[Stato revisione 3/6 -e penso resterà tale che non me ne fotte xD-]
Lei è Lilith, una ragazza come tante, ha la fortuna di lavorare in un Hotel con la H maiuscola, e tutto le andava bene, finchè non ha incontrato accidentalmente i suoi idoli.
Ora la sua vita è cambiata troppo velocemente.
«Ehi, amico, fotti a guardare dove vai, non camminare di schiena!»
Troppo tardi, sentii il peso del ragazzo scontrarsi con il mio vassoio. Feci cadere tutta l'ordinazione e i bicchierini di cristallo si infransero sul pavimento lucido, rompendosi in piccoli pezzi, ma abbastanza grandi da poter essere raccolti a mano.
«Sono desolata, mi scusi», dissi io, mascherando dietro la gentilezza tutte le imprecazioni che mi stavano passando per la testa.
«Fanculo Matt, potevi dirmi che avevo gente dietro», disse il tipo rivolgendosi a chi lo aveva ammonito. Lo capii perchè sentii la prima voce borbottare un “IO te l'ho detto idiota”.
Ignorai quel battibecco continuando a pulire quel piccolo disastro finchè nella mia visuale non entrarono delle mani. Le fissai, le riconobbi e persi ogni senso di pudore e compostezza professionale.
«Oh cazzo, non posso crederci!»

Cosa significava poi amare davvero una persona? Non l'aveva mai capito. O forse si, ma semplicemente non voleva accettarlo. La vita ci pone sempre immagini troppo felici, di storie felici, di persone felici insieme. Ci illude che un lieto fine ci sia, in un modo o nell'altro, ma è così per tutti?
(...)
Prese in fretta le chiavi di casa e l'occhio andò a finire proprio su quella Les Paul miniatura portachiavi che aveva praticamente scippato dal mazzo di Brian in una delle tante giornate in cui era in casa sua. Sorrise, un sorriso amaro e rassegnato. Infilò le chiavi in tasca e si diresse a lavoro, quando il suo pensiero tornò ancora a quella sera dove tutto era cominciato..

Il clima freddo di Novembre, si fa' sentire anche nella calda Huntington Beach. L'aria fresca della sera colpisce dispettosa il viso della giovane ragazza dalla maglietta tagliuzzata dei Guns 'n Roses e con una sigaretta mezza consumata tra le labbra. Con cautela, si avvicina alle sue spalle l'uomo dei suoi sogni: l'uomo dai capelli neri in aria e t-shirt nera con uno scollo a V che mette in mostra una parte di una frase dolorosa del tatuaggio: FoREVer. L'uomo che per tutta la sua adolescenza ha guardato da lontano sperando che, un giorno, la notasse tra la folla di qualche concerto o solo per le strade della città. L'uomo, che corrisponde al nome di Brian Haner, copre gli occhi della ragazza dai capelli rossi con le sue mani fredde, ogni volta che si trova al suo fianco lui capisce che è lei, la donna della sua vita.

“ La gioventù buttata nel cestino con tanto di sorriso è un bellissimo ricordo di un anno tra altri, un ricordo talmente vivido che ti colpisce gli occhi e cadi, rotolando a terra ferita , cerchi di strapparti la testa tirando i capelli, senti i pizzicotti dei capelli , tu tiri , tu strappi, sangue e ..” Una ragazza, un ragazzo e delle anime che cercano di sopravvivere graffiando i propri sentimenti.

Mi voltai a guardarlo, osservandolo con attenzione scientifica, come se non lo avessi mai visto. Perchè stavo fissando il mio amico di sempre? Boh, pensai solo che era un gran bel ragazzo anche se un grandissimo cazzone.
Mi girai di scatto non appena vidi la sua testa fare un accenno di movimento, mi sentii arrossire ma continuai a pensar che potesse essere normale soffermarsi un po' di più sul tuo migliore amico una volta tanto!
«Alla salute Brian!», brindò lui sorridendo a trentadue bianchissimi denti, come era solito fare, e alzando in aria la bottiglia di birra già a metà. .
Feci un lungo sorso e poi Matt attirò ancora la mia attenzione, mi faceva segno di star zitto e indicava un punto indefinito della sala. Mi voltai a guardare la cassetta della birra e vidi una bottiglia sospesa ad una decina di centimetri da terra.
«Ma che cazzo...?!»
Ricadde.
Non ero impazzito vero? L'avevo vista!
No, non ero impazzito, l'aveva vista anche Matt!
E no, non ero ubriaco.
«Ma che ne so!»
Volevo avvicinarmi e dirgli che non era pazzo, tranquillizzarlo anche se non era nervoso, abbracciarlo solo per sentire il suo respiro caldo sfiorare la mia pelle...
...ma che cazzo sto dicendo?!

Lo poggiai sul tavolo e con un coltello prelevato dalla cucina ridussi a brandelli lo spago, poi strappai la carta e mi trovai una scatola con l’enorme scritta nera “Schecter”.
Chi diamine mi aveva regalato una Schecter? Le opzioni erano poche.
Aprii lo scatolone e ne estrassi una custodia rigida nera. La aprii e trovai una Schecter Syn custom dal color legno tutta ricoperta di cellophane. Una chitarra così combinata non mi era mai arrivata.
Cominciai a togliere lo spesso strato di plastica e quando finalmente la tirai fuori mi venne un colpo: sulla paletta c’era aerografato il deathbath di Jimmy.

Caddi in un buco nero, venni risucchiata dai miei stessi piani e le mie gioie. Let’s make it last forever, dicevo. Niente dura per sempre. Nulla. Non riuscii a trattenere le lacrime, ma una cosa mi bloccava : stavamo salendo sul palco, era la cosa che amavo fare più al mondo, I nostri fan urlavano già “Paramore” e io non dovevo abbattermi subito. Cercai in tutti i modi di guardarlo negli occhi, ma tutto ciò che riuscii a fare fu portarmi le mani ai capelli e scoppiare a piangere definitivamente. Cercò di comprendermi, ma nessuno poteva farcela in quel momento. “Paramore , Paramore , Paramore” quel nome mi urtava, stranamente, per la prima volta. Mi alzai, cercai di fissarlo ma le mie gambe mi portarono lontano da lui ,lontano da tutti

Dire addio a chi si vuole bene non è mai semplice, e quando la morte porta via il tuo migliore amico è un dolore straziante. One-Shot angst, dal tono amaro.