Ciao, Fox!
Perdona il ritardo, sono passate settimane da quando avrei dovuto recensire questo primo capitolo… Ma ci tenevo a farlo per bene e presa dalla fretta di continuare la lettura ti avrei lasciato solo piccole briciole di impressioni. L'università, poi, mi uccide ogni residuo di tempo libero. >.<
Stasera, però, basta scuse: mi costringo a partorire un pensiero decente (va a finire che coi miei tempi diventerò vecchia prima di rimettermi in pari -.-''). Il lato positivo è che posso cogliere l'occasione per rileggere questa meraviglia e cercare di catturare più dettagli. ❤
Innanzitutto, ti confesso di non essere mai stata tanto imbarazzata nel commentare qualcosa da queste parti: ciò che scrivi, il modo in cui lo fai, sa regalare talmente tanto al lettore che ogni volta, quando mi ritrovo alla fine di un tuo capitolo, ho questa confusione di sensazioni nella testa. E succede perché mi dai tanto da pensare, cosa non da tutti e che è un gran pregio, una dote, oserei dire (anche se purtroppo non universalmente apprezzata).
Ma da qualcosa dovrò pur cominciare, perciò partiamo dall'ambientazione: adoro e odio Sunsetville. Ipocrita, posticcia, ma allo stesso tempo così affascinante nella sua complessità. Subito sembra il tipico mondo dorato e superficiale, e invece nasconde segreti e verità profondi e ambivalenti. Tutto è solo apparentemente classificabile, in realtà va sviscerato, scoperto. E tu sei stata bravissima a pennellare questo contesto, con uno stile molto visivo, scenografico – a tratti ho quasi l'impressione di star guardando una serie. xD
Un'altra cosa: generalmente non mi piace la riproposizione del mondo americano, vuoi perché si cade sempre in storie stereotipate, già viste, già sentite, o perché si finisce con lo scimmiottare chi si legge più di frequente e lo si riproduce male. Tu hai scardinato quest'idea che avevo, non solo perché sei originale – e non parlo tanto di trama, ma soprattutto del tuo stile personalissimo, ricco delle tue riflessioni -, ma anche perché sei stata brava a integrarti allo stile giusto, senza forzature (spero tanto d'essermi fatta capire: il tuo non è il solito scempio della letteratura americana, non mimi niente, tutto è caratteristico e coerente).
E i personaggi che si muovono su questo sfondo rendono veramente impeccabile la tua storia. Sono l'uno più affascinante dell'altro, a partire da loro due, ovviamente, Rachel e Adam. Ecco, mi dichiaro subito: li amo alla follia, fin dal primo momento in cui hanno interagito nel loro modo unico – tra sfida e scandaglio, intelligenti e taglienti, tenendosi testa -, e alla fine di questa vicenda prego tutti i santi che finiscano insieme. Sappi che mi frantumerai il cuore, se così non sarà. Abbimi sulla coscienza! u.u.
La contraddizione vivente che è Rachel, la sua inquietudine per essere incapace di trovare un posto per se stessa, il dolore - per ciò che è, per ciò che ha passato -, l'inadeguatezza, la disillusione, la lucidità nell'analizzare il mondo che la circonda, la sua forza, perché nonostante tutto continua a lottare… C'è tutto già dalla prima riga, ed essere nella sua testa, osservare quello che le sta intorno dalla sua prospettiva, ci mette in una posizione privilegiata. Una protagonista che si fa amare, una specie di miraggio nel covo di Mary Sue che è questo sito.
“La patina di superficialità di quel luogo calò su di me tossica, opprimente. Non ci ero più abituata, avevo dimenticato quanto potessero sembrarmi vuote quelle risa; l’alcol eleva gli umori a un fiato da una pallida imitazione di felicità e intanto si precipita nel grottesco, nell’abisso esistenziale di bicchieri vuoti di senso. Eppure, per quanto fosse stato salutare prendere le distanze, cercare di nuovo un’origine, c’era qualcosa a mancarmi inevitabilmente – forse il conforto di quelle distrazioni facili o quel sentirsi elevati al di sopra d’ogni cosa quando si danza e ci si sente l’origine della gravità e del tempo e di tutte le risa… quando hai diciott’anni e non sai cos’è la felicità non diffidi delle imitazioni.”
Questa è Rachel, con il suo acuto criticismo, che osserva e riconosce quel che vede - la patetica corsa alla felicità di quell'età, così vuota, ricercata nel gruppo, nell'eccesso, nell'esteriorizzazione, nell'ostentazione. Ma il camaleontismo del suo mondo fa spazio nei suoi pensieri al dolore costante che l'accompagna, con cui convive forzatamente. “Ma la verità sul dolore è un’altra: non ti uccide quasi mai. Spesso non vivi più, si riduce tutto a un sopravvivere, ma tutto scorre via. Nonostante il dolore. Sempre, sempre si va avanti.” Questo inframmezzare l'azione e i dialoghi con riflessioni di questo tipo mi piace tantissimo, ci perdiamo anche noi con Rachel nel suo flusso di coscienza, e con lei ritorniamo alla realtà. Sarà che su questo sento proprio una particolare affinità visto che per me è uno specie di stile di vita :'D
In ogni caso, il tuo modo introspettivo di narrare pensando, passami l'espressione, è ciò che più mi ha colpita. Hai un linguaggio che porta la tua impronta, sai essere così ricca di immagini, di metafore, di colori mai banali. Sei una lettura interessante, Fox, e mi dispiace solo non averti scoperta prima! Poco male, ti terrò d'occhio d'ora in poi (suona tanto come una minaccia, I know. Ma è tutta stima, davvero, sono ancora allibita d'aver trovato un'autrice come te qui sopra! O.o).
Spero di non farmi risentire tra quattro vite con la prossima recensione, ma gli esami di settembre incombono, la maledettissima sessione mi finirà quasi a ottobre, quindi potrei non avere tempo – e forza vitale – per proseguire, ma sappi che non ho desistito. Eye contact sarà sommersa dalla mia prolissità insensata. E da tanti complimenti, perché te li meriti, ergo sopporta.
Un forte abbraccio,❤
Blair (Recensione modificata il 18/08/2015 - 08:43 pm) |