Il giardino era incredibilmente vivo, per la stagione: erica, elleboro, gelsomino con le loro vesti tinte di viola, di bianco, di porpora; le camelie con la loro molle bellezza rossa. Dall’angolo più remoto gli ospiti potevano ammirare il mare e lo splendente smeraldo dell’Ile Verte.

S’inclinarono ridendo, tutti e due sospesi nella semioscurità dello specchio che esaltava il pallore di Tristan, la sfumatura dorata della pelle di Elijah. «Non mi scappi.» sussurrò il Sire.

Lo slancio della composizione divenne così libero, inafferrabile che Milord allentò il nodo della cravatta. E così lo trovò Elijah: spettinato, scomposto, la camicia quasi aperta sul petto e un ciuffo che ricadeva sulla fronte assorta.
«Cosa fai? La finestra è aperta, sveglierai tutto il quartiere. E poi l’aereo parte alle sei.»

Lo osservò come si fa con uno spettacolo nuovo, avvertendo come sempre l’oscuro desiderio e la timida soggezione che quel corpo eternamente giovane, eternamente acerbo, sapeva ispirargli. Sentendo lo scrupolo, la vergogna, la voglia feroce della profanazione che di lì a poco avrebbe avuto luogo.
Ciò che lo legava a lui era così forte che avrebbe potuto soddisfarsi solo con l’immaginazione.

Di scatto afferrò il braccio dell’altro: la camicia era fredda e bagnata, i muscoli tesi. Era uscito ancora sotto la neve, o forse… La stoffa era fradicia, Elijah trattenne il fiato. «Vieni fuori.» rantolò.

Un Tristan furioso è rimasto immobile sotto la neve. I fiocchi insolenti gli bagnano le spalle, la stoffa leggera si attacca alla pelle e rivela il disegno del corpo solido e aitante. Finalmente si volta, pallido ed evidentemente irritato. I riccioli bagnati appiccicati alla fronte, il piccolo naso affilato. Gli occhi enormi e chiarissimi ombreggiati dalle lunghe ciglia, orlati da occhiaie viola… è così bello che sembra dipinto.

Un filo di luce s’avvolge a spirale dalle persiane chiuse alla coperta sul letto che s’arriccia in onde, mentre i due stretti sotto le lenzuola non provano neanche a districarsi nel loro sensuale intreccio di gambe.

I “risvegli di Tristan” sono ormai un genere, per me! Non posso fare a meno di spiarlo mentre dorme… E a quanto pare non sono la sola.

Come uno che annega Tristan boccheggiò e tentò di prendere aria. «E non voglio cambiare… Non voglio il tuo perdono. – Gli occhi si allargarono come in cerca di luce – Stai lontano da me… Io sono il piccolo mostro di sempre. »

E sebbene il creatore fosse convinto di avere ancora un completo dominio sui desideri e sui sentimenti della sua creatura, pure quello sguardo gli metteva soggezione.
Il blu profondo e intenso di quella stanza lo metteva a disagio, nella sua notte immutabile gli sembrava che Tristan si smarrisse.

I due capitoletti sono in realtà due drabbles molto simili, parlano di risvegli.

No, non poteva essere vero. Era a New Orleans, ma era libero. Nella sua camera, nel Palazzo Mikaelson. Una stanza sobria, un po’ antiquata.
Su un letto morbido tra lenzuola fresche di bucato, e non dentro una bara. Erano liberi entrambi.

Tristan non poteva partire. Elijah non poteva rimandare.
La soluzione sembrava semplice, ma una sorda gelosia era cresciuta nell’animo del suscettibile Conte fino a renderlo irragionevole. Sarcastico.
Elijah non aveva neanche provato a spiegare, entrambi sapevano fin troppo bene che le esigenze delle rispettive famiglie li avrebbero sempre costretti a piccoli e grandi sacrifici.
No, niente spiegazioni. Erano più che adulti, erano antichi, e l’atteggiamento puerile dell’altro lo irritava e lo eccitava al tempo stesso.

«Vieni qui.» mormorò il creatore con un’aria che non ammetteva repliche, ma abbastanza seducente da far fiorire un altro sorriso su quelle splendide labbra rosa.

Il suo amante non diceva mai “ti amo”.
Egli l’aveva detto per primo, in quel pomeriggio in cui s’erano incontrati nel patio, tra luce e ombra, tra rimorsi e felicità.
Un’unica volta l’altro aveva risposto, e sembrava a dire il vero così confuso, con i pugni stretti e la cravatta annodata male, blu come i suoi occhi.

Tristan sapeva di aver detto la cosa sbagliata quando l’altro lentamente ma inesorabilmente tornava ad avvicinarsi, ma senza arrivare dritto e subito alla meta, bensì girando intorno al tavolo in un accerchiamento sempre più stretto.
«Mi hai toccato.» confermava il Conte, gli occhi fissi al morbido riflesso della propria faccia sul tavolo.
«Intendi così?» sussurrava allora Elijah all’orecchio dell’altro, quando ormai era alle sue spalle, la mano che pizzicava con decisione il sedere.

Il posto di Elijah era altrove.
Non con lui, non tra le sue braccia.
Egli era il vampiro e l’uomo.
Il mostro e l’angelo della sua dannazione.
Ognuno di loro ne possedeva un frammento.
La famiglia aveva il “nobile cervo” e la sua donna si prendeva il gentleman premuroso e impomatato.
Ma Tristan sapeva di avere avuto tutto.
Inferno e paradiso, il più tenero degli amanti e il più crudele degli aguzzini.