Comincio subito col dirti che mi è venuta l'ansia, un'ansia che credo superi la stessa che ha provato lo stesso Sherlock. Sì, è poca modestia, ma consapevole. Perché se lui la sua ansia l'ha controllata quanto bastava per poter arrivare a finire di suonare il capriccio, io avrei battuto in ritirata prima ancora che Mike finisse la presentazione; anzi, con molta probabilità avrei avuto un mancamento davanti a tutti, e sai che imbarazzo dopo, semmai avrei riaperto gli occhi.
Niente da fare, la visione del pubblico davanti a Sherlock, quel suo analizzare fino ai più piccoli dettagli le espressione della gente e leggervi tutto quello sdegno e quel disinteresse malamente mascherato, e sentire quel brusio di sufficienza di chi cerca di far piano pur di non starsene comunque zitto... sei stata talmente brava nel farlo emergere dalla pagina che io ho ceduto.
Per un attimo, ho dimenticato la capacità che ha Sherlock di dissociarsi, a suo modo, al fine di giungere all'obiettivo finale, quella parvenza e apparente freddezza che mostra davanti a tutti... l'ho dimenticata, perché per un attimo avrei tanto voluto tenergli la mano o che John corresse da lui. Insomma, ho sentito il suo disagio, il suo odio, il disprezzo per quella falsità superare il suo stesso ego, e mi è dispiaciuto per lui. Ho empatizzato molto in questo punto.
Sembra quasi inutile dirti, a questo punto, che sei stata bravissima a creare i contrasti tra "dentro" e "fuori" la mente di Sherlock, ma anche tra il "prima" e il "dopo". Dentro Sherlock c'era il caos, la paura, i dubbi, la voglia di non suonare per loro, c'erano mille pensieri, alcuni infantili altri che mostravano le sue fragilità, tutte comunque erano un brusio alto quanto quello che c'era fuori; e poi c'era lo Sherlock che gli altri vedono, quello che riesce ad azzittirli finalmente, quello che aspira l'aria dalla stanza e riscrive il concetto di Tempo. Allo stesso modo c'era la gente del prima, quella che con gli occhi chiusi, per un attimo esprimeva genuina ammirazione, era l'emblema di ciò che l'ego di Sherlock, ma anche la sua parte che soffre la solitudine, reclamava, c'era il sogno di essere apprezzato per il proprio talento, di cancellare la parola "strambo"; e poi c'era la gente del dopo, quella che sotto quei sorrisi ammirati e quelli applausi e quelle richieste di ascoltarlo ancora, mostra la sua superbia, la sua finta ammirazione, l'invidia nascosta il disprezzo, quel male che sempre rivolge al "diverso".
Su tutto, però, spicca il disagio di Sherlock. Sì, perché come lui stesso dice, la musica abbassa le sue difese, lo mette a nudo: è successo quando ha suonato per John e riaccade adesso davanti a tutta questa gente. Solo che se davanti al primo il momento di vuoto e impotenza e immobilità lo hanno colto davanti agli stessi occhi di John (il che denota comunque una certa fiducia, anche se ancora inconscia(?) verso di lui) Sherlock non permette a se stesso di mostrarsi debole davanti a questo pubblico, estranei che non hanno niente da spartire da lui e davanti a cui torna a mascherarsi piuttosto che farli capire quanto profondo è stato il suo regalo.
A un certo punto, però, mi viene anche da chiedermi, se oltre alla sua incompatibilità verso la gente non ci sia altro... tipo il fatto che lui non voglia che John scopra quanto può essere diverso Sherlock visto in mezzo a quella gente. Come se gli altri potessero dare la misura della sua diversità, e quindi accentuare agli occhi del dottore i suoi difetti. Gli altri potrebbero ancora far cambiare idea a John su di lui. E, ovviamente, ci sono i suoi sentimenti, sentimenti che Sherlock non sa gestire e che comunque si trova a dover affrontare insieme a un John genuinamente dall'intelletto nella media e dalle precisazioni superflue.
E ha ragione a definirle tenere, perché se di solito la gente precisa perché pensa che il suo interlocutore non sia intelligente abbastanza da arrivare a certe conclusioni, John fa precisazioni ovvie per propria modestia, non con malizia o cattiveria, ma con quelle gentilezza tipica di chi ha a cuore la sensibilità altrui.
La scena di loro due che superano il disagio con una buona bottiglia di scotch mi è piaciuta molto, perché la mente di Sherlock, che impregna lo stile di tutta la narrazione, si acquieta in qualche modo. I suoi pensieri diventano un filo unico che è più facile seguire, vanno in un'unica direzione; sono anche più essenziali e concentrati su un particolare, ovvero il dottor John Watson. I pensieri di Sherlock non si disperdono, sono tutti per lui. Allo stesso tempo, mi piace come lui regga meno l'alcool e John sembra intaccato dallo svuotarsi della bottiglia. Mi piace l'esuberanza finale di Sherlock e come la scena si concluda con un'altra rivisitazione della serie, ovvero John che lo segue, completamente dimentico del bastone.
Un'altra che ho apprezzato e trovato estremamente IC è sia la schiettezza senza fronzoli di Sherlock, il suo indossare la maschera da "adesso spiego le mie deduzioni", quella con gli occhi stretti e brillanti di furbizia, quella verità che sembra quasi mettere alla prova la capacità di John di sopportare il suo particolare carattere, sia e soprattutto l'amarezza che sembra quasi vomitare John, quel senso di disagio senso di colpa e frustrazione che lui quasi ringhia fuori e che Sherlock ha la capacità di trasformare in una specie di inseguimento.
Un altro capitolo molto bello e interessante. Nonostante lo stile molto introspettivo, tra l'altro perfettamente in tono con la mente di Sherlock, hai la capacità di farmi leggere senza pause, senza riuscire a staccarmi dalla pagina, con la voglia di arrivare alla fine e sapere sempre di più.
Brava.
Questo è l'unico refuso:
Un uomo che lo conosceva appena era andato a recuperare la custodia del suo strumento e si era impegnato tanto solo per portarglieli fin lì -> portargliela
A presto! |