Il mondo gli era crollato addosso.
Tutto il suo mondo, tutto quello che pensava di sapere, chi credeva di conoscere.
Tutto era crollato.

Quel pomeriggio dopo pranzo, Remus decise di andarsi a stendere sul prato con un buon libro e rilassarsi per qualche ora; si era appena immerso in un nuovo capitolo quando una zolla di terra atterrò sulla pagina che stava leggendo.
Sollevò lo sguardo infastidito e vide alla sua destra Padfoot intento a scavare una buca nel giardino dei Potter.

Edward aveva visto molte notti nella sua immortale vita.
Aveva passato la maggior parte leggendo, suonando il suo pianoforte o ripensando alla sua immortale esistenza da mostro.

Remus faceva colazione tutte le mattina con una tazza di cioccolata calda.
Tutte le mattine, estate o inverno, da quando aveva quattro anni e sua madre faceva sciogliere la cioccolata sul fuoco con il latte e gli metteva davanti quella tazza fumante e profumatissima di cioccolata.

Non mi sono mai piaciuti i tramonti.
Quando ero piccola mi facevano addirittura paura.
Il cielo che da luminoso iniziava a tingersi di rosso mi ricordava il sangue e io ho sempre odiato il sangue.

Si dice che quando incontri la persona giusta per te, lo capisci immediatamente.
Dicono che quando la tocchi, anche inavvertitamente, è come essere investito da un enorme scarica elettrica e che capisci immediatamente, guardandola, che sarà la persona con cui passerai il resto della tua vita.

Quando Sirius lo baciava, vedeva il mondo scomparire.
Quando sentiva le sue labbra morbide contro le sue, tutto il resto non contava più.

Ricordava ancora quando Chris glielo aveva regalato.
Era la fine del primo anno di college e avevano deciso di partire per un piccolo viaggio di una settimana in Scozia.
Prima di andare a Edimburgo avrebbero fatto tappa alla vecchia casa di famiglia di Chris, così che le potesse presentare la parte di famiglia che ancora non conosceva.
Chris era molto attaccato ai suoi nonni, ma in particolar modo a sua nonna Nicole.

Sirius si stava dirigendo verso la Sala Comune di Grifondoro con fare nervoso, quel pomeriggio di ottobre.
Doveva farlo. Voleva farlo.
Ci pensava da settimane. In realtà ci pensava da mesi, era una cosa che voleva fare ben prima dell’estate.
E non che gli mancasse il coraggio, figurarsi, era un Black (per quanto per lui significasse poco), era un Grifondoro e non aveva mai avuto incertezze o, peggio, insicurezze.

Lumacorno entrò nella classe di pozioni quella mattina con un grande sorriso sul volto, annunciando che quel giorno avrebbero eseguito una delle pozioni più interessanti – a suo dire – che ci fossero.
L’amortentia.
Con un colpo di bacchetta fece fluttuare un calderone sulla sua scrivania e invitò la classe ad avvicinarsi.

Sapeva dall’inizio che non era una buona idea.
Ma era sempre stata così impulsiva, sin da bambina.
“E’ una caratteristica di famiglia” dicevano tutti, ridendo. Ed andava anche bene, finché si trattava di scegliere impulsivamente di tagliarsi i capelli, o di arrampicarsi sul tetto del capanno di suo padre.

Si girò verso la parte vuota del letto e sospirò.
Non era rientrato la sera prima e non aveva idea di dove fosse.
Era così da settimane, no… non settimane, mesi.
Gli diceva che andava tutto bene, che era preoccupato, che era solo stanco di questa guerra…

Remus aprì la porta della stanza con fare furtivo e guardò all’interno con cautela.
“Bene” pensò “non c’è nessuno.”
Entrò in camera, richiuse la porta dietro di sé e si precipitò sul suo letto.
Si sfregò le mani e rovesciò il contenuto della sua borsa sulla coperta rosso e oro.
“Oh! Finalmente soli.” sorrise e passò le mani sulla piccola montagna di cioccolato che aveva riversato sul letto.

Si sentiva stupido. Terribilmente stupido.
Lui non era così, non era uno stupido sentimentale.
Era irritante.

Aveva quattro anni quando, per la prima volta, sua madre lo portò in giardino a vedere le stelle.
Era una calda sera di luglio, lo fece stendere con lei sul prato e iniziò a indicargli le varie costellazioni.