[Minilong]
Selezione: se Eren Jaeger potesse definire la sua vita sentimentale con un'unica, insignificante parola, sarebbe questa.
Tra battibecchi e screzi, attirare l'attenzione di un individuo tanto distaccato e responsabile come Levi Ackerman, Presidente del Consiglio di istituto, è una vera e propria impresa.
Ma se il piano che Eren sta progettando da lungo tempo, si dovesse rivelare finalmente l'escamotage perfetto per superare quella tanto declamata 'selezione'?

"Lui era sempre così: rude, diretto, giungeva al nocciolo della questione senza toccarla a suon di carezze, ma scoperchiandola come il vaso di Pandora per farne uscire tutta la densa nube di merda che vi era sepolta dentro.
Ecco, merda, e ne era invischiato fino al collo, a tal punto da essere sull'orlo di diventare un sociopatico con i fiocchi, con l'empatia pari a quella di un pezzo di legno.
E non era mica un caso che l'avesse battezzato Tizio, un modo come un altro per limitare quella situazione ad una fase definita della sua vita, come se non c'entrasse assolutamente niente con tutta quella roba vischiosa che si trascinava attaccata alle caviglie."

Per alcuni, il proprio spirito guida è oggetto di vanto; per altri, nient'altro che fonte di mera vergogna.
Ciò che accomuna i primi con i secondi è un destino a cui non si può sfuggire. Ognuno nasce col volto del proprio spirito, una maschera intangibile eppure presente, in base alla quale viene assegnato ad una determinata classe sociale.
Sono umani condannati a convivere con la propria recondita indole animalesca, e nessuno di loro ha la possibilità di scorgere i lineamenti umani che si celano oltre la maschera, eccezion fatta per coloro con cui si possiede un legame di sangue e per l'anima a cui ci si legherà per sempre.
È la Legge dell'Anima che lo prevede, e a nessuno è concesso sottrarsi ad essa.
***
"Portiamo tutti una maschera, ognuno di noi, fin dalla nascita. Niente di più simile ad un volto animalesco.
Niente di più simile a noi."

[Minilong/Modern, AU!] Pubblicazione ogni Martedì.
"Avrei dovuto immaginare che sarebbe finita lì, sulla banchina di una lurida stazione ferroviaria, come altre centinaia di storie che si stavano sdrucendo insieme alla nostra in quell'istante.
[...] Mi chiedo quando sarà troppo tardi anche per me."

"Quel morbo si era manifestato in qualunque persona avesse conosciuto nell'arco della sua vita, da sua madre quando preferiva trascorrere il sabato sera con i suoi amici piuttosto che con lei, ad Uraraka quando le diceva che avrebbe passato il pomeriggio altrove e non nel loro ristorante giapponese di fiducia, sino ad arrivare addirittura al gatto di Iida quando studiavano insieme ed il padrone lo ignorava.
Ecco, quel maledetto e nefasto parassita colpiva qualunque essere esistente, e lui non era sfuggito al contagio: gelosia."

-Lei crede nell'amour, monsieur?-
Una folata di vento più insistente sferzò il viso pallido dell'artista, facendogli impennare le ciocche scure all'indietro, per poi accompagnarle disordinatamente sulla fronte.
In un qualsiasi altro contesto Katsuki avrebbe soffocato una risata roca a quella domanda, scuotendo forte il capo e volgendo lo sguardo di fronte a sé, le iridi ardenti ad osservare qualcosa non concretamente presente sulla superficie increspata della Senna.
E invece le sue pupille erano tutte intente a ritrarre il volto di Izuku parzialmente illuminato dai lampioni - silenti spettatori di un evento che gli avrebbe travolto e ribaltato la vita in maniera irrimediabile -, luce ed ombra che articolavano armoniose linee sui tratti delicati mentre lottavano per il predominio.
-Dovrei?- le palpebre semichiuse e le mani immerse nelle tasche, un modo come un altro per nascondersi da qualcosa che gli si stava figurando di fronte con la potenza di uno schiaffo in pieno volto. -E tu, Midoriya?-
Un retrogusto amaro gli invadeva le papille, proprio lì, in fondo al palato.
-Me lo chiedi perché scommetto che stai uscendo con qualche ragazza e-
-Je le crois.- le sopracciglia aggrottate ed un ciuffo che svolazzava indomato. -Io credo nell'amore.-

[Modern,AU] -EreRi-
-Minilong-
"Ma col tempo lui, con il destino, sembrava averci proprio fatto a pugni.[...] Il filo rosso, probabilmente, si era annodato fin troppe volte intorno alle sue caviglie, stringendogli il corpo alla stregua di un pezzo di carne e facendolo inciampare in innumerevoli occasioni, finché non gli aveva dato lui stesso un taglio secco con un paio di forbici.[...]
Come recitava quella maledetta credenza giapponese?
Ognuno di noi è legato da un filo rosso ad un'altra persona per il resto della nostra vita e sta a noi trovare la nostra anime affine.
Eren avvicinò il mignolo fino a sfiorare il naso e lo studiò così meticolosamente che sembrava volesse mappare i lineamenti del tessuto epiteliale: possibile che il suo filo fosse invisibile?"

"Portavano graffiti di un murales inciso sulla pelle, lì dove la vita era passata, scalfendoli incurante. Poi, se ne era andata."
Questa storia è ispirata alla relazione fra Klaus e Dave, due personaggi della serie televisiva "The Umbrella Academy", di cui mi sono perdutamente innamorata.
Consiglio vivamente la visione, e buona lettura!

[Attack on titan][Attack on titan][Modern!AU]
La libellula, denominata in inglese "dragonfly", è emblema della trasformazione, della mutazione a cui l'uomo può essere sottoposto durante la crescita, passando da uno stato stazionario e di fissità, ad uno di totale consapevolezza di sé.
Simboleggia, inoltre, la volontà del soggetto di superare le apparenze, oltrepassando la superficie per comprendere il proprio animo a seguito di eventi che ne hanno segnato l'età infantile, sino a condurlo ad una metamorfosi spirituale.
Al termine del processo, la libellula è pronta a lanciarsi nel cuore della vita, dispiegando le ali sottili esattamente secondo la sua natura selvatica, come richiede la morfosintassi del sostantivo 'libellus'.
Liber, libero.
E a quel punto, non le tocca altro che volare.

"Voleva semplicemente stare da solo, da solo con lui, ecco.
Pretendere che restasse al suo fianco, e sapere che non l'avrebbe fatto.
[...]
Non se ne era neanche meravigliato quando l'aveva visto lì, in attesa ed il respiro ansante, la mano artigliata al reticolato metallico in cerca di un supporto fisico e morale.
Quello era uno dei motivi per cui Katsuki invidiasse Deku: perché Izuku era un ipocrita, sapeva mentire a se stesso con una consapevolezza fuori dal comune, disposto a vivere in una realtà avvolta da quella patina di falsità.
E invece Bakugou affogava in quella stessa consapevolezza sin da subito, affrontava faccia a faccia i fatti e lottava contro di essi finché non si ritrovava sporco di terra e sangue.
Ma poi li superava, a tempo debito, a differenza dell'altro che risentiva delle conseguenze di quelle scelte sbagliate a distanza di giorni, mesi, anni.
No, forse non lo invidiava affatto, ma quella di sicuro non era da considerarsi felicità."