Buon pomeriggio, caro!
Ci sono nuovamente... e finalmente, direi a gran voce!
Ho letto la risposta che hai riservato alla mia scorsa recensione: dici che le poesie che seguiranno saranno intrise di rammarico e tristezza? Ebbene, io rispondo che apprezzo molto la cosa: è giusto che, nello scrivere qualsiasi cosa, ognuno di noi inserisca nella sua opera un pezzo di sé stesso. Se è questo che al momento prevale in te, e mi dispiace, allora è giusto esternare il sentimento che, da cattivo e tetro qual è, può assumere forme e tonalità proprie di componimenti belli come i tuoi. Considero la tristezza e il dolore nell'ottica distorta di "padri di tutte le cose". Eraclito, filosofo molto rinomato, era solito usare questa espressione nel parlare della guerra. E io dico che, dal mio canto, la tristezza è anch'essa una guerra; silente, vero, che si dissolve nell'animo umano... ma che causa molti danni e tanti frutti ;)
Ma passiamo alla nostra poesia.
Anche questa volta, un lavoro ineccepibile per un componimento che, sotto molti punti di vista, ha suscitato in me due tipi di sentimenti. Nella prima parte (che farei iniziare e terminare con i versi 1/10), ho avvertito come la leggerezza di un rapporto fatto di abbracci soffici, belle e dolci parole, carezze gentili segnate da "parole odorose" e vergate sul palmo delle mani di entrambi gli amanti, in un vincolo che lascia trasparire quasi un senso di subordinazione di uno rispetto all'altro.
Senso che, attraverso questa lata cobla capfinidas, si ricollega strettamente alle figure evidenziate - con lessico e immagini, come sempre perfettamente utilizzati - anche nella "seconda metà" del componimento (quindi, a differenza di prima, 11/fine). Il senso di subordinazione rimarcato dall'aggettivo "ferino", che introduce la figura del cane - creatura, per antonomasia, docile ed addomesticabile, facilmente propensa a sottomettersi all'uomo - ripresa subito dopo.
Il cane, infatti, che sembra essere a tutti gli effetti l'amante abbandonato dall'amata (il padrone, in effetti), che vaga solo per i litorali sabbiosi, perdendo lentamente la sua vita.
E in questo contesto, dunque, si sottolinea la conclusione del sentimento amoroso che legava cane e padrone, amante e amata. Tramite una serie di immagini e aggettivi (cancerogeno amore [che personalmente ho apprezzato tantissimo], fetido, spire, etc...)
Ed è, peraltro, con una struttura circolare, direi quasi a mo' di parallelismo, che la poesia si conclude con la stessa delicatezza con cui è iniziata.
Tu, autore, ci richiami al silenzio, alla pacatezza di una conclusione immobile, con l'immagine di questo fido che si allontana verso l'astratto, in luoghi in cui nessuno potrà più trovarlo, sconfitto e timoroso.
La leggerezza delle prime parole del componimento (leggeri, vetri soffiati, dondoliamo, cullandoci etc...) vengono richiamate alla mente tramite la sofficità di un singolo e solo aggettivo: silenti.
Un componimento straordinariamente bello, che mi sono divertito molto ad analizzare sotto i suoi numerosi aspetti. Sono sicuro che c'è molto altro dietro, nascosto in questi angoli remoti che si citano, ma mi auguro di aver compreso, anche questa volta, abbastanza.
Felicissimo di seguirti sempre, grazie per le belle poesie che ci regali. Vedo di passare al prossimo,
Makil_ |