«Sì. Tutto chiaro. Posso sapere il nome da cercare sul campanello?» - domandai con la massima pazienza di cui disponevo in quel momento.
«Avevo detto che l'indirizzo te lo avrei mandato per sms, quindi anche il nome. Sicuro di aver bisogno di ripetizioni solo di inglese? Mi sembra tu abbia ben altri problemi. Comunque... Rivaille. Rivaille Ackerman» - feci appena in tempo ad appuntarmi mentalmente quelle parole che la chiamata mi venne chiusa in faccia.

Rin si irrigidì all'improvviso e scattò all'indietro, paonazzo.
«Ha—Ha...»
Haruka batté gli occhi un paio di volte. Era stato troppo diretto per i suoi ormoni?
«HA—»
«...Rin?»
«Mistaidicendochestoiosopra?»
“...Oh.”
I nostri due idioti fanno a palle di neve, si bevono una cioccolata calda mentre guardano un film horror e poi... la prima volta è sempre imbarazzante.

Quando Sherlock vuole qualcosa sa perfettamente come ottenerla, soprattutto da John...

"Sebastian Moran era più che convinto, ormai, che la sua fine sarebbe stata in linea con la sua vita: silenziosa e terribilmente cruenta.
Del resto, come poteva non pensarlo da quando aveva conosciuto James Moriarty?
Conosciuto non era un termine scelto a caso, quell’uomo gli aveva riempito i giorni, i pensieri, il sangue, gli era entrato dentro in ogni modo, non ultimo facendone il suo stallone."
(per me Moran ha il volto e il fascino di Michael Fassbender, ma con qualche kg di muscoli in più)

Ambientata durante la S02E01, "A Scandal in Belgravia".
« Se è possibile essere più dannosi di così, signorina Adler, sono sicuro che lei sia la persona adatta ad esserlo ».

« Senta, signor Holmes... c’è tanto del John Watson che conosceva lei nella persona oltre quella porta. Tanto, sì, ma è una maschera. Tutto ciò che di sé stesso quell’uomo ha rimasto è dentro un vaso di cristallo in bilico sull’orlo di un mobile traballante. Ora noi daremo una scossa a quel mobile... non posso assicurarle che ciò che è contenuto nel vaso si salverà » gli spiegò, anticipandolo verso la fine del corridoio.
Questa volta, Sherlock non si trattenne: « smetta di parlare per metafore e me lo faccia vedere » sibilò.
Lo psichiatra annuì, aprendo la porta a vetri.
[II parte di Hush. Whisper low. - si legge anche senza][Johnlock altalenante fra bromance e pre-slash]

Si sbaglia a non aver paura di me, e la cosa mi eccita. Non ho davanti una persona pura e innocente: lo è nell’animo, me ne rendo conto dall’aura di bontà che ammanta le sue iridi azzurre, ma è tormentato da qualcosa, i suoi demoni interiori forse sono forti e cattivi quanto i miei. E’ questo che mi attira in lui: voglio sostituirmi a quei demoni, voglio fargli provare cose che non avrebbe mai immaginato di poter provare, voglio sottometterlo al mio volere e al mio piacere, voglio avere l’esclusiva sul suo corpo martoriato e sulla sua anima fatta a pezzi. Voglio essere IO il suo demone, per una sera. Perché io sono così, e sono certo che lui l’abbia capito. E’ per questo che sta venendo con me a casa mia, ora: sa che sono pericoloso, e vuole assaggiare il pericolo come se fosse un frutto ambito e proibito.
Sherlock è un sociopatico iperattivo e sadico, John un reduce di guerra che vuole cercare di dimenticare gli orrorir e il dolore patiti. L'incontro fortuito in un bar è destinato a rimettere in asse le loro vite.

C'è un messaggio di lato, nella colonna della chat.
Sherlock H. ha scritto: Spero che tu abbia gradito lo spettacolo. La prossima volta ti consiglio di verificare che l'audio sia staccato.
Fissi attonito lo schermo accesso sulla stanza buia di Sherlock. Fissi le parole inviate alle ore 3:42. Fissi il cursore che lampeggia indifferente sul bianco, come se avesse tutte le risposte, come se potesse aiutarti.

Seguito di "Back to Afghanistan":
Quando Sherlock aprì il portone del 221B di Baker Street fu quasi magia: il profumo di casa lo invitò ad entrare, adocchiando tutti i richiami visivi che via via riaffioravano nella sua mente, così come in quella di John, che non vedeva l’appartamento da ancor più tempo del detective.
Toccò a John l’onore di aprire l’appartamento entro il quale si avventurò per primo, posando il borsone vicino agli scatoloni contenenti la propria roba che Mycroft aveva fatto portare lì.
“Casa dolce casa, già.” mosse i primi passi nel salotto osservando le due poltrone, una di fronte all’altra, sorridendo perchè sapeva che si sarebbero riempite nuovamente, che avrebbero vissuto dialoghi realistici o assurdi, discussioni o frivolezze e magari anche qualcosa di nuovo.

"Il suo corpo ormai si stava facendo manipolare dal cervello, che voleva essere messo alla prova, voleva perdere, sì, ma con uno stacco così minimo da non dare soddisfazione all'altro, voleva che qualcuno fosse così intelligente, così stronzo, così disgustoso da poterlo superare. E lo aveva trovato."

Con un sospiro di soddisfazione, John rilesse l'ultimo paragrafo che aveva scritto, approvando fra sé e sé i passaggi che più gli sembravano perfetti.
I suoi lettori sarebbero impazziti per quella descrizione così precisa e puntuale degli occhi di Sherlock, e l'accenno alle sue natiche avrebbe sicuramente fatto impennare il contatore delle visite.
Scrisse un altro paio di righe, decidendo di concludere il capitolo in un momento clou, in modo da incuriosire i lettori e fare in modo che aspettassero trepidanti il seguito.
John, dopo esserne stato folgorato, ha deciso di immergersi nel meraviglioso mondo delle fanfiction, diventando in breve tempo un V.I.F. (Very Important Fanwriter)

Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".

Subito dopo la violenta frenata, John si sentì staccare dal sedile. Non vedeva nulla a causa delle oscillazioni e delle scosse, tutto tremava compreso lui stesso, nelle orecchie aveva solo il terribile suono stridente e le urla dei passeggeri che viaggiavano con lui; le luci elettriche del vagone tremolarono insieme al convoglio, spegnendosi del tutto quando, con un rumore simile ad un risucchio nel vuoto, gli venne a mancare la terra sotto i piedi e si trovò per aria, la mano fermamente attaccata al palo di ferro accanto al sedile su cui si era inizialmente accomodato.
Si sentì sbalzare contro il soffitto, sentì un dolore sordo al fianco e chiuse gli occhi per istinto, aspettando la fine di tutto, o l’inizio del “dopo”.
[Johnlock][Potrebbe esserci del linguaggio un po' colorito]