibile, pensai con un sorriso. Ma non avevo abbastanza confidenza con la signora per fare una battuta, soprattutto sul mio amico morto. O ex morto.
Alla fine Holly aprì gli occhi. Li spalancò di colpo, come se si svegliasse da un brutto sogno.
“Dove sono stato?” Domandò subito, parlando con voce roca. Deglutì una volta, provò a schiarirsi la gola e parlò di nuovo. “Non ricordo… i ricordi mi sfuggono come acqua… dove sono stato?”
La sacerdotessa scosse la testa, incapace di dargli una risposta. “Quello che succede a un’anima nell’Aldilà è fuori dal mio controllo.” Rispose pacatamente. “Cosa ricordi?”
“Ricordo una voce, chiaramente, era… non era la dea, era una voce maschile. Aveva un tono… come di rimprovero, ma il ricordo non ha il sapore del disagio. No, ero molto contento. Ma non ricordo… ero convinto che le cose stessero per cambiare in meglio ma non ricordo perché.”
Parlò di getto, come se temesse che da un secondo all’altro avrebbe dimenticato tutto. Forse sarebbe successo proprio quello. Si alzò a sedere, cautamente, appoggiandosi sulle mani. Sbatté le palpebre una o due volte, confuso. Si portò una mano al viso, come per stropicciarsi gli occhi, ma quando si toccò una palpebra sussultò.
“Ho qualcosa negli occhi?” Tastò la palpebra chiusa con la punta delle dita, poi passò all’altro occhio. “Ho qualcosa negli occhi! Sembrano delle lenti molto sottili. È opera dell’incantesimo…?” Domandò, rivolgendosi alla sacerdotessa. Lei però era confusa quanto lui.
“No, decisamente no. L’incantesimo avrebbe dovuto creare solo una copia del tuo corpo.”
Si guardarono l’un l’altra, come se entrambi sperassero che l’altro trovasse una spiegazione. “Oh, be’.” Decise alla fine Holly. “Se hai ricreato il mio corpo con un incantesimo clericale e sono comparse anche queste, sarà la volontà divina… credo.”
“Potresti chiederlo direttamente alla Signora.” Suggerì la sacerdotessa, con un sorriso birichino. “Potrebbe essere l’occasione giusta per vedere se le tue capacità sono sopravvissute alla tua morte.”
Holly sembrò sul punto di obiettare, ma poi evidentemente cambiò idea. Si strinse meglio nel mantello, chiuse gli occhi e sembrò raccogliersi in una grande concentrazione. Rimase così per un tempo che mi parve infinito, ma forse erano solo alcuni minuti.
“Non si tratta di un suo dono.” Ci spiegò infine, quando aprì nuovamente gli occhi. “È stata la volontà di Corellon Larethian. Le lenti sono uno strumento per svolgere meglio i miei compiti, qualunque cosa voglia dire. Mi serviranno a servire, o qualche altra frase a effetto del genere.”
“Ma non ti ha detto esattamente che effetto abbiano?” Domandai.
Holly e la sacerdotessa mi guardarono con una punta di compassione.
“Non funziona in questo modo.” Spiegò lei dolcemente.
“Proprio no.” Rincarò Holly. “È già tanto avere una risposta più lunga di un Sì o un No. Ma per me è sufficiente sapere che questi oggetti mi siano stati dati per essere più utile. È un grande sollievo, significa che il Padre degli Elfi considera favorevolmente il mio desiderio di redimermi per ciò che è successo a Shilmista.”
“Penso sia ora che mi racconti tutto.” Intervenne la sacerdotessa. “A partire dalla tua missione nel Cormyr, sempre che tu l’abbia portata a termine.”
Holly raddrizzò leggermente la schiena. “Ebbene sì, dopo la mia morte ho proseguito il mio cammino verso il Cormyr e ho effettivamente svolto la mia missione.” Raccontò. “Ho trovato il Portale misterioso di cui avevamo sentito parlare, e da esso emana davvero una strana malvagità.”
“Una strana malvagità?” Ripeté la donna, chiaramente incuriosita da quella scelta di parole. “Da quando la malvagità è qualcosa più che banale e prevedibile?”
Holly si strinse nelle spalle, rabbrividendo leggermente per il freddo. “Non lo so, era strana. Non mi è sembrato che fosse un Portale che dava sull’Abisso, ricordo la sensazione che lascia sulla pelle la presenza dei demoni ed è diversa da quella. Potrebbe aprirsi su un diverso Piano immondo, ma non so quale. Forse un chierico saprebbe indagare meglio.”
Ci rifletté ancora un momento, corrugando la fronte. “Oh, un altro dettaglio, non so se possa servire: si apre solo con la luna piena, per pochi minuti, e quando si apre ne esce un fitto banco di nebbia.”
“Nebbia? Ti ha fatto qualcosa?”
Holly scosse la testa. “Ero già un fantasma, Signora. Non so se la nebbia sia velenosa o se provochi confusione nelle menti deboli… ero al di là di simili problemi. Per me è stata solo nebbia.”

Holly poi le raccontò anche quello che era successo a Shilmista, la sua morte, la mia missione “diplomatica” e la spedizione di Saelas nelle gallerie. Parlammo a lungo, tutti i tre, delle nostre azioni, di responsabilità e colpe. La sacerdotessa però non si espresse, né per assolvere né per condannare, lasciò che fosse Holly ad aprire il suo cuore.
Non so se lui si sia sentito meglio alla fine di tutto questo, ma sapevo che aveva bisogno di raccontarle tutto.
Poi le facemmo anche un resoconto preciso della missione alla ricerca della città perduta di Atorrnash. Questa storia suscitò tutto il suo interesse e ci fermammo a parlarne per ore, forse per tutto il giorno.

Ripartimmo quella stessa sera (o almeno credo che fosse sera). Confesso che mi voltai indietro parecchie volte e che la mia mente era persa in pensieri molto più piacevoli che all’andata. Ero nuovamente mascherato da umano e ricordavo la delusione con cui le belle sacerdotesse avevano accolto il mio camuffamento.
“Come fai ad andartene ogni volta da questo posto?” Domandai a Holly, dimentico del fatto che mi avesse detto di fare silenzio lungo la strada.
“Ssssht!” Fu l’unica risposta.
Sospirai, con la testa fra le nuvole. Se io fossi stato legato a un tempio in cui le sacerdotesse erano così belle e così mezze nude, avrei passato tutto il mio tempo a pregare devotamente. Altro che svolgere missioni in giro per il mondo.

Riuscimmo a tornare alla nave senza grossi incidenti, appena in tempo perché il capitano stava iniziando a diventare nervosetto. Forse aveva affari loschi in ballo, chi lo sa... ma accolse con sollievo il ritorno della sua preziosa scialuppa.
La nave compì una brusca virata per allinearsi con il Portale (ricordandomi perché avessi deciso di non salire più sulle barche) e un attimo dopo stavamo navigando nelle acque leggermente mosse della cava marina nascosta sotto Monte Waterdeep.
Era da tempo passato il tramonto, ma in inverno questo vuol dire poco. Il cielo era troppo nuvolo per stabilire in che frangente della notte fossimo. Troppo tardi per trovare una buona locanda, di sicuro.
Holly stava riscoprendo le necessità di un essere vivente e ora aveva fame. Cercammo una taverna, ma a quell’ora erano aperte solo le peggiori bettole dove si trovava più facilmente alcol che cibo.
Ci accontentammo di un pub vicino al porto fluviale, dove si serviva una birra d’orzo così densa che era praticamente polenta.
“Hm. Mi ero dimenticato quanto facesse schifo la birra da poco.” Si lamentò Holly, ma ne prese comunque un altro sorso.
“È una normalissima birra da umani.” Ribattei, a bassa voce. Il commento strappò una risata a entrambi. Nessuno di noi due è particolarmente razzista, ma a volte la battuta ci scappa. Tirammo mattina, in attesa che qualche locanda vera aprisse i battenti.
La nostra scelta cadde su una modesta struttura che offriva pasti senza pretese e letti puliti. Era nostra intenzione fare una colazione sostanziosa, dormire fino al pomeriggio, e poi… Holly sembrava risoluto a cercare nuovamente Lólindir.
Quella sera andammo direttamente a trovarlo dentro il sanatorio. Questa volta non era intento a occuparsi dei feriti, ma dei malati non contagiosi.
Come ci vide, Lólindir impallidì leggermente e smise di controllare le condizioni dei malati. Ad ogni modo, erano tutti profondamente addormentati, come se fossero stati sedati con la magia o con qualche droga.
“Che cosa volete ancora?”
Dal fatto che non avesse parlato a bassa voce, intuii che dovevo avere indovinato circa le condizioni dei suoi pazienti.
Holly si fece avanti con passo sicuro, afferrò la borsa conservante che gli avevo tenuto da parte e ne rovesciò il macabro contenuto sul pavimento. La testa del drago d’ombra cadde con un tonfo sul lindo pavimento del sanatorio. Holly la spinse con un calcio verso il giovane drago d’argento.
“Mi era sembrato che la nostra conversazione si stesse basando su presupposti errati.” Annunciò, in tono amabile. “Nella speranza di aver corretto le tue ingenue illusioni, sono qui per ripeterti che non ti farei mai del male.”
Lólindir fissò la testa mozzata, con gli occhi fuori dalle orbite. Il suo labbro inferiore cominciò a tremare. Per qualche motivo, non sembrava rassicurato dalla mossa di Holly.
“Perché hai fatto questo? Perché con te ogni conversazione deve basarsi sull’intimidazione?” Cercò di sopprimere un brivido, senza molto successo.
“Non riesco a comprendere la tua reazione.” Rispose Holly senza scomporsi. “Perché voialtri scambiate ogni dimostrazione di forza per un tentativo di intimidazione? Il solo fatto che potrei farti del male non significa che io voglia farlo. Oppure quello che ti destabilizza così tanto è l’idea stessa che esista qualcuno in grado di ferirti? Perché ho una notizia per te, fanciullo: ci sarà sempre qualcuno più potente di te. E di me. C’è un dracolich arcimago da qualche parte vicino a questa bella città, e ogni giorno in cui la tua cara Waterdeep resta in piedi è solo perché a lui non interessa distruggerla. É un pensiero così spaventoso?” Lólindir lo guardava con quegli occhi sgranati, sconvolti. Holly continuò senza alcuna pietà. “Sono cresciuto con la consapevolezza che l’unico motivo per cui andavo a dormire ogni sera ancora vivo era che, quel giorno, a nessuno erano girati i cinque minuti mentre io mi trovavo nei paraggi. E l’unico motivo per cui mi svegliavo ancora vivo era che nessuno aveva interesse a uccidermi nel sonno. Nessuno è intoccabile, principino d’argento. L’idea che la nostra vita ci appartenga e che la nostra sopravvivenza dipenda solo da noi è una sciocca illusione, e tu che da bambino sei stato quasi ridotto in schiavitù dovresti aver capito che la sopravvivenza non è un diritto e nemmeno la libertà. Se il mondo fosse buono non ci sarebbe bisogno di eroi o di leggi, non ci sarebbe bisogno di persone con dei princìpi che lottano perché la sopravvivenza e la libertà diventino un diritto. Per cui dimmi, Lólindir: hai così tanta paura di me? Infesto i tuoi incubi come uno spaventoso Uomo Nero che vive sotto il tuo letto e che tornerà per ucciderti?” Lólindir aveva un’espressione che lasciava immaginare proprio questo. Holly gli rivolse un sorriso amaro. “Senza offesa ma credo che ci siano anche altre persone in grado di farlo, almeno finché non crescerai un altro po’. Con me almeno hai la certezza che non ne ho intenzione.”
“Come so che non ne hai intenzione?” Gracchiò Lólindir, trovando a fatica la voce. “Se credi in questa sorta di legge del più forte, come so che non mi ucciderai se, per esempio, ti negassi le spade corte?”
Holly chinò la testa da un lato, studiando con attenzione il giovane.
“Ebbene, tanto per cominciare lo sai perché quelle sono due spade sacre e se facessi qualcosa di così meschino non sarei più in grado di maneggiarle. Ma al di là di queste considerazioni tecniche, io credo nella legge del più forte nel senso che mi limito a osservare che le cose funzionano in questo modo. Non ritengo che sia giusta. Ritengo che sia una realtà, spiacevole, crudele, ma che non si può assolutamente ignorare. Chiudere gli occhi davanti alla brutalità del mondo significa morire, nessuno di noi è speciale e a nessuno di noi è garantito qualcosa solo per il fatto di esistere. Ma lascia che ti dia qualche consiglio di arte bellica, visto che come guaritore ovviamente non ne capisci nulla: non ha senso intimidire qualcuno con una prova di forza se poi lo vuoi ammazzare. Se volessi ucciderti non ti farei mai sapere che ne sono in grado, ti ucciderei e basta. Il fatto di averti dimostrato che posso uccidere un drago molto più grande di te significa aver rinunciato a un grosso vantaggio strategico, nel caso in cui io e te fossimo in guerra. Essere sottovalutati, avere il vantaggio della sorpresa, queste sono tattiche vincenti. Tutto il resto è diplomazia. Anche l’intimidazione.”
“L’intimidazione è diplomazia?” Pigolò il ragazzo, confuso.
“L’intimidazione è una manovra per risolvere un potenziale conflitto in modo non violento, o almeno non letale. È l’espediente di chi vuole mostrarsi più forte di quello che è per scongiurare una battaglia, oppure di chi vuole bluffare facendo credere di avere il fegato o il cuore di uccidere qualcuno quando invece non ce l’ha.” Spiegò Holly, con pazienza. “Risolvere un conflitto senza versare sangue non è l’anima della diplomazia?”
Lólindir rimase in silenzio per quasi un minuto, riflettendo su questo concetto apparentemente paradossale.
“Perché mi dici tutto questo? Perché neghi che la tua dimostrazione di forza sia stata un gesto di intimidazione, se l’intimidazione è solo diplomazia?”
Holly si lasciò scappare un sospiro triste.
“Ti dico tutto questo perché voglio che tu capisca, come ho detto fin dall’inizio, che non ti farei mai del male. Tu sei una brava persona che sta dedicando la sua vita a curare i malati, e hai tutto il mio rispetto per questo. La mia dimostrazione di forza era tesa a correggere la tua assurda convinzione di essere intoccabile, una dose di buonsenso che non può farti che bene; ma non era un tentativo di intimidazione. Primo, perché tu avevi già paura di me.” Lólindir cercò di replicare, ma non trovò le parole. “E secondo, perché io non voglio che tu abbia paura di me. Io e te non siamo in guerra, non abbiamo bisogno di diplomazia.”
Holly lo guardò negli occhi e questa volta Lólindir sostenne il suo sguardo. Alla fine annuì.
“Vado a prendere le spade corte. Non sono un guerriero, è meglio che le tenga tu.” Annunciò alla fine. “Vorrei che in cambio mi lasciassi la testa del drago, si distilla un ottimo e raro antidoto universale dalle cervella di un drago d’ombra.”

Quando Lólindir tornò, Holly prese le spade e le soppesò tenendole in mano qualche momento, come se ne avesse sentito la mancanza.
“Le hai fatte incantare,” osservò il giovane “percepisco che sono sacre e che possono colpire senza uccidere, una strana combinazione. Ma gli hai anche dato un nome?”
“Certo. Tutte le armi magiche dovrebbero avere un nome.” Holly sorrise con malizia. “Hai indovinato, possono colpire senza uccidere. Si chiamano Gentilezza e Diplomazia.”

           

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Capitolo 29
*** 1316 DR: Epilogo (Parte 5) ***


1316 DR: Epilogo (Parte 5), ovvero Discorsi malati


Nelle poche ore che passammo a Waterdeep, Holly aveva avuto modo di scoprire a cosa servissero le lenti. Erano quel tipo di dono che è anche un fardello: gli permettevano di vedere stralci del futuro a breve termine delle persone, a patto che fosse coinvolta un’intenzione malvagia e criminale.
La prima volta aveva guardato nella generica direzione di un mercante e lo aveva visto accoltellato e derubato in un vicolo. Preso alla sprovvista da quella improvvisa visione, mi aveva trascinato con sé in un pedinamento raffazzonato attraverso le strade affollate della città, finché il mercante non è stato effettivamente trascinato in un vicolo. Riuscimmo a fermare il suo aggressore appena in tempo; era un comune ladruncolo di strada che lasciò cadere il coltello e se la diede a gambe.
Holly era troppo scioccato per inseguirlo, ma io ero abbastanza lucido da accettare con grazia le cinquanta monete d’oro che il mercante volle donarci come ringraziamento. E siccome so che Holly odia i ringraziamenti, da buon amico quale sono volli risparmiargli altro turbamento e mi intascai i soldi. Holly si riprese giusto in tempo per salutare l’umano con una pacca sulla spalla e una raccomandazione di stare più attento.
Alcune ore dopo, avevamo già sventato altri tre tentativi di rapina come quello, un omicidio-suicidio, e avevamo salvato una giovane donna tormentata da un progressivo avvelenamento a opera di suo marito. E le lenti potevano vedere solo gli omicidi premeditati, non quelli accidentali o passionali.
“Questa città fa schifo!” Si lamentò Holly, a fine serata. “Non dovrebbero chiamarla Città degli Splendori, dovrebbero chiamarla Città dei Pezzi di Merda. E poi la gente pensa davvero che vivere qui sia meno pericoloso che vivere nelle metropoli governate dal crimine... i briganti ci sono ovunque, non c’è scampo.” Sospirò.
“Guarda il lato positivo.” Cercai di risollevargli il morale. “Non c’è pericolo che ricapiti qualcosa come Shilmista, un disastro di quell’entità lo vedresti anche a distanza.”
Holly sospirò di nuovo. “Sì, è quello che mi auguro!”
“Però io direi di andarcene, adesso. Sta calando la notte e non voglio sapere cosa diventa Waterdeep dopo il tramonto.” Suggerii. “Non puoi salvare tutto il mondo e non puoi fermare tutti i criminali... purtroppo a un certo punto bisogna lasciare che le persone se la cavino da sole e bisogna scegliere le proprie battaglie.”
Holly annuì, dichiarandosi d’accordo con me. “Tranquillizzati, non ho l’indole del vigilante. Mi farebbe diventare pazzo rimanere invischiato in una città come questa, rinunciare ad avere una vita mia per salvare persone dalla vita così breve che fra pochi decenni le avrò dimenticate. Non penso che la loro vita valga di meno, solo... cadrei nel gorgo della frustrazione e mi sembrerebbe di non avere più tempo per me stesso.”
“Di sicuro non avresti più tempo per te stesso.” Concordai. “Gli umani si riproducono rapidamente, vivono rapidamente in una corsa verso la morte, e altrettanto rapidamente cercano di ammazzarsi l’un l’altro. Non riuscirei a vivere a lungo fra loro,” ammisi, riconoscendo i miei limiti, “cambiano in continuazione e non fai in tempo ad abituarti alle loro idee innovative che già cercano di sottoporti a decine di altri nuovi stimoli. Mi fanno venire il mal di testa.”
Holly rise, ma non mi contraddisse. “In realtà ti capisco. Non voglio restare qui, finirei per affezionarmi a qualcuno di loro e a lasciarmi intrappolare nelle loro vicissitudini da umani. Una cosa che proprio non desidero. Ciascuno di loro ha sempre questa assurda pretesa che i suoi problemi siano di importanza capitale per il mondo. Be’, immagino sia normale rifuggire una visione a lungo termine quando si ha una vita così breve...”
“Ti infastidisce l’individualismo?” Gli domandai, a bruciapelo.
“Cosa?”
“Andiamo Holly, prima quel discorso a Lólindir, ora questo. Ti dà fastidio che le persone si reputino importanti o qualcosa del genere?”
Holly mi fissò per un lungo momento, ponderando sulla risposta.
“Non direi questo. Credo nel diritto di scegliere la propria strada e nel diritto a non lasciarsi assimilare dai ruoli sociali imposti, ma credo anche che si dovrebbe essere pronti ad affrontare le conseguenze delle proprie scelte, anche quando scegliere è un diritto. Credo anche che la vita delle creature senzienti abbia un valore intrinseco, diciamo a livello etico o filosofico. Ritengo solo che sia pericoloso vivere come se questo valore filosofico fosse veicolo di diritti anche nel mondo reale. Inoltre siccome ogni vita ha valore intrinseco, reputare la propria vita superiore alle altre è puerile.”
Corrugai la fronte, ragionando velocemente. Quando Holly inizia con questi discorsi da ubriaco pur essendo sobrio, io faccio un po’ fatica a stargli dietro.
“Però non reputi puerile considerare più importante la vita di un amico rispetto a quella di uno sconosciuto?”
Holly scosse la testa prima ancora che finissi di parlare. “A livello etico la tua vita vale tanto quanto quella di… di quel tizio laggiù, mister cappello floscio.” Mi disse, indicando un vecchietto che passeggiava vicino ai moli. “A livello personale, per me ovviamente tu vali di più.”
“E a livello personale ogni persona non può credere di valere di più delle altre? Di essere più importante?”
“Certo che può crederlo.” Mi concesse. “Anzi, ci mancherebbe. Ma è ridicola la pretesa che la loro vita valga più delle altre agli occhi di chiunque. Una persona che crede che nulla di male dovrebbe mai capitarle, come Lólindir, o una persona che crede che chiunque dovrebbe fermarsi ad ascoltare i suoi problemi, come qualsiasi umano in qualsiasi taverna... ma in che mondo vivono? Voglio dire, ci sono o ci fanno? Oppure sono dei giullari inviati dagli dèi per far ridere le persone ciniche come me?”
“Tu non sei cinico.” Lo rassicurai con una pacca sulla spalla. “Pensi che il mondo in cui viviamo sia cinico. Ma una persona cinica non si impegna per gli altri, perché crede che tanto nulla cambierà mai.”
“Io credo che nulla cambierà mai.” Sussurrò Holly. “Tranne le cose che facciamo cambiare noi. Questo almeno glie lo devo.”
“Lo devi… a chi?”
“Alla mia dea” rispose Holly con un sorrisino. Un sorrisino che aveva qualcosa di… dolce. “Sono abbastanza pessimista circa il futuro da essere considerato eretico fra la mia gente, ma non puoi seguire una dea della speranza senza concedere alle persone almeno una chance. Inoltre ho la prova di questo: se la Gran Sacerdotessa non mi avesse salvato la vita in modo disinteressato sessant’anni fa, io non sarei quello che sono oggi e non avrei fatto quel poco di bene che ho fatto nel mondo. Devo credere che le azioni individuali abbiano un peso, e sono grato alla mia dea per avermelo mostrato. Anche questa è una forma di individualismo, no?”
“Uh. Mi sono chiesto spesso come mai seguissi proprio lei.”
“Proprio tu mi fai una domanda simile?!” Mi diede uno spintone con la spalla, costringendomi a fare un passo di lato. “Se devi seguire una dea, segui quella con il culo più bello.”
La battuta mi fece ridere, perché non lo pensava davvero.

Quello che avevo capito da questa conversazione è che Holly credeva nel potere degli individui di cambiare il mondo ma non credeva che dovessero avere aspettative sui loro diritti, o aspettative di qualsiasi genere. Ora riuscivo un po’ meglio a far quagliare nella mia mente il suo pessimismo con il grande impegno che mette nelle cose.
“Io non sono così, sai.” Confessai, sollevando le spalle. “Sono una persona semplice, una persona ottimista. Cerco di vedere il meglio nelle situazioni e nelle persone, credo che le persone avranno la possibilità di tirare fuori il loro meglio solo se tu dimostri di crederle capaci di tanto.”
“Finirai con un coltello nella schiena per il tuo ottimismo.” Mugugnò.
“Non ho sbagliato a credere in te.” Gli feci notare. “E tu mi proteggerai dai coltelli nella schiena che potrei prendere per la mia eccessiva fiducia negli altri.”
“Mi arrendo!” Rise Holly, incrociando le braccia. “Non distruggerò il tuo ottimismo. In realtà mi sta bene. Mi piace pensare di essere io quello utile fra noi due.”
“No, tu sei quello stronzo fra noi due.” Borbottai, ma Holly non batté ciglio.
“Ti proteggerò dalle coltellate nella schiena” concesse con grande magnanimità “e tu in cambio mi ammorberai con i tuoi discorsi sul rispetto e con la tua fiducia nelle persone. Dopotutto non sopporterei la compagnia di un altro me stesso.”
Ci lasciammo Waterdeep alle spalle, prima che calasse la notte.
Non volevo mettere alla prova la mia fiducia nelle persone.

Arrivammo a Secomber che ormai era inverno; non ufficialmente, ma secondo la Natura di sicuro lo era. Incontrammo in paese una giovane umana di nome Rae, che ormai era diventata l’unica apprendista di Krystel.
L’aiutammo nelle sue commissioni e percorremmo in compagnia la strada che portava da Secomber alla Locanda dell’Orso. Lei aveva un carretto, quindi ci impiegammo più tempo che ad andare a piedi.

Krystel ormai era nella fase finale della gravidanza, si pensava che il bambino dovesse nascere più o meno nel periodo della Festa della Luna.
Le sue condizioni fisiche le impedivano di essere davvero utile alla locanda, ma le sue figlie e la sua apprendista avevano la situazione sotto controllo. Krystel era un po’ nervosa, sperava che il piccolo non nascesse proprio il giorno della Festa della Luna, ma non sapevo perché. E visto che Krystel era nervosa, Holly faceva di tutto per aiutarla e per prevenire i suoi desideri, con l’unico risultato di esserle spesso d’impiccio.

L’ultimo giorno del mese di Uktar finalmente venne al mondo la bambina, e tutti tirammo un sospiro di sollievo; era andato tutto bene. Certo, è difficile che il parto di una strega vada male, ma non si sa mai. Per fortuna la neonata era sana e perfetta.
Krystel decise di chiamarla Amber. Non so perché. Non aveva gli occhi color ambra, o simili. Però era un nome grazioso.
L’inverno portò con sé un periodo di raccoglimento, e anche i ragazzi ospiti della locanda sembravano capire che quest’anno avrebbero dovuto lasciare a Krystel un po’ più di tranquillità e privacy. Lo ricordo come un periodo molto sereno. La neve cadde copiosa, limitando al minimo la possibilità di svolgere attività all’esterno.
Krystel era spesso occupata a prendersi cura della bambina, quindi ebbi l’occasione di conoscere un po’ meglio le altre sue figlie. Non in quel senso ovviamente, per me erano delle ragazzine. Scoprii che Kore, la più grande, era un’appassionata di magia illusoria e sognava rocambolesche avventure nei luoghi più sperduti del mondo; la sorella mediana, Hilda, aveva aspirazioni mondane, soprattutto avere più ruoli di responsabilità nella gestione della locanda e un giorno crearsi una famiglia; Tinefein, la più giovane, ormai aveva toccato i due decenni e si sentiva portata per l’arte della guarigione. Io non avevo figli miei all’epoca, e trovavo affascinante il modo in cui i fratelli o le sorelle sviluppano caratteri molto diversi fra loro. Nel caso dei figli di Krystel forse era anche dovuto al fatto che avessero padri diversi. Ogni tanto riuscivo a vedere anche la neonata, ma lei non poteva fare molto oltre a piangere, sbavare, e osservare tutto e tutti con i suoi enormi occhi azzurri.

“Quanto è graziosa.” Osservai un giorno. Krystel stava cucinando e aveva temporaneamente affidato la bambina a Holly. Lui ci sa fare con i neonati, sa tenerli nel modo giusto e calmarli se piangono. “Certo che è incredibile, sembra così fragile e innocente...”
È fragile.” Intervenne Krystel, tornando da noi tutta sporca di farina. Aveva un tono strano. “Se uno di voi la facesse cadere… devo dirti cosa succederebbe?”
Deglutii a vuoto. Non avevo mai sentito Krystel usare un tono così… amaro? Era sulla difensiva?
“E naturalmente ora è innocente, ma dammi una decina di anni e le insegnerò ad avvelenare la gente.” Rincarò lei, stavolta con aperto sarcasmo.
“Krystel, non so cosa ho fatto per indisporti, ma non era mia intenzione.” Feci un passo indietro, allontanandomi da Holly e dalla bambina.
Krystel spostò lo sguardo dalla bambina a me, vide la mia espressione confusa e sembrò tornare in sé.
“Certo che no. Scusami. Sono solo discorsi che… ho sentito troppo spesso.” Mormorò, pulendosi le mani dai residui di farina. Cadde un silenzio imbarazzante.
“Tu ci scherzi, sorella.” Intervenne Holly per spezzare la tensione. “Ma guarda che succede davvero.” Lo disse in tono scherzoso, ma non troppo.
“Che, sul serio?” Chiesi sbalordito.
“Be’… dieci anni no, forse dodici.” Concesse lui. Poi passò a fare moine alla bambina, dicendo cose come Chi è la piccola principessa della morte dello zio? e altre amenità simili. La piccola ridacchiò e cercò di mettersi in bocca la sua treccia. Questa bambina sembrava volersi mettere in bocca tutto quello che rifletteva un po’ la luce.
“Su, dalla a me” Krystel si fece avanti per prendere la piccola. “Sei sempre un pessimo esempio per i miei figli.”
Holly rise, ma non lo negò.
“Dicevo sul serio però, è davvero carina.” Tentai di farmi perdonare. “E poi, mi pare che assomigli a qualcuno… non so, ovvio che assomiglia alla sua mamma, però…”
“Assomiglia a sua sorella Kore” mi venne incontro Krystel, avendo pietà di me. “Hanno lo stesso padre.”

Oh. Bene. Accecato da quella rivelazione scioccante, rimasi a bocca aperta come un cretino, lanciandomi con entusiasmo verso la prossima gaffe.
“Non fare quella faccia, Johlariel.” Mi rimproverò Krystel. “Mezzo minuto di silenzio sbalordito è quantomeno offensivo. Non divoro i miei amanti durante il sesso, sai?”
Diamine, lo spero tanto, visto che anche io vorrei unirmi alla schiera. Ma, ma, forse non era il caso di rispondere proprio in questo modo.
“Tu ci scherzi, sorella, ma succede anche questo.” Ripeté Holly, senza minimamente scomporsi. Ora avevamo entrambi un’espressione sconcertata, io e Krystel. Era bello avere finalmente qualcosa in comune con lei.
Holly scoppiò a ridere.
“Stavi… stavi scherzando?” Balbettai, con un sorriso tirato.
“Che? No! Mi fa solo ridere la tua faccia.”
Ecco, ora capivo un po’ meglio anche la sua eterosessualità titubante.
“Sarà molto meglio che tutti e due giriate alla larga dalla bambina.” Krystel finse di scacciarci, in modo scherzoso. “Non voglio che cresca sentendo questi discorsi malati.”

           

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Capitolo 30
*** 1317 DR: Epilogo (Parte 6) ***


1317 DR: Epilogo (Parte 6), ovvero Storie di anime e di nipoti


Venne il disgelo, e io e Holly ricominciammo a parlare della missione da concludere ad Atorrnash. Entrambi avevamo pietà delle anime rinchiuse lì, anche se la mia pietà era limitata a coloro che avevano abbracciato il culto di Lolth per obbligo e mancanza di alternative.
Tutti hanno abbracciato il culto di Lolth per obbligo” insistette lui, un pomeriggio in cui eravamo impegolati in una delle nostre solite discussioni. “Il fatto che alcuni di loro ne abbiano tratto beneficio perché erano della razza giusta, non invalida la premessa: nessuno di loro aveva scelta.”
Questa discussione in particolare era mitigata dalla presenza di due tazze di vino speziato. Sorbii un lungo sorso dalla mia tazza, per non rispondere subito sulla spinta dell’emozione dicendo cose di cui mi sarei pentito.
“Non posso essere completamente d’accordo con te su questo.” Dissi infine. “Accetto la premessa, ma credo ancora nella giustezza di un Aldilà che funzioni a premi e punizioni.”
“Ma non è così che funziona l’Aldilà.” Replicò Holly, in tono amaro. “Non che io ne abbia esperienza, ma basandoci su quello che dicono i chierici, pare che le anime vengano semplicemente richiamate nel Piano di residenza della loro divinità, che sia una sorta di paradiso o una sorta di luogo di tormento. Probabilmente tutte le divinità buone trattano bene i loro Supplicanti, mentre sappiamo per certo che alcune divinità malvagie come Lolth o Ghaunadaur divorano le anime dei loro seguaci, o almeno di alcuni di essi. Immagino sia il metodo più veloce per trarne forza, anche se non capisco chi potrebbe mai scegliere di rischiare un simile destino. Però ci sono anche molte divinità malvagie che utilizzano i loro Supplicanti come servitori, e su questa base non possiamo escludere che anche nell’Aldilà sia possibile fare una sorta di carriera. Se per tutta la vita servi una divinità malvagia e dopo la morte continui a servirla, tu ci vedi un reale cambiamento? Ci vedi una punizione?”
Riflettei su quel discorso, rigirandomi nella mente le parole di Holly.
“Va bene, in generale forse non c’è sempre una punizione per i malvagi, ma essere servitori di una divinità in un Piano immondo dev’essere comunque brutto. Immagino che siano luoghi orribili in cui viv… esistere. E poi, se è vero che Lolth divora i suoi Supplicanti, o anche solo alcuni di essi, per gli spiriti dei morti di Atorrnash il destino si prospetta molto tetro.”
“E diciannove millenni di prigionia in un dungeon secondo te non sono stati già una punizione sufficiente? Magari la maggior parte di loro ormai ha anche perso il ricordo di chi era in vita. Io trovo terribile la prospettiva che dopo tutto quello che hanno passato debbano anche finire nell’Abisso.” Ribadì il mio amico.
Poggiai il mento su una mano, guardando Holly che si stava scaldando, dall’altra parte del tavolo, e stava iniziando a gesticolare inconsciamente.
“Trovo affascinante il modo in cui non fai altro che punirti per i tuoi errori eppure non credi nel concetto generale di punire i malvagi.”
“Credo che sia inutile punire i malvagi, se la punizione è fine a sé stessa.” Mi confermò. “Fermarli, è un conto. Ucciderli, è solo un modo estremo per fermarli. Ma non c’è punizione che faccia presa su un’anima malvagia, solo la coscienza ha il potere di tormentare qualcuno e ottenere davvero qualcosa.”
“Ma per sviluppare una coscienza si deve avere in sé almeno una stilla di decenza, e nel momento in cui la tua coscienza ti tormenta, è perché non sei malvagio. O almeno, non completamente malvagio. Ma chi è tanto corrotto da non avere coscienza? Dovrebbe rimanere impunito in eterno?”
Holly sospirò profondamente, appoggiandosi allo schienale della sua sedia.
“Non hai torto. Credo che qualche sistema per stimolare la coscienza ci sia, ad esempio far subire a qualcuno ciò che lui ha fatto subire ad altri, per stimolare l’identificazione e quindi l’empatia. Ma non c’è garanzia di successo ed in ogni caso si tratta di un tentativo di insegnamento, non di una punizione fine a sé stessa. La rieducazione è una strada che si può tentare, sebbene con poca speranza di successo… ma in un Aldilà di punizione non c’è alcun intento rieducativo, perché si suppone che sia una condanna eterna. Te lo chiedo di nuovo, quindi: a cosa serve?”
“A ristabilire un equilibrio!” Sbottai. “Perché io non trovo giusto che una persona priva di coscienza non debba mai pagare per il male che ha fatto.”
“Ma ricorda quello che abbiamo detto prima sull’Aldilà: non c’è garanzia che una vita dopo la morte sia all’insegna della punizione, anche se servi una divinità malvagia. Anzi, più sei crudele e capace, più una divinità malvagia potrebbe dare valore ai tuoi servigi e tenerti in alta considerazione anche dopo la morte.” Mi fece notare Holly. “E questo accade perché il Male esiste. Il Male non è solo la mancanza di Bene! Il sistema di retribuzioni dopo la morte che tu immagini, lo stai immaginando come se l’universo fosse guidato da divinità tutto sommato buone, come se si dovesse essere puniti per aver deviato dalla naturale condizione di ogni creatura che è essere buona, ma non è così. Il Male esiste ed è una forza con cui fare i conti, quindi perché le persone dovrebbero essere punite per non aver aderito a uno dei due schieramenti in gioco? Perché, se entrambi gli schieramenti, il Bene e il Male, hanno pari peso e pari dignità? Se esistono divinità che governano l’universo, probabilmente si occupano di mantenere l’equilibrio fra Bene e Male.”
Mi accorsi che avevo cominciato a rabbrividire, mentre Holly mi esponeva la sua visione del mondo. Era veramente, a suo modo, una visione cinica.
“Ma se credi che essere buoni sia tanto valido quanto essere malvagi…” cominciai “chi te lo fa fare di essere buono? Perché non sei malvagio, che è mediamente più facile? O perché non propugni l’equilibrio far le due cose?”
Holly mi guardò in silenzio per un breve momento.
“Me lo impone la mia coscienza.” Disse infine. “Ho visto società che funzionano su principi malvagi e ho visto società che funzionano su principi buoni, e preferisco queste ultime. Quanto all’equilibrio... trovo impossibile, a livello personale, non scegliere uno schieramento. Per me sarebbe intollerabile. Ma una cosa sono le idee personali, un’altra sono le verità universali. Penso che bisognerebbe vivere come se fossimo buoni o malvagi, e giudicare gli altri come se fossimo neutrali.”
“E per questo vuoi aiutare le anime di Atorrnash.” Conclusi, comprendendo il suo punto di vista.
“Sì, ma permettimi di esporti una ragione più pragmatica: se tu volessi aiutare solo alcuni di loro e non tutti, come pensi di farlo? Sono tutti lì, stipati nello stesso angolo del Piano Etereo.”
Considerai seriamente quel problema ed effettivamente era un enigma difficile da risolvere.

Le mie elucubrazioni vennero interrotte dal vociare allegro di un gruppo di ragazzini che entrarono in taverna proprio in quel momento. Odoravano di stalla, quindi evidentemente si stavano occupando degli animali fino a poco prima. Li accompagnava Hilda, una delle figlie di Krystel.
“Ieri tua mamma mi ha lasciato vedere la piccolina” stava dicendo una ragazzina che poteva avere sei o sette anni.
“Ah sì?” Domandò la giovane, mentre aiutava i bambini a togliersi gli stivali sporchi. “E ti è piaciuta?”
“Be’, sì, ma…” la ragazzina esitò, guardando Hilda da sotto in su. “Ho sempre pensato che quando tu diventavi vecchia diventavi come tua mamma. Invece Amber ha solo tre mesi ma è già così.”
Hilda rimase per un momento interdetta. Holly scoppiò a ridere piegandosi sul tavolo, e sentendolo anche la giovane strega si lasciò contagiare dalle risate per quel commento assurdo.
“No, io... sul serio lo pensavi, Manya? Io sono così perché mio padre era umano. Sarò sempre metà e metà.” Spiegò la ragazza, scuotendo la testa con un sorriso.
“Oh, bene.” Dichiarò la ragazzina in tono pratico, passando una manina sui lunghi capelli biondi di Hilda. “Così saprò sempre che sei tu.”
“Be’, è bello avere qualche certezza, nella vita.” Commentai a bassa voce. Holly aveva quasi smesso di ridere ma per colpa mia ricominciò daccapo.
“I bambini sono una piaga, ma fanno anche troppo ridere.” Si giustificò, asciugandosi gli occhi. “Il modo in cui funziona la loro testolina…”
“Non dirmelo, è già difficile capire come funziona quella degli adulti.” Gli lanciai uno sguardo penetrante.
“Visto che siamo in vena di elucubrazioni complicate e logiche assurde, chiediamo a mia sorella se conosce qualche sciamano.” Decise Holly, alzandosi.
Mah sì. Ogni momento era ugualmente buono.

“Sì, a dire il vero, conosco uno sciamano. O meglio… lo conoscevo. Non so se sia ancora vivo. Ma forse c’è un modo per prendere contatto con lui o con chi l’ha sostituito.”
Krystel ci raccontò con una certa cautela che esisteva una piccola tribù di barbari sulle colline Dessarin, chiamata Tribù del Lupo Bianco. Assolutamente da non confondere con la Tribù del Lupo Grigio che vive più a nord e che è composta da licantropi con cui è meglio non avere a che fare.
“Perché del Lupo Bianco?” Domandai, spinto dalla mia curiosità da ranger. “Non ci sono lupi bianchi così a sud, le colline Dessarin non sono montagne.”
Krystel scrollò le spalle. “Probabilmente perché la tribù storicamente viene da territori più a nord. Spiegherebbe il loro aspetto fisico, quasi tutti hanno pelle chiara e capelli biondi, una combinazione piuttosto rara fra gli umani a sud della Spina Dorsale del Mondo.”
“E pensi che il loro sciamano potrebbe aiutarci?”
“Forse.” Krystel non si sbilanciò. “Uno sciamano ha anche un ruolo sociale, non è detto che possa abbandonare il suo popolo per aiutarvi nella vostra missione, ma nel peggiore dei casi saprà darvi dei buoni consigli.”
“Allora dovremmo recarci alle colline Dessarin.”
“Aspettate.” Ci fermò Krystel. “Le comunità barbariche non amano le visite da parte di estranei, men che meno se appartengono a un’altra razza. Invierò un messaggio al loro sciamano, chiedendo un incontro.”
“Ma i barbari sanno leggere?” Domandai, perplesso. Non voleva essere una critica, ma se si affidano normalmente alla tradizione orale è plausibile che nemmeno il loro sciamano avesse familiarità con la lingua scritta.
“Gli sciamani utilizzano dei simboli per veicolare significati, ma non è esattamente come trasporre una lingua in parole scritte.” Spiegò. “Alcuni di loro scelgono di imparare a leggere ma non è un obbligo. Ad ogni modo non contavo di mandare un messaggio scritto.”

Non parlammo più dell’argomento fino all’arrivo della primavera, perché tanto non saremmo riusciti a metterci in viaggio prima di allora.
Quando tutti i bambini furono tornati alle loro fattorie e le strade divennero nuovamente praticabili, un gruppetto di quattro persone lasciò la taverna di Krystel per spingersi a nord-ovest, verso le colline Dessarin. Be’, cinque persone, se contiamo anche la bambina.
“Tu hai capito come mai Hilda viene con noi? Capisco tua sorella, ma perché lei?” Domandai a Holly un pomeriggio, certo che le due donne non ci stessero ascoltando.
“Krystel ha avuto risposta dal vecchio sciamano, che è ancora vivo, ma forse non per molto perché per un umano sta raggiungendo un’età venerabile. Hilda viene con noi perché potrebbe essere l’ultima volta che avrà occasione di salutare suo padre.”
“Suo padre? Intendi il vecchio…?”
Holly si limitò ad annuire, ignorando la mia sorpresa. Già, ma perché avrei dovuto stupirmi? Se era un uomo che Krystel aveva conosciuto, e che le era piaciuto, era poi così strano…?
“Mia nipote ha compiuto da poco quarant’anni, non è una bambina, tantomeno per una mezzumana. Ma in tutti questi anni avrà visto il padre sì e no… una mezza dozzina di volte.”
“Cosa? E perché?”
Holly scrollò le spalle e aprì la bocca per rispondere, ma fu qualcun altro a farlo:
“Perché nella sua tribù non c’è posto per i mezzi umani.”
Era la voce di Hilda. Diamine, ci aveva sentiti.
Si affiancò a noi, camminando al nostro passo. Aveva un’espressione corrucciata, ma non so se fosse arrabbiata con noi per aver parlato di lei, o se fosse il pensiero del padre assente a farla irritare.
“Io non ho mai mostrato interesse per la via spirituale dello sciamano, e lui non poteva tenermi con sé come figlia, quindi non abbiamo mai avuto molto da dirci né molte ragioni per frequentarci.”
“E non ti sei mai legata a lui? Affettivamente, intendo.” Le domandai. Forse l’ho già detto in passato, ma per me come elfo la famiglia ha una grande importanza, e anche quando due parenti vivono separati do sempre per scontato che vi sia affetto e devozione l’uno verso l’altro, o almeno da parte di entrambi verso la famiglia.
“Come può svilupparsi affetto senza frequentazione?” Domandò, scrollando le spalle. Ora sembrava già meno infastidita. “Posso dire che lo rispetto come sciamano, e in una certa misura anche come persona, ma non come padre. La reputi una risposta sufficiente?”
Una risposta sufficiente, pensai, ma non un rapporto sufficiente.
Ma non dissi nulla, e per il resto del pomeriggio camminammo in silenzio.

Quella sera Hilda si sedette accanto a me, mentre facevo la guardia.
“Ti chiedo scusa se oggi sono stata brusca.” Cominciò, ma la fermai con un gesto della mano.
“Non sei stata brusca. Non avrei dovuto impicciarmi negli affari tuoi.”
Hilda sospirò e scosse la testa, con espressione triste.
“Il pensiero di mio padre mi rende nervosa. So che non gli restano molti anni da vivere e che non avremo il tempo né l’occasione di recuperare un rapporto, quindi sono fermamente decisa a non portargli rancore e a fare in modo che ci lasciamo in termini pacifici. Il fatto che tu t’impicci o no, nel complesso ha poca importanza.”
Hilda rimase a lungo a fissare le nuvole. Non si vedevano stelle quella sera, ma la luce della luna riusciva comunque a filtrare oltre lo strato di nubi basse.
“Lo sai perché io e le mie sorelle viviamo con nostra madre?” Domandò alla fine, a voce molto bassa. Evidentemente non era una vera domanda, perché riprese subito: “Non è solo perché le vogliamo bene. Naturalmente tutti noi l’amiamo, ma io sono un’adulta ormai, e Kore anche se è giovane ha dei progetti per la sua vita. Restiamo con lei perché per noi non c’è un altro posto nel mondo.” Ammise, e in quella confessione riuscii a cogliere tutta la tristezza a cui di solito si rifiutava di cedere. “I nostri padri non vogliono o non possono avere rapporti con noi, o non rapporti continuativi almeno. Il padre di Kore conduce una vita troppo pericolosa. Non credo nemmeno che voglia la responsabilità di crescere dei figli. Vuole bene a nostra madre e a Kore, e credo che ne vorrà anche alla piccola Amber quando la vedrà, ma la sua vita non lascia spazio agli affetti. Mio padre invece vive in una società umana che non vede di buon occhio i mezzi umani, quindi ha dovuto scegliere fra me e la sua gente, fra me e il suo ruolo sociale di sciamano. Io non posso volergli male per aver scelto la via a cui era stato chiamato anziché la figlia che non ha mai cercato, ma comunque mi dispiace. La sensazione di non essere abbastanza… non è piacevole.”
Abbassò lo sguardo a terra, e anche nel buio della notte credetti di vedere un velo di lacrime nei suoi occhi. Poggiai la mia mano sulla sua, per farle forza.
“E ora che siamo adulte, potremmo anche andare altrove, ma… dove? Confesso che ho timore di uscire dalla zona in cui siamo conosciute e accettate. Se nemmeno la tribù di mio padre mi potrebbe accettare, cosa posso chiedere a umani sconosciuti?”
Strinsi la presa sulla sua mano, pensando a come rispondere a questo improvviso carico di pessimismo.
“Io non posso giudicare il comportamento di tuo padre o le sue scelte. So soltanto che se avessi una figlia come te, lotterei perché fosse accettata fra la mia gente e accolta nella mia foresta. Non la lascerei.”
Hilda sorrise, ma credo fosse un sorriso amaro. “Intendi una mezzumana?” Domandò con una punta di sarcasmo.
“Hai capito cosa intendo. Qualunque cosa fosse l’altra metà, se fosse mia figlia non rinuncerei a questo legame.”
“Allora il giorno in cui ti sentirai pronto ad avere figli, se mai accadrà, sarai un ottimo padre.” Mi disse con convinzione.
“Non so se sarei un ottimo padre.” Risi, scuotendo la testa. “Probabilmente sarei pessimo, non so educare i bambini. Però con gli adulti me la cavo, e visto che sei adulta, lascia che ti dica una cosa: anche se hai avuto delle delusioni in passato, questo non deve condizionare il tuo futuro. Non sei obbligata ad allontanarti da Secomber se non vuoi, ma tua madre è riuscita a farsi accettare dagli umani e non c’è ragione per cui non possa riuscirci anche tu. Non limitare le tue aspirazioni nella vita, solo per paura di uscire dal tuo recinto.”
“Mia madre ha superato prove molto più dure delle mie, ma lei è fatta di un’altra pasta. Io… non so cosa sono.” Mi confidò, chiudendosi in sé stessa.
“Hai ancora molti anni per scoprirlo.” La rassicurai. “Ma se chiedi a Holly, sei la più assennata delle sue nipoti.”
Questo le strappò una risata, finalmente.
“Ti ringrazio, Johel.” Mi disse infine, e dalla sua voce capii che stava sorridendo. “Senti… posso chiamarti zio Johel? A volte gli umani lo fanno, con gli amici di famiglia.”
“Ma certo che puoi chiamarmi zio.” Sorrisi a mia volta, guardando il cielo che stava cominciando ad aprirsi. “Ne sono lusingato.”

           

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Capitolo 31
*** 1317 DR: Epilogo (Parte 7) ***


1317 DR: Epilogo (Parte 7), ovvero Ritorno a Derlusk


Krystel aveva arrangiato un incontro con lo sciamano, in una caverna un po’ isolata che talvolta veniva usata dalle guide spirituali del popolo del Lupo Bianco per i loro periodi di raccoglimento e meditazione. Era una caverna particolare, dalle pareti quasi perfettamente levigate e dalla forma piuttosto regolare; sembrava di essere all’interno di un uovo leggermente schiacciato. Immagino che per uno sciamano una caverna così singolare possa avere un significato simbolico, ma io dopo l’avventura di Atorrnash non mi trovavo molto a mio agio sottoterra. La grotta era spaziosa, e per la verità non era nemmeno molto in profondità nella collina, ma non poter vedere il cielo mi metteva ansia.

Il vecchio sciamano si chiamava Wulf, almeno per quel che avevo capito. Un tempo doveva essere stato un umano alto e forte, sebbene non forte quanto un combattente o un lavorante perché il suo ruolo sociale non richiedeva grandi sforzi fisici. Però anche alla veneranda età di settant’anni riusciva a mantenere la schiena dritta e a muoversi con una certa grazia. Non aveva bisogno di aiuto per sedersi a terra e rialzarsi, anche se doveva prendersi del tempo per farlo.
I suoi capelli un tempo dovevano essere stati biondi come quelli di sua figlia; ormai erano bianchi ma ancora folti. Portava anche la barba, come tutti gli uomini della sua tribù, e in quei ciuffi lanosi aveva agganciato perline d’osso e piume. Nel complesso sembrava qualcuno che avesse appena sbranato un piccione senza pulirlo.
Con lui c’era il suo apprendista, un uomo più basso ma sicuramente già adulto, che sfoggiava un abbigliamento e un tatuaggio simili a quelli del vecchio.
“Lui è Bral. Sarà il prossimo Wulf quando io me ne andrò. Ora è il mio aiutante. É uno sciamano a pieno titolo, già da tre primavere.” Ci spiegò, con quella sua voce roca ma sicura.
Completammo le presentazioni di rito. I due sciamani ci mostrarono la caverna, spiegandoci la sua simbologia ma senza scendere troppo nei dettagli; è evidente che la casta degli sciamani aveva i suoi segreti rituali e non intendevamo impicciarci.
Poi ci invitarono a sederci in cerchio in un angolo della grotta in cui avevano steso delle pelli per proteggerci dal freddo della pietra. Krystel poggiò la bambina in mezzo a noi, sulla pelle bianca di un lupo di montagna. Amber stava cominciando a imparare a stare seduta e a girarsi a pancia in giù, quindi la lasciammo lì a fare i suoi esperimenti e a guardarsi in giro; fu stranamente tranquilla per tutto il giorno, ogni tanto fissava un punto vuoto fra i due sciamani e gorgogliava allegramente. Un po’ inquietante.
Dopo i convenevoli, lo sciamano più giovane e chiaramente più impaziente ci chiese come mai avessimo voluto quell’incontro.
“Un buono sciamano osserva, Bral. Non chiede.” Intervenne il Wulf (avevo capito che non era un nome ma un titolo onorifico). “Ho letto nelle ossa ogni notte da quando ho ricevuto il messaggio della strega, e ogni notte il responso è sempre stato lo stesso: queste persone sono qui per guidarmi in quello che sarà il mio ultimo viaggio.”
Lo sciamano più giovane sembrò sul punto di protestare, di dire qualcosa, ma si frenò all’ultimo momento. Il vecchio sorrise.
“Sono fiero dei tuoi progressi nel controllare la lingua, Bral. Certi giorni ho pensato che fossi più adatto al mestiere dello Scaldo.” Scherzò il Wulf. “Non so ancora in cosa consisterà il mio compito, perché i messaggi degli Spiriti sono sempre vaghi. Ma parto volentieri per questo viaggio, perché so che è tutto per un bene più grande, anche se non riguarda il nostro clan.” Batté le mani sulle ginocchia nodose. “Ma prima di parlare del futuro, desidero restare un momento da solo con mia unica figlia. Abbiamo delle cose da dirci, perché questa è l’ultima volta in cui parleremo in questa mia vita.”
Spostai lo sguardo su Hilda, come tutti. La ragazza sembrava essere rimasta senza fiato, e boccheggiò un paio di volte prima di annuire. “Certamente. Sono qui per questo, padre.”

Lo sciamano più giovane ci condusse fuori, per lasciare un po’ di intimità al suo maestro e a sua figlia.
Visto che non sopporto i silenzi tesi, decisi di chiacchierare un po’ con lo sciamano. Mi interessava la sua visione del mondo, sia come umano che come canale per gli spiriti. “Mi sono sempre chiesto in che cosa uno sciamano fosse diverso da un druido. Conosco alcuni druidi, elfi del mio clan, ma non avevo mai incontrato uno sciamano prima d’ora.” Cominciai, sperando che Bral cogliesse lo spunto di conversazione.
“Capisco che ad un profano possano sembrare due cose simili, ma non è proprio così.” Rispose lui, assecondandomi. “Un druido è simile a un sacerdote della Natura e può vivere in una comunità ma più spesso sceglie di starsene per conto suo; uno sciamano invece di solito serve il suo clan come intermediario fra il mondo degli spiriti e il mondo dei viventi. Ricopre anche il ruolo di guaritore, divinatore e psicopompo.”
Si prospettava un discorso interessante.
“Per certi versi allora mi ricorda il ruolo della strega, per quello che ho visto del lavoro di Krystel… ma lei non serve un clan, ha un ruolo meno centrale, un ruolo di supporto a una cittadina… be’, a una piccola area fra diverse cittadine.” Ragionai.
“Non hai torto. Gli sciamani e le streghe hanno in comune il fatto di occuparsi del benessere e della vita delle loro comunità. Gli sciamani però si occupano anche di ciò che accade dopo la morte, perché siamo l’unico supporto spirituale dei nostri clan; le streghe lo fanno raramente, lasciando quel ruolo ai chierici. Le streghe hanno un ruolo più… da guaritrici, danno un aiuto sul piano fisico o con la magia, ma non sono guide spirituali. I druidi, loro si concentrano sulla Natura e sul vivere dentro di essa. A volte le streghe e i druidi litigano perché rappresentano l’aspetto addomesticato e l’aspetto selvaggio della natura. Gli sciamani tendono a tenersi al di fuori di queste faccende. Noi rispettiamo la Natura, ma ci concentriamo soprattutto sugli Spiriti.”
Queste differenze, su cui non avevo mai riflettuto, mi diedero molto da pensare.
“Non immaginavo che ci fossero disaccordi fra le streghe e i druidi, mi risulta che entrambi rispettino la Natura.” Azzardai.
Fu Krystel a rispondermi, ma lo fece in tono pacato.
“I druidi ci accusano di favorire lo sfruttamento della natura, e con questo mi riferisco all’agricoltura. Avrebbero ragione se noi favorissimo uno sfruttamento non etico che prevede l’abbattimento delle foreste per ottenere sempre più campi da coltivare. Ma non avvalleremmo mai un simile progetto, noi favoriamo con la magia la fertilità dei campi anche perché non diventi necessario cercare nuove aree da coltivare. È un discorso complesso ed è complesso anche mantenere un equilibrio fra la natura selvaggia e la proliferazione della popolazione umana. Detto questo, noi streghe non possiamo accettare misure drastiche come prendere a colpi di freccia tutti i boscaioli che si avvicinano per tagliare un albero, oppure colpevolizzare la gente dei villaggi perché mangia il grano che cresce dalla terra. Preferiamo metodi come piantare un albero ogni volta che uno viene tagliato, oppure restituire alla terra qualcosa ogni volta che prendiamo i suoi frutti. Con la Natura è sempre un rapporto di dare per avere.”
“Ma per avere un rapporto di dare e avere con la Natura, bisogna essere al di fuori della Natura.” Fece notare il giovane sciamano. “Ed è questa l’altra cosa che i druidi criticano.”
Krystel scrollò le spalle. “Non ho mai negato che noi siamo mediatrici fra le persone e la Natura. Dobbiamo per forza appartenere ad entrambi i mondi senza poter appartenere completamente a nessuno dei due. I druidi vivono in perfetta comunione con la Natura, le streghe invece vivono sulle soglie. Non è una novità. È per questo che traiamo potere dai momenti di passaggio e dai momenti di equilibrio, come solstizi, equinozi, e le fasi della luna.” In effetti, ricordai che la luna era mezza durante il rituale di passaggio per Tiffany. “Ed è anche il motivo per cui festeggiamo sia le feste stagionali come solstizi ed equinozi, momenti di passaggio sanciti dalla Natura, sia le feste umane del calendario agricolo. Per quanto possa sembrare strano, non tutto il potere della Natura viene da lei stessa. Una parte del suo potere viene dalla fede delle persone che hanno bisogno della Natura per vivere, e dalle loro convinzioni.”
Bene, questo era già ben oltre le mie possibilità di comprensione.
“E tu, come la pensi?” Mi chiese Bral. Lo sciamano mi stava guardando con curiosità. Forse lui era curioso su noi elfi quanto io lo ero su di lui e la sua cultura barbarica.
“Io sono un ranger.” Spiegai a beneficio dell’umano. “Tempo fa Krystel mi ha fatto notare che per me proteggere la mia foresta e proteggere il mio clan sono due cose inscindibili.”
“Certo, tu sei un elfo.” Ragionò lei. “Gli elfi vivono in armonia con la natura selvaggia molto più degli umani. Per te probabilmente queste discussioni non hanno senso.”
“Probabilmente no. Le capisco, solo non posso riportarle alla mia esperienza diretta. Noi abbiamo dei druidi, e loro hanno un’utilità nella nostra comunità; la foresta è la nostra protezione e la nostra casa, abbiamo a cuore la sua salute. E non abbiamo nemmeno dilemmi etici sullo sfruttamento delle risorse, perché la nostra società è piuttosto semplice: ci nutriamo di caccia e raccolta, come voi, immagino.” Lo sciamano annuì. “Ma a differenza vostra, la nostra economia contempla anche il commercio.”
“Anche noi commerciamo.” Obiettò lo sciamano, sulla difensiva. “Con altre tribù.”
Iniziavo a sospettare di aver fatto una gaffe, probabilmente ero caduto nell’errore di molti: anche se la loro cultura era barbarica e un po’ grezza, non voleva dire che fosse semplice o che non sapessero produrre oggetti con una loro bellezza o filosofie di un certo interesse. Holly si era accorto del mio imbarazzo e ghignava come un bastardo.
Per fortuna il Wulf scelse proprio quel momento per richiamarci nella caverna.

Passammo il resto della giornata a raccontare ai due sciamani la nostra avventura nelle caverne sotto il Bosco del Crepuscolo, in cerca della città sepolta degli elfi scuri. Non nascondemmo nulla: i cristalli che veicolavano energia, la possibile presenza di artefatti malvagi, i cerebrilith, i demoni, (la succube), la regina lich e i suoi fantasmi, le altre perle di Ka’Narlist con ancora intrappolate le anime di chissà quali suoi nemici vissuti ventimila anni fa o più.
C’erano molte cose da fare in quel dungeon: distruggere quanti più cristalli possibile, recuperare oggetti magici o distruggerli se fossero stati malvagi, uccidere i demoni che vi si annidavano, ma soprattutto liberare le anime prigioniere.
Gli spiegammo che per diritto di fede quelle anime appartenevano alla divinità malvagia degli elfi scuri, e la nostra preoccupazione era trovare un modo perché sfuggissero a quel destino gramo.
“Per diritto di fede, infatti.” Ragionò il vecchio sciamano, prendendo una boccata dalla sua strana pipa. “Sono le persone a dare il diritto agli dèi di reclamare le loro anime. Noi ci teniamo alla larga dagli dèi. Le nostre anime sono destinate a vagare nel mondo degli Spiriti finché non si reincarneranno, o a restare vicino ai loro discendenti e alla loro tribù, se così desiderano.” A queste sue parole, Hilda sussultò leggermente e mi girai a guardarla per cercare nel suo viso un indizio che spiegasse quel sussulto. La sua espressione però era indecifrabile.
“Quindi, se sono le persone a permettere agli dèi di prendersi le loro anime è anche possibile che revochino questo diritto?” Domandò Holly, arrivando al punto.
Il Wulf sospirò uno sbuffo di fumo bianco.
“Non è impossibile.” Rispose in tono cauto. “Ma non è facile disfarsi delle proprie convinzioni di tutta una vita, specialmente quando si è già morti. Forse quelle anime possono essere liberate. Ormai è tardi per scegliere un’altra divinità, questo va ben oltre quello che potrebbero comprendere, però potrebbero ancora scegliere di entrare nel ciclo delle reincarnazioni. Significherebbe restare nel reame degli Spiriti finché non perderanno memoria della loro vecchia esistenza, a quel punto saranno solo spiriti senza mente e verranno naturalmente attratti dalle nuove vite che nascono ogni giorno. Quando un bambino inizia a formarsi nel grembo di sua madre, quello è il momento in cui uno spirito può incarnarsi e cominciare una nuova vita. Non mantiene i ricordi della vita precedente, ma le esperienze che affrontiamo nella vita formano una sorta di… saggezza dell’anima, e quella rimane. Le anime che si sono reincarnate molte volte spesso diventano sciamani o saggi, o guide spirituali per il loro popolo.”
“Pensi di poterli convincere?” Domandò Holly. Aveva a cuore la questione più di tutti noi.
“Penso di doverci provare. Quelle anime non meritano di stare imprigionate per sempre, e comunque quel posto non è sicuro, anche se è sigillato. I luoghi in cui molte anime soffrono, o si incancreniscono, rischiano di attirare l’attenzione di altre cose. Cose che non sono divinità, ma forse sono anche peggio. Ventimila anni sono pochi, ora le anime forse non ricordano chi sono ma hanno ancora identità separate. Ma lasciale lì altri ventimila anni e quel posto potrebbe diventare un pozzo di putridume spirituale e la regina lich sarà il minore dei problemi. Io devo venire con voi e fare il possibile per convincere quelle anime a farsi liberare, per il bene loro ma anche di tutti quanti, perché uno sciamano deve saper vedere lontano.” Prese un’altra boccata di pipa e rimase un momento in silenzio, con aria cogitabonda. “Sono vecchio, e so che la fatica del viaggio e il peso del mio compito non saranno senza prezzo. Le mie ossa dovranno tornare al mio clan, tranne il mio sterno. Quello dovrà andare a mia figlia, perché è l’osso che protegge il cuore, e i nostri discendenti sono il nostro cuore. Queste sono le nostre usanze.”
Aveva parlato con perfetta serenità della sua missione e della sua morte, come se fosse sicuro e avesse accettato la cosa. Hilda ebbe un altro sussulto, e guardandola in viso ebbi l’impressione che stesse trattenendo una forte emozione. Che fosse tristezza, commozione, o rabbia, non avrei saputo dirlo.

Hilda e Krystel ci lasciarono quella sera stessa per tornare alla locanda. Secondo me non era il caso che si mettessero in viaggio da sole, con una bambina piccola per giunta, ma conoscevano quelle lande abbastanza bene e insieme erano certamente grado di sfuggire ai mostri e ai banditi di strada con qualche trucco.
Io e Holly restammo accampati vicino alla caverna per tutto il tempo necessario; lo sciamano aveva bisogno di un po’ di tempo per predisporre la sua partenza e, visto che non pensava di tornare, anche la sua successione.
Ci mettemmo in marcia verso Derlusk alcuni giorni dopo.

Il viaggio fu piuttosto lento. Per fortuna ormai era primavera conclamata, e anche nel nord le strade erano percorribili, fatta eccezione per le piogge torrenziali che ogni tanto ci costringevano a fermarci e poi a ripartire sguazzando nel fango. Facemmo tappa a Yartar (in realtà soltanto io entrai in città) per acquistare due cavalli, un carro coperto e provviste necessarie per il lungo viaggio. Il Wulf era un po’ troppo anziano per fare la strada a piedi o a cavallo, quindi sistemammo le sue pellicce sul carro, e a turno io e Holly sedevamo in cassetta per tenere le redini oppure restavamo con lo sciamano per tenergli compagnia.
Di solito io e Holly non avevamo problemi a tagliare per i campi o per stradine secondarie per accorciare un viaggio, ma questa volta eravamo costretti a seguire strade abbastanza larghe per il carro. Fu un’esperienza nuova e strana, viaggiare come gli umani.
Arrivati a Waterdeep Holly suggerì di vendere carro e cavalli e pagarci un passaggio su una nave, ma io non mi ero ancora ripreso dal nostro ultimo viaggio in nave e mi opposi. Anche il Wulf si schierò dalla mia parte; non aveva mai navigato sulle acque salate e non aveva familiarità con gli spiriti del mare, mentre (parole sue) la terra è pur sempre terra.
Così continuammo sulla via più lunga: la strada commerciale che toccava le principali città umane. In meno di venti giorni eravamo a Baldur’s Gate, ma non ci fermammo lì; nessuno di noi era a suo agio nelle grandi città e la strada per Derlusk era ancora lunga.
Ci spingemmo a sud fino alla città di Zazesspur e poi decidemmo di tagliare a est, verso il Lago dei Vapori. Due mesi dopo aver lasciato Baldur’s Gate varcammo le porte della città marittima di Mintar. Dopo altre aspre discussioni sulla possibilità di prendere una nave, e dopo aver considerato il tempo di navigazione, la puzza di zolfo che aleggia sul Lago dei Vapori e la possibilità di incontrare mostri, decidemmo che ci saremmo spinti almeno fino alla cittadina di Yhep prima di cercare un passaggio per Derlusk.
“Voi due vi rendete conto che si arriva a Yhep con una strada sterrata, quindi significa che probabilmente è un buco di culo di città, e non è detto che abbia commerci con Derlusk?” obiettò Holly.
“Sei ingiusto, anche a Derlusk si arriva con una strada sterrata e non è affatto una cittadina minore, per usare un’espressione più gentile della tua.”
“Va bene. Va bene. Tentiamo.” Si arrese.

Stendiamo un velo pietoso sul resto del viaggio, diciamo solo che mise alla prova i nostri nervi e la nostra pazienza, l’uno verso l’altro e anche verso il vecchio sciamano (ma era un anziano ed era naturale che avesse le sue necessità). Penso che durante l’ultimo tratto di quel viaggio soltanto la strana erba pipa dello sciamano riuscì a farci mantenere il clima rilassato.
O meglio, credo. Stranamente non ricordo molto di quel trasbordo in nave, non penso di aver mai vomitato, ricordo solo Holly che mi accompagnava in giro perché io, di mio, non mi sarei mai alzato dalla mia amaca.
I miei ricordi cominciano a schiarirsi solo a partire dal nostro arrivo al porto di Derlusk, verso la metà del mese di Eleasis.
La cittadina era come la ricordavo: graziosa, un piccolo borgo ordinato e pieno di arte.
Ma no. Non sia mai soggiornare in città.
Dopotutto, perché pagare una stanza in una locanda quando puoi montare una tenda fuori dalle mura sotto il caldo sole di fine estate e (parole dello sciamano) prendere confidenza con la terra di quella regione?

Uno di noi due baldi giovini doveva andare alla torre di Linomer per annunciargli che eravamo tornati e pronti per la seconda fase della missione. L’altro sarebbe rimasto con lo sciamano, non era il caso di lasciarlo da solo. Per rendere la cosa più chiara: uno di noi avrebbe avuto tè e biscotti e finalmente una conversazione decente, forse perfino la possibilità di fare un bagno e dormire in un letto vero, mentre l’altro sarebbe rimasto a fare da balia a un anziano che ama dormire nella polvere ed è dipendente da strani funghetti.
Decidemmo rapidamente e con razionalità che era meglio che andassi io a parlare con il mago; Holly aveva pescato la pagliuzza corta.

           

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Capitolo 32
*** 1317 DR: Epilogo (Parte 8) ***


1317 DR: Epilogo (Parte 8), ovvero Quando tua nonna morta ti sblocca l’archetipo “damigella in difficoltà”


Eravamo riusciti a mettere insieme un bel gruppetto anche per questa seconda missione: eravamo io, Holly, il Wulf, Linomer (lui stavolta, non il suo simulacro) e Karasel, che era tornata per l’occasione.
Io ed Holly eravamo molto lieti di vederla e di avere ancora la sua compagnia (anche se Holly non l’avrebbe ammesso perché sostiene di non sopportare i bardi); inoltre se lei fosse riuscita a rimanere a lungo nel dungeon, sarebbe stata la prova che la fonte principale del male che lo infestava era stata rimossa.

Tornammo al Bosco del Crepuscolo. Lo sciamano annusò l’aria, assaggiò la terra, la sputò, e ci disse che secondo lui “puzzava come una latrina che straborda”. Certo, la fonte del male era stata rimossa, ma l’area non era stata purificata. Come aveva detto Linomer: la terra da sola ci avrebbe messo secoli a purificare la zona.
Tuttavia non incontrammo altri vegetali corrotti, e gli animali si comportavano normalmente. I briganti non erano tornati (sempre che qualcuno fosse sopravvissuto) e la foresta appariva normale.
Impiegammo un giorno di cammino per ritrovare il punto della scogliera in cui ci eravamo calati giù la volta precedente. Montammo il campo e decidemmo di comune accordo di lasciarlo lì in pianta stabile, se nei giorni a venire avessimo avuto bisogno di uscire e rientrare. Quella sera Karasel ci allietò con la sua musica celestiale, rinfrancandoci il morale. Holly la guardò storto per tutto il tempo, ma la lillend non si lasciò scoraggiare.
Il giorno dopo ci calammo lungo la costa rocciosa grazie a un incantesimo di Linomer che ci fece cadere lentamente come se fossimo stati piume. Non era una sensazione sgradevole, ma essere in balia del vento poteva essere pericoloso e portarci fuori rotta facilmente.
O almeno, a me è quasi successo. Per fortuna Holly mi acchiappò in tempo.
“Devi tenerti vicino alla parete di roccia!” Mi rimproverò, tenendomi per un polso e mantenendo la presa su una roccia sporgente con l’altra mano. “Non te lo avevo già detto? Quando la parete si discosta perché ha una rientranza, devi afferrare qualsiasi sporgenza e tenerti più vicino.”
“Oh, scusami tanto se non sono un esperto di levitazione!” Sbuffai.
Holly mi guardò con quell’espressione piatta che fa quando aiuta qualcuno e quel qualcuno si lamenta pure. Mi lasciò andare.
Avrei dovuto aspettarmelo, ma andai alla deriva per un paio di metri prima di riuscire ad aggrapparmi di nuovo alla parete rocciosa. Bastardo.

Una volta giù indossammo gli amuleti per poter oltrepassare la barriera. Holly preferì andare per primo mentre io distraevo Linomer; non volevamo ripetere l’esperienza già vissuta con il simulacro, e se il simulacro aveva qualcosa come Visione del Vero permanente negli occhi probabilmente ce l’aveva anche il vero Linomer; non era il caso che Holly si facesse vedere senza la protezione della spilla che lo scherma da qualunque divinazione diretta.
Camminammo per ore, senza trovare ostacoli ad eccezione della naturale difficoltà del camminare sui cristalli. Non ne avevo sentito la mancanza, così come non mi era mancata la sensazione di claustrofobia dello stare in un dungeon.
Holly ci guidava apparentemente senza difficoltà, nonostante i molteplici bivi. Io non mi ricordavo assolutamente che strada avessimo fatto mesi fa, anche perché spesso eravamo andati alla cieca tornando sui nostri passi, però lui sosteneva di aver lasciato delle tracce (per me invisibili) per ritrovare la strada.
Trovammo il luogo in cui avevamo abbattuto i necroelementali e i loro corpi erano ancora lì; non si erano risvegliati. L’assenza di contatto con il Piano dell’Energia Negativa, e la scarsità di non morti nel dungeon a cui risucchiare l’essenza, avevano impedito a quei mostri di rianimarsi. Era strano il pensiero che le loro coscienze fossero ancora intrappolate lì, anche se non avevano l’energia per tornare a muoversi.
“Cosa pensi che accadrà ai necroelementali quando romperemo la barriera?” domandai a Linomer. “Pensi che anche i loro spiriti saranno liberi di tornare al Piano della Terra?”
Linomer scosse la testa dubbioso. “Onestamente non lo so. Solitamente quando si abbatte una creatura non morta, la sua anima torna libera di proseguire verso l’Aldilà, ma non so come funzioni per le creature come gli Elementali o gli Esterni, che in teoria non dovrebbero affatto diventare non morti. Delle due l’una: o i loro spiriti torneranno al Piano della Terra riformandosi come normali elementali, oppure avranno accesso al Piano dell’Energia Negativa e si riformeranno qui come necroelementali.
Immagino che lo scopriremo a cose fatte.”
“Queste creature meritano di andare in pace.” Interloquì lo sciamano. “Se torneranno come necroelementali, dovremo farli a pezzi e poi guiderò i loro spiriti verso la loro casa.”
Bene, di sicuro ero d’accordo con lui, ma ormai un po’ mi dava sui nervi il suo atteggiamento da armiamoci e partite. Sapevo benissimo che con dovremo farli a pezzi intendeva voi dovrete farli a pezzi. Ma vabbè, era un vecchio, non pretendevo davvero che combattesse.

Al termine di una lunga giornata di cammino, osteggiato dalla difficoltà del terreno e dalla necessità di trasportare di peso il Wulf nei tratti più ostici, arrivammo nella sorta di casa in cui avevamo combattuto contro gli ottaedri elettrici volanti. I congegni erano ancora a terra in pezzi, a quanto pare necessitavano di riparazioni a mano, non si sarebbero aggiustati da soli. Meno male.
In quella specie di stanza l’altra volta avevamo anche intravisto, oltre una sottile parete di roccia ormai completamente trasformata in cristallo, degli oggetti magici che però non emanavano aure malvagie. Forse ora era il momento di vedere che cos’erano; non avevamo più tutta la fretta della volta scorsa e non avevamo timore di attirare cose strane.
Linomer congelò l’intera parete di cristalli e poi ci consigliò di tapparci le orecchie. Scagliò contro a quella parete una bomba di energia sonora. Il solo spostamento d’aria spezzò la parete che nascondeva gli oggetti magici, il suono che pervase tutta la stanza per un momento fece vibrare e tremare tutti i quarzi. Qualche altro cristallo sulle pareti e sul soffitto si crepò, ma niente di più.
Nello sgabuzzino che avevamo aperto così brutalmente trovammo degli elmi di metallo. Avevano una foggia piuttosto buffa, forse la moda dell’epoca. Ci accampammo in quella stanza visto che eravamo tutti stanchi (stendendo molti strati di pellicce e mantelli per terra, perché il suolo di quel dungeon era sempre particolarmente scomodo), e Linomer si prese alcune ore per identificare quegli oggetti. Intanto io e Holly ci stavamo interrogando su come superare la stanza dei cerebrilith, che sapevamo attenderci poco oltre, visto che ormai il trucco di Holly non avrebbe più funzionato.

“Problema risolto!” Ci annunciò Linomer, quando ci svegliammo dal nostro sonno poche ore dopo. “Questi elmi probabilmente appartenevano ai proprietari di questa... casa, o qualunque cosa fosse. Servono a schermare i pensieri. Con questi, potremmo passare in mezzo ai cerebrilith e loro ci scambierebbero per costrutti o altre creature senza mente. Non li sveglieremo. La magia di questi elmi interromperebbe anche qualsiasi legame telepatico fra di noi, di natura magica o psionica, e a giudicare dalla loro forma, azzardo che comprometteranno anche il nostro udito... ma è un piccolo prezzo da pagare.”
Di comune accordo, lasciammo che Linomer riposasse per alcune ore, dopotutto anche lo sciamano stava ancora dormendo come un sasso.

Il giorno dopo oltrepassammo la stanza dei cerebrilith. Holly insisté per andare per primo, per testare il funzionamento degli elmi. Ormai era un essere vivente quindi se l’elmo non avesse funzionato lui sarebbe stato alla mercé dei cerebrilith tanto quanto noi, ma avendoli già combattuti in passato aveva almeno il vantaggio tattico di sapere come agivano.
Ovviamente sarebbe morto comunque, a meno che non fosse riuscito a tornare indietro di corsa.
Ma, per fortuna, il suo elmo funzionò come Linomer aveva predetto. E così anche i nostri.

Lasciammo gli elmi fuori dalla stanza dei cerebrilith; al momento sarebbero stati solo un peso inutile da trasportare.
Il nostro viaggio proseguì senza interruzioni, o meglio con pochi ostacoli. Alcuni demoni minori cercarono di attaccarci, ma Linomer li brasò prima che potessero avvicinarsi. Era un mago davvero in gamba, forse come Yalathanil, difficile a dirsi per un profano come me.
Alla fine del secondo giorno, grazie ai segnali lasciati da Holly, riuscimmo a tornare all’ingresso del “castello” della Regina della polvere. Man mano che ci avvicinavamo, il nostro sciamano aveva preso a guardarsi intorno sempre più spesso, come se stesse vedendo qualcosa che noi non riuscivamo a vedere. Il mago mi svelò l’arcano sussurrandomi all’orecchio che eravamo circondati dagli spiriti dei morti, che ci guardavano dal Piano Etereo. Non so se lo sciamano riuscisse a vederli o se li percepisse soltanto, ma di sicuro era consapevole della loro presenza.
“Sei sicuro che possiamo entrare senza rischiare la vita?” Domandai a Holly per l’ennesima volta. “I suoi fantasmi l’avranno già avvertita del nostro arrivo.”
“Johel, le ho promesso che sarei tornato e avrei cercato un modo per liberarla. Dal dungeon e dalla maledizione del suo sangue. Lei si aspetta il nostro arrivo.”
“Sì ma...” esitai, con il cuore in gola ora che si era arrivati al confronto finale. “Se le soluzioni che possiamo proporle non incontrassero il suo gusto?”
Holly sospirò con fastidio.
“Noi siamo qui per proporle la soluzione del Wulf, qualunque sia, e per quel che ne sappiamo è l’unica soluzione. Lo so che le femmine degli elfi scuri non sono famose per il loro spirito di adattabilità e di compromesso, ma faremo del nostro meglio e lei è consapevole di avere poche scelte. Non parlare con lei, vuoi? Lascia parlare me.”
“Oh dèi... sei qui per salvarla. Come se fosse una maledetta damigella in difficoltà.”
Holly si girò verso di me e mi guardò malissimo.
“Certo, per te non è una persona da salvare, perché nel corso della sua vita tipo ventimila anni fa ha fatto delle cose malvagie, ha commissionato omicidi, e tutto il resto. Non riesci a capire che non conosceva nessun altro stile di vita? Non puoi essere mentalmente sana con una divinità malvagia che ti parla nella mente e ti indossa come un guanto!”
“Sì, questo lo capisco, ma...”
Ma? Ma cosa?” Insistette Holly.
“Ma una scelta ci deve essere! Lei aveva iniziato a capire che la sua condizione non era sana...”
“Ed è già un miracolo che avesse iniziato a capirlo.” Mi fermò Holly.
Stavamo parlando in elfico, una lingua che il Wulf non capiva ma sicuramente Linomer sì, forse anche Karasel. Però anche se si erano accorti che stavamo discutendo, ci stavano vistosamente ignorando per lasciarci un po’ di privacy.
“Lo sai perché non sopporto i bardi?” Mi domandò Holly di punto in bianco.
“No, diamine, non lo so, e non vedo cosa c’entri adesso!” Sbottai, cominciando ad irritarmi.
“E lo sai perché canticchio quando sono sovrappensiero? Sì, lo so che di solito nego tutto, ma lo faccio.”
“Dopo questa magnanima ammissione mi immagino che tu stia per rivelarmi il perché.” Risposi in tono amaro. A volte mi dà fastidio il modo in cui Holly pensa che ogni dettaglio del suo comportamento sia così importante, come se...
“Perché la sento nella mia mente. La musica. Ogni fottuto momento della mia vita, anche quando sono morto, sempre, tranne in questo dungeon grazie a questa cavolo di barriera; tutto il tempo sento un ghirighirighiri del cazzo nella mia testa e non c’è un cazzo di modo per farlo smettere! Alla mia dea piace la musica e quindi io vivo come se il mio vicino di casa avesse un’orchestra in camera e ci separasse solo una parete di legno e terra battuta.” Mi rovesciò addosso un fiume di parole, lasciandomi basito. Oh. Forse era importante. “Se provo ad ascoltarla per bene diventa incomprensibile ed è ancora più frustrante, ma se la mia mente vaga allora la sento più forte, come quando mi sveglio e quando cerco di dormire, o se faccio la reverie. Ogni volta che devo concentrarmi su un concetto difficile ho questa roba in sottofondo che mi dà fastidio, ormai ho la capacità di concentrazione di un monaco che sta seduto su una picca, a forza di sforzarmi per ignorare queste melodie che mi girano in testa. E so che la mia dea non lo sta facendo apposta, questo legame esiste indipendentemente dalla sua volontà. Ora, la mia condizione è tutto sommato piacevole, la mia dea ha un cuore buono e rispetta la comune decenza quindi evita di usare la mia mente come un parco giochi; ma se provo anche solo a immaginare come debba essere vivere con la voce di una divinità malvagia nella mente, stare a contatto con i suoi più oscuri pensieri e desideri... francamente ringrazio ogni giorno per aver avuto un totale disinteresse alla vita religiosa prima di conoscere Lei, e non me la sento di colpevolizzare chi invece non ha avuto scelta. Nenshalee Yril’Lysaer è stata educata fin dalla nascita a diventare una sacerdotessa di Lolth.”
Dopo questo, non trovai più nulla da obiettare.
Rimasi in silenzio per un po’, riflettendo su quello che mi aveva detto e ascoltando con mezzo orecchio mentre Holly e il Wulf parlavano di come approcciare la Regina e intavolare un discorso. Ci sarebbero stati problemi linguistici perché lei non parlava certamente il Comune, una lingua sviluppatasi ben dopo l’inizio della sua prigionia, ma Linomer forse aveva preparato l’incantesimo giusto.
Rimasi in disparte mentre parlavano, e alla fine mi avvicinai a Holly mentre gli altri si adoperavano per aprire il portone.
“A volte non capisco le tue ragioni perché le tue esperienze passate sono molto diverse dalle mie.” Cominciai, per gettare un ponte di riconciliazione.
“Lo so. Non sono arrabbiato. Io sarò sempre un po’ alieno per te, ma è perché ci sono dei lati di me che non desidero mostrare.”
Annuii, accettando la sua spiegazione. Ognuno ha il diritto di mantenere privati certi suoi pensieri.
“Solo, non pensavo... insomma, diciannovemila anni. Anche per noi elfi, sono tipo... fra le cinquanta e le trecento generazioni, a seconda dell’età a cui una madre concepisce. Come è possibile che il sangue sia ancora così forte? Come ha fatto, la tua famiglia?”
Holly sospirò e scrollò le spalle. “Non ho mai conosciuto la famiglia in cui sono nato. Però posso dirti ciò che ho capito spulciando l’archivio genealogico che copriva circa gli ultimi cinquemila anni... principalmente incroci fra cugini e poliandria, più un certo carico di incantesimi preventivi per mantenere basso il rischio di difetti ereditari.”
“A parte la maledizione?”
Holly rise, sconfortato.
“Per motivi a me incomprensibili, non era ritenuta un difetto.”

Le rovine del castello della Regina erano come le ricordavamo: vuote e pervase da un’atmosfera stantia e pesante. Meno malvagia dell’ultima volta, però; la torre dell’arcimago non era lontana dal castello, e l’assenza della perla di Ka’Narlist si faceva sentire.
Nenshalee Yril’Lysaer era sul suo trono e come l’altra volta se ne stava in una posizione molto poco regale. Questa volta era sdraiata per traverso, poggiando la schiena contro un bracciolo e le gambe sull’altro bracciolo. Mi colse all’improvviso il pensiero che il trono dovesse essere molto grande oppure lei molto bassa, l’altra volta non ci avevo fatto caso.
Stava sfogliando un libro, una copia economica ed esteticamente insipida di una collezione di antiche poesie elfiche; lo riconobbi come un libro che Holly aveva acquistato a Derlusk poco prima della missione precedente, dicendo che intendeva studiarle e comporre delle versioni parodistiche. A quanto pare invece lo aveva prestato alla regina lich.
“Questo libro è bellissimo.” La signora ci accolse con queste parole, girando un’altra pagina. “Dice così tante cose sugli elfi chiari e sulla loro cultura, che sembra quasi di leggere la loro anima. Meriterebbe di essere scritto da un amanuense esperto, con inchiostro di sangue di elfo, e rilegato in pelle di elfo. Questo gli renderebbe giustizia.” Lo disse in tono rapito, serissimo, senza alcuna malizia.
Gli dèi benedicano le edizioni economiche ed esteticamente insipide.
“Mia Signora, questo è il tipo di idea che tende ad indisporre gli elfi.” Commentò Holly. “Sono persone, sapete.”
La Regina della polvere si voltò a guardarlo, con un’espressione sorpresa e perfettamente innocente.
“Intendeva essere un complimento alla loro razza e alla loro cultura.” Spiegò.
“Io... lo capisco, Signora, ma per quanto divenire parte di un’opera d’arte possa essere lusinghiero, molte persone preferirebbero conservare la propria vita. Immagino che un concetto simile sia sempre stato estraneo all’educazione e alla cultura del popolo degli elfi scuri, ma anche una vita può essere un’opera d’arte.” Rispose Holly. Un punto di vista davvero interessante nel suo essere inquietante.
L’antica regina lich corrugò la fronte in una smorfia quasi graziosa.
“Non comprendo, ma la moralità deve essere cambiata molto in questi millenni. Ti ringrazio per la tua esposizione. Io desidero tornare nel mondo, sempre che possa farlo libera dai legami del mio sangue, e se tornerò nel mondo immagino che dovrò imparare gli usi e i costumi di oggi.”
“Sicuramente.” Convenne Holly. “Forse è il momento di parlare seriamente delle possibilità che voi e i vostri sudditi avete, nella situazione attuale. Ho portato con me alcune persone esperte di anime, religioni, e di tutto quello che concerne la morte e la vita.”
L’elfa scura si sedette più composta sul suo trono e chiuse il libro.
“Benissimo, allora. Sono disposta ad ascoltare.”

           

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Capitolo 33
*** 1317-1318 DR: Epilogo (Parte 9) ***


1317-1318 DR: Epilogo (Parte 9), ovvero Forse è solo un arrivederci


“E quindi la vostra geniale soluzione è che io muoia?” La Regina della polvere era corrucciata, ma stranamente non era furiosa.
“Antica Signora.” Rispose lo sciamano, accennando un inchino. “Ci sono molte formule rituali umane, dai matrimoni alle maledizioni, che legano un’anima a un’altra anima o a un particolare incantesimo fino alla morte, o finché morte non vi separi. Questo perché noi creature dalla vita breve lo abbiamo scoperto presto: la morte separa. Pone fine ai legami e alle costrizioni delle anime. Questo accade solo se l’anima abbandona completamente il corpo e se abbandona anche i suoi ricordi della vita passata.”
“Però mi occorrerà del tempo per dimenticare la mia vita passata. Forse molto tempo. E mentre la mia anima sarà priva di difese, se la barriera cadrà la Regina Ragno potrà nuovamente prenderne possesso.”
“D’altro canto se restate qui in questo dungeon, nel luogo in cui avete vissuto e passato la vostra non morte, potreste non dimenticare mai.” Obiettò lo sciamano. “Le anime che decidono di entrare nel ciclo della reincarnazione non rimangono nell’etere, insieme ai fantasmi non morti, ai mostri e ai maghi che con qualche bulabula viaggiano su altri Piani. No, le anime vanno in un altro luogo, il Piano dove risiedono tutti gli spiriti. Alcuni lo chiamano Mondo degli Spiriti, ma è una parola vaga perché comprende il Mondo di Sopra, il Mondo di Sotto e il Mondo di Mezzo. I primi due non sono il caso; le anime dei defunti vagheggiano per il Mondo di Mezzo, il più vicino a quello materiale. Non è un luogo privo di pericoli, questo no. Ci si può trovare parecchie schifezze spirituali, nel Mondo di Mezzo; ma è un luogo interdetto alle divinità, dove non possono estendere la loro influenza. Questo va bene per voi.”
“Ma come semplice anima che progressivamente dimentica il suo passato, non sarei indifesa davanti ai pericoli del Mondo di Mezzo?” domandò la Regina, un po’ preoccupata. In effetti qualunque creatura abituata al potere e ad avere il totale controllo, senza vere minacce da millenni, non si sentirebbe tranquilla a cedere il suo potere e le sue difese in cambio di promesse aleatorie.
Il Wulf arrancò un po’ su “progressivamente”, ma sembrò afferrare il concetto generale.
“Non è lo stesso tipo di pericoli che si incontrano nel mondo materiale. Sono soprattutto inganni, illusioni, e ogni tanto spiriti corrotti. Noi non vogliamo che voi e i vostri sudditi diventiate come quelli. Per questo io vi accompagnerei per guidarvi.”
La proposta venne accolta dal silenzio. Io me lo aspettavo, dopo che all’inizio di questa missione aveva affermato che era certo di essere arrivato al suo limite. La Regina però sembrava molto impressionata.
Va anche detto che non aveva mai visto un umano, quindi per quel che ne sapeva lei l’aspetto di un normale umano nel fiore degli anni poteva essere quello di un vecchio decrepito.

Holly parlò in privato con lei per ore. Non so cosa le disse, probabilmente diede fondo a tutte le sue capacità diplomatiche per convincerla. Nel frattempo lo sciamano ritenne giusto spiegare a tutti noi, con macabra dovizia di particolari, come disporre del suo corpo una volta che fosse morto.
Holly tornò da noi quella sera. O almeno, credo fosse sera.
“Ha accettato.” Annunciò. Aveva un’aria esausta. “Ma vuole che sia io a farlo. Se deve morire, vuole che sia io ad ucciderla.”
“Perché?” Domandai, sorpreso. Che differenza poteva fare?
“Perché, per quanto le sia possibile, si fida di me.”
“Oh. Be’. Questo è molto...” annaspai alla ricerca di una definizione adeguata, rimanendo subito a corto di parole.
“Commovente?” Tentò Karasel, sfoggiando la sua oratoria bardica.
“Avrei detto inquietante.” La corressi. “Avete stabilito un minimo di relazione pacifica e come premio la devi uccidere?”
“Non vederla in questo modo.” Sospirò Holly. “Diciamo che si fida che io agisca per il suo bene, o almeno, si aspetta che agisca nel mio interesse ma con il minor danno possibile a lei.”
“Va bene, senti, non sono sicuro di voler capire come funziona la logica di un’elfa scura lich. Ha un filatterio che devi distruggere?”
Holly annuì, con espressione cupa. “Una striscia di pergamena. L’ha nascosta nel costone del suo diario.”
Un brivido mi percorse la schiena. Avevamo avuto per le mani quel diario l’ultima volta e non avevamo avuto sentore di nulla.
“Bene, allora. Immagino che dovremo procedere.”

Mentre Holly e il Wulf continuavano la loro opera sulla Regina, e non mi piace scendere nei dettagli in merito, noialtri non restammo con le mani in mano. Tornammo alla torre dell’Arcimago per un sopralluogo. L’edificio era ancora pregno di energia sacrilega, ma gli incantesimi e le capacità innate di Karasel riuscivano ad arginare e a tenere lontana da noi quella sporcizia energetica residua. Eravamo in cerca di una cosa in particolare: la leggenda diceva che Ka’Narlist possedesse molte perle come quella che aveva usato per trarre in salvo la sua anima, ma queste altre erano usate per tenere prigionieri i suoi nemici. Da qualche parte in quella torre, o se non lì in quel dungeon, c’erano delle altre anime prigioniere.
Non sapevamo se le persone lì racchiuse fossero buone o malvagie, sapevamo solo che erano stati nemici dell’antico Arcimago, ma onestamente a me bastava questo.
Linomer fu il primo ad entrare nello studio privato del mago, dove l’altra volta Holly aveva trovato la sua perla.
“C’è qualcosa qui, in un angolo del pavimento.” Disse ad alta voce, aggiornandoci in tempo reale su quello che trovava. “E per ora nulla sta cercando di possedermi.”
Rassicurante.
“Sì, è proprio un mucchio di perle! La pendenza del pavimento le ha fatte rotolare qui... ma c’è anche altra roba, qualche pezzo di metallo che boh, ormai è spazzatura, e... alcune perle sono incastonate in montature di metallo, altre sono ingabbiate in reti di fili d’oro... ci metterò un po’ a recuperarle, ma non temete, sto bene.”
Eravamo d’accordo che avrebbe continuato a parlare per tutto il tempo per farci sapere che non gli stava accadendo nulla di male, quindi per un po’ ascoltammo i suoi monologhi su quello che aveva trovato, poi sulle sue impressioni sul dungeon in generale, e infine su quanto gli mancava la Superficie.
Non potevo davvero dargli torto. Ma quando uscì, aveva un’aria soddisfatta.
“Penso che le perle fossero attaccate a un arazzo, o a un drappo... o a un capo di vestiario, magari. Così le avrebbe avute sempre con sé. Alcune emanano un’aura malvagia, di certo non potente quanto doveva essere quella di Ka’Narlist, ma sarò più felice quando ce ne saremo liberati. E comunque la maggioranza non contiene creature corrotte... forse i nemici di Ka’Narlist erano perlopiù buoni, o forse molte perle sono vuote.”
“Benissimo, e questa è fatta. Qual è il prossimo punto in agenda?” Battei le mani, ansioso di lasciare quel luogo.
“Ci sono due cose che vorrei fare ora.” Elencò Linomer. “Frugare questo posto in cerca di oggetti magici interessanti, oppure ritrovare il luogo dove si trovava il Quarzo Radice, ossia da dove si dipanano tutti i cristalli, e da lì inondare il dungeon di energia sacra per purificare tutto.”
“Mi sembrano due ottime idee, e se questo fosse un dungeon normale ti direi che essendo già qui dovremmo approfittarne e cercare oggetti magici, ma la verità è che non voglio restare qui un momento di più.” Confessai onestamente.
“Sono d’accordo.” Si accodò posatamente Karasel. Aveva l’aria tranquilla, ma mancava della sua solita vivacità, ad un occhio attento non sfuggiva il fatto che quel luogo la facesse ancora stare male. “Pensate che avremo bisogno anche di Holly per questo?”
Entrambi si voltarono verso di me perché ero quello che lo conosceva meglio.
“Non credo. Dentro a questa barriera i suoi poteri sono limitati.”
“Molto bene. Andiamo allora.”

Nessuno di loro era stato là, soltanto io, quindi dovemmo basarci sulla mia memoria. Un dramma, io sottoterra mi oriento pochissimo, ma c’erano ancora i segni che avevamo lasciato sul percorso durante la missione precedente. Alla fine trovammo il luogo, ma eravamo stanchi morti ormai. Era passata da tempo l’ora in cui io e Linomer avremmo voluto fermarci a riposare, ma nessuno di noi voleva dormire in un luogo così empio.
Ritrovammo il luogo in cui avevamo distrutto il cristallo enorme e monolitico che stava sopra alla Radice, da dove si dipanavano a raggiera le ramificazioni che portavano i cristalli in tutto il dungeon.
Linomer si scrocchiò le dita.
“Karasel, temo che ora stia a te. Io però ti aiuterò volentieri. Sono un mago e non un chierico, ma ho anch’io qualche freccia al mio arco.”
Rimasi seduto sul monolite infranto del vecchio quarzo, guardandoli lavorare. Non capivo i dettagli di ciò che stavano facendo, ma col tempo cominciai ad avvertire il cambiamento. Era una sensazione strana, ma molto piacevole. Come se il dungeon diventasse sempre meno opprimente.
Non ci volle molto prima che Karasel e Linomer esaurissero il loro repertorio di incantesimi. Sapevamo che sarebbe stata solo una misura temporanea, che se non avessimo liberato il dungeon dai demoni che erano rimasti ad infestarlo e dalle altre possibili fonti di potere malvagio quel lavoro di purificazione sarebbe durato poco, ma almeno ora sarebbe stato più facile individuare la direzione da cui provenivano le auree malvagie. Inoltre potevamo finalmente fermarci a riposare.

Il giorno dopo Linomer e Karasel prepararono i loro incantesimi con lo studio o con la meditazione, poi tornammo al castello diroccato della Regina.
Solo che non c’era più nessuna Regina. Né lo sciamano. Era rimasto solo Holly, ironicamente seduto sul trono che era appartenuto a Nenshalee.
“Mi mette inquietudine vederti seduto lì.” Gli dissi a mo’ di saluto.
“Tuttavia è l’unico posto dove sedersi in questo dungeon, a meno che io non voglia approfondire la conoscenza con i cristalli che ricoprono il pavimento.” Mi rispose in tono amaro. “E nonostante il mio sangue elfico, ti assicuro che non voglio.”
“Va bene, va bene.” Aggrottai la fronte. “Non c’è bisogno di offendere.”
“Nenshalee è morta.” M’informò. Dal suo umore, l’avevo intuito. “E anche il Wulf. Questo era il suo grande ultimo viaggio, e mi riferisco al suo ultimo viaggio sciamanico per portare quelle anime nel Piano degli Spiriti o comunque si chiami quel posto. Ma aveva timore che lasciando il suo corpo incustodito come un guscio vuoto, qualcosa di malvagio avrebbe potuto possederlo. Così ha voluto che aspettassi che il suo cuore rallentasse fino a un certo ritmo, e dopo un’ora da quel momento avrei dovuto ucciderlo.”
Registrai quelle parole automaticamente, ma per un lungo momento non riuscii a comprenderle.
“Pensavo che... si sarebbe spento di morte naturale.” Obiettai, parlando a fatica.
“Immagino che un coltello in gola ponga fine piuttosto naturalmente alla vita di un individuo.” Fu la sua risposta lapidaria. “L’ho fatto perché me l’ha chiesto e perché sarebbe morto comunque, di fame e di sete. Ma non è stato bello. Ho ucciso il padre di mia nipote.”
Mi avvicinai a Holly e mi poggiai una mano sulla sua, esitante. Non si sa mai come può reagire quando è in quello stato d’animo.
“Non lo hai assassinato. Lui te l’ha chiesto.” Tentai di confortarlo.
“Certo che me lo ha chiesto. E lo ha chiesto a me e non a voi, perché io sono quello che ha lo stomaco per uccidere. Sono quello a cui non importa niente di nessuno. Non è vero?”
“Holly...”
Ritrasse la mano da sotto la mia e mi guardò negli occhi. Sostenni il suo sguardo carico di rabbia, senza ritrarmi. Se aveva qualcosa da dire lo avrei ascoltato.
“È sempre così comodo avere Holly che fa il lavoro sporco.” Continuò, storcendo la bocca in una smorfia di derisione. “Tanto Holly è abituato a uccidere, è quello che mantiene la mente lucida, quello che vede le persone solo come pedine da usare. Non è questo che pensa la gente?”
“No.” Risposi con serietà, incatenando il suo sguardo nel mio. Non avrei abbassato gli occhi anche se il suo sfogo mi metteva a disagio, volevo trasmettergli la mia convinzione. “Non è quello che penso io. E non è nemmeno quello che pensava lui. Se lo ha chiesto a te è perché si fidava di te. Ci vuole fiducia per affidare la propria vita a qualcuno, ma ancora di più la propria morte. Lui era un uomo coraggioso e con un grande spirito di sacrificio. Ha pensato che tu avessi altrettanto coraggio e altrettanto spirito di sacrificio. Più di noi. Io non sarei stato in grado di mettere da parte la mia moralità, nemmeno in una situazione ipocrita come uccidere qualcuno che era comunque destinato a morire, invece tu riesci a forzare sia la tua etica che i tuoi sentimenti pur di fare la cosa giusta.”
“Era un brav’uomo e mi ha fatto male doverlo uccidere.” Mi confidò a voce molto bassa.
“Non ne dubito nella maniera più assoluta, ma non devi giustificarti.”
Holly abbassò lo sguardo sulle sue mani strette a pugno, poi sospirò e raddrizzò le spalle. Come al solito, era il momento di rialzarsi in piedi e tirare avanti.
“Andiamo, ci sono molte altre cose da sistemare. Chi di voi sa come disporre del corpo del Wulf? E che avete fatto mentre non c’ero?”

La prima cosa da fare era far cadere la barriera. Era necessario perché le anime di Nenshalee e dei suoi elfi potessero trovare la loro strada. Ma dopo di ciò, c’erano molte altre cose da fare: liberare le persone rinchiuse nelle perle (ma questo lo rimandammo a dopo, Linomer decise di tenere le perle e liberare i prigionieri nella sua torre), continuare a purificare il dungeon quotidianamente e alla fine rimuovere i cristalli, ritrovare oggetti magici, distruggere artefatti sacrileghi, uccidere demoni, evitare di cedere a una succube, oltre alla questione spinosa del dover uccidere un centinaio di cerebrilith senza sapere come fare.
Insomma, passammo mesi in quel dungeon. Uscendo ogni tanto, si capisce.

L’inverno arrivò e passò, ed era di nuovo estate quando finalmente decidemmo che ciò che avevamo fatto era sufficiente.
Naturalmente ci stavamo lasciando alle spalle un dungeon abbastanza pulito che, nel tempo, si sarebbe riempito della fauna mostruosa che tende ad accasarsi nei dungeon, così come una ferita si riempie di pus. Ma qualsiasi cosa fosse arrivata non sarebbe stata tanto malvagia quanto ciò che avevamo già estirpato.
“Penso sia il momento degli addii.” Annunciò Karasel una notte. Eravamo usciti nuovamente dal dungeon, per l’ultima volta si spera, e ci stavamo beando del venticello fresco e della vista delle stelle. “Vorrei sottolineare ancora una volta quanto sia stato un privilegio per me lavorare al vostro fianco...”
Twilight la interruppe. Twilight interrompeva sempre chiunque.
Ah, già, Twilight era una delle ospiti recalcitranti delle perle di Ka’Narlist: una coure, una creatura celestiale che rassomigliava a una fatina. Aveva preso in gran simpatia Karasel e la lillend aveva scelto di tenerla con sé come famiglio.
Ma, dicevo, Twilight la interruppe con i suoi soliti strilletti entusiastici. “Sììì, graziegrazie per avermi salvata, signori eroi, vi penserò tutte le volte che intreccerò le giarrettiere di qualcuno!”
I coure hanno una passione per gli scherzi, proprio come gli spiritelli. Holly sospirò, massaggiandosi le tempie. “Senti pulviscolo di cotone, io non dico che Ka’Narlist avesse fatto bene a rinchiuderti, dico proprio che per quell’azione gli dovrebbero essere risparmiati molti anni di sofferenze nell’Aldilà!”
La coure mise su un piccolo e adorabile broncio, fingendosi offesa. O forse si era offesa davvero. Sono creature volubili.
Karasel sorrise con indulgenza.
“So che sei diventato il bersaglio prediletto dei suoi scherzi e ti ringrazio anche per la pazienza che hai dimostrato.” Le parole della barda erano rivolte direttamente al mio amico, ma anche se erano state pronunciate con il più soave dei toni, non riuscirono ad ammorbidire il corruccio di Holly. “Per questo desidero farti un dono. Non è gran cosa e non è magico, ma... penso che potrà aiutarti a fare chiarezza.”
Dal suo zaino estrasse un flauto d’argento di fattura superba, molto simile al suo stesso strumento, ma più piccolo.
“Ah... immagino che tu non me lo stia donando perché io possa” gli tappai la bocca di colpo, sulla spinta di un presentimento. Holly continuò a bofonchiare contro la mia mano e ne venne fuori una cosa come “nnfallo n’hulo dlla fhtna d’mmdda”.
“Non comprendo l’idioma che stai usando.” Rispose Karasel, impassibile e calma come uno specchio d’acqua. “Ti sto donando questo flauto perché tu possa farne il più ovvio degli usi: suonarlo. Ricordo ciò che hai detto sul sentire musica nella tua mente; forse non dovresti concentrarti per riuscire a sentirla. Dovresti soltanto lasciarla fluire.”
Tese nuovamente il flauto verso Holly. Adesso giudicai sicuro togliergli la mano dalla bocca.
Lui fissò lo strumento che gli veniva offerto, come se non sapesse che farsene.
“Io non suono.”
“Puoi imparare. Tutti gli elfi hanno orecchio per la musica.”
“No, io non suono, per principio. Io e la mia dea abbiamo un accordo. Non suono, non ballo, non canto, non aderisco a nessuno stupido dress code e soprattutto non sono gentile con la gente.” Elencò, contando sulle dita per maggiore enfasi.
Karasel lo guardò con perplessità per un lungo momento.
“Insomma non fai nessuna delle cose che dovresti fare.”
Adesso ci siamo!” Holly la premiò alzando entrambi i pollici.
“Prendilo in ricordo di un’amica, allora.” Insistette Karasel. “Tutti i tuoi compagni hanno trovato qualcosa da tenere per sé, nel dungeon, ma tu non hai preso nulla.”
“Sono già pieno di cose.” Obiettò lui.
“Ma c’è sempre spazio per un flauto.” Intervenne Twilight, fissandolo con aria furbetta. “Tu stesso prima hai suggerito un ottimo posto dove metterlo.”
Un simile carico di malizia da parte di una creaturina piccola e innocente ci lasciò senza parole. Guardai Holly per vedere come avrebbe reagito.
Dopo un momento di sconcerto, scoppiò a ridere. Tutto si può dire di lui, ma non che non sappia perdere sportivamente.
“Va bene, allora. In ricordo della nobile Karasel e della sua zanzara Twilight.” Holly prese il flauto con entrambe le mani, trattandolo con grande rispetto, e poi rivolse un inchino alle due eladrin.

Prima di andare, Holly si trattenne a parlare con Linomer. Pensavo che volesse solo salutarlo, ma la cosa si stava dilungando, quindi mi avvicinai per ascoltare la conversazione.
“Un orfanotrofio? Sei sicuro? Non credo che a Derlusk serva.” Stava dicendo Linomer.
“Non lo puoi sapere. Derlusk è una città graziosa di gente perbene, ma non esistono città perfette e tantomeno abitate solo da gente perbene. Ci devono essere degli indesiderati, ci sono sempre. E che cosa succede quando nascono bambini indesiderati?”
Linomer annaspò in cerca di una risposta, ma non ne aveva una.
“Immagino che vengano abbandonati.” Ammise infine.
In effetti a Derlusk c’erano anche due bordelli; era improbabile che non nascesse mai qualche virgulto di erba spontanea, per così dire.
“Non voglio che succeda più.” Stava insistendo Holly. “Io non ho un gran bisogno di denaro e in quel dungeon abbiamo trovato parecchi oggetti di valore. Puoi tenerti anche tutta la mia parte se prometti di farne buon uso.”
Non rimasi ad ascoltare la risposta di Linomer perché capivo dalla sua espressione che erano sulla stessa lunghezza d’onda. Mi aveva colpito quella frase, Non voglio che succeda più.
Avevo capito perché ad Holly fosse venuta questa idea. Era per Korum, il pirata che avevamo ucciso quasi due anni prima. Credevo che Holly non ci pensasse più e anch’io l’avevo quasi dimenticato, e mi ritrovai a chiedermi per l’ennesima volta se avesse un diario su cui si segnava queste cose o se avesse solo una memoria prodigiosa, come qualcuno che ha dovuto imparare a tenere a mente molti dettagli per la propria sopravvivenza.
Ci congedammo da Karasel e da Linomer come se fossero stati vecchi amici, perché quella missione ci aveva avvicinati molto. Era tempo di metterci in marcia se volevamo arrivare a destinazione prima che l’inverno fosse troppo inoltrato. Saremmo tornati alla casa di Krystel, perché avevamo ancora delle ossa da recapitare lì.
“Pensi che in futuro degli avventurieri scenderanno in quel dungeon?” Gli domandai un giorno, per rompere la noia della marcia con un po’ di conversazione.
“Certo, è ovvio che lo faranno.” Rispose in tono leggero. “Ho lasciato qualche regalino alle prossime generazioni.”
“Uh? Che tipo di regalini?”
“Le solite cose. Oggetti magici di scarsa rilevanza, monete, cartelli che indicano il bagno ma portano a un crepaccio mortale... i vecchi classici.”
Sbuffai una risata, sapendo che quasi certamente stava scherzando sul crepaccio mortale.
“Oh, tu!


= SEHANATH =



     

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