JUNE/SERENA, post S5
JUNE POV
Mangio e guardo mia figlia nutrita dalla donna che voleva portarmela via. Che voleva usarmi come una fottuta incubatrice e buttarmi via. Fa l'aereoplanino col cucchiaio e Nicole ride e gesticola divertita.
Guardo il contenuto del piatto e vago nella mia mente, cercando riparo. Questa convivenza mi sta facendo a brandelli. Perché non riesco più a odiare Serena? Forse mi manca quella bruciante rabbia, quel rancore che mi ha fatta sopravvivere e fare cose orribili. Che mi ha mille volte salvata.
(Titolo ispirato a King di Florence and the Machine)

Camminavo col cuore in gola e le gambe molli, un fremito che mi percorreva dalla testa ai piedi, all’idea di stare insieme in quel modo ancora e ancora. Mi catalizzavi verso la tua pacifica esistenza. La nostra, quella che ci eravamo guadagnati, o così pensavo. Tu mi aspettavi. Ti importava di me, sembrava così. Sorridevi, ed era impossibile diffidare del tuo sorriso, angelo. Mi faceva venire voglia di trasformare ogni tuo desiderio in qualcosa di vero: dovevi potere essere un mago, se volevi esserlo; dovevi poter avere una copia originale di Orgoglio e Pregiudizio, scritta da Jane Austen in persona, se lo volevi possedere; dovevi potermi tenere i i polsi con una mano, quando possedevi me, se volevi essere quello al comando. Avrei fatto ogni cosa per preservare quel sorriso, più prezioso delle stelle.

[....] “Si, certo…Ecco qui l’idea: la signorina Ashtoreth è una bambinaia dal passato travagliato. E’ nubile perché ha legato il suo cuore a quello di parecchi mascalzoni, che hanno preso la sua virtù e calpestato la sua sensibilità! Per questo ora appare gelida e arcigna e focalizzata unicamente sul lavoro! E’ una donna determinata, concentrata e professionale, che non ammette distrazioni quando svolge i propri compiti. Tuttavia, è tutt’altro che frigida, anche se si avvicina ai cinquanta… Assunta per un nuovo compito in una ricca villa di campagna, conosce il signor Francis, un giardiniere dai modi rozzi e allo stesso tempo intriganti. La signorina Ashtoreth prima lo respinge con un’ostentata e feroce opposizione alle sue avance…Ma poi crolla, colpita dalla verve maschile del grezzo lavoratore della terra. Mi hai seguito?” Crowley si interrompe.
“E’ tutto così…” Aziraphale deglutisce e poi sorride eccitato “Stimolante!” Lascia andare un gridolino.

Aziraphale si aggiusta il papillon di tartan, cercando di sedere con una postura il più possibile autorevole e celeste. Ora che è subentrato a Gabriele deve gestire i suoi impegni diplomatici, tra cui il censimento dei dannati, impegno che il precedente arcangelo svolgeva ogni sette anni terrestri. Aziraphale sospira: con tutte le trasferte che potevano assegnare al reggente del Paradiso in persona, non poteva mancare un colloquio con Lucifero! Inspira, cercando di reprimere nel panciotto l’agitazione, continuando a guardare l’ora. Lucifero è in ritardo, o forse vuole solo prendere in giro il nuovo arcangelo, magari lo sta osservando, nascosto e trasmutato nella sala del trono, tra lugubri arredamenti gotici e stendardi infernali. Aziraphale aggiusta la sua posizione sulla sedia, preziosamente intarsiata di tormalina nera, e guarda con un sospiro il vassoio di uramaki posto proprio sul tavolo in pietra innanzi a lui. Una tentazione. Mordendosi le labbra guarda altrove: non può insozzare il suo corpo celeste con quella roba, nemmeno se i suddetti uramaki hanno un coronamento di panna e fragola! Il cibo terrestre gli manca estremamente!

[...] “Come sarebbe a dire che tu hai cavalcato l’unicorno?” domanda Aziraphale, stupito.
“L’ho attirato vicino con una carota, gli ho fatto qualche carezza sul muso e ci sono salito sopra! Ha un temperamento docile e si è lasciato fare una treccia nella criniera! Comunque… Anche tu hai cavalcato l’altro esemplare, perché ti meravigli?” domanda il demone, curioso.
“Bè…Perché io sono un angelo e sono puro…Tu non dovresti avere quel tipo di…”
“Di cosa, angelo?”
“Gli unicorni, per come li abbiamo progettati, possono essere cavalcati solo da esseri vergini!” replica Aziraphale, mentre ripulisce la pentola con l’ultima cucchiaiata “E tu…Insomma, la tua categoria…”
“Lo so. Mi hai beccato.” Sorride tristemente Crowley e abbassa gli occhi.
“Non hai mai…?” Aziraphale lascia andare il cucchiaio nella pentola con un piccolo tonfo che risuona nel buio, trasportato dal vento.
“No. E ho già preso diversi reclami dai piani bassi per questo! Me lo detraggono dallo stipendio e mi hanno detto che se entro questo plenilunio non mi libero della verginità mi sbattono sotto, nell’ufficio dannazione.” Borbotta Crowley, cingendosi il torso con le braccia.
[...]

[...] L’angelo sorride: è strano come Crowley, diavolo tentatore per professione, non si abbandoni facilmente ai piaceri terreni. Vedere Crowley dormire è ameno e spettacolare. Sembra diffidente verso il cibo, preferendo guardare lui mangiare e sembra annoiato dall’alcol, che consumano solo insieme, chiacchierando di tutto quello che hanno vissuto. Seimila anni di parole che non mancano mai. Il sonno è una nuova scoperta, certo. Il grande assente è il sesso. Aziraphale arrossisce al pensiero, spostando lo sguardo dalla spalla nuda di Crowley che fa capolino oltre il bordo della coperta. La verità è che Aziraphale si aspettava che prima o poi accadesse, che fosse inevitabile tra loro cercare di essere una cosa sola anche in quel senso. Ma sono mesi che convivono, dopo essersi ritirati dalle scene di inferno e paradiso, e non hanno mai affrontato l’argomento.