Ciao, brate!
Eccomi a continuare il viaggio in questa long che, devo premetterlo, è davvero davvero ben scritta. Penso ci sia una cosa più importante di tutte mentre si legge una storia, soprattutto un'originale che quindi non ha appigli letterari a cui rimandare o cinematografici che arrivino in soccorso: riuscire a scivolare sulle righe, immaginando ogni situazione, ogni sensazione ed ogni personaggio. Ed io questo capitolo non l'ho letto: l'ho visto e sentito, vivido - suoni, immagini, rumori. E non c'è cosa che, davvero, apprezzi di più in una narrazione. Ho potuto figurarmi ogni singola scena in cui il tuo protagonista si muoveva; ho sentito il caldo asfissiante della cella, la sua ansia crescere, il peso di lacci premere all'altezza della gola e mozzargli un po' il respiro. Ho potuto captare la sua rabbia, che non aveva accenni di paura ma solo di costrizione, di cattività ("Che senso aveva uscire da ogni scontro sempre vincitore e senza un graffio, se poi ritornava ad essere uno schiavo?"). Ho immaginato vividamente la folla urlare prima di entusiasmo, poi di delusione per quella sconfitta rapida e potenzialmente indolore. E poi l'arrivo dei tre assassini, pronti a qualsiasi cosa pur di sopravvivere. Mi voglio soffermare su questo frangente di storia perché penso che qua tu abbia espresso alla massima potenza le tue capacità comunicative e descrittive: ogni singolo passaggio, ogni azione, ogni mossa, ogni azione e reazione è descritta in modo impeccabile. Sia con dovizia di particolari, tanto che anche una come me poco avvezza a leggere di questo sia arrivata a comprendere ogni movimento, ma, allo stesso tempo, in modo fluido, trascinante, che ti porta alla riga dopo e quella dopo ancora, per andare a scoprire quale sarà la sua fine, cosa succederà alla corda attorno alla sua gola, se riuscirà a finirli o loro finiranno lui. Questo soprattutto grazie alle premesse che hai gettato ad inizio capitolo, di un uomo che sembrava impossibile da ferire e finire. Anche le scene più cruente - il viso sfondato dallo scudo, la testa recisa - sono descritte in modo brillante. I suoi pensieri che il narratore ci racconta seguono perfettamente, nel ritmo della narrazione e nel suo incedere, un crescere di intensità simile a quello del suo cuore che adesso martella di paura anche per la sua vita: se prima c'era quasi un'indolenza, una noia esistenziale, una "non ansia" di essere sopraffatto, di fronte a quei tre i pensieri si trasformano e trasformano anche lui. Sale e cresce la sua voglia di vincerli, di sopravvivere, di finirli. E, mi ripeto ancora, il modo in cui hai descritto la sua urgenza, il cappio stringere, il trovarsi senza armi fino a trovare la lancia a terra, la testata, il trovarsi ancora stretto e riuscire solo infine a liberarsi, è stato veramente veramente trascinante. Non ho staccato un secondo gli occhi dalla storia. Anche la sua riflessione finale, quell'essere solo un macellaio, una macchina da morte invece che è un uomo, chiude il cerchio con i ragionamenti iniziali e lo mostra ancora come uno schiavo in gabbia, che uccide perché deve, odiandolo e odiandosi.
E, nonostante il capitolo sia così "pregno", hai lanciato lì interrogativi per lasciare la voglia di proseguire: chi è quest'uomo, questo schiavo? Chi è l'uomo che rimane impassibile di fronte a quello spettacolo di morte, senza unirsi all'entusiasmo della folla? *no spoiler*
Ti rinnovo davvero i miei complimenti, si vede che questi argomenti (dalla descrizione della sua vestizione, alle armi ecc) ti appartengono, li padroneggi e li hai fatti tuoi. Il risultato è una narrazione davvero impeccabile che fa venir voglia di proseguire e scoprire ancora.
Alla prossima!
Un abbraccio |