Lezioni di sopravvivenza - Primo Livello

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Copertina ***
Capitolo 2: *** 1363 DR: Quando la vita sembra non avere un senso ***
Capitolo 3: *** 1363 DR: Il senso dello humor degli Dei ***
Capitolo 4: *** 1363 DR: Fanciulla in difficoltà ***
Capitolo 5: *** 1363 DR: Questione di merito ***
Capitolo 6: *** 1363 DR: Strati su strati di inganni ***
Capitolo 7: *** 1363 DR: Rispettare le scelte altrui ***
Capitolo 8: *** 1363 DR: Insospettabili atti di eroismo ***
Capitolo 9: *** 1363 DR: Fazioni ***
Capitolo 10: *** 1363 DR: Prendersi le proprie responsabilità ***
Capitolo 11: *** 1363 DR: Trovare un campo base ***
Capitolo 12: *** 1363 DR: Incubi ***
Capitolo 13: *** 1363 DR: Combattere con due armi ***
Capitolo 14: *** 1363 DR: Coprire tutti i fronti ***
Capitolo 15: *** 1363 DR: il Re dei Topi ***
Capitolo 16: *** 1363 DR: Uscito dagli incubi ***
Capitolo 17: *** 1363 DR: Uscire dall'incubo ***
Capitolo 18: *** 1363 DR: Due bionde piccole ***
Capitolo 19: *** 1363 DR: Scegliere una via ***
Capitolo 20: *** 1363 DR: Na na na na na na na na ***
Capitolo 21: *** 1363 DR: Per un po’ niente lezioni, e forse neanche sopravvivenza ***
Capitolo 22: *** 1363 DR: Ferisce più la penna della spada ***
Capitolo 23: *** 1363 DR: Dire addio a nessuno ***
Capitolo 24: *** 1363 DR: Di come Steekaz, il famoso goblin esploratore dei molti mondi, entrò in possesso della Chiave di Endamion che cambiò il corso della sua vita futura ***
Capitolo 25: *** 1363 DR: Kalokagathìa (Parte 1) ***
Capitolo 26: *** 1363 DR: Kalokagathìa (Parte 2) ***
Capitolo 27: *** 1363 DR: Kalokagathìa (Parte 3) ***
Capitolo 28: *** 1363 DR: “Sono certo che sta bene” ***
Capitolo 29: *** 1363 DR: Champion of Lloth starter pack ***
Capitolo 30: *** 1363 DR: Non avrei mai un’altra scelta se non rialzarmi ***
Capitolo 31: *** 1363 DR: La maledizione ***
Capitolo 32: *** 1363 DR: Amicizia condizionata ***
Capitolo 33: *** 1363 DR: Non avere una casa, ma tornarci comunque ***



Capitolo 1
*** Copertina ***




Lezioni di sopravvivenza



Dee Dee è una giovanissima elfa mezza-vampira. Quando si rende conto che nel mondo sembra non esserci posto per lei, decide di andare nel luogo che identifica come la patria dei reietti e dei mostri: la città sotterranea e multiculturale di Skullport.
Solo che per arrivarci dovrà affrontare numerose sfide che potrebbero affinare le sue abilità e rafforzare il suo carattere, ma potrebbero anche distruggere il suo spirito. Sulla sua strada incontrerà un riottoso compagno di avventure, un elfo scuro con un attaccamento morboso verso la città sotterranea.
Riuscirà la giovane dhampir a superare le sue prove, e soprattutto a dimostrare al suo nuovo compagno che è abbastanza forte per sopravvivere in una città di criminali? Riuscirà lui a mantenere la distanza che vorrebbe mantenere?






Aestethic by afep
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Capitolo 2
*** 1363 DR: Quando la vita sembra non avere un senso ***


1363 DR: Quando la vita sembra non avere un senso

L'elfo scuro sporse silenziosamente la testa oltre l’angolo, per dare una rapida sbirciata. Il corridoio era illuminato da lampade ad olio appese alle pareti, una ogni trenta metri circa. Non riuscivano ad illuminare perfettamente la zona, restavano delle zone d’ombra fra una fiammella e l’altra, come se la luce non potesse davvero tenere a distanza l’oscurità.
In un certo senso è così, pensò il drow, sentendosi un poeta. Scosse la testa per allontanare quei pensieri inutili.
La sua mente abituata al calcolo e a tessere strategie a ciclo continuo aveva già analizzato l’ambiente: il fatto che ci fosse luce era un vantaggio, non avrebbe dovuto tenere intorno a sé le magiche lucine fluttuanti che solitamente era costretto ad accendere, ma che erano una vera palla al piede per chiunque cercasse di restare nascosto nella completa oscurità.
Il drow si ritrasse nel suo cono in ombra dietro l’angolo e attese, tendendo l’orecchio. Per il momento l’unico rumore era lo sporadico scoppiettio delle fiamme. Non passavano guardie da molto tempo. Troppo tempo?
Portò la mano destra all’elsa della spada bastarda, che teneva legata alla schiena. Toccare il pomello fu sufficiente perché i suoi sensi venissero invasi da un fiume di sensazioni: coraggio, conforto, e una tacita esortazione alla prudenza. Il drow serrò la presa sull’elsa ed estrasse la spada senza produrre più di un fruscio. La lama era di un color bianco lattiginoso, semitrasparente; sarebbe stato facile individuarla nella luce fioca delle lampade, ma almeno non mandava i bagliori tipici del metallo.
Prudenza, pensò fra sé, piegando le labbra in una smorfia di disillusione. Prudenza è per chi crede ancora che la vita abbia un senso.
Dei passi si stavano avvicinando. Erano ancora lontani e un normale umano non li avrebbe uditi, forse nemmeno un elfo di superficie; quelle creature avevano le orecchie fini ma la testa sempre fra le nuvole. Lui però era un drow, aveva imparato a percepire ogni minima variazione nell’ambiente circostante fin da bambino: era una capacità indispensabile per sopravvivere in una cultura basata su rancore, ambizione e paranoia.
Silenzioso come un’ombra, il guerriero si nascose in un’alcova dietro a una statua. Una statua, che inutile orpello in un luogo del genere. Certo, non si era preso la briga di guardarla per bene, altrimenti avrebbe notato gli abiti stracciati e l’espressione d’orrore sul volto di pietra, e avrebbe capito che probabilmente non era sempre stata una statua.
Non erano i passi di una persona sola. Ora che si erano avvicinati abbastanza da poterli distinguere nonostante l’eco, il drow riconobbe le cadenze di due persone diverse. Una delle due persone aveva scarpe più pesanti, intuì dal rumore. Stivali rinforzati? Una guardia? C’era anche rumore di qualcosa di leggero che strusciava sul pavimento. Un mantello, o forse una lunga veste. Uno dei due doveva essere una femmina, oppure un mago, o un chierico.
O tutte e tre le cose, se sono particolarmente fortunato. Scherzò fra sé e sé, usando il sarcasmo per allentare la tensione. Sì, era un guerriero esperto, ma infilarsi in un covo di chierici e distruggere una cellula del loro culto non sarebbe stata una passeggiata comunque. Anche se erano soltanto umani.

Due persone procedevano senza fretta lungo il corridoio in cui il drow si era nascosto, diretti verso l’angolo oltre cui aveva sbirciato poco prima. Uno dei due era un uomo di mezza età, dalla lunga barba incolta, che indossava effettivamente le vesti di un chierico. L’altro probabilmente era davvero una guardia, ma una di rango elevato. Il chierico stava impartendo ordini all’altro uomo, nella lingua degli abitanti della superficie.
“Puoi richiamare le pattuglie che abbiamo mandato in giro per il Primo Livello: abbiamo trovato una fanciulla che è perfetta per i nostri intenti.” Passarono proprio davanti al nascondiglio dell’elfo scuro, senza avvedersi di nulla. Lui però non staccò gli occhi dai due nemmeno per un momento. Con la sua vista soprannaturale studiò loro e il corridoio in cui erano passati: il chierico lasciava dietro di sé un’aura di malvagità che restava sospesa nell’aria come una scia di olezzo, la guardia emanava una simile malvagità ma la sua aura non poteva essere nemmeno lontanamente forte o persistente quanto quella di qualcuno che quotidianamente entrava in contatto con una divinità malvagia.
Osservare i due uomini e le loro aure portò con sé un’altra rivelazione: una premonizione, una breve carrellata di immagini sconnesse che bombardarono la mente del drow per alcune frazioni di secondo. Una giovane elfa legata a un altare. Un coltello. Una stanza illuminata da centinaia di candele. Urla. Cantilene. Ma soprattutto urla.
Tanto repentinamente com’erano arrivate, le visioni scomparvero, lasciando il drow a fissare il muro del corridoio ormai vuoto. I due umani avevano svoltato l’angolo e il guerriero infiltrato scivolò fuori dal suo nascondiglio per seguirli con lo sguardo.
“Questa notte il Principe delle Menzogne sarà soddisfatto.” Annunciò il chierico fregandosi le mani, con un tono di voce che tradiva tutta la sua impazienza.
Il drow scosse la testa giudicando quel gesto puerile e stupido. Questi umani sembravano incapaci di contenere le loro emozioni, o forse adorare un dio folle implicava mancanza di disciplina. La cosa importante però era fare in modo che le pattuglie di cui aveva parlato il chierico non venissero richiamate. Sarebbe già stato ostico fronteggiare un manipolo di chierici, l’elfo scuro non aveva alcun desiderio di dover combattere contemporaneamente anche i loro guerrieri.
Il chierico congedò la guardia, che si voltò per tornare sui suoi passi. Quando svoltò l’angolo dove il drow attendeva in silenzio, i suoi passi si fermarono per sempre. Ma non se ne accorse nemmeno. Per pragmatismo più che per pietà, la morte giunse rapida sotto forma di un fendente che gli aprì la gola.
E ora cerchiamo la stanza delle candele. Decise il guerriero. La sua spada vibrò in segno di approvazione.
 
La giovane elfa fissava il soffitto, stordita e incapace di mettere insieme i pensieri. Non sapeva dove fosse, né come fosse arrivata lì. Il soffitto, in realtà, non lo vedeva neanche troppo bene: era in una stanza molto buia, rischiarata solo dalla luce di molte candele che però non riusciva a raggiungere e illuminare tutti gli angoli della stanza.
La ragazza cercò di deglutire. In bocca aveva un sapore strano, qualcosa che non era il sapore del sangue. Ah, il sapore del sangue. Si passò la lingua sulle labbra, trovandole secche e screpolate. Qualunque cosa le avessero fatto bere, l’aveva lasciata con una sete incredibile.
Sì, l’avevano fatta bere, questo lo ricordava. Quei tre simpatici ragazzi a cui si era unita perché, avevano detto, avventurarsi da sola nell’Undermountain era pericoloso. Loro erano avventurieri poco esperti ed erano stati lieti di trovare una compagna come lei, poi c’era stato quel combattimento contro uno sciame di ratti di fogna, i ricordi cominciavano a rimettersi insieme... e poi avevano bevuto un bicchiere per festeggiare. Solo un sorso di birra, che lei aveva accettato per cortesia nonostante il sapore di qualunque cibo o bevanda per lei fosse cacca... solo un sorso, e la sua testa aveva cominciato a girare. Una sensazione stranissima, visto che di solito il suo fisico era estremamente resistente all’alcol, alle droghe e anche ai veleni.
La ragazza si accorse di essere legata alla superficie su cui era stesa. Era un tavolo, forse un altare, ricavato da una pietra nera che non conosceva. I suoi polsi e caviglie erano legati ai quattro angoli di quel... probabilmente altare... e lei era costretta in una posizione scomoda e per nulla promettente. Era anche nuda, notò con un certo sdegno. Ora che la sua mente cominciava a schiarirsi, scoprì che odiava l’idea di essere nuda su un altare. Probabilmente sarebbe stata sacrificata, ormai l’aveva capito, ma avrebbe preferito mantenere un po’ di decoro in quel frangente.
Cercò di forzare i legacci che le trattenevano i polsi, ma senza successo. Anche la sua forza superiore al normale non era sufficiente a strappare le pesanti corde di cuoio intrecciato. Dopo qualche tentativo si abbandonò contro la pietra, sfinita. Era troppo tempo che non si nutriva e si sentiva debole. Così debole. Come se fosse nuovamente sotto l’effetto di qualche narcotico.
Mentre cedeva lentamente all’oblio del sonno, una parte di lei scoprì che avrebbe voluto rannicchiarsi e piangere. Perché il mondo era così crudele? Aveva appena perso l’unica persona che le avesse mai voluto bene, e ora stava per perdere anche la vita, tutto per essersi fidata di tre ragazzotti dall’aria semplice e simpatica. Possibile che non esistesse al mondo un po’ di giustizia?
La mia vita è stata un errore fin dall’inizio. Pensò, in un ultimo sprazzo di lucidità. E non ha mai avuto un senso.


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Capitolo 3
*** 1363 DR: Il senso dello humor degli Dei ***


1363 DR: Il senso dello humor degli Dei

Nella sala principale del tempio di Cyric si era formato un capannello di gente intorno all’altare, ma non per via della cerimonia, che non era ancora iniziata. Per la verità c’era un po’ di confusione.
La vittima sacrificale, una fanciulla elfa fresca come un fiore e giovane come l’acqua, non stava rispondendo nella maniera sperata.
“Che cosa succede? L’avete drogata troppo!” Il Gran Sacerdote si fece avanti scostando i suoi sottoposti con una spallata. “Il Sole Nero richiede che le sue vittime siano giovani, in salute e in stato di agitazione o paura. Questa ragazza non mi sembra in salute, è catatonica! Che cosa avete combinato?” L’uomo tenne due dita sul polso della ragazza, cercando il battito. Era lento. Troppo lento.
“Signore, non è stata drogata più del dovuto, era la solita dose.” Un chierico di rango inferiore si torse le mani, preoccupato per aver destato l’ira del suo superiore.
“Non possiamo rinunciare a questa vittima.” Il Gran Sacerdote fece un gesto plateale alzando le braccia verso l’alto, dissimulando il rapido passaggio di una manica sulla fronte per asciugarsi il sudore. Non poteva apparire debole davanti ai suoi sottoposti. “La sua morte è stata predetta!
Trovate chi cammina fra la luce e l’oscurità, il sangue sarà versato nella Sala delle Cerimonie e i veri fedeli avranno udienza dal Sole Nero in persona. Così dice la profezia del nostro confratello veggente. Noi vogliamo che il nostro Tempio si elevi al di sopra di ogni altro, vero? Noi siamo veri fedeli! Conquisteremo il massimo favore del nostro Dio e con quello potremo cogliere la città di Waterdeep come un frutto maturo!” Concluse, indicando con un dito verso l’alto. Verso la città di Waterdeep, molti metri sopra le loro teste.
I chierici mugugnarono, dichiarando il loro assenso, con gradi di entusiasmo variabile. C’era chi pensava che mostrare fanatismo avrebbe allontanato la collera del Gran Sacerdote, c’era chi prosaicamente non voleva attirare l’attenzione su di sé.

La fanciulla elfa era inconsapevole di questi discorsi, la sua mente vagava fra le nebbie del sogno e della fame. Vedeva nebbia davanti ai suoi occhi, ma quella nebbia era rossa come il sangue. Sangue. Sangue!
La fame la colse all’improvviso strappandola al suo torpore e il suo corpo sottile cominciò a tremare, scosso dagli spasmi di una reazione viscerale, involontaria, bestiale. Fece forza contro i suoi legacci, cercando di liberarsi, non più per paura del suo destino ma per trovare il prezioso nutrimento che per lei era come una droga.
“Si è svegliata!” Urlò uno dei chierici, inutilmente. Tutti se n’erano accorti e avevano fatto qualche passo indietro.
La gracile elfa si incurvò sull’altare di pietra nera tendendo al massimo i legacci di cuoio, e per un momento terrificante sembrò che stesse per riuscire a liberarsi. Ma le corde ressero.
“Ora! ORA! Tutti ai propri posti, voglio l’incenso nei bracieri e un coro di preghiere
prima di subito!” Berciò il Gran Sacerdote, spalancando le braccia e agitandole come le ali di una cornacchia per incitare i suoi sottoposti a muoversi.
 
Il fumo dell’incenso misto a strane erbe presto saturò l’aria, andando a riempire la volta del soffitto. Non una mossa geniale in un sotterraneo, ma la stanza era abbastanza grande per fornire aria respirabile ai suoi occupanti per molti minuti ancora.
Lord Svein Helder, fiero Gran Sacerdote di quella cellula del culto di Cyric, prese posizione davanti all’altare e fece cenno ai suoi quattro più stretti collaboratori di avvicinarsi per svolgere i loro compiti. Nel frattempo si prese tempo per studiarli. Fratello Vagn, che era ufficiosamente il suo secondo in comando, era senza dubbio il suo avversario politico più pericoloso. Era un chierico tanto devoto quanto lui, ma più versato nell’arte dell’assassinio e meno competente in quelle abilità e conoscenze che per un sacerdote sono fondamentali. Sarebbe stato un capo carismatico, anche se meno lungimirante. Sfortunatamente era troppo poco lungimirante per
capirlo, quindi Lord Svein progettava di liberarsi di lui appena fosse riuscito a guadagnare il pieno favore del suo Dio. Fratello Hygelac era il secondo più pericoloso in quella combriccola, un astuto e abile furfante che si stava specializzando nella magia clericale tanto quanto nell’uso delle armi e dei veleni, ma per il momento non era ancora un chierico potente quanto lui. La sua giovane età e le sue ambizioni però lo preoccupavano, Hygelac era troppo sveglio per essere usato come strumento come invece usava gli altri suoi sottoposti di alto rango, Fratello Suleiman e Fratello Iosef il Veggente. Questi due erano i fedeli galoppini di Svein, o almeno lo sarebbero stati fintanto che lui avesse mantenuto il potere. Avere il supporto dei due sacerdoti però lo faceva sentire più al sicuro davanti alle minacce sottintese di Vagn e Hygelac. Inoltre aveva passato gli ultimi due anni a tessere accuratamente una rete di inganni e manipolazioni per fare in modo che i suoi due sottoposti più ambiziosi si odiassero a vicenda come scorpioni, in tal modo era certo che non si sarebbero mai coalizzati contro di lui.
Ma per il momento spinse da parte questi pensieri, perché era quasi giunto il momento di innalzare la sua invocazione al grande Cyric.
Otto confratelli novizi avevano preso posto formando un cerchio intorno a loro e intonavano una bassa nenia ripetendo alcune parole rituali. A differenza del Gran Sacerdote e degli altri quattro chierici di rango elevato, tenevano il cappuccio calato sulla testa in segno di umiltà e come simbolo del loro ruolo, più vicino a quello dei semplici esecutori che di intermediari con il divino. Tutti loro erano ladri o assassini, nessuno poteva diventare sacerdote di Cyric senza essere un minimo formato in quelle arti.
I quattro sacerdoti si disposero attorno all’altare sacrificale. La ragazza aveva smesso di dimenarsi ma saettava con lo sguardo da uno all’altro. Non aveva l’aria spaventata, ma vorace, ferale. Ogni tanto cercava di strattonare i legacci, senza successo.

Beh, di sicuro è in stato di agitazione. Pensò il Gran Sacerdote, annuendo compiaciuto.
Fratello Vagn cominciò a intonare l’invocazione al dio oscuro e Fratello Hygelac seguì subito il suo esempio, con una fretta e un’occhiataccia che rivelarono chiaramente a tutti la profondità del dissapore fra i due; Vagn aveva cominciato a recitare la sua preghiera prima del segnale convenuto, forse per elevarsi agli occhi del Principe delle Menzogne. Il Gran Sacerdote lo reputò un comportamento infantile e ne fu segretamente soddisfatto.
Alla prima pausa anche gli altri due chierici si unirono all’invocazione, e alla fine Lord Svein stesso unì la sua voce alle loro quando sentì che era arrivato il suo momento, inserendosi in quel crescendo di formule rituali e innalzando l’invocazione a più alte vette.
Chiuse gli occhi e alzò le braccia al cielo, a stento consapevole che uno dei novizi si stesse avvicinando porgendogli il coltello sacrificale.
Fratello Vagn però se ne accorse e scoccò un’occhiataccia al novizio: era troppo presto, l’invocazione non era ancora terminata.
Se il novizio si accorse dell’occhiataccia, comunque non vi diede peso. Si portò accanto al Gran Sacerdote, tenendo il coltello sui palmi aperti. Le sue mani erano coperte da guanti scuri, ma questo era normale per i chierici di Cyric, sempre intenti a maneggiare veleni. Anche il Gran Sacerdote indossava guanti protettivi e non si fece alcuno scrupolo a prendere in mano il pugnale rituale.
Solo che non era il pugnale rituale.
Il solo afferrare l’impugnatura di quell’arma apparentemente comune scatenò brividi di gelo bruciante nel braccio del Gran Sacerdote. La sensazione passò subito ma si lasciò dietro un’ondata di nausea e debolezza, e prima che potesse reagire lasciando cadere il pugnale, il novizio gli aveva già affondato una spada corta nelle reni. Istantaneamente il suo aggressore venne bersagliato dagli incantesimi e dalle armi dei suoi fedeli seguaci; Lord Svein si accasciò a terra, abbastanza sicuro di non essere nuovamente attaccato nel breve periodo. Gettò via il pugnale che gli aveva causato tanto malessere. In un primo momento mille pensieri gli attraversarono la mente: un novizio non poteva aver agito da solo, qualcuno aveva commissionato l’attacco. Era stato Vagn, quel cane arrogante? No, nemmeno lui avrebbe osato interrompere una cerimonia così importante. Hygelac? Forse per sminuirlo come chierico davanti agli occhi del dio Cyric? Il suo sguardo cadde sul pugnale che sospettava essere avvelenato o maledetto, e le sue vaste conoscenze in ambito religioso lo portarono a comprendere la verità, finalmente, con chiarezza sconcertante: era un pugnale
sacro. Un chierico malvagio, seguace di un dio malvagio, non può impugnare un’arma sacra senza esserne istantaneamente indebolito; il potere divino di un’arma sacra è fatto per scavare nelle anime corrotte e infettarle con il suo veleno di giustizia e misericordia e altre stronzate. Lord Svein imprecò contro qualsiasi divinità buona gli venisse in mente, mentre tamponava la sua brutta ferita con un incantesimo curativo.
“È un infiltrato! Non è dei nostri!” Gridò con voce gracchiante, sputando un grumo di sangue. Quando finalmente si rialzò, la sala delle cerimonie era caduta nel caos.
Alcuni novizi erano fuggiti, altri erano già a terra moribondi; Fratello Suleiman non si vedeva da nessuna parte, il verme codardo. Fratello Hygelac stava combattendo l’intruso brandendo la sua spada lunga, l’arma consacrata al loro dio. L’intruso, fra tutte le creature che il Gran Sacerdote si sarebbe aspettato di vedere, era forse la più improbabile: un elfo scuro.

Non è possibile, non abbiamo mire espansionistiche nel sottosuolo. Pensò l’anziano chierico, spiazzato. Come abbiamo attirato l’attenzione dei drow?
Fratello Hygelac era riuscito più volte a colpire l’aggressore, ma a sua volta era stato colpito da molti affondi e molto duramente, e sembrava che ora stesse in piedi solo per grazia del loro Dio. Lord Svein senza esitare diresse un incantesimo di ferimento contro il dannato elfo scuro, sperando di distruggere la sua energia vitale fino a portarlo alle soglie della morte. Il drow incassò il colpo e per un momento sembrò fare fatica a respirare, ma un momento dopo rafforzò la presa sulla sua spada bastarda e sferrò un attacco che aprì in due il torace del povero Hygelac.

Dov’è Vagn? Si domandò Lord Svein, guardandosi brevemente intorno. Il nemico è ferito e ormai è una facile preda. Perché non fa il suo dovere, quel dannato serpen...
Quel corso di pensieri venne interrotto piuttosto bruscamente dalla lama di una spada che penetrò nel cranio del Gran Sacerdote, fracassandolo.
Fratello Vagn, anzi
Lord Vagn, pulì la spada da sangue e cervella con un sorriso compiaciuto.
“Non so chi ti abbia pagato per fare questo, drow, ma voglio darti un’occasione per cambiare bandiera. Inizia a lavorare per me, oppure muori qui e oggi.” Propose l’uomo in tono magnanimo.

 
L’elfo scuro abbassò la spada bastarda poggiando la punta a terra, ansimando per la stanchezza.
“Cos’avete da offrire? Siete deboli, il vostro culto è mezzo distrutto.” Il guerriero rivolse un sorriso sghembo e provocatorio al sacerdote.
Il nuovo Gran Sacerdote divenne paonazzo per l’indignazione e sbraitò un sacco di ovvietà sul potere che il suo Dio poteva concedere e sul ricostruire il culto sotto la sua illuminata guida.

Continua a parlare, pregò silenziosamente il drow, tastandosi le ferite peggiori avendo cura di mostrarsi sofferente. Le sue dita trovarono i lembi del taglio che gli aveva perforato un polmone e vi lasciarono fluire un’energia risanatrice invisibile, che non necessitava dei gesti e delle parole di un incantesimo.
Quanto ti piace ascoltare la tua voce. Pensò, mantenendo uno sguardo semi-intimorito sul sacerdote. Oh, sei lo stesso imbecille che dava gli ordini alla guardia nel corridoio, ci scommetto che sei tu. Solo non metterti a sfregare i palmi come prima, suvvia, è imbarazzante...
Il chierico si sfregò le mani con cupidigia mentre spiegava al drow quante poche possibilità avesse di uscirne vivo e quanto ci avrebbe guadagnato ad offrire i suoi servigi a loro.
“Va bene, senti... c’è un limite a tutto. E l’hai già abbondantemente superato quando hai detto, cos’è che hai detto?,
Sono stato inviato da Cyric per purgare questo mondo.” Lo interruppe il drow, abbandonando la sua posa da moribondo e sollevando la spada bastarda come se fosse un giocattolo. “Ma ci credi davvero? O cerchi solo di dare una mano di vernice nera sopra a quello squallore che è la tua vita, illudendoti che così abbia un senso? Dai, onestamente, quanto è facile giocare al ribasso? Sei così pazzo e cattivo, aiuto arriva l’inviato di Cyric.” Lo prese in giro mimando una vocetta stridula. Poi tornò serio e gli si rivolse con rabbia, attaccandolo con un fendente di spada e costringendo il chierico a una serie di parate di fortuna. “Porco il tuo dio, io sgozzavo bambini quando il tuo Cyric non era neppure una sorpresa sgradita nel ventre di sua madre! E vuoi sapere una cosa? Non c’è niente di speciale. Non c’è niente di difficile nell’essere malvagi. Qualunque idiota potrebbe prendere il tuo posto come tu hai preso il posto del vecchio che hai ucciso.”
Il drow oscillò sui suoi piedi in modo apparentemente casuale. Un dardo di balestra colpì il suo spallaccio di striscio, venne deviato verso una parete e atterrò senza danni sul pavimento.
“Sì, ti ho visto, tirapiedi dell’inviato di Cyric.” Agitò una mano verso il quinto sacerdote nascosto dietro all’altare, senza voltarsi a guardarlo. “Se vuoi ti curo i problemi di vista prima di ucciderti.”
Fratello Iosef il Veggente guardò la piccola balestra a mano come se l’avesse tradito e sembrò registrare solo allora le parole dell’elfo scuro.
Lord Vagn approfittò della distrazione del nemico per scaricargli addosso un incantesimo che creò una devastante colonna di fuoco, stando attento ad evocarla nel punto più lontano possibile in modo da prendere in pieno il drow ma non sé stesso o la ragazza incatenata all’altare. Non riuscì a capire se il drow fosse stato colpito o no, perché la luce accecante della colonna di fuoco per un attimo destabilizzò tutti quanti.
Quando Lord Vagn riuscì a riprendersi, la stanza davanti a lui era vuota. Possibile che il drow fosse stato completamente polverizzato?
Poi, alla sua sinistra, un suono molle, come di carni che vengono perforate da una spada.
Si girò appena in tempo per vedere Fratello Iosef trafitto alle spalle, la grossa spada che gli usciva dal ventre. Il chierico biascicò qualcosa, qualche frase appena udibile fra i gorgoglii del sangue: “Il sangue... versato... nella... nella Sala...” La spada venne estratta a forza, allargando la ferita, e lo sfortunato chierico cadde come una bambola rotta accanto all’altare nero macchiato del suo sangue.

 
Lord Vagn ricordò la profezia, sopprimendo un brivido.
Trovate chi cammina fra la luce e l’oscurità, il sangue sarà versato nella Sala delle Cerimonie e i veri fedeli avranno udienza dal Sole Nero in persona.
Si guardò intorno, considerando la carneficina intorno a lui. Si reputava un vero fedele di Cyric, senza dubbio. Ma non aveva tutta questa fretta di morire per incontrarlo.
 
Lord Vagn si girò e cominciò a correre.
Non andò molto lontano.


           

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Capitolo 4
*** 1363 DR: Fanciulla in difficoltà ***


1363 DR: Fanciulla in difficoltà
 
Il fumo degli incensi saturava ancora l’aria, ma ormai non riusciva più a coprire l’olezzo del sangue e della morte. Questo disgustoso miscuglio di odori fu la prima cosa che colpì l’attenzione del drow quando rientrò nella sala.
Aveva inseguito il sacerdote fuori da quella cappella privata, nel tempio vero e proprio, e lì lo aveva abbattuto insieme ai due novizi sprovveduti che era riuscito a richiamare. Adesso, tornare in quell’ambiente più contenuto e saturo di fumo fece lacrimare i suoi occhi sensibili.
La ragazza era ancora legata all’altare. Non era per lei che si era introdotto nel tempio dei cultisti di Cyric, all’epoca non sapeva nemmeno della sua presenza, ma vista la felice coincidenza tanto valeva occuparsene.
 
La giovane non si accorse che il guerriero era tornato nella stanza. Stava cercando di respirare il meno possibile perché l’odore del sangue, all’inizio così allettante, era diventato sempre più disgustoso man mano che il prezioso liquido si spandeva sul pavimento mescolandosi alla sporcizia e alle sostanze che emanano dai cadaveri.
Il sangue dei morti era rivoltante per lei, non avrebbe saputo spiegarlo in termini logici ma era come se fosse marcio e velenoso.
Non udì i passi del drow, ma sentì il sibilo di una spada che si alzava vicino alla sua testa. Aprì gli occhi di scatto: l’elfo scuro era sopra di lei, e ora reggeva in mano una spada corta, diversa da quella con cui aveva massacrato i suoi carcerieri.
La giovane elfa della luna sapeva ben poche cose sugli elfi scuri, ma quando aveva pagato l’uomo alla locanda per farsi calare nell’Undermountain lui le aveva elargito un consiglio gratuito: stai attenta ai drow, le aveva detto, non sono amici del tuo popolo.
“Io non ho un popolo.” Aveva risposto lei.

Mentre ripensava alla sua risposta si trovò a pronunciare quelle parole a voce, inconsapevolmente. Le uscirono in un sussurro, ma ora il drow la stava guardando con una certa curiosità.
“Bene, questo spiega perché sei qui.” Commentò in tono pragmatico, poi fece descrivere alla sua spada un arco discendente e recise con un sol colpo i legacci che le chiudevano i polsi.

Sì, ma loro non lo sanno. Aveva risposto l’umano nella taverna, con un sorriso ironico.
L’elfa aveva deciso di scendere comunque nell’Undermountain, anche se tutti dicevano che fosse un luogo pericoloso. E ora stava per morire, se non per mano degli umani, per mano dei drow. Cercò con lo sguardo il tizio con la spada, che un attimo prima era accanto a lei. Si era spostato ai suoi piedi. Di nuovo quel rumore di una lama che fende l’aria, di nuovo nessun dolore, eppure era certa di stare per morire, e la testa, la testa le girava così tanto...

L’odore di un vivo.
In mezzo a tutta quella morte, l’odore di una persona viva, il leggero profumo del suo sangue, le riempì la gola e la mente. Aprì gli occhi; non si era nemmeno accorta di averli richiusi. Aveva un pezzo di stoffa avvolto addosso, al tatto era quasi caldo, certamente più dell’altare di pietra. Percepì che qualcosa la costringeva in una posizione seduta: il guerriero stava cercando di sollevarla? Il suo abbraccio era caldo nonostante lo strato dei vestiti e l’armatura di cuoio, e lei si sporse istintivamente per cercare quel calore. Le braccia diafane si strinsero attorno alle spalle dell’elfo scuro e i canini aguzzi trovarono la sua gola, in modo naturale, come se il suo bacio pungente appartenesse per nascita a quella deliziosa parte del corpo che è la piega del collo di un vivente, dove pulsano le vene più gonfie e succose.
La ragazza non si accorse di aver morso con troppa violenza, la sete l’aveva resa cieca e incauta. Aveva bevuto a stento un sorso quando la sua vittima cominciò a dimenarsi per cercare di scollarsela di dosso.
L’elfa era ancora debole per la mancanza di nutrimento e per gli sforzi inutili per liberarsi dai legacci, e il drow riuscì a staccarsi dal suo abbraccio. Lei si sporse, come per riprenderlo, ma per poco non cadde dall’altare su cui era ancora seduta. Il guerriero la respinse indietro con un colpo della mano aperta contro lo sterno.
Dolore. Un’ondata di dolore trafisse il petto della fanciulla togliendole il respiro per un attimo, ma aiutò anche a schiarirle la mente.
 
All’improvviso si rese conto di quanto fosse stato inopportuno il suo comportamento. Era nuda, seduta su un altare dove volevano sacrificarla, ed era saltata al collo di uno sconosciuto.
Buona parte del sangue che aveva in corpo fluì verso le sue guance.
“Mi... mi difpiace, non fono riufhita a controllarmi.” Balbettò.
Il drow la guardò come se fosse stata un animale raro da esposizione.
“Ma perché voi donne siete così completamente inaffidabili?” Si lamentò, guardandola storto. Portò una mano al collo sanguinante e usò un po’ di magia curativa per richiudere la ferita. “Non sei un vampiro, però.” Osservò. I suoi occhi corsero ai polsi della fanciulla, che un momento prima erano lividi e graffiati per via delle corde ed ora erano nuovamente lisci e candidi. “Che cosa sei?”
La ragazza si strinse al petto il mantello di lui, cercando di coprire la sua nudità.
“Fono una Dhampir. Una mezza-vampira.”
Il drow la guardò per un lungo momento, senza fare commenti. Infine:
“Oh, va bene. Immagino che, in senso lato, tu sia comunque un’elfa.” Rimise la spada nel fodero e tese una mano alla ragazza per aiutarla a scendere dall’altare. Lei lo guardò perplessa, non capendo il suo gesto. “Su, su.” La esortò lui. “Prima troviamo i tuoi vestiti, prima potrò riavere il mio mantello.”

Trovarono i vestiti della ragazza, e anche i suoi altri oggetti personali. Il drow si prese del tempo anche per rubare qualcos’altro dal magazzino del tempio: due tuniche da sacerdoti di Cyric, con tanto di simboli della fede.
La ragazza non fece domande quando lui le porse una di quelle vesti e la invitò a indossarla. Probabilmente i dintorni del tempio erano ancora pattugliati da guardie affiliate al culto, e quel travestimento avrebbe agevolato la ritirata.
“Dove mi ftai portando?” Domandò infine, quando a suo giudizio dovevano essersi lasciati alle spalle la zona di pertinenza dei seguaci di Cyric.
“Fuori dalle palle.” Rispose sbrigativamente il drow, continuando a trascinarsela dietro per corridoi che a lei sembravano tutti uguali.
Lui le fece cenno di fermarsi mentre analizzava il tratto di strada davanti a loro.
“Non conosco bene questa zona del dungeon. Credo che ci siano trappole ma non so bene dove, quindi, beh, spero che tu abbia buoni riflessi nel caso in cui scatti qualcosa.”
Grazie ad un attento esame riuscì a indicare quali piastrelle secondo lui erano incantate o nascondevano trappole meccaniche, e per un po’ riuscirono a proseguire senza intoppi.
“Conofco quefta zona!” Esclamò l'elfa ad un certo punto.
“Per gli Dei, ma ti serve un manuale di istruzioni per capire come si fa a tener chiusa la bocca?” Sibilò il suo accompagnatore, irritato con la sua rumorosa compagna di viaggio.
“Mi ftai riportando al pozzo da cui fono arrivata!” L’accusò lei. “Quello per falire alla locanda!”
Il guerriero la fissò per un momento con sguardo vuoto, come se non capisse il suo idioma. “Ah, il pozzo per salire alla locanda! Sì, quello.” Confermò, riprendendo subito il cammino.
“No!” Sbottò lei.
“Sì.” Ribattè lui, senza nemmeno girarsi a guardarla.
“Fono fhefa quaggiù per reftare.”
“E invece stavi per restarci. Ironica la vita, eh?”
“Voglio vivere qui.” Insistette Dee Dee.
“Vuoi morire qui? Che cosa romantica.”
Non c’è pofto per me in fuperficie!” La ragazza cercò di gridare sottovoce, e come risultato le uscì un tono stridulo e isterico.
Questa volta il drow si fermò davvero per guardarla negli occhi.
Lei pensò che le avrebbe rivolto qualche altra cattiveria, ma per una volta si limitò a scuotere la testa come se la compatisse.
“Non puoi vivere qui. Non puoi capire quanto sia pericoloso.”
“E tu non puoi capire cofa vuol dire effere fcacciati da qualunque luogo, anche dal tuo fteffo popolo.” Ribattè lei, con più calma, ricambiando lo sguardo.
Il drow sembrò sul punto di dire qualcosa, ma non lo fece.
“Il mio nome è Dee Dee.” Si presentò, “E abituati a fentire il mio nome perché diventerò un’avventuriera famofa!”
“Bene, avventuriera famosa. Consiglio numero zero se vuoi vivere qui. Non offrire il tuo vero nome al primo sconosciuto che incontri, non sai mai chi potrebbe usarlo contro di te.”
 
Il drow si allontanò nella stessa direzione da cui erano venuti, abbandonando l’idea di riportare la ragazza alla Yawning Portal, la locanda da cui gli avventurieri incauti scendevano nell’Undermountain.
Dee Dee esitò un attimo, poi lo seguì.
 


           

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Capitolo 5
*** 1363 DR: Questione di merito ***


1363 DR: Questione di merito

“E adesso per quale cazzo di motivo mi stai seguendo.” Sibilò il drow. Non suonava come una domanda. Sembrava la manifestazione vocale del concetto di rassegnazione.
“Non fo dove andare.” Rispose Dee Dee, sforzandosi di tenere il passo. Era facile seguirlo, aveva sempre intorno a sé delle lucine che illuminavano la sua figura.
“Io sono disposto a portarti solo al pozzo per la superficie. Se vuoi andare altrove dovrai farlo da sola.”
“Afpetta!” Dee Dee afferrò il guerriero per un braccio.
Finalmente ottenne una reazione. Lui si girò, la guardò malissimo e si divincolò facilmente dalla sua presa. L’elfa stava per parlare ancora ma lo sguardo infuocato di lui la paralizzò per un attimo: sembrava davvero irritato, e in modo letale.
“Detesto dover rimarcare l’ovvio, ma io sono un drow. Il mio popolo e il tuo sono nemici.”
“Non ho un popolo.” Tornò a ripetere Dee Dee.
“Non ha importanza. Sei un’elfa e quaggiù saresti una preda ambita. Lo schiavismo è una pratica comune.” La minacciò il drow. “Ti cattureranno, qualcuno ti comprerà, e se avrai fortuna finirai a servire in qualche bordello. Se avrai sfortuna verrai torturata e sacrificata a qualche divinità immonda che poi reclamerà la tua anima. Ne vale la pena? Se quello che vuoi è un angolo buio in cui rannicchiarti e piangere perché il mondo non ti ama, ti consiglio di tornare in superficie, entrare in una locanda e noleggiare uno sgabuzzino.”
La giovane elfa scosse la testa con veemenza. “Fo cofa rifchio.” Annunciò. “Non voglio un pofto in cui rintanarmi, voglio un pofto in cui vivere. In cui effere me fteffa. Fo che c’è una città fotto Waterdeep, una città abitata da moftri.”
“Skullport.” Confermò l’elfo scuro. “Sì, ma è meglio se lasci perdere. Può darsi che nella tua testa quello sia il posto per te, visto che la gente della Superficie ti chiama mostro. Ma i mostri quaggiù non sono solidali gli uni con gli altri. Anzi, i deboli vengono divorati, a volte in senso letterale.”
“Non tornerò laffù.” Insistette Dee Dee.
Il drow scrollò le spalle e aprì le braccia in segno di resa.
“Va bene. Va bene. Allora ti propongo un accordo: sfidami in combattimento. Se vinci, ti porterò a Skullport viva e incolume, beh, diciamo con ancora tutti gli arti attaccati. Ma se perdi ti uccido.”
Dee Dee rimase completamente pietrificata a questa proposta. Il tono del tutto indifferente con cui aveva detto se perdi ti uccido... come se fosse una cosa ordinaria, come se la sua vita non valesse nulla...
“Perché?” Balbettò Dee Dee, sentendosi la gola asciutta ora che era davanti alla concreta e imminente possibilità di morire. “Cofa guadagni dalla mia morte?”
Cercò di studiare l’espressione dell’elfo scuro, ma era insondabile. Il colore nero della sua pelle forse mimetizzava i tratti del suo viso, o forse lui era davvero inespressivo.
“Sei tu che ci guadagni, ragazza. Se vinci avrai una guida, se perdi avrai una morte rapida, che quaggiù è la seconda migliore opzione. Centinaia di persone mi hanno pregato per una morte rapida. Molte volte non le ho esaudite.” Il racconto gli uscì in tono perfettamente neutro.
“Non voglio una morte rapida. Non voglio morire affatto!” Protestò la ragazza.
“E allora dovrai combattere molto bene, oppure andartene da questo dungeon.”
Dee Dee ci pensò per un lungo momento, soppesando tutte le sue possibilità. Il drow pazientò. Non aveva fretta.
Alla fine Dee Dee estrasse la sua spada e si mise in posizione d’attacco.
Il drow rispose con un sorrisetto forzato, ma segretamente era soddisfatto. Forse anche un po’ colpito.

Metallo contro metallo. Rumori sgraziati, stridenti, irregolari, che presto cominciarono ad echeggiare per i corridoi. Rumori che attiravano l’attenzione delle creature nascoste nell’ombra, alcune abbastanza stupide da tentare un assalto ai due combattenti.
Il drow combatteva con due spade corte, all’apparenza meno pericolose della bella spada lunga di Dee Dee, forgiata a regola d’arte dal migliore fabbro di Baldur’s Gate. Ma con quelle spade gemelle riusciva a parare tutti gli attacchi dell’elfa, senza errore. L’unica volta in cui lei era riuscita ad aprirgli un taglietto nel braccio era stato quando una strana belva nera si era lanciata addosso ai due e il drow si era distratto un attimo per abbatterla. All’inizio Dee Dee si era unita a lui nel combattimento contro il mostro ma, appena le era diventato chiaro che il drow avrebbe avuto la meglio sulla bestia, aveva trattenuto i suoi colpi per studiare l’avversario e colpirlo nel momento migliore. Anche se per un momento erano stati alleati, non aveva dimenticato le minacce del guerriero: se lei non l’avesse sconfitto, lui l’avrebbe uccisa.
Per fortuna, quanto meno, lui non era ancora riuscito a colpirla. Ma lei cominciava ad accusare la stanchezza e i suoi colpi si stavano facendo meno decisi e meno accurati.
“Non serve a nulla risparmiare le energie in questo modo.” L’avvisò il drow. “Meglio combattere poco ma bene, piuttosto che trascinarsi come stai facendo tu. Diventerai sempre più stanca. Se hai qualche possibilità di colpirmi è adesso; non fra un altro minuto quando le tue braccia saranno pesanti.”
Sarà vero? O lo sta dicendo perché vuole concludere il combattimento in fretta? Si domandò Dee Dee, incerta più che mai. No, è un inganno. Non ha motivo di consigliarmi per il meglio.
L’elfa fece del suo meglio per continuare a combattere ma iniziò a tentare fendenti con minor frequenza, osservando con più attenzione le mosse del drow in cerca di una falla, un errore nella postura, qualsiasi cosa che le permettesse di affondare un colpo risolutivo.
Non c’era niente. Non un’apertura, non un passo falso, il suo stile di combattimento sembrava concentrarsi sulla difesa più che sull’attacco. Però noto un’altra cosa: c’era una lastra di pietra che il drow evitava sempre accuratamente di calpestare, una riconoscibile, sbeccata in un angolo.
Lì ci dev’essere una trappola. Comprese la ragazza con un’intuizione fulminea. Se solo riuscissi a spingercelo sopra...
Attaccò con tutta la sua foga, perché sapeva che l’occasione giusta non si sarebbe presentata per magia, avrebbe dovuto crearla lei. Attaccò mettendo da parte ogni pensiero sulla sua incolumità e provò a concentrarsi sulla rabbia per la sua situazione, sulla sete di sangue che sentiva ancora, sul rancore per come lui l’aveva trattata. Come sperava, il drow si ritrovò spiazzato dalla sua rinnovata furia e dovette concentrarsi sul parare i suoi affondi e fendenti.
Non riuscì più a mantenere un perfetto controllo sui suoi passi. Per non perdere l’equilibrio sotto i colpi voraci di Dee Dee, fece mezzo passo indietro, proprio quel mezzo passo che serviva a lei. Con un piede, calpestò la pietra incriminata.

Dee Dee non era una maga, ma dall’effetto dell’incantesimo giudicò che il drow fosse stato colpito da una sorta di affaticamento improvviso. Le sue braccia cominciarono ad abbassarsi sotto il peso delle spade corte, la sua postura non era più perfetta ma curva in avanti, perfino il respiro era affannoso. Questo riportò lo scontro su un piano di parità, e alla fine Dee Dee riuscì a far cadere una delle sue armi.
“Mi arrendo.” Annunciò il drow, dopo aver confrontato mentalmente la sua spada corta con la lama di acciaio forgiato della ragazza. “Hai la tua guida, ragazzina. Complimenti per aver saputo sfruttare l’ambiente a tuo vantaggio.” Sembrava risentito, ma non troppo. Dopotutto era stata una mossa astuta, ma legittima.

Erano entrambi stanchi e provati, quindi decisero di montare un campo per riposare in una stanza difendibile, poco lontano. Il drow rimase stranamente silenzioso per tutta la sera e alla fine annunciò che avrebbe riposato qualche ora, lasciando a Dee Dee l’incombenza di fare la guardia.
Dee Dee trovava quel compito incredibilmente tedioso, quindi dopo un’oretta circa decise che fare la guardia poteva voler dire anche esplorare i corridoi immediatamente limitrofi al loro rifugio.
L’elfa della luna non era una grande esperta di sotterranei, e nella sua breve esplorazione rischiò quasi di perdersi. I corridoi le sembravano tutti uguali. Ad un certo punto riuscì a capire che si trovava nuovamente nella galleria dove avevano combattuto, perché riconobbe un segno nella parete dove la sua spada aveva sbattuto contro la roccia levigata. Si fermò per accarezzare il graffio sulla pietra con un dito, cercando di ricordare come fossero disposti durante il combattimento e in quale direzione si fossero mossi dopo... per poter ritrovare la stanza dove avevano montato il campo. Tornò più volte sui suoi passi, avanti e indietro per quella galleria. All’improvviso si ricordò della lastra di pietra con la trappola. Si sentì mancare il fiato per la paura; qual era? Dov’era? Aveva un angolo sbeccato, era... si guardò intorno nel panico muovendo la torcia per farsi luce... era proprio sotto ai suoi piedi.
Dee Dee attese, trattenendo il respiro, preparandosi a far fronte all’energia stordente dell’incantesimo. Non accadde nulla.

           

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Capitolo 6
*** 1363 DR: Strati su strati di inganni ***


1363 DR: Strati su strati di inganni


Perché ha finto che qui ci fosse una trappola? Perché si è lasciato sconfiggere di proposito?
Dee Dee si rigirò questa domanda nella mente, cercando di venirne a capo. Provò a indovinare tutte le implicazioni delle scelte dell’elfo scuro.
Se il suo intento fosse stato uccidermi avrebbe potuto farlo quando ero legata all’altare in quel tempio, o quando l’ho morso. Ne avrebbe avuto più motivo.
Evidentemente non voleva uccidermi ma solo convincermi che fosse pronto a farlo.
E qual è ora la conseguenza delle sue azioni? Mi ha portata esattamente dove voleva lasciandomi credere di esserci arrivata grazie alle mie sole forze. Ora, la mia vittoria nel duello potrebbe avermi resa più sicura di me... forse
troppo sicura di me... Inoltre, siccome io so che avrebbe potuto uccidermi fin dall’inizio e non l’ha fatto, ora se non avessi scoperto il suo inganno sarei portata a credere che il suo patto fosse sincero: mi avrebbe uccisa solo se avessi perso lo scontro.
E considerando vera e sincera quella metà del patto, è così intuitivo considerare vera e sincera anche l’altra metà... ho vinto lo scontro e quindi sono legittimata a pensare che mi porterà a Skullport viva e in salute. Ma non è detto, poteva essere una menzogna.
Inoltre non ha promesso di portarmici libera. Forse mi porterà lì e mi venderà come schiava.

Dee Dee rabbrividì a quel pensiero, ricordando quello che lui le aveva raccontato sul destino degli schiavi.
No, ma che senso ha? Proprio lui mi ha parlato dello schiavismo, io nemmeno lo sapevo.
Ci riflettè ancora un momento, mordendosi le labbra. Simili pensieri la stavano mandando in paranoia, spingendola a cercare sempre nuovi livelli di menzogne in quell’inganno costruito ad arte.
Però non sarebbe stato sospetto se un drow, che dovrebbe odiare tutti gli elfi chiari, avesse semplicemente accettato in modo amichevole di accompagnarmi? Se mi avesse dipinto Skullport come una città pacifica ci avrei creduto? No, avrei sospettato un inganno. Invece così... mi parla dello schiavismo, che probabilmente è vero, e così facendo si guadagna un’immagine di sincerità. Finge di non volere la mia compagnia, in questo modo allontana i miei sospetti che voglia prendermi prigioniera. Infine fa in modo di lasciarmi credere di essere più forte di quanto non sono, facendosi sconfiggere con un trucco.
Sembra un metodo valido per farmi abbassare la guardia. Eppure, perché non mi ha catturata nel tempio? Perché mi ha lasciato recuperare i miei abiti e la mia spada?

Trovò la risposta da sola.
Perché così ha una compagna di viaggio che si dirige volontariamente e senza fare resistenza verso i suoi carcerieri. Di certo è più comodo così, piuttosto che trascinarmi a forza ed evitare che scappi.

Dee Dee prese la sua decisione. Avrebbe continuato quel viaggio da sola.
Tornò al campo che avevano montato in una stanza a singola uscita. Il drow aveva steso il giaciglio in un angolo ed era immerso nella reverie, uno stadio di trance a metà fra il sogno e la meditazione, che gli elfi praticano al posto del sonno per riposare.
Dee Dee andò a recuperare le sue cose, cercando di muoversi più silenziosamente possibile. Aveva appena riguadagnato la porta quando una voce maschile la fermò.
“Vai da qualche parte?”
Il drow era sveglio. La ragazza non aveva bisogno di voltarsi, aveva riconosciuto la voce.
Non fece l’errore di girarsi e rispondere. Corse via, tenendo una mano sulla spada e l’altra ben salda intorno alla torcia. Fra l’altro, questa prima o poi si sarebbe esaurita, ma Dee Dee non aveva tempo di pensarci adesso.

Il drow si alzò con tutta calma. Raccolse le sue cose, piegò il giaciglio e lo ripose nello zaino, poi uscì nei corridoi cercando di determinare da quale parte fosse andata la ragazza. Lei era partita di corsa, quindi non avrebbe avuto tempo di prendere decisioni ponderate o cercare le trappole. Probabilmente sarebbe bastato prestare attenzione alla direzione da cui veniva il rumore dei suoi passi, o delle trappole che avrebbe fatto scattare.

Troppo ottimista.
Non fu il leggero ticchettio dei passi dell’elfa a guidarlo, nè il rumore della sua spada che sbatteva contro una parete o lo scatto di una trappola. Fu un grido. Un grido femminile, disperato, terrorizzato, e per una volta senza difetti di pronuncia.
Vith.” Mormorò il drow, velocizzando il passo.

La ragazza era fuggita verso nord, una zona che lui stesso conosceva poco. Era rimasta invischiata in una nuvola di fili collosi, non una trappola ma qualcosa di peggio: una ragnatela.
Un ragno grosso quanto un cane stava cominciando a calarsi dall’alto, camminando con cautela sulla sua stessa tela. Sicuramente l’animale era ben consapevole che nell’Undermountain una preda poteva facilmente diventare un pericolo mortale, pertanto era cauto.
Dee Dee non lo sapeva, ma la prudenza inconsapevole del ragno le aveva appena salvato la vita. Il drow raccolse la torcia che era caduta a terra ma era ancora accesa in un angolo, e usò la fiamma per bruciare le ragnatele. I filamenti sottili vennero vaporizzati in un istante da una fiammata famelica, il passaggio del fuoco fu così rapido che l’elfa avvertì appena il calore e nemmeno i suoi capelli presero fuoco. In un istante si ritrovò libera e il ragno cadde a terra, privo del suo supporto.
“Via, sciò!” Il drow si avvicinò al ragno dimenando la spada bastarda e la torcia, e la bestia si ritrasse fuggendo nella direzione opposta.
Dee Dee guardò il ragno in fuga, poi guardò il guerriero. Avrebbe voluto dirgli molte cose: grazie, perché mi hai seguita, non verrò con te, lasciami in pace, ma non riuscì a trovare la voce.
Il drow attese che lei dicesse qualcosa, ma visto che non sembrava intenzionata farlo, decise di rompere lui il silenzio.
“Ragni come quella non divorano subito le prede. Avrebbe aperto molte piccole ferite sul tuo corpo e ci avrebbe deposto le uova. Non serve che la ferita sia profonda, le uova sono molto piccole. I ragnetti ti avrebbero divorata ancora viva.” Dee Dee non rispose, ma la sua espressione di profondo orrore parlava per lei. “Ma ehi, guarda il lato positivo. Sarebbe potuta essere la tua unica occasione di far nascere la vita e nutrire dei piccoli.”
“Ti prendi gioco di me?” Bisbigliò l’elfa, ancora sotto shock.
“Per essere stata catturata da una bestia senza cervello che anche un bambino potrebbe abbattere? Sì, giovane imbecille, mi prendo gioco di te.” Il drow le restituì la torcia. “Vuoi dirmi perché te ne sei andata?”
“Perché non mi fido di te.” Ammise lei, guardandolo in tralice.
Il drow ricambiò lo sguardo in silenzio.
Si sarà offeso? Si chiese Dee Dee. Dopotutto mi ha appena salvato la vita... di nuovo. O non è cattivo come sembra, oppure il mio valore come schiava è più alto di quanto pensassi.
“Bene. È la prima cosa sensata che ti sento dire.” Commentò lui alla fine, sorprendendola. “Ma spero che questa tua disavventura con il più incapace dei parassiti ti abbia fatto capire quanto sei inadeguata a sopravvivere qui.”
Dee Dee deglutì a vuoto, non sapendo come introdurre l’argomento.
“Avrei potuto... avrei potuto ftrappare la ragnatela. Fe foffi ftata più in forma. Ma mi fento debole, è troppo tempo che non... ecco io ho bifogno di...” Abbassò gli occhi, mortificata.
“Sangue.” Concluse lui. “Sì, me lo immaginavo.” Si sporse verso di lei e le circondò il mento con due dita, costringendola ad alzare la testa. “Hai dei bei canini, quasi delle piccole zanne. Per questo parli male. E quando la sete prende il sopravvento, come nel tempio...”
Lei si divincolò e distolse di nuovo lo sguardo. “Non vado fiera di quello che faccio.” Spiegò a bassa voce. “Poffo arrivare a perdere il controllo. Ma fe non bevo per troppo tempo, io... ecco io... non credo che fiano affari tuoi.” Decise infine.
“Bene. È sempre meglio non rivelare troppo di sé.” Il drow annuì in segno di approvazione. “Ma ho già avuto a che fare con dei vampiri; se non bevi sangue ti indebolisci, vero? Arrivi perfino a morire?”
“No!” Sibilò Dee Dee, guardandolo malissimo. “Quefto no! Io fono viva, devo mangiare cibo vero, non mi bafta il fangue.”
Si pentì immediatamente di quello che aveva rivelato; se lui aveva intenzione di prenderla prigioniera, ora sapeva che sarebbe bastato negarle il sangue per renderla catatonica, senza tuttavia ucciderla. E una schiava morta non vale nulla.
Il drow si passò una mano dietro alla testa, con aria riflessiva. “Sai cosa? Ho sentito il chierico idiota parlare di pattuglie, ieri. Pattuglie di guerrieri affiliati al culto di Cyric, sparse in giro per il Primo Livello dell’Undermountain, cioè dove ci troviamo ora. Probabilmente sono più a sud di qui, e se non si sono ancora accorti che il loro tempio è stato saccheggiato forse questi piccoli gruppi possono essere delle buone prede... per te.”
“Per me?” Dee Dee spalancò gli occhi, senza capire.
“Per la tua sete di sangue.” Chiarì il drow.
“Non... non mi fembra giufto...”
“Andiamo, scommetto che è stata proprio una di quelle pattuglie a catturarti con l’inganno!” La esortò il drow.
“Fi... credo di fi, ma...” Dee Dee non sapeva come spiegarsi. Non sapeva quale scusa inventare. Alla fine decise di affrontarlo con le armi della verità. “Nutrirfi degli umani è fbagliato.”

A questa affermazione, il drow sollevò le sopracciglia fin quasi all’attaccatura dei capelli. Prese nota mentalmente dei limiti etici della ragazza.
“Oh! Che nozione interessante. Da dove ti arriva questa idea?”
“Non fono affari tuoi.” Rispose lei prontamente, ma non riuscì a impedire alla sua mente di richiamare il ricordo di un giovane umano, scintillante nella sua armatura da paladino, con quel suo sorriso ancora più luminoso. Il pensiero di lui faceva così male, la ferita era troppo recente. Dee Dee però si rifiutò di lasciar trasparire la sua tristezza davanti a quell’individuo.
“Voglio viaggiare da fola. Il noftro accordo termina qui.” Annunciò in tono perentorio.

           

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Capitolo 7
*** 1363 DR: Rispettare le scelte altrui ***


1363 DR: Rispettare le scelte altrui


“Voglio viaggiare da fola. Il noftro accordo termina qui.”
Il drow la guardò come se fosse una minorata mentale.
“Viaggiare da sola. Qui. Dopo che sei stata catturata da un gruppetto di umani e finita nelle grinfie di un ragno, vuoi ancora viaggiare da sola.” Dee Dee sostenne il suo sguardo con coraggio, o meglio con ostinazione. “Anche sapendo che in qualsiasi momento potresti svenire per la mancanza di sangue, vuoi viaggiare da sola?” Ora aveva un tono apertamente derisorio.
“Fo che fe vengo con te diventerò una fchiava.” Sbottò lei, rivelando i suoi sospetti.
“Non era mia intenzione, ma il tuo sospetto è legittimo. D’altro canto io non ho modo di convincerti del contrario, quindi... Diventare schiava o morire nei cunicoli? Questa è davvero una scelta ardua. Scegli bene, ragazzina.”
“Tu dai per fcontato che morirò, ma non farà cofì.” S’impuntò la giovane.
“Davvero? Bene, perché ho quasi raggiunto il livello chissenefrega di questa scema, è selezione naturale.” Annunciò lui. “Quindi te lo dirò solo un’ultima volta, poi fa’ la tua scelta e addio. L’unica cosa sensata che potresti fare è tornare a Waterdeep.”
Dee Dee abbassò lo sguardo, tradendo un’espressione sofferente.
“Ho cercato di vivere a Waterdeep.” Sussurrò. “Quando Valaghar è morto fono rimafta completamente fola e fono andata al tempio di Lathander a Waterdeep. Per cinque anni io e Valaghar eravamo fcappati da loro, ma quando lui è morto io dovevo andare, loro dovevano fapere... che lui era morto facendo il fuo dovere. Aveva uccifo un lich e falvato un villaggio, volevo riftabilire la fua memoria, non era giufto che lo confideraffero un traditore per avermi aiutata. Lui era un eroe.” Si interruppe, la voce spezzata da un singulto di pianto. “Ho chiefto fe mi potevano aiutare a liberarmi di quefta... cofa che ho. I denti, la fete di fangue. Ma non c’è ftato modo. Non riuscendo ad aiutarmi hanno cominciato a chiederfi fe non foffe meglio uccidermi... se non foffi... completamente corrotta.” Stavolta scoppiò a piangere senza controllo.
I suoi singhiozzi sono abbastanza silenziosi. Considerò il drow, guardando la ragazzina che si era appoggiata a una parete e poi era scivolata verso il pavimento, rannicchiandosi a terra. È un bene che lo siano, altrimenti attirerebbe qualsiasi cosa nell’arco di un miglio.
Lasciò che continuasse a piangere. La mancanza di sonno e di sangue, unita alla fatica emotiva del pianto, la stavano chiaramente spossando. Quando alla fine lei perse conoscenza, la prese in braccio e la riportò nel luogo dove si erano accampati.

Il drow controllò che la giovane dhampir fosse ancora priva di sensi (dallo svenimento che aveva avuto sembrava essere passata ad un sonno tormentato, senza svegliarsi). Poi fece qualcosa che non avrebbe dovuto, ma che solitamente non si faceva alcuna remora a fare: frugò nello zaino della sua compagna di viaggio.
Cibo secco, acqua; il drow riconobbe le classiche provviste che venivano vendute nella Yawning Portal agli avventurieri che volevano scendere nell’Undermountain. Un giaciglio. Davvero poco altro. Ma c’era un astuccio, il classico contenitore per le pergamene, che attirò la sua attenzione.
Se fosse una pergamena magica, non la terrebbe nascosta nello zaino, ma a portata di mano. D’altro canto, non ha l’aria di essere una maga.
Controllò che non ci fossero protezioni sull’astuccio (non c’erano) e lo aprì. Conteneva una pergamena arrotolata, proprio come previsto. Il drow la svolse e cominciò a leggerla. Era scritta nel linguaggio comune della Superficie.
 
 
Io, Dorn Amblecrown, Maestro dell'Alba e Primo Inquisitore del tempio Guglie del Mattino della città di Waterdeep, il giorno 15 del mese di Kythorn dell'anno 1363 con questo documento attesto che:

 
A seguito di esaustive verifiche ed esperimenti, la creatura denominata Dee Dee, all'apparenza elfa della luna, è a tutti gli effetti una creatura vivente, anche se contaminata dall'influenza di un vampiro.

“Esaustive verifiche ed esperimenti?” Ripetè il drow sottovoce, leggendo incredulo quella sorta di certificato.

Questa attestazione tiene conto dei seguenti fattori (la lettura è facoltativa):
- La creatura presenta una moderata sensibilità alla luce diretta del sole, ma interi giorni sotto il sole non sono sufficienti a ucciderla.
- La creatura non mostra reticenza ad attraversare l'acqua corrente.
- La creatura non reagisce ai tentativi di Scacciare o Distruggere i Non-Morti con il potere sacro di Lathander.
- La creatura non mostra segni di fastidio a contatto con argento, aglio, acqua santa o simboli sacri.
- La creatura viene curata dall'energia positiva e danneggiata dall'energia negativa, come ogni creatura vivente e contrariamente ai non morti, sebbene l'energia positiva le causi dolore nel processo di guarigione e l'energia negativa non le causi alcun dolore apparente mentre la danneggia.
- La creatura necessita di mangiare e bere cibo normale, oltre che di respirare.
- La creatura presenta un lento battito cardiaco e i suoi organi sembrano funzionare normalmente.
- La creatura possiede un modesto potere di auto-guarigione, che si manifesta solo in assenza della luce diretta del sole, tuttavia può essere portata in fin di vita come ogni creatura vivente.
- La creatura non mostra particolare affinità con creature inferiori quali topi o pipistrelli, né gli altri animali mostrano paura o antipatia nei suoi confronti.
- La creatura non può trasformarsi in gas, né diventare un animale, nemmeno per salvarsi la vita.
- La creatura è soggetta alle malattie e ai veleni, anche se possiede una forte tempra che limita le possibilità di contagio e intossicazione.
- La creatura soffre di una forte dipendenza dall'assunzione di sangue, impossibile determinare se si tratti di una necessità connaturata o indotta dall'abitudine, o se vi fosse una predisposizione di fondo; la creatura non è riuscita a liberarsi di questa dipendenza nemmeno a fronte di molti tentativi e di una grande forza di volontà, tuttavia mostra di possedere un certo autocontrollo.
- Qualunque sia la natura della contaminazione non-morta che ha corrotto questa creatura, si è dimostrata essere non contagiosa: la creatura non è in grado di creare progenie, né di infettare altri con la sua condizione.

In considerazione di tutti questi fattori,
La creatura è da considerarsi Vivente, pertanto non materia di interesse per coloro che perseguono la distruzione dei non-morti. Il fatto che non possa infettare altri con la sua condizione è il fattore determinante per la mia decisione di rilasciarla in libertà. La creatura è da considerarsi pericolosa per via del suo bisogno di assumere sangue, ma non più pericolosa di una bestia selvatica o di chi sceglie il crimine come consapevole carriera professionale.

In fede, Maestro dell'Alba e Primo Inquisitore Dorn Amblecrown
 
 
Il drow era un maestro nel leggere fra le righe, quindi man mano che proseguiva nello scorrere i punti dell’elenco, un’espressione di orrore cominciò a dipingersi sul suo viso. Quello che stava leggendo, all’atto pratico, era: l’abbiamo costretta a stare sotto il sole per giorni anche se mostrava dolore, l’abbiamo lasciata senza cibo e senza acqua per vedere cosa sarebbe successo, l’abbiamo soffocata, avvelenata e intossicata, l’abbiamo ferita e messa in pericolo per stimolare una reazione sovrannaturale.
Richiuse la pergamena, nauseato. Era abituato alla crudeltà, ma non se l’aspettava dagli umani, beh, non dai seguaci di un Dio buono.
Purtroppo anche i seguaci di un Dio buono potevano compiere azioni nefande se era per un bene superiore. Guardò la ragazza che ancora dormiva; per quanto si sforzasse, non riusciva a considerarla pericolosa.
Arrotolò la pergamena con cura e la rimise nell’astuccio, poi rimise tutto nello zaino in modo che non si notasse che ci aveva frugato dentro.
Sciocca ragazzina, pensò, avvicinandosi a lei. Il mondo non è stato già abbastanza crudele con te? Avevi bisogno di andare a cacciarti in un luogo ancora più crudele?
Studiò il volto della giovane elfa, che nel sonno avrebbe dovuto essere rilassato, invece sembrava in preda agli incubi. Tutto sommato era comprensibile.
Nessuno potrà combattere le minacce della tua vita al posto tuo, non sarebbe giusto, rimarresti una cosetta debole che dipende dagli altri per avere protezione. Ma forse posso affilare la tua spada per te.
Si inginocchiò accanto alla figura dormiente, sedendosi sui talloni per comodità. Portò un braccio sotto le spalle dell’elfa, sollevandola in posizione semi-seduta, e le diede una leggera scrollata per svegliarla. La testa di Dee Dee oscillò nel sonno, poggiandosi infine sulla spalla di lui. Mugugnò qualcosa di incoerente, con voce impastata.
Poi si svegliò, con un lungo sospiro. E l’odore di un vivente, di nuovo, la colpì con la forza di un pugno riaccendendo la sua sete.
In balìa dei suoi istinti bestiali, prima di poter riprendere il controllo, affondò nuovamente i denti nel collo dell’elfo scuro.


           

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Capitolo 8
*** 1363 DR: Insospettabili atti di eroismo ***


1363 DR: Insospettabili atti di eroismo


Dee Dee bevve avidamente un sorso di sangue, riempiendosi la bocca. Il sapore del sangue... era paradisiaco, molto simile a quello degli umani, di certo meglio dello schifoso sangue di troll che beveva da bambina... ma aveva anche qualcosa di strano. Un secondo sorso confermò la sua prima impressione: buono, ma con un retrogusto acido difficile da ignorare. Eppure ne aveva bisogno per reggersi in piedi. Bevve un terzo sorso e la sua fame iniziò davvero a placarsi. Abbastanza perché recuperasse la ragione e si rendesse conto di quello che stava facendo.
Oddei, no! Non devo, non è giusto.
Ma il sangue era così buono e caldo, scorreva sotto alle sue labbra ed era così facile cedere alla tentazione di un altro sorso, solo un altro sorso...
Una mano gentile ma ferma si posò sulla sua fronte e la spinse indietro. Staccare le labbra dalla pelle calda del collo del drow l’aiutò a schiarirsi definitivamente le idee.
“Basta così.” La fermò lui, allontanandola da sé sempre tenendole una mano sulla fronte. Con l’altra mano si guarì il collo come aveva fatto il giorno prima.
“Mi... mi difpiace.” Balbettò Dee Dee, tremando per l’agitazione. “Mi difpiace, non mi fono controllata, ero debole, io...”
“Sei preoccupata per la mia reazione o sei dispiaciuta per aver fatto qualcosa che va contro la tua etica?” Indagò il drow, togliendole la mano dalla fronte.
Lei si lasciò sfuggire un leggero sospiro di sollievo. Era lieta che lui avesse usato quell’incantesimo di cura per guarirsi e non per causare dolore a lei, ma si sentiva meglio ora che quella mano pericolosa non era più sulla sua faccia.
“Entrambe le cofe?”
“Smetti di farlo. È solo la tua natura. Se io devo mangiare non mi scuso con i bambini che uccido.”
Dee Dee lo fissò con occhi colmi di orrore. Dopo alcuni secondi di silenzio pesante, il drow chiarì: “Stavo scherzando, sciocca.”
“Oh. Ehm, bene.” Commentò lei, rincuorata. “Il tuo fenfo dell’umorifmo è terribile.”
“Sono un drow.” Rispose lui, come se fosse una spiegazione.
Dee Dee si alzò, si sistemò i vestiti e poi andò a controllare il suo equipaggiamento. Era tutto al suo posto.
“Come farai la prossima volta che ti verrà voglia di sangue?” Indagò il guerriero, osservandola nei suoi preparativi.
“Non faranno più problemi tuoi.” Rispose sbrigativamente la ragazza. “Ti fono grata per avermi lafhato bere il tuo fangue fenza dare di matto o cercare di uccidermi, ma da ora in avanti me la caverò da fola.”
“Ci sono degli ogre più a sud. Il loro sangue dovrebbe essere decente, per una come te.”
“Grazie.” Dee Dee si mise lo zaino in spalla e si assicurò che il fodero della spada fosse ben agganciato alla cintura.
Arrivò fino all’uscita della stanza prima che un pensiero le fiorisse in mente. Si voltò di scatto verso il drow, assottigliò gli occhi e gli chiese in tono dubbioso: “Quanti ogre? Penfi che farei in grado di fconfiggerli?”
“Ammirevole! Stando in mia compagnia diventi intelligente.” Il drow battè le mani una singola volta. “Dev’essere una forma di contagio positivo.”
“Davvero? Ogni fcufa è buona per auto-incenfarti?” Dee Dee incrociò le braccia, caricando quel gesto di tutta la sua irritazione.
“Non saresti mai in grado di tirar giù più di un singolo ogre. Ma ho visto come combatti. Sai cogliere i vantaggi dell’ambiente e sai improvvisare. Usa il cervello oltre che la spada e avrai qualche possibilità.”

Dee Dee si addentrò nei cunicoli, da sola. A sud c’erano degli ogre e lei li avrebbe trovati.
Nessuno dei due l’aveva detto chiaramente, ma se lei non fosse riuscita in un compito relativamente semplice come nutrirsi, non sarebbe sopravvissuta facilmente nell’Undermountain o a Skullport.

A sud. Solo che non era così semplice arrivarci. Dee Dee aveva una bussola, ma spesso quei corridoi finivano in vicoli ciechi oppure la obbligavano a svoltare in tutt’altra direzione.
Alla fine, procedendo il più possibile dritta verso sud, si ritrovò in una enorme sala illuminata da una soffusa luce viola che sembrava emanare dal soffitto. Lungo i due lati della sala c’erano dei troni di granito avvolti da una luce dorata, e i loro immobili occupanti erano vestiti come antichi re... probabilmente un tempo lo erano, ma ormai erano soltanto corpi quasi inscheletriti.
Dee Dee estrasse la spada e si mise in allerta. Se c’era qualcosa di cui aveva ampia esperienza erano i non-morti. Una voce spettrale e priva di inflessione risuonò nell’aria.
“Il destino reclama tutti noi!”
Dee Dee si guardò intorno, cercando la fonte del suono, a spada sguainata. Non vide nessuno.
“Il destino reclama tutti noi!” ripetè la voce una decina di secondi dopo, sempre in tono freddo e privo di emozioni.
Dee Dee attese, con il cuore in gola. La voce ripetè il suo annuncio una terza volta. Dee Dee cominciò a contare. La frase si ripeteva ogni dodici secondi esatti.
Deve essere una sorta di trappola per spaventare chi si spinge fin qui, ma se non tocco nulla probabilmente non si sveglierà nulla, ragionò, tenendosi ben lontana dai troni. Poteva essere capace di scassinare serrature e individuare trappole, ma non aveva alcuna brama di tesori dei defunti. Ma probabilmente non c’erano tesori, valutò guardando di sfuggita i corpi. Sembrava che avessero indosso soltanto i loro vestiti, che forse molto tempo prima erano di ottima fattura ma ormai erano impregnati di secrezioni se non addirittura ridotti a stracci.
La lunga sala aveva un’uscita in fondo, per fortuna proprio a sud. Dee Dee vi si diresse con una certa fretta, accompagnata dalla cupa voce che lamentava la propria dannazione ogni piè sospinto. La compagnia dei morti non la metteva di buon umore, le ricordava troppo la sua infanzia.
Dalla porta in fondo emanava una luce violetta simile a quella della stanza con i cadaveri, ma più flebile. Dee Dee si avvicinò con cautela e sbirciò all’interno.
Sembrava un altro tempio, ma più piccolo di quello in cui era stata portata lei. C’era un altare di pietra nera (ma più grande e più lavorato di quello su cui era stata legata lei), e dietro all’altare la gigantesca statua di un ragno. C’era una ragazza legata all’altare (ma allora è proprio un vizio! pensò Dee Dee), e a farle la guardia due figure minute, che alla luce soffusa sembravano due schegge di oscurità: drow, che indossavano raffinate armature nere.
Quel drow mi ha detto di andare a sud e facendolo ho trovato un tempio di suoi simili. Voleva che venissi qui? Mi ha mandata in una trappola di proposito? Ma hanno già una vittima sacrificale. Un istante dopo Dee Dee si vergognò di quel pensiero, ma era stata una riflessione puramente pragmatica.
Devo salvare quella povera ragazza. Sono solo in due, potrei farcela, ma se sono bravi nel combattimento come il drow che ho incontrato... non ho molte speranze.
“Il destino reclama tutti noi!” disse la solita voce, e la giovane si affrettò a nascondersi dietro alla parete, temendo che quella voce avrebbe attirato l’attenzione dei due elfi scuri. Ma loro non si voltarono.
Questa voce che sento... risuona davvero, o è solo nella mia mente? O forse non supera i confini della stanza? Dee Dee mise da parte quell’interrogativo inutile, per il momento. Doveva decidere cosa fare con la ragazza. Era chiaramente viva, ogni tanto cercava di liberarsi e mugugnava sotto la benda che aveva fra i denti.
Povera creatura. Non posso lasciarla lì. Non so se riuscirò a salvarla, però... Valaghar lo avrebbe fatto. E forse lei ha una vita a cui tornare, a differenza di me.
Dee Dee strinse la presa sulla spada, cercando di farsi forza. Aveva ricevuto un inaspettato favore dal destino, quando il guerriero drow aveva deciso di salvarla dai seguaci di Cyric anche se il suo scopo probabilmente era solo distruggere il tempio. Era arrivato il momento di pagare il pegno per la fortuna ricevuta e di fare la sua parte aiutando qualcun altro.

Dee Dee attese finché fu certa che le guardie drow le stessero voltando le spalle, poi entrò di nascosto. Gli elfi scuri hanno un ottimo udito e sono abituati a stare allerta contro nemici furtivi, ma lei aveva passato metà della sua vita a sgattaiolare in mezzo a non-morti che non aspettavano altro che allungare le mani su una creatura vivente.
Riuscì ad avvicinarsi parecchio prima che si accorgessero di lei. Fu sfortuna: una delle due guardie, una femmina, si girò e la vide. Di certo la sua pelle chiara risaltava nitidamente nella stanza buia, e inoltre la fonte di luce era proprio oltre l’altare; erano gli occhi del ragno ad emettere quel bagliore tetro. I drow si stagliavano contro quella luce e per lei erano solo sagome indistinte, non riusciva a vedere i loro lineamenti, ma si rese conto che la guerriera nemica si era girata verso di lei e aveva gridato una parola d’allarme.
Dee Dee si gettò sull’altra guardia, un’altra femmina, prima che potesse estrarre le sue armi. La trafisse allo stomaco con la spada lunga che era appartenuta a Valaghar e provò un senso di giustizia nel farlo. La guardia che per prima l’aveva vista le puntò contro una piccola balestra, ma Dee Dee fu abbastanza svelta da ripararsi dietro alla femmina che aveva ferito e da usare il suo corpo come scudo. Il dardo di balestra si conficcò nella nuca della guardia drow, che si irrigidì e divenne un peso morto per Dee Dee. La lasciò cadere a terra e si gettò sulla drow rimasta, sperando, pregando che fosse l’ultima.
Presto Dee Dee si rese conto che questa drow non era assolutamente una guerriera esperta come il primo che aveva incontrato, e nemmeno esperta quanto Valaghar o lei. Dee Dee uscì da quello scontro lievemente ferita, ma soddisfatta di essere riuscita a tagliare la gola alla sua avversaria. L’odore del sangue le raggiunse le narici e titillò il suo interesse, ma per quel giorno aveva già bevuto e non ne sentiva il bisogno fisico. Si diresse all’altare, per studiare che tipo di catene tenessero prigioniera la ragazza, e come liberarla. Avvicinandosi, si accorse di tre cose simultaneamente. La prima, era che la fanciulla era un’elfa della luna.
E ti pareva, pensò con una smorfia.
La seconda, era che i legacci che la tenevano inchiodata all’altare erano in realtà fitte e appiccicose ragnatele. Ricordò che l’altro drow aveva usato il fuoco per liberarla dalle ragnatele e rimpianse di non avere più la sua torcia, ma forse con l’acciarino e la pietra focaia...
Ma rimandò quel compito a dopo, perché la terza cosa di cui si accorse immediatamente fu un grosso ragno peloso che da dietro all’altare si arrampicò sul corpo della vittima. No, non uno. Erano molti. Dee Dee alzò lo sguardo e imprecò silenziosamente. Erano decine, abbarbicati sulle ragnatele che sovrastavano l’altare, o nascosti dietro di esso.
Dee Dee fece un passo indietro, pensando a come poteva liberarsi dei ragni senza che mordessero o colpissero la ragazza immobilizzata. Ma non ci fu tempo per pensare a lungo, perché in quel momento, da una delle entrate laterali, comparve una femmina drow vestita come una sacerdotessa.
Come si accorse di Dee Dee, si fermò stupefatta, e il suo sguardo corse ai corpi delle sue guardie morte. Ovviamente gridò una parola d’allarme.
Dalla stessa porta, sette guardie drow si riversarono nel tempio, aprendosi a ventaglio e puntando le loro piccole balestre contro Dee Dee.
Oh, merda.


           

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Capitolo 9
*** 1363 DR: Fazioni ***


1363 DR: Fazioni
 

La sacerdotessa drow berciò degli ordini nella sua lingua incomprensibile e i suoi soldati risposero prendendo la mira su di lei. Sette scatti di balestra quasi contemporanei. Dee Dee provò a evitare i subdoli dardi avvelenati, ma almeno tre di essi riuscirono a conficcarsi nelle parti del suo corpo che non erano protette dall’armatura. Dee Dee avvertì il veleno che entrava in circolo e lottò con tutte le sue forze per combatterlo; il suo corpo sembrava voler diventare insensibile, le palpebre pesanti, la sua mente avrebbe volentieri chiuso i battenti... ma non poteva. Scrollò la testa per schiarirsi le idee e vide che i drow le si stavano avvicinando. Mosse due passi avanti, barcollante, e cadde a terra.
La sacerdotessa pronunciò un altro comando e Dee Dee attese, con il cuore in gola. Rimanere lì per terra, ad occhi chiusi, fingendosi svenuta mentre i suoi nemici si chinavano su di lei, fu una delle prove più difficili della sua vita. Ma quando aveva capito che il veleno era inteso per farla svenire, non per ucciderla, le era venuto un sospetto: forse i drow non intendevano ucciderla subito. Forse l’avrebbero torturata, interrogata, o sacrificata, altrimenti avrebbero potuto infettare i dardi con un veleno mortale.

Due delle guardie la sollevarono per le braccia e la portarono davanti alla sacerdotessa, scaricandola ai piedi della potente drow. La femmina ricominciò a parlare in quella lingua che Dee Dee non capiva. La giovane elfa socchiuse gli occhi, sperando che non la stessero guardando in viso proprio in quel momento. Davanti a sé, a un palmo dal naso, aveva gli stivali neri eleganti della sacerdotessa. Cercò con lo sguardo quello che pregava ci fosse, insomma nessun drow sarebbe mai andato in giro senza... Eccolo! Un sottile coltello nello stivale.
Dee Dee agì in modo fulmineo: afferrò l’impugnatura del coltello con le sue dita agili, lo estrasse e lo piantò nel piede della sacerdotessa.
La drow gridò e fece un passo indietro, zoppicando. Nonostante il dolore riuscì ad afferrare la sua mazza e cercò di colpire Dee Dee alla spalla, ma la ragazza era ancora china a terra e riuscì facilmente a evitare il colpo. Dee Dee si alzò. Le altre guardie si scambiarono grida di allarme e accerchiarono le due combattenti, ma esitavano a usare di nuovo le balestre per timore di colpire la loro padrona. La drow forse si aspettava che la giovane elfa sguainasse la spada, ma Dee Dee la colse di sorpresa: spalancò la bocca, mostrando i canini affilati, e le saltò al collo.

I canini affondarono nella tenera carne e cominciò a succhiare il sangue della sua nemica, con più foga di quando doveva nutrirsi; non aveva bisogno di sangue (anche se era piacevole), voleva soprattutto indebolire l’elfa scura.
Le guardie fecero un passo indietro, inorridite, e una di loro lasciò cadere la balestra e scappò verso una delle uscite. Dee Dee pregò che il guerriero fosse fuggito per paura e non per chiamare aiuto.
La sacerdotessa riuscì in qualche modo a recuperare abbastanza lucidità mentale da sussurrare un incantesimo e rilasciarlo sull’elfa dhampir con un tocco della mano. Dee Dee riconobbe il dolore bruciante di un incantesimo di cura e gemette, esagerando il suo tormento. Voleva che la sacerdotessa la credesse ferita, quando in realtà sapeva che simili incantesimi non potevano nuocerle, anzi, l’avrebbero guarita perché lei era viva, non era un vero vampiro.
Ma, come aveva sperato, la sua nemica non lo sapeva. Mostrarle i denti prima di attaccare era stata una buona mossa, perché ora la drow credeva di avere a che fare con un non-morto e avrebbe agito di conseguenza. Dee Dee immaginava che l’intelligente nemica si sarebbe accorta presto di aver fatto un errore di valutazione, ma sperava di averla uccisa per allora.
Bevve un altro sorso e avvertì che la sacerdotessa cominciava davvero a indebolirsi.
Le sue guardie però non erano più in preda alla sorpresa e si avvicinarono brandendo le loro spade corte per attaccare Dee Dee. Lei era impegnata a tenere ferma la sacerdotessa e questo la rendeva un facile bersaglio, purtroppo, e finché quella stronza non si fosse degnata di morire...
Per timore di colpire la loro signora, i guerrieri della sua scorta peccarono di eccessiva prudenza e solo tre di loro riuscirono a colpire la fanciulla elfa, ma quei tre la trafissero come una bambola di paglia, aprendosi un varco nella sua armatura di cuoio. Il sangue che aveva bevuto però l’aveva ristorata, e il secondo incantesimo di cura della sacerdotessa aiutò a guarire in parte le sue ferite.
Dee Dee continuò a bere, sapendo che avrebbe dovuto sbrigarsi a uccidere la drow. Dopo questo incantesimo si sarebbe di certo resa conto che l’energia positiva dei suoi incantesimi guariva la dhampir, non la feriva. Quello che però non aveva calcolato era lo strano senso di nausea che stava cominciando a sentire. Il sangue della drow aveva un retrogusto acido, come quello del guerriero da cui aveva bevuto in precedenza, ma non pensava che potesse essere qualcosa di nocivo.
Si sbagliava. Capì che avrebbe dovuto staccarsi dal collo della sacerdotessa oppure si sarebbe presto trovata piegata in due a vomitare tutto quel sangue. I guerrieri cercarono di colpirla di nuovo, un paio di loro con successo, ma altri due la afferrarono di peso per le braccia e la staccarono dalla loro sacerdotessa.
Con sei guardie ancora in perfetta salute, la sacerdotessa (purtroppo) ancora viva e quello strano senso di nausea che la faceva sentire impacciata, Dee Dee si rese conto di essere arrivata alla fine.
Affrontò la chierica drow a testa alta. Qualunque cosa le avrebbero fatto, era fiera di aver combattuto al suo meglio e di non essere fuggita abbandonando la povera donna legata all’altare. Se avesse deciso di voltarsi e guardare dall’altra parte, sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato.
L’elfa scura la guardò con occhi carichi d’odio, tamponandosi il collo con una mano per fermare l’emorragia. Aprì la bocca, forse per condannarla a morte, ma la sua voce si spense quando una freccia luminosa le si conficcò nella gola. La drow ansimò, strinse una mano attorno all’asta della freccia, ma un momento dopo quella scomparve come se fosse stata davvero fatta di sola energia luminosa. Rimase un buco nel collo della drow, da cui perse un fiotto di sangue. La sacerdotessa cadde sul pavimento, morente. Una seconda freccia, quasi in contemporanea, trafisse alla schiena uno dei drow che trattenevano Dee Dee. Il guerriero la lasciò andare e si accasciò a terra.
Gli altri cinque si guardarono intorno sulla difensiva, cercando di capire da dove fosse venuto l’attacco. Dalla precisione con cui aveva colpito il collo della sacerdotessa doveva trovarsi alle loro spalle, ma al di sopra del livello del terreno.
In effetti, dietro di loro c’era un altro elfo scuro. Levitava a mezz’aria, come molti drow sanno fare, reggeva un arco lungo in una mano e la parte inferiore del suo viso era coperta da un velo nero.
“Il Signore Mascherato avrà le vostre vite!” Annunciò in lingua drow, con una risata terrificante. “Morite, miserabili schiavi dei ragni.”
Dee Dee non capì una parola di quel discorso, ma si rese immediatamente conto del cambiamento radicale nell’atteggiamento dei drow: la lasciarono andare, anzi praticamente la spinsero via come una bambola rotta, e puntarono le balestre contro il nuovo arrivato. Dee Dee si accorse che i loro volti erano deformati dall’odio e che quell’odio aveva cristallizzato la loro attenzione sul drow dal viso coperto.
Stupido, da parte loro. Dee Dee ne trafisse uno al fianco con la spada lunga, godendo nel vederlo accasciarsi a terra, poi corse a liberare la ragazza sull’altare. Era un’elfa della luna, come lei, terrorizzata come lo era stata lei. Dee Dee aveva previsto di bruciare le ragnatele ma in quel momento cercare acciarino e pietra focaia nel suo zaino era fuori questione. Cercò di liberarla tagliando le ragnatele con la spada, ma capì subito che la consistenza collosa di quegli ammassi di fili appiccicosi avrebbe reso il suo compito lungo e difficile.


           

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Capitolo 10
*** 1363 DR: Prendersi le proprie responsabilità ***


1363 DR: Prendersi le proprie responsabilità


Dee Dee cercò di liberare la ragazza legata all’altare, ma aveva la sensazione di sprecare troppi preziosi secondi con quei fili collosi che non volevano farsi tagliare. Sentiva il battito del suo cuore rimbombarle nelle orecchie, le sembrò quasi che il tempo stesse rallentando. Sapeva che da un momento all’altro le sarebbe potuto arrivare un coltello nella schiena.
Gli occhi della prigioniera erano bendati con la stessa ragnatela che le copriva anche la bocca, ma si era accorta che qualcuno stava facendo qualcosa ai suoi legacci e aveva ripreso a dimenarsi. Per fortuna i ragni giganti, da creature codarde qual’erano, si tenevano alla larga spaventati dal rumore del combattimento.
Combattimento che alla fine si concluse, quando uno degli ultimi due soldati del tempio scappò per avere salva la vita e il suo compare venne ucciso sul colpo.
Dee Dee si voltò, spada in mano. Non era riuscita a liberare l’elfa ma almeno l’avrebbe protetta.
Il drow mascherato ora brandiva una spada bastarda, ma la teneva puntata verso terra. Dee Dee aveva già visto quella spada.
“Mi hai feguita!” esclamò indignata, senza smettere di puntargli contro la sua arma.
Il drow rinfoderò la bastarda e si abbassò il velo che gli copriva la bocca e il mento.
“Sei oltremodo divertente. Come un guitto.” Si giustificò lui.
“Non ho bifogno che mi ftai attaccato.”
“No, infatti. Non ci sono decine di ragni giganti che stanno calando su di noi e sulla tua preziosa elfa, dopotutto.”
Dee Dee si voltò di scatto e soffocò un’imprecazione. Era vero.
“Come li uccido tutti?” Mormorò scoraggiata.
“Non serve. Sono solo animali senza cervello.” Obiettò il drow.
Dee Dee si accorse con la coda dell’occhio che stava cercando qualcosa nel suo zaino.
“Fe ftai per fare qualcofa falla in fretta.” Pregò in tono semi-disperato.
Il drow finalmente estrasse un piccolo oggetto dai meandri dello zaino. Era un giocattolo meccanico di metallo, grande quanto un palmo, che rappresentava una specie di spiritello con le gambe di un grillo; aveva in braccio un piccolo violino. Il drow posò il giocattolo sull’altare e pronunciò una parola di comando che Dee Dee non capì. Lo spiritello di metallo cominciò a muoversi dapprima un po’ a scatti, poi con sempre maggior scioltezza, producendo una musichetta allegra. I ragni reagirono agitando le zampe e allontanandosi in tutta fretta dall’altare, come se quel suono li disturbasse. Dee Dee ammirò con stupore quel comportamento e il piccolo oggetto che ne era la causa.
“Ma... quello ftrumento è folo un pezzo unico di metallo.” Osservò la ragazza indicando il violino. “Come fa a fare quei fuoni?”
“Magia, ovviamente.” Rispose il drow, lapidario. “Mi occorreva un oggetto magico che respingesse gli insetti e gli aracnidi. Ho commesso l’errore di commissionarlo ad un bardo.”
Dee Dee rinfoderò la spada e cercò l’acciarino e la pietra focaia nel suo zaino. Dopo qualche tentativo riuscì a produrre una scintilla abbastanza grande da bruciare per il tempo necessario da innescare una combustione delle ragnatele. In un istante le mani della povera elfa furono libere. Dee Dee passò a liberare i piedi mentre la ragazza cercava di togliersi la ragnatela dagli occhi e dalla bocca. Alla fine, con qualche difficoltà, ci riuscì.
Sapeva che c’erano almeno due persone lì accanto a lei, ma quando si rese conto che una delle due era un drow sembrò congelarsi per il terrore.
“Ehi, va tutto bene.” Dee Dee le si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla, parlandole in lingua elfica. “Fei libera adeffo.”
“No!” l’altra ragazza si coprì il viso con le mani, tossendo qualche pezzo di ragnatela. “Non mi lasceranno andare!”
Dee Dee si accorse che stava guardando il drow, con la morte negli occhi.
Prevedibile, ragionò. Avrei dovuto farlo allontanare prima di liberare la ragazza.

“Va bene, ci sono già fin troppi elfi in questa stanza per i miei gusti.” Annunciò il drow, parlando direttamente a Dee Dee in lingua comune, come faceva di solito. “Scopri chi è quella sciocca creatura ed occupatene.”
Dee Dee lo guardò senza capire.
“Come fcufa?”
Il drow ricambiò lo sguardo, ma i suoi occhi esprimevano solo irritazione.
“Tu hai scelto di salvarla, quindi ora è una tua responsabilità. Guardala, possiede solo gli stracci che indossa. Non è di qui, non è nemmeno un’avventuriera. Se la lasci qui morirà, e allora tanto valeva lasciarla in mano a quei drow, no?”
“Come... devo farlo io?” Dee Dee guardò la ragazza elfa, perplessa. La poverina aveva un’aria disperata, terrorizzata.
“Di certo non lo farò io.” Rimarcò il drow, avviandosi verso una delle uscite. “Decidi in fretta, quell’odioso strumento continuerà a suonare solo per un’ora e mezza.”
Dee Dee scosse la testa e si costrinse a reagire, colta nel vivo da quest’ultima provocazione. L’elfo scuro aveva ragione, la ragazza doveva essere portata al sicuro, solo che non si aspettava di doverlo fare lei.
Ma certo, se non io chi altri? Si rimproverò mentalmente. Se fossi riuscita a salvarla con le mie sole forze, ovvio che avrei dovuto occuparmene.
“Non preoccuparti, io ti riporterò... indietro.” Le disse, cercando di evitare il più possibile le parole con la s. Non voleva attirare l’attenzione sui suoi canini. “Come ti chiami? Da dove vieni?”
“M-mi chiamo Maith Slenderbow. Vivo nella Grande Foresta. Accompagnavo i miei genitori in una missione c-commerciale a Waterdeep... oh, non avrei mai dovuto lasciare i miei boschi! Voglio tornare a casa!” Maith scoppiò in lacrime, nascondendosi di nuovo il viso fra le mani.
“Tranquilla, va tutto bene.” Ripetè Dee Dee. “Ti hanno portata qui i drow?”
“Mi hanno catturata.” Raccontò, con voce rotta dai singhiozzi. “I d-drow. Non so perché! Mi avrebbero uccisa, lo so!”
“I tuoi genitori ti cercano ancora a Waterdeep, immagino?” Continuò, prendendosi la libertà di circondare le spalle della ragazza con un braccio per sostenerla mentre l’aiutava a scendere dall’altare.
“C-credo di sì. Saranno preoccupatissimi... ma non so dove sono, non so come tornare da loro, non conosco nemmeno la città.”
Diamine, sembra proprio che dovrò accompagnarla tenendola per mano fino a che non avremo trovato la sua famiglia. Dev’essere sotto shock, oppure è davvero del tutto incapace di badare a sé stessa. Non vorrei tornare in Superficie... ma devo.

Dee Dee afferrò il giocattolo metallico del drow e se lo mise in tasca. Avvolse il suo caldo mantello attorno alle spalle dell’elfa della luna e la condusse fuori dalla stanza. Uscendo, vide che il drow era appoggiato contro alla parete esterna della stanza del tempio, che poi era la parete interna della stanza dei troni con gli antichi re defunti. Lei gli restituì il suo grillo che ancora faceva musica, e lui in cambio le mise in mano due monete d’oro.
“Perché?” Domandò lei, guardando con stupore le monete. Avevano sopra il simbolo di un teschio.
“Esiste un detto, qui nell’Undermountain: ti do una moneta d’oro se ti levi dai coglioni. Deriva dal fatto che il passaggio per la Superficie costa una moneta d’oro.” Spiegò con un sorriso sardonico. Accennò alle due monete con un gesto della mano. “Una per lei, una per te.”
“Dammene tre allora, me ne occorre una per il ritorno.” Ribatté Dee Dee con sicurezza.
“Non sono qui per pagarti la droga, ragazzina.” Rispose il drow in tono stranamente serio. “Hai già rischiato la vita tre volte in due giorni, ma sei comunque decisa a tornare qui. Il tuo bisogno di emozioni forti non è una mia responsabilità.”
Dee Dee accolse quell’insinuazione con un’espressione oltraggiata, ma non riuscì a trovare una valida risposta. Rivolse al drow un brusco e maleducato gesto di commiato, poi prese Maith sottobraccio e la condusse con sè. Riuscì a ritrovare con sicurezza la strada che conduceva al pozzo della Yawning Portal, la locanda da cui si poteva accedere all’Undermountain e viceversa. Chiamò il magico montacarichi e pochi minuti dopo entrambe le elfe riemersero alla luce del sole. Dee Dee pagò il locandiere senza dire una parola.
Maith continuò a voltarsi indietro finchè non ebbero guadagnato l’uscita, come se si aspettasse di essere seguita da un esercito di elfi scuri.
Era una giornata nuvolosa, cosa di cui Dee Dee era grata. La luce del sole le causava dolore, ma solo se i suoi raggi potevano investirla con tutta la loro forza. Una giornata nuvolosa era abbastanza sicura, ma per ogni evenienza cercò nello zaino il suo amato cappello, un regalo di Valaghar.

Dee Dee non sapeva come trovare i genitori di Maith, quindi cercò una guardia cittadina. La guardia le consigliò di andare direttamente al loro quartier generale, se qualcuno era venuto a chiedere aiuto per una persona scomparsa di sicuro doveva essere passato da lì.
Le guardie cittadine furono molto gentili con loro, avevano parecchie denunce di persone scomparse ma poche di esse riguardavano elfi, inoltre la scomparsa della ragazza era recente e i genitori di Maith avevano lasciato un recapito a cui essere contattati. La fanciulla riuscì a riabbracciare i suoi genitori meno di un’ora dopo. In quel lasso di tempo Dee Dee era rimasta vicina alla giovane, rassicurandola sul fatto che sarebbe finito tutto bene e che ormai era libera, e le due avevano cominciato a legare. Scoprì che Maith aveva quasi quarant’anni, era una giovinetta per gli standard elfici.
Ma ha comunque il doppio della mia età, pensò Dee Dee, confrontando mentalmente le loro capacità e i loro caratteri. Si vede che io sono dovuta crescere più in fretta.
Dee Dee raccontò a Maith il motivo per cui si trovava nell’Undermountain, la realtà sulla sua condizione, il fatto che non ci fosse un posto per lei sotto il sole né sotto le fronde delle foreste degli elfi.
“Ti invidio perché hai dei genitori che ti cercano.” Confessò alla fine. “Mia madre era completamente fuccube del fuo fignore vampiro, non aveva più una fua volontà. Quando fono fuggita ho cercato mio padre, nella Forefta Ardeep, ma il fuo clan mi ha accolto a colpi di freccia. Ero folo una ragazzina, ma per loro ero un moftro. Non ho un altro pofto dove andare fe non in mezzo ai moftri.” Sussurrò.
Maith tenne una mano di Dee Dee fra le sue per tutto il tempo. “Non sei un mostro. Non dirlo. Mi hai salvato la vita. Sei stata così coraggiosa.”
Il calore delle mani dell’elfa contro la sua pelle fredda riuscì a darle un po’ di conforto, e Dee Dee quasi credette a quelle parole.

Quando le guardie riuscirono a rintracciare i genitori di Maith, i poveri elfi erano al settimo cielo per aver ritrovato la figlia. Coprirono Dee Dee di ringraziamenti e belle parole, ma a nessuno dei due sfuggì la verità sulla natura della dhampir. I canini, il pallore, il fatto che rifuggisse dal sole. Furono gentili e cortesi e le offrirono una ricca ricompensa per aver salvato la loro adorata figliola, ma nessuno di loro sfiorò nemmeno per sbaglio la possibilità di invitarla a stare con il loro clan.
Dee Dee rifiutò la ricompensa, chiedendo invece una singola moneta d’oro come gesto simbolico.
Ne ho bisogno per la mia droga, pensò, mentre si dirigeva di nuovo verso la Yawning Portal. Al diavolo Maith, al diavolo i suoi genitori. Se penso a quel che mi ha dato questa noiosa missione del riportarla a casa... solo altro dolore, altri rifiuti. Che cosa mi ero messa in mente? Che la gratitudine di quella sciocca potesse diventare amicizia? Che mi avrebbero accordato la loro fiducia e accolta fra loro? Illudersi è stato così doloroso. Avrei anche potuto lasciarla crepare. Nel momento stesso in cui formulò quel pensiero, se ne vergognò profondamente.
Pensò a questo mentre scendeva con il montacarichi verso il primo livello dell’Undermountain. Pensò al suo dolore, al rancore che generava, al suo istinto di salvare la ragazza quando l’aveva vista in pericolo. Era davvero un suo istinto, oppure il tempo passato con Valaghar l’aveva condizionata? Chi era lei? Era l’eroina che avrebbe voluto essere, che aveva promesso a Valaghar di essere, oppure era ancora la ragazzina egoista che aveva ucciso la sua unica amica cinque anni prima e che poi era fuggita da sola?
Prima ancora di toccare terra al primo livello del dungeon, Dee Dee si accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime. Scese dal montacarichi, si rannicchiò in un angolo di quella sala abbastanza sicura, e si abbandonò al pianto e all’autocommiserazione. Vedere la pedana magica che tornava verso l’alto la fece immaginare di aver bruciato un ponte alle sue spalle. Si era rinchiusa da sola in quella prigione, ma era pur sempre una prigione.

Dee Dee pianse per quasi un’ora, poi si asciugò le lacrime e si decise a rialzarsi. Controllò di avere la spada a portata di mano e si spinse di nuovo nei cunicoli oscuri, verso il ventre di Toril.
“Fe devi feguirmi, tanto vale che facciamo la ftrada infieme.” Disse a voce alta, dopo una decina di passi.
Il drow uscì da dietro un angolo e si portò accanto a lei.
“Ah, non lo so. Non sono in vena di sopportare i tuoi pianti.”
“Nah. Ho finito.” Dee Dee scrollò le spalle come se nulla fosse. “E ora credo di aver capito perché mi fegui. È quella tua dannata idea della refponfabilità, vero? Mi hai falvato la vita e ora devi portarmi a cafa viva e in falute, altrimenti avrai fatto un lavoro a metà.”
Il drow non confermò quella tesi, ma nemmeno la negò.
“Folo che io non ho una cafa. Voglio fare di Fkullport la mia cafa. Perché ti rifiuti di portarmi lì?”
“Una casa è un luogo dove puoi essere te stessa liberamente, e liberamente puoi andartene.” Rispose lui, finalmente. “Tu non ne saresti in grado. Se ti portassi a Skullport ora saresti una vittima, una prigioniera incapace di riattraversare il dungeon per andartene, nel caso volessi farlo. Come moltissimi abitanti di quella città.”
Dee Dee gli rivolse uno sguardo vuoto.
“Come faccio a liberarmi di te? Magari, fe ti falvaffi la vita a mia volta...?”
“Improbabile. Scusa eh, ma è davvero improbabile.” Commentò il drow con una smorfia. “Ma se anche fosse, questo non mi solleverebbe dal mio obbligo ma lo renderebbe reciproco, per come la vedo io.”
“Che devo fare allora?” Sbottò lei aprendo le braccia in un gesto di impotenza.
“Mostrami che non hai bisogno di protezione.” Rispose prontamente lui. “Arriva a Skullport e fanne davvero la tua casa.”
Dee Dee sostenne il suo sguardo per un lungo momento.
“Finora ho fempre fallito in quefto. Ogni volta che fono andata all’avventura da fola ho incontrato pericoli più grandi di me. Puoi infegnarmi tu a fopravvivere? A non effere una vittima?”
Per la prima volta, il drow le concesse un sorriso. Era un sorriso dannatamente serio.
“Pensavo che non me lo avresti mai chiesto.”

           

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Capitolo 11
*** 1363 DR: Trovare un campo base ***


1363 DR: Trovare un campo base


“Come dovrei fare per imparare tutto quel che mi ferve per fopravvivere?” Domandò Dee Dee.
“Tanto per cominciare non dovresti parlarmi mentre cerco trappole. Tende ad abbassare le nostre chance di sopravvivenza.” La zittì il suo compagno di viaggio, intento ad analizzare alcuni fori sospetti sulla parete. “È evidente che da qui usciranno dei dardi, ma dov’è l’innesco della trappola?” Mormorò fra sé.
“Non fei molto bravo a cercare trappole.” Osservò Dee Dee.
“Non sei molto brava ad ascoltare le mie indicazioni.” Ribattè lui.
Tastò il pavimento in silenzio per un minuto buono.
“Nah. Non la trovo.” Si alzò, guardando il pavimento come se gli avesse fatto un torto. “Fai qualche passo indietro, ragazzina.”
Senza aspettare risposta si addentrò per quel corridoio, camminando lentamente. Ad un certo punto calpestò una frazione di pavimento che si mosse leggermente verso il basso. Si gettò a terra fulmineo, perché aveva tenuto a mente l’altezza a cui si trovavano i fori. I dardi scattarono sopra alla sua testa senza fare danno.
“Ful ferio? Non riefhi a trovare una trappola e quindi la fai fcattare?”
“Trovarle è molto più difficile che evitarle.” Si giustificò il drow, rialzandosi. Si spazzolò i vestiti con le mani. “Per non parlare di quanto fa schifo dover tastare il terreno per cercare le trappole, insomma la gente ci mette i piedi lì, dopo aver pestato chissà cosa.”
“Ah, fei pure fchizzinofo.” Annotò Dee Dee. “Come fono fortunata.”
“Hai idea di quanto sia difficile trovare acqua nel sottosuolo? Non perdere mai occasione di riempire il tuo otre o di lavarti, perché non sai quando potrai farlo di nuovo.” L’ammonì lui. Dee Dee riconobbe la lezione dietro a quell’inutile alterco e mandò a mente tutto quanto.
Difficile trovare le trappole. Difficile trovare acqua. Lo terrò presente.
“Poffo cercare io le trappole? Ce n’erano molte nel luogo in cui fono nata, foprattutto trappole magiche.”
Stabilirono una routine di marcia in cui Dee Dee cercava trappole e il drow andava in avanscoperta per verificare se lei avesse ragione. La giovane avventuriera si rese conto di non essere poi così esperta di trappole come pensava.
“Beh, non sei male però.” Le concesse il drow, dopo molte ore passate a procedere in quel modo. “Se desideri specializzarti nel trovare e disarmare trappole potresti diventare un’utile battipista per qualche gilda o compagnia mercantile, a Skullport.”
“Non lo fo.” Dee Dee storse la bocca, pensando alle sue diverse remore. “Da quel che mi hai detto prima, mi fono fatta l’idea che le gilde e i mercanti di Fkullport fi occupino di traffici che vanno ben oltre i miei limiti etici.”
“Hai appena descritto quasi qualunque esercizio commerciale di Skullport.” Confermò lui.
“Inoltre ho bifogno di fangue, e viaggiare da fola nelle gallerie non credo che farebbe faggio. Non ho la certezza di trovare fempre delle creature... commeftibili, in quel fenfo.”
Il drow rispose con una scrollata di spalle. “Non conosco i tuoi gusti.”
“Ecco, a propofito di quefto... mi fono fentita male quando ho bevuto il fangue di quella religiofa.” Raccontò Dee Dee, ricordando la sensazione di nausea che aveva provato. “Perchè? Ne hai un’idea?”
Il guerriero sospirò e abbassò la testa in cenno di assenso. “Non ne sono sicuro, ma credo sia perché il sangue di drow non è tutta ‘sta botta di salute.” Tentò di spiegare. “Abbiamo parecchie schifezze in circolo. Contaminazioni di eredità demoniache, e via dicendo.” L’elfa gli rivolse uno sguardo di puro disgusto. “I veri vampiri sono immuni ai veleni e ai liquidi tossici quindi si limitano a disdegnare il sangue di drow perché ha un retrogusto sgradevole. Ma tu non sei immune alle sostanze nocive e avevi già bevuto il mio sangue poche ore prima, quindi ti sei sentita male.”
“È per quefto che non hai paura di me?” Comprese Dee Dee, un’affermazione più che una domanda. “Perché fai che il tuo fangue mi darebbe la naufea molto prima che io arrivi a ucciderti?”
Il drow considerò diverse risposte a quella domanda; Se bevessi da me ogni giorno potresti uccidermi comunque, Non ho paura di te perché potrei facilmente sconfiggerti, Non ho paura di te perché no e basta, ma alla fine si limitò ad annuire.
“Esatto, sì. È per questo.”
Dopotutto era una mezza verità. La tossicità del sangue drow era il motivo per cui riusciva a dormire in presenza della dhampir.
L’elfo scuro condusse Dee Dee ad una stanza enorme, in quella che a detta sua era la zona meridionale del primo livello del dungeon. Quell’ampia sala vuota sarà stata larga più di trenta metri, e lunga altrettanto. Non c’era alcun segno di mobilio o di architettura particolare, tranne le colonne incastonate nel muro che reggevano l’alto soffitto. Conteneva un singolo abitante. Quando lo vide, Dee Dee rischiò di svenire per lo spavento.
“Non... non penfi che quefto potrebbe effere un po’ ecceffivo per una principiante come me?”
Il drow spostò lo sguardo dall’elfa terrorizzata al gigantesco drolem, un golem che ricordava un drago ma sembrava che qualcuno l’avesse costruito cucendo insieme parti di draghi diversi. In effetti, era proprio così.
“Mi fa piacere che ti consideri una principiante. È sempre sensato ammettere che si ha qualcosa da imparare.” Osservò in tono allegro. “Ma non preoccuparti di lui, non è aggressivo, a meno che tu non provi ad avvicinarti alla botola che difende.”
“Quale...”
“Ci sta seduto sopra. Non puoi vederla.”
“Oh.” Dee Dee studiò la creatura per un lungo momento. Li aveva visti, ma sembrava aver deciso di ignorarli.
“Non so chi lo abbia costruito, ma è chiaramente un guardiano privo di volontà. Se rimaniamo vicini alle pareti esterne non ci darà fastidio. Risponde solo a determinati stimoli: un tentativo di arrivare alla botola, oppure un attacco.”
“Lo fai perché ci hai provato?”
“Lo so perché ho visto altri provarci.” Raccontò con una mezza risata. “Io non sono pazzo. Quella cosa è immune praticamente a tutto.”
“E fiamo qui perché...?”
“Questo è uno dei migliori posti per montare un campo stabile. Nessun mostro entra qui dentro.” Dee Dee non aveva bisogno di chiederne il motivo. “Inoltre siamo abbastanza vicini a quegli ogre di cui ti parlavo, così potrai nutrirti del loro sangue, e il primo livello è un ottimo campo di addestramento per le competenze che ti serviranno. C’è praticamente tutto: mostri, trappole e incantesimi.”
“Fe lo dici tu.” Mormorò con voce incerta.
“Non sei ancora pronta per incontrare gente. La gente di Skullport intendo. Devi prima comprendere meglio i tuoi limiti fisici ed etici, e le politiche della città ti sono estranee. Non sai quali piedi, o pseudopodi, è meglio non pestare.”
Dee Dee accettò quella spiegazione in silenzio, ma mise da parte un altro frammento di informazione. I mostri e le trappole sono facili. Le persone sono difficili. Dopo la mia reazione all’incontro con Maith e la sua famiglia, non posso dargli torto. Non voglio incontrare altra gente per un po’.
“Ma che mi dici dei facerdoti di Fyric, o del ragno gigante, o di qualfiafi altra divinità malvagia?”
Il drow scrollò le spalle come se non avessero importanza.
“Combattere per la tua vita contro simili nemici ti causa qualche remora morale?”
“No.” Rispose lei senza alcuna esitazione.
“E allora puoi considerarli alla stregua dei mostri. Tanto, la maggior parte dei templi arroccati qui al primo livello non ha alcun legame con la città sotterranea dove vuoi andare a vivere.”
Montarono il campo, dall’altra parte della sala rispetto all’ingresso. Dee Dee aveva una tenda, ma il drow si limitò a sorridere.
“Una tenda serve contro le intemperie, ma qui non può raggiungerci né il sole né la pioggia. Certo può fornirti un po’ di privacy, ma ti rende cieca ai pericoli che si avvicinano.”
“Ma qui non ci fono pericoli per via del drago-cofo, e mi piace avere un po’ di privafy vifto che viaggio con te.”
“Ah. Speravo di non dover affrontare questo discorso con te dal momento che sei chiaramente prepubescente...”
“Non fono... quello che hai detto!” Protestò lei. Il drow la ignorò.
“Non ho alcun interesse per una bambina come te. Sono sicuro che tu non abbia niente che io non abbia già visto, e su donne adulte. Ma ovviamente se vuoi poterti chiudere nella tua cameretta a scrivere il tuo diario segreto con gli unicorni, monta pure la tenda.”
“Beh, forfe voglio fare proprio quello!” Ribattè Dee Dee, continuando a montare la tenda.
Dovette farlo da sola e fu un lavoro lungo e ad alto contenuto di imprecazioni, ma alla fine era molto soddisfatta del suo operato.
Più tardi, Dee Dee spacchettò una delle sue razioni. Il cibo sapeva di cacca, come al solito, ma si costrinse a mangiare perché sapeva che altrimenti si sarebbe indebolita. Notò che il drow non stava mangiando, ma non fece domande. Non voleva parlare con lui di questioni superflue, era già abbastanza fastidioso quando le “insegnava a sopravvivere”. C’era qualcosa però che voleva chiedergli:
“Prima hai detto che i templi malvagi che fi trovano qui al primo livello non fono quafi mai collegati alle fazioni di Fkullport. Come fai a faperlo? Vivi a Fkullport?”
Il drow scrollò le spalle e tenne lo sguardo fisso nel vuoto mentre rispondeva alla sua curiosità.
“Non ho una vera casa, ma passo spesso da Skullport e conosco molte persone lì. Posso parlarti di quel luogo abbastanza dettagliatamente e questa è l’unica cosa che deve interessarti.”
“Ma i drow che avevano rapito Maith? Nemmeno loro venivano da Fkullport?”
Di nuovo, l’elfo scuro scrollò le spalle.
“Erano seguaci di Selvetarm, un Semidio drow al servizio di Lolth. So che esistono alcuni suoi seguaci a Skullport, ma non sono a conoscenza di una chiesa organizzata, nemmeno clandestina. La mia ipotesi è che venissero da qualche altra parte, forse più in profondità, o forse direttamente dalla città drow di Eryndlyn che non è poi molto distante. Penso che volessero colonizzare una parte del dungeon.” Si lasciò sfuggire un risolino divertito. “Spero di aver confuso un po’ i loro piani.”
“Uh? In che modo?” Dee Dee si costrinse a buttar giù un altro boccone di carne secca senza fare smorfie.
“Gli ho lasciato credere di essere un seguace di Vhaeraun, un altro Dio drow. Non corre buon sangue fra le due Chiese, e se il guerriero che ho lasciato fuggire racconterà la storia giusta, forse entrambe quelle fazioni saranno impegnate per un po’.”
Dee Dee archiviò anche quelle informazioni insieme alle altre.
“Infomma mi ftai dicendo che è molto importante conofhere i propri nemici prima di agire?”
“Conosci i tuoi nemici, conosci i loro nemici, conosci il più possibile sempre e comunque.” Le consigliò lui. “Queste conoscenze possono salvarti la vita quando le tue forze da sole non bastano.”
La giovane elfa ci pensò su per un lungo momento.
“Ma tu, fei capace di portare a termine un corfo d’azioni fenza mentire o ingannare qualcuno?”
Il drow le lanciò uno sguardo derisorio.
“Perché dovrei farlo? Sì, lo so che andavi in giro con un eroe paladino o qualcosa del genere, ma le menzogne possono salvare la tua vita e risparmiarne molte altre. Pensaci ogni tanto, se mai dovrai scegliere fra l’onestà e la tua etica.”
“Non parlare di Valaghar.” Esplose lei, oltraggiata. “Non lo conofhevi. Una volta anche lui ha mentito. Quando lui e i fuoi compari paladini mi hanno trovata, gli altri volevano uccidermi in nome del loro Dio che rifugge tutto ciò che riguarda la non-morte. Lui ha mentito per me, ha detto loro che aveva bifogno di meditare in folitudine per accettare quella terribile decifione, e invece è venuto a liberarmi dalla mia gabbia. Abbiamo viffuto come dei ricercati per quafi cinque anni, è diventato un reietto per me, perché la verità non era una ftrada percorribile.” Raccontò. “Però per lui mentire era ftata una dolorofa neceffità. Per te è un’abitudine.”
Il drow non reagì in alcun modo a quel racconto.
“Ti sbagli, anche per me è una necessità, o quantomeno è spesso il male minore. Vivendo quaggiù, mentire è necessario molto più spesso che in Superficie.” Le spiegò in tono ragionevole. Contro ogni pronostico, Dee Dee gli credette. Era plausibile.
Archiviò anche quell’informazione insieme alle altre.

           

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Capitolo 12
*** 1363 DR: Incubi ***


1363 DR: Incubi


Dee Dee stese il giaciglio nella tenda, con un sospiro rassegnato. Aveva dormito un po' quando aveva perso i sensi dopo essere rimasta intrappolata nella ragnatela gigante, ma da allora erano successe molte cose. Si sentiva stanca emotivamente e fisicamente, abbastanza da riuscire ad addormentarsi, ma non si faceva illusioni sulla qualità del suo sonno: di solito era funestato da incubi, e non c’era motivo per cui stavolta fosse differente.
Ti vedrò anche stanotte, Clarisse? Si domandò, mentre si spogliava degli abiti da giorno e indossava gli abiti che usava per dormire. Oppure rivivrò la morte di Valaghar? Il mio periodo al tempio di Lathander? O lo sguardo cautamente gentile dei genitori di Maith?
Scosse la testa, scacciando quei pensieri inutili. L’avrebbe scoperto a breve. S’infilò nel giaciglio e cercò di rilassare la mente. Aveva bisogno di dormire, se voleva essere in forma il giorno seguente.

Il drow reggeva in mano una piccola sfera di cristallo, focalizzando il suo sguardo su quei riflessi confusi al centro della pietra trasparente. Presto, sotto il controllo della sua volontà, la sfera cominciò a restituirgli delle immagini di senso compiuto.
Un giovane elfo biondo stava pestando delle erbe in un mortaio. D’un tratto smise di lavorare e si guardò intorno, come se si sentisse osservato.
Il drow lasciò che l’immagine svanisse, poi prese in mano il sottile diario che aveva lasciato aperto sul pavimento accanto a sé. Non era tipo da sprecare tempo con penna e inchiostro, ci scriveva sopra con un carboncino. Anziché una pagina scritta con parole o pensieri, su entrambe le facciate del diario era stata disegnata una tabella.
Trovò la riga contrassegnata dal numero 2, la colonna che recava il numero 7/1363, e nella casella in cui s’intersecavano segnò una lettera V.
Riprese in mano la sfera. Questa volta l’immagine che si formò era molto diversa.
Una ragazza stava tirando con l’arco. Il suo bersaglio era un fantoccio di paglia, quindi era una semplice esercitazione. I suoi capelli castani erano selvaggi come sempre e la pelle abbronzata aveva un colorito sano. Guardandola da vicino, si poteva capire dalle orecchie appuntite e dai tratti delicati che si trattava di un’elfa dei boschi. Era concentrata sul prendere la mira, ma dopo aver scoccato la freccia anche lei cominciò a sentirsi osservata.
Tuttavia evidentemente se lo aspettava perché frugò nelle tasche con gran fretta ed estrasse un foglio di pergamena, più volte ripiegato. L’aprì. C’era scritto, in lettere maiuscole e ben definite: TUTTO BENE. RANDEEF È FUORI PORTATA DIVINAZIONE. ANCORA VIVO.

Il drow indugiò ancora un momento su quell’immagine, poi ripose la sfera e prese in mano il diario. Sotto alla riga n° 2 c’era la n° 6, come se i tre numeri in mezzo non esistessero. Segnò una V anche lì. Indugiò un momento sulla riga n° 7, pensando al giovane incantatore e alla sua tendenza a far esplodere le cose, e alla fine disegnò un punto interrogativo.
Posò nuovamente il diario e riprese in mano la sfera.
In quel momento, un urlo agghiacciante rimbombò per la stanza. Veniva da dentro la tenda della dhampir.
Il drow ripose tutto quanto nello zaino e corse a vedere cos’era successo.

“Ehi!” Esclamò, aprendo i lembi della tenda. “Che hai?”
Dee Dee era sveglia, seduta sul suo giaciglio, e si guardava intorno con aria spaesata.
“Ho... ho folo fatto un incubo.” Lo disse in tono quasi di scusa.
Il drow entrò nella tenda, richiudendola alle sue spalle. Nel farlo, si accorse che il tessuto della tenda era davvero pesante, e che l’aria all’interno era un po’ più calda. Nonostante questo, Dee Dee aveva un giaciglio di pelliccia come quelli che si usano sulle montagne, e indossava abiti pesanti per dormire.
“Anche prima avevi un sonno agitato.” Riconobbe lui, sedendosi accanto alla ragazza. “Preferirei che tu non urlassi in questo modo, potresti attirare l’attenzione di qualcosa. Finché siamo qui il pericolo è relativamente basso, ma se andremo ad esplorare altri luoghi i tuoi incubi potrebbero metterci nei guai. C’è qualcosa che posso fare?”
Dee Dee lo guardò con aria impotente e un po’ spaventata, interpretando quel discorso come una minaccia. Se non smetto di avere incubi mi lascerà indietro? O mi taglierà la lingua?
“Io... cercherò di non fare più incubi.” Promise con un filo di voce.
“Non è una cosa che puoi decidere tu.” Le fece notare lui. “Non hai mai trovato qualcosa che mitigasse i tuoi incubi?”
Dee Dee deglutì a vuoto. “Ecco... quando viaggiavo con Valaghar, gli incubi erano molto più rari. Ma non fo perché... forfe perché era un paladino e aveva intorno una magia facra, o magari era folo perché con lui mi fentivo al ficuro.”
“Forse un po’ e un po’.” Suppose il guerriero. “Mi dispiace, non credo che qui ti sentirai mai altrettanto al sicuro.”
“Vuoi dire che non mi fentirò mai al ficuro con te?” Precisò Dee Dee.
“Se hai un minimo di cervello, non ti dovresti fidare di un drow. Io posso anche dirti che non intendo venderti come schiava, ma tu non puoi basarti sulle parole e sulle promesse. Faresti bene a tenere sempre un occhio aperto e a giudicare gli altri solo in base alle loro azioni.”
“Ho maturato la convinzione che fe tu aveffi voluto vendermi mi avrefti portata fubito a Fkullport. Non hai alcun intereffe ad infegnarmi a fopravvivere, o a combattere meglio.” Spiegò la ragazza, esponendogli le sue deduzioni. “Ma non mi fido di te perché non capifco le tue motivazioni.”
Il drow si strinse nelle spalle. “Ti ho salvata dai sacerdoti di Cyric, seppur accidentalmente. Il mio codice d’onore mi impone di prendermi cura di te, ma questo lo sai già.”
“Perché ftavi combattendo quei feguaci di Fyric?” Indagò lei, giusto per fare conversazione. Voleva allontanare dalla sua mente il ricordo degli incubi.
“Beh, perché...” il drow ci pensò un po’, facendo mente locale. “Credo di avere il ricordo alcolico di essermi vantato che avrei potuto farlo. Io prendo molto sul serio le mie vanterie da ubriaco, non potevo perdere la faccia.”
Dee Dee gli rivolse uno sguardo scettico, pensando che la stesse prendendo in giro.
“E perché un drow ha un codice d’onore?” Domandò a bruciapelo. “Non mi fembri qualcuno che dà valore all’oneftà e alle leggi.”
Lui sospirò, pensando a come rispondere.
“Perché... si deve pur avere una bussola, nella vita. C’è chi è mosso dalle sue aspirazioni, dai suoi amori, dai suoi odii, da un obiettivo oppure dalle sue paure. Tutte queste cose convincono le persone che la loro vita abbia un senso. Io non ho più niente di tutto questo. Non mi resta nient’altro se non i miei pensieri, e le regole che scelgo di seguire per non perdermi nel mare del nulla.”
Dee Dee rimase a guardarlo per un lungo momento.
“Io non capifco.” Ammise infine.
“No, certo che no.” Le scompigliò i capelli e si alzò per uscire dalla tenda.
“Afpetta!” Dee Dee lo richiamò. “Quello che ftai dicendo è che fei depreffo e hai bifogno di me come diftrazione?”
Il drow la guardò incredulo e sbottò in una breve risata, ma più per lo stupore che per allegria.
“Non sono depresso. La depressione è una malattia. Se potessi ammalarmi sarei già morto di cirrosi epatica.” Scherzò, alludendo alle sue abitudini alcoliche. “No, anche se il mio spirito venisse schiacciato come un ragno sotto la ruota di un carro, non avrei mai un’altra scelta se non rialzarmi.”
Dee Dee lo guardò uscire dalla tenda, in silenzio. Tenne per sé i suoi pensieri e le sue considerazioni. Quando finalmente riuscì a riprendere sonno, fece sogni confusi e un po’ ansiogeni, sul suo futuro, sulla possibilità di non essere all’altezza; ma non erano gli stessi incubi terrificanti di prima.

Il drow rimase a lungo seduto fuori dalla tenda. Non riusciva a prendere sonno o a fare la reverie, quindi ricominciò con le divinazioni. Fu un sollievo tornare alla routine. Tuttavia ogni tanto portava la mano ad un ciondolo che teneva al collo, un cerchietto d’argento, e mormorava un incantesimo. Sapeva che quel particolare dweomer avrebbe agito in un raggio di quindici metri, non c’era bisogno di stare così vicino alla tenda, ma voleva restare a portata d’udito per capire fino a che punto stesse funzionando.

           

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Capitolo 13
*** 1363 DR: Combattere con due armi ***


1363 DR: Combattere con due armi


Dee Dee si svegliò alcune ore dopo, abbastanza riposata. Si vestì nella tenda e fece qualche rapido esercizio per riattivare la circolazione. Aveva sempre avuto problemi connessi al sonno, le mani e i piedi le diventavano gelidi a causa del battito del cuore che diventava troppo lento. Non era molto comodo fare esercizi nella tenda, lo spazio era poco e troppo basso, ma era sempre meglio che uscire all’esterno e farli davanti al suo compagno di viaggio... sembrava sempre pronto a giudicare ogni sua azione e questo la metteva molto a disagio.
Certo che anche lui era strano però, e non si curava di nasconderlo. Era chiaro che non gli importasse dell’opinione di Dee Dee, o forse di nessuno.
Dovrei prendere esempio almeno in questo, riflettè mentre si preparava per uscire. Se a lui non importa del mio giudizio a me non dovrebbe importare del suo.
Tanto per rendere onore alla sua stranezza, il drow era andato a sedersi accanto al golem draconico, appoggiando la schiena al corpo squamoso e grossolanamente assemblato. Stava leggendo un tomo rilegato in pelle nera (Dee Dee si chiese per un folle istante se non fosse pelle di drow, ma nemmeno lui avrebbe fatto una cosa così disgustosa). Il drolem non sembrava curarsi di lui, se ne stava immobile a fissare una parete come al solito. Quando Dee Dee mosse qualche passo verso di loro, il gigantesco costrutto voltò la testa per spiare i suoi movimenti.
“Se vuoi avvicinarti devi lasciare giù le armi.” L’avvertì il guerriero, senza staccare gli occhi dal libro. Doveva essersi accorto del movimento del drolem. “Altrimenti potrebbe prenderlo come un attacco.”
“Io...” Dee Dee si schiarì la voce, perché le era uscita come un pigolio. “Io non mi fento tranquilla a metter giù le armi in prefenza di un fimile moftro.”
“Non essere sciocca.” La rimbeccò lui, con il solito tono paternalista che l’elfa dhampir stava cominciando a odiare. “Se deciderà di ucciderci, le nostre armi serviranno a poco. Le tue in particolare.”
Dee Dee riconobbe la verità in quell’affermazione, ma non le piacque comunque, né la prospettiva né il tono del drow. Ad ogni modo, dopo una breve esitazione sospirò con aria sconfitta e abbandonò le armi vicino alla tenda.
“Lo sai, non sei comunque obbligata ad avvicinarti.” Le fece notare lui, voltando pagina. “Non mi va molto di fare conversazione.”
“Purtroppo qui ci fei folo tu.” Dee Dee aprì le braccia in un gesto di impotenza volutamente esagerato. “Fe poteffi fhegliere...”
Il drow ignorò la battuta e continuò a leggere. Avvicinandosi meglio, Dee Dee si accorse che sulla copertina del libro c’era lo stesso simbolo che aveva visto sulle tuniche dei sacerdoti che avevano provato a sacrificarla.
“Quello è un libro ful culto di Fyric? Non avevi l’aria di effere un fuo feguace.”
Il drow segnò con un dito il punto dov’era arrivato a leggere, poi finalmente alzò lo sguardo su di lei.
“Saresti in grado di dire Seicentosessantasei satanassi assetati di sangue saltano nelle fosse sassose di Nessus?” Domandò in tono amabile.
“Vaffanculo.” Rispose lei senza scomporsi. “La mia era una domanda feria.”
“Tanto buona quanto la mia risposta.” Lui scrollò le spalle e si dedicò nuovamente al libro.
Dee Dee incrociò le braccia, esasperata. Attese per un po’ che lui si degnasse di considerare di nuovo la sua presenza, poi capì che non era con le domande che avrebbe ottenuto qualcosa. Ricordò un consiglio che il drow le aveva dato il giorno prima: Non puoi basarti sulle parole e sulle promesse. Faresti bene a tenere sempre un occhio aperto e a giudicare gli altri solo in base alle loro azioni.
Dee Dee comprese che lui riteneva sciocche e infantili le sue domande. Non ha senso fare domande se il tuo interlocutore è libero di mentirti, dopotutto. La ragazza riflettè su questo e poi decise di trarre da sé le conclusioni, basandosi sull’osservazione delle sue azioni.
“Non fei un feguace di Fyric.” Disse di punto in bianco. “In quel cafo, dopo aver uccifo i tuoi compagni mi avrefti facrificata comunque. E immagino che non li avrefti uccifi nel tempio, dovrebbe effere blaffemo.”
“Oh beh, a Cyric potrebbe anche piacere.” Il drow scrollò le spalle. “A giudicare da questo libro, è un Dio che danza in modo promiscuo con madama follia.”
Dee Dee notò che non l’aveva contraddetta, compiacendosi per la sua deduzione, ma poi ricordò a sé stessa che non poteva comunque basarsi sulle parole. Siccome la comunicazione orale è il primo metodo con cui le veniva naturale esprimersi, cadeva continuamente nel tranello di dare un peso alle affermazioni di lui, specialmente quando lusingavano la sua intelligenza come ora.
“Hai prefo quel libro quando hai frugato nel tempio.” Continuò con le sue deduzioni. “E ora lo ftai ftudiando per via di quella cofa del conofhere i propri nemici.”
Il drow sollevò lo sguardo dal libro, le sorrise e le fece cenno di sedersi accanto a lui. Dee Dee rimase un attimo spiazzata davanti a quel gesto, ma poi si sedette. Una parte di lei riconobbe che il suo comportamento era dettato dal suo bisogno di stabilire un contatto con qualcuno, con qualunque persona vagamente decente, perché dalla morte di Valaghar si sentiva molto sola... maledì sé stessa per la sua debolezza, ma si sedette comunque accanto all’elfo scuro.
“Stai imparando. Ti darei un biscotto, ma temo che il cibo non ti piaccia molto.”
“Ah! Come fe tu andaffi davvero in giro con dei bifcotti.” Lo motteggiò lei.
Lui non rispose, si limitò a frugare nella sua scarsella (che doveva essere più grande all’interno, comprese la giovane mentre osservava i suoi movimenti) e ne tirò fuori un sacchettino di tela. Lo lanciò a Dee Dee e lei lo prese al volo. Conteneva biscotti.
“Ah. Vai davvero in giro con dei bifcotti.” Riconobbe, guardando incredula nel pacchetto. “E come mai?”
“Chissà!”
“Fono drogati!” Dedusse la ragazza.
“Chissà.”
“Avvelenati?”
“Secondo te come mai seicentosessantasei satanass...”
“Va bene, ho capito!” Lo interruppe Dee Dee, irritata. Prese un biscotto con una certa esitazione e ne mangiò un angolo.
Per lei sapeva di schifo, come tutto il cibo, ma almeno era uno schifo dolce e molto sostanzioso. Attese di sentire l’effetto di qualche sostanza nociva, ma non accadde nulla. Dopo qualche minuto, si fece forza e finì il biscotto. Qualcosa doveva pur mangiare.
“Se pensavi che fosse avvelenato perché lo hai fatto?” Domandò lui.
“Fono piuttofto refiftente ai veleni e alle droghe, anche fe non ne fono immune.” Spiegò lei, richiudendo il sacchettino e restituendolo al drow. “Inoltre ho afpettato di vedere fe aveva qualche effetto, prima di finirlo.”
“Sì... non è male come spiegazione.” Mugugnò lui. “Ma alcuni veleni agiscono a distanza di ore dall’ingestione.”
“Inoltre fono ragionevolmente certa che tu non voglia uccidermi.”
“Oh, bene. Non voglio ucciderti e non sono un seguace di Cyric, sembra proprio che io possa cominciare a scrivere la mia letterina per Santa Claus, quest’anno.”
“Chi?”
Il drow la guardò con occhi vacui. “Ah, già. Infanzia di merda. Scusa. Che te lo dico a fare.”
“Fei davvero un tipo ftrano. Perché te ne ftai feduto accanto a un drago golem?” Gli rivolse una piccola smorfia offesa. “E mi puoi dire la verità per una volta?”
Il drow passò una mano sul dorso squamoso del drolem, riflettendo sulla risposta. Rimase zitto per un lungo momento prima di decidersi a parlare. “Questa creatura è un potente guardiano senza volontà e senz’anima, sostanzialmente morto dentro. E niente, come si fa a non identificarsi almeno un po’?”
L’aveva detto in tono semi-scherzoso, ma Dee Dee intuì che doveva esserci del vero. Si sentì invasa da una profonda tristezza, quasi come la sera prima. Senza sapere perché, si ritrovò ad appoggiare una mano sul braccio del drow.
Lui abbassò lo sguardo su quella mano, poi guardò Dee Dee negli occhi. Quello che lei vide in quello sguardo... la spaventò. Non avrebbe saputo descriverlo, era un misto di disappunto, di dolore e di nulla.
“No. Non pensarci nemmeno. Io e te non siamo amici.” L’avvertì il drow, lapidario. Si alzò in piedi e richiuse il libro. “Adesso usciamo di qui, è il caso che cominci ad addestrarti.”

Passarono buona parte della mattina a combattere nel corridoio appena fuori dal salone. Il drow combatteva sempre con due spade e Dee Dee con una sola, ma dietro consiglio del guerriero cominciò ad usare anche il pugnale che di solito teneva nello stivale.
“Combattere con due armi è sempre meglio che avere una mano inutilmente libera.” Spiegò lui. “Ho visto che non combatti con lo scudo.”
“Non ho uno fcudo.” Confermò lei. “Ma non riefco a coordinarmi bene fe devo combattere con tutte e due le mani.”
“Imparerai con la pratica. Ti insegnerò le manovre di base, ma per stamattina abbiamo finito.” Decise il drow, abbassando le armi. Dee Dee si sentì immensamente sollevata a quelle parole. Nonostante la sua prodigiosa capacità di recupero, che faceva guarire rapidamente le sue ferite e le contusioni, era tutta un livido. Il drow si avviò nuovamente verso la stanza del drolem, lei rinfoderò la spada e gli andò dietro.
Quando lui si girò di scatto e la colpì alla testa con il piatto della spada, lei non se l’aspettava e cadde per terra. Si rialzò subito a sedere, massaggiandosi la tempia dove lui l’aveva colpita, e fece per sfoderare la spada... ma si fermò quando si accorse che una delle spade corte del drow pendeva un po’ troppo vicino al suo collo.
“Se fosse stato un combattimento vero ora saresti morta.” La informò lui. “Ti ho detto che avevamo finito e tu mi hai creduto. Non ti sei nemmeno accorta che non avevo rinfoderato le spade! Non puoi abbassare la guardia così, ragazzina.”
Dee Dee lo guardò con profondo rancore. Di solito cercava di fare più attenzione alle sue azioni che alle sue parole, ma stavolta aveva desiderato credere che fosse finita. Archiviò anche questa lezione. Devo vedere le cose per come sono, non per come le voglio vedere. Si rimproverò per la sua sbadataggine.
Caricando la voce di tutto il suo rancore, anche se era in parte diretto contro sé stessa, Dee Dee obiettò che era troppo stanca per tenere alta la guardia.
“Allora guarda il lato positivo. Ora sei morta e hai tutto il tempo del mondo per riposare.”
Dee Dee scosse la testa, ritrovando in parte il suo sorriso.
“Ehi, non è detto. Io fono crefhuta in una città di non-morti!”
Per la prima volta da quella mattina, il drow rise a una sua battuta.

           

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Capitolo 14
*** 1363 DR: Coprire tutti i fronti ***


1363 DR: Coprire tutti i fronti


Erano passati alcuni giorni da quando avevano cominciato gli allenamenti, e Dee Dee stava migliorando velocemente. Valaghar le aveva già insegnato le basi del combattimento prima di morire, ma ora lei stava imparando qualche trucco nuovo, non proprio pertinente allo stile di combattimento onorevole del suo vecchio amico.
La dhampir e l’elfo scuro conducevano una vita abbastanza stanziale, lui voleva assicurarsi che Dee Dee fosse capace di difendersi un minimo prima di portarla in giro per l’undermountain, quindi la loro vita era quasi tranquilla. In assenza di pericoli e senza che le fossero richiesti sforzi al di là delle sue possibilità, Dee Dee si accorse che riusciva a concentrarsi meglio sul tenere a bada la sete.
Necessitava di nutrirsi di sangue ogni due giorni circa, e per l’occasione si spostavano sempre in una zona di caccia migliore: le fogne che si estendevano fra la città di Waterdeep e l’undermountain. Lassù, Dee Dee trovava spesso ratti o altri animali che soddisfacevano a malapena il suo bisogno. Una volta riuscì a trovare un gruppetto di sfortunati goblin. Dee Dee era un po’ reticente, visto che si trattava di creature quasi umanoidi, ma il drow le fece notare che se si trovavano lì era per creare fastidi alla città e se fossero stati scoperti sarebbero stati uccisi immediatamente. Dee Dee aveva troppa sete per impuntarsi oltre.
“Stai facendo progressi con il combattimento.” Le disse un giorno il guerriero. “Ma sarebbe meglio che tu imparassi anche a fortificare il tuo corpo e la tua mente, per resistere alle insidie di questo luogo. Potranno esserci giorni in cui ti sarà difficile trovare il cibo, l’acqua o il sangue... e così indebolita potresti comunque dover affrontare trappole mortali e incantesimi che ingannano la mente. Devi imparare a resistere contro tutte queste cose: non puoi impugnare le armi contro la fame o contro la magia.”
Dee Dee riflettè sulla proposta. Era sensata, ma non capiva come avrebbe potuto arrivare a quel risultato.
“Come penfi che dovrei fare per... fortificare il mio corpo e la mia mente?”
Il drow scrollò le spalle. “Per il corpo è facile... mettiti alla prova ogni giorno cercando di superare sempre un poco i tuoi limiti. Abbiamo già iniziato questo lavoro, ogni giorno l’allenamento è un po’ più lungo o un po’ più impegnativo. Te ne sei accorta?”
Dee Dee fu colta alla sprovvista da questa ammissione. “Oh... no, non mi ero accorta. Mi pare fempre ugualmente pefante.”
“Perché il tuo corpo si sta abituando al nuovo ritmo.” Spiegò lui.
“A me non fembra nemmeno di migliorare nel combattimento.” Lamentò lei.
“Sto adeguando progressivamente la difficoltà anche in quello.” Ammise il drow. “Ma la prossima volta che dovrai bere sangue proveremo con gli ogre e lo vedrai da te.”
“E per quanto riguarda la mente?”
Il drow sospirò. “La mente è un discorso complesso. Ogni persona trova la forza interiore a modo suo. Per ottenere un migliore controllo sulla tua mente potresti cominciare dal controllo sulle tue emozioni.”
“Ftai dicendo che non dovrei più provare emozioni?” Dee Dee lo guardò con occhi sbarrati.
Per un momento un pensiero fugace le attraversò la mente: Ma io non voglio diventare come te. Arrossì, vergognandosi subito di quell’idea; non aveva prove che lui davvero non avesse emozioni. Magari le aveva, solo, beh, da qualche parte.
Il drow le rivolse uno sguardo di compatimento. “Come se una ragazzina come te potesse mai arrivare a questo. Comunque no, sto dicendo solo che non dovresti lasciartene condizionare. Hai mai sentito dire cose come paralizzato dalla paura, o tremante di rabbia, o accecato dalla gelosia, o simili modi di dire? Non sono solo metafore poetiche, sono rappresentazioni reali della forza che hanno le emozioni: influenzano il corpo e il ragionamento delle persone. Dovresti evitare che il tuo corpo resti in balìa di ondate emotive, solo la tua mente lo deve governare. Se impari a fare questo, la tua mente sarà forte a sufficienza da far fronte anche agli inganni della magia ammaliatrice o delle droghe.”
“Tu ne fei capace?”
Lui scrollò le spalle. “Ti sto parlando di un semplice esercizio per ottenere il vero risultato, che è fortificare la tua mente contro le insidie e gli orrori del mondo. Sono capace...? Immagino di sì.”
“Io ho vifto molti orrori in vita mia. Quefto non dovrebbe avermi già fortificato la mente?”
L’elfo scuro riflettè seriamente sulla domanda, prima di darle quella che era la sua risposta.
“Forse. Ma essere sottoposti a grossi traumi può portare a due possibili reazioni: o ti rafforzano, oppure ti indeboliscono. Alcune persone ricevono una ferita, ma poi la carne si richiude e la pelle si rafforza. Altre ricevono una ferita, la richiudono in tutta fretta ma segretamente essa marcisce. Con la mente è la stessa cosa: non saprai se gli orrori che hai vissuto ti hanno resa più forte o più fragile, finché non ti troverai ad affrontare di nuovo cose simili.”
“Non voglio affrontare di nuovo cofe fimili.” Ammise lei, a bassa voce. “Quefto fignifica che fono debole?”
Il drow le rivolse uno dei suoi rari sorrisi.
“No, significa solo che non sei pazza.”

La mattina dopo ripresero ad allenarsi come al solito. Il drow sembrava voler dare del filo da torcere a Dee Dee quel giorno, le sue parate arrivavano sempre all’ultimo momento (proprio quando Dee Dee pensava di aver finalmente messo a segno un colpo) e ogni volta che riusciva a colpirla le rivolgeva un odioso sorriso compiaciuto.
Ma per tutti i diavoli, che è quel sorrisetto? Lo sai che sei più esperto di me, ti diverti a picchiare una ragazzina? Dee Dee lo guardò con odio, cercando di velocizzare i suoi colpi. Ma io ti cancello quel ghigno dalla faccia, anzi ti cancello tutta la faccia, brutto...
In quel momento qualcosa nella sua mente scattò nella direzione giusta e fu come se riuscisse a vedersi dall’esterno. Si stava arrabbiando. No, si stava lasciando innervosire da una palese provocazione. Stava permettendo alla sua frustrazione di occultare il suo giudizio, e il drow... il drow stava preparando la sua mossa. Dee Dee stava per attaccarlo mirando al volto con la spada lunga e lui se lo aspettava. La spada nella mano sinistra si stava già muovendo in circolo verso l’alto per parare l’attacco e la spada nella mano destra probabilmente l’avrebbe colpita al fianco.
Dee Dee vagliò rapidamente le sue possibilità. Poteva deviare il proprio colpo? No, troppo poco tempo e la spada pesava troppo per invertire la rotta. Ritrarsi per evitare l’attacco del drow che sarebbe arrivato poco dopo? Avrebbe voluto buttarsi indietro, ma ormai era sbilanciata in avanti. Fece l’unica cosa che poteva fare: continuando ad indossare la sua espressione di rabbia, proseguì nella carica alzando la spada, ma all’ultimo momento la lasciò cadere e si buttò a terra, rotolando alla sinistra del drow, molto al di sotto della sua spada sollevata.
Lui rimase sorpreso da quella mossa ma fu lesto a girarsi su se stesso per tenere d’occhio l’elfa, rimanendo sempre sulla difensiva. Dee Dee terminò la sua capriola e, dalla sua posizione seduta, cercò di piantare il pugnale nel piede destro del drow. Ci andò molto vicina. Era stata veloce, ma non abbastanza. Lui spostò il piede appena in tempo e il coltello pugnalò solo la pietra del pavimento.
“Beh. Beh. Niente male.” Concesse lui, abbassando le armi.
Dee Dee si rialzò tenendolo d’occhio. Lui infilò un piede sotto l’elsa della spada lunga dell’elfa e la calciò verso di lei, facendola scivolare sul pavimento. La ragazza raccolse la spada con una mossa rapida e si preparò a parare il prossimo attacco. Ci riuscì abbastanza bene.

Quel pomeriggio il drow la portò in giro per il primo livello a fare pratica con le trappole. Era diventato parte della loro routine e Dee Dee stava imparando a individuare gli inneschi delle trappole, anche se non era ancora molto brava a disarmarle. Quando non riusciva a disattivarle, a volte il drow la sfidava a cercare di evitarle, ma Dee Dee notò presto che non lo faceva sempre. La ragazza aveva teorizzato che lui ormai conoscesse quelle trappole a memoria e la spingesse solo su quelle che erano alla sua portata (e una o due volte ce l’aveva spinta in senso letterale).
Passarono alcune settimane in questo modo, senza allontanarsi mai molto dal loro campo base. Dee Dee aveva esaurito le razioni di carne secca e gallette e aveva cominciato a cacciare da sola, sia per il cibo che per il sangue. Era riuscita ad abbattere il suo primo ogre, lavorando di furbizia per isolarlo dagli altri. Era molto soddisfatta di sé stessa, anche se dal drow aveva ricevuto solo un lento applauso sarcastico. Ma non se l’era presa. Ormai si era abituata al suo modo di fare.
L’unico vero problema si era presentato quando aveva terminato l’acqua e si era resa conto di non aver mai visto una fonte o un ruscello da nessuna parte. Il drow le aveva confermato che nel primo livello le fonti di acqua potabile erano molto rare e intorno ad esse si raggruppavano spontaneamente diversi mostri o tribù di creature pericolose come ogre, troll delle rocce, orchi delle profondità... tutte sfide al di fuori della sua portata. Lui le aveva consigliato di tornare alla Yawning Portal, in superficie, e procurarsi l’acqua a Waterdeep.
Dee Dee doveva aver avuto un’espressione davvero affranta e miserabile quella sera, mentre rifletteva su quella possibilità, perché la mattina dopo il suo otre era nuovamente pieno d’acqua fresca.
Lei non aveva fatto domande. Aveva imparato che era meglio così.
Prima o poi sarebbe stata in grado di sconfiggere una tribù di goblin, magari una piccola, e si sarebbe conquistata la sua fonte d’acqua.
Non aveva pensato che quando fosse stata a Skullport probabilmente avrebbe avuto tutta l’acqua che voleva... aveva capito l’importanza di sapersi muovere in quel dungeon, prima di raggiungere il porto “sicuro” della città.

           

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Capitolo 15
*** 1363 DR: il Re dei Topi ***


1363 DR: il Re dei Topi


Era una di quelle giornate che Dee Dee e l’elfo scuro dedicavano alla caccia. La ragazza cominciava a sentire il richiamo della sete e quindi erano saliti nuovamente al piano superiore, nelle fogne. La tribù degli ogre era sulla difensiva dopo che uno di loro era stato trovato morto, di conseguenza non era il caso di tornare in quella zona prima di qualche settimana.
Quindi erano saliti al piano superiore, ma non avevano considerato che ormai si era alla fine dell’estate e a Waterdeep, una città del nord, era cominciata la stagione delle pioggie.

“Spero che tu capisca quanto odio essere qui.” Si lamentò il drow. “Queste fogne puzzano e l’acqua dei canali di scolo è quasi al livello dei camminamenti. Se questo liquame salirà nelle prossime ore, non riusciremo a tornare all’accampamento senza inzaccherarci.”
“Avevo fcordato quanto fei fchizzinofo.”
“Se speri che ti lascerò tornare all’accampamento sporca di acqua di fogna ti sbagli di grosso.” Insistette lui. “Se le cose andranno male, giù al primo livello passeremo dal corridoio allagato.”
Dee Dee gemette. Ricordava il corridoio allagato, era immerso in un’acqua cristallina, gelida e tristemente non potabile. L’ultima volta che il drow l’aveva costretta ad immergersi aveva avuto i brividi di freddo per giorni, ed era una vera ingiustizia perché non era mica colpa sua se quella strana melma le si era avvinghiata addosso.
“Allora fbrighiamoci prima che il livello dell’acqua falga ancora.” Concordò Dee Dee.
 
Dee Dee percepì un lieve movimento nel buio davanti a sé e si mosse velocemente, confidando che il suo passo silenzioso da elfa non mettesse in allarme la sua preda. Non sapeva ancora bene cosa fosse, ma si avvicinò restando nell’ombra finché non riuscì a vedere meglio l’obiettivo, un piccolo conglomerato di carne che si muoveva furtivo nel buio.
All’iniziò pensò che si trattasse di un goblin acquattato, ma mettendolo a fuoco meglio capì di essersi sbagliata: era un ratto. Un ratto enorme rispetto a quelli che aveva già visto: una pantegana.
Oh, beh... pensò, facendosi forza. Gli animali mi soddisfano a malapena. Ma, o lui o il drow... Soppresse un brivido a quel pensiero. Non voleva bere di nuovo quel sangue ingannevolmente dolce che rischiava di farla sentire male, e soprattutto non voleva fallire così miseramente nella sua missione. Non si sarebbe più abbassata a bere dal suo compagno di viaggio, era una cosa indegna per una buona esploratrice.
Dee Dee afferrò il topo con uno scatto felino e lo stordì facendogli sbattere la testa contro il muro con forza. Poi affondò i denti nel collo tozzo dell’animale, ignorando il disgusto di dover mordere quel corpo peloso e puzzolente. L’odore del sangue era più forte.
 
“Hai finito?”
La voce del drow veniva da qualche parte sopra la sua testa, ma Dee Dee non gli badò. Si trovava in un momento delicato: il ratto stava morendo e lei doveva trovare abbastanza forza di volontà da staccarsene prima che il cuore si fermasse. Non c’era niente di più disgustoso del sangue dei morti.
Quando ebbe finito gettò da parte la patetica creatura morente.
“Non mi bafta.” Annunciò. “Me ne ferve altro. Il fangue di animale è poco più che acqua fporca per me.”
“Va be’. Cerchiamo qualcos’altro, ma in fretta.”
Tuttavia trovarono solo altri topi. Molti, molti topi. Dee Dee bevve da alcune di quelle creature ma mirava a qualche preda più ricercata.
Tuttavia non trovarono goblin, né banditi, né nessun altro dei classici abitanti delle fogne.
“Non ci sono mai stati così tanti topi.” Commentò il drow con fare curioso.
“Alcuni avevano un fapore ftrano.” Aggiunse Dee Dee. “Mi facevano pizzicare il nafo.”
“Come qualcosa di tossico?”
“Come qualcofa di magico.” Specificò lei.
Svoltarono un angolo, pattugliando in silenzio le gallerie. Si trovarono davanti uno slargo in cui diversi cunicoli andavano a confluire in una specie di gigantesca vasca di liquame non meglio identificato. Parte di quel liquame riluceva e aveva riflessi verdi e violacei.
“Bene, ho poche certezze nella vita, ma una di queste è che la merda non luccica.” Commentò il drow a bassa voce.
Dee Dee si tappò il naso disgustata, ma soprattutto spaventata. Non voleva rischiare di respirare emanazioni tossiche, perché era convinta di sapere cosa fosse successo. Aveva visto qualcosa di simile a Warlock’s Crypt, la città dov’era cresciuta: un unico fiume attraversava la città di non-morti e le sue acque erano tossiche, inquinate dagli scarti delle pozioni e degli esperimenti magici dei lich. La patina traslucida che ora galleggiava sulle acque nere delle fogne era certamente qualcosa di simile: magia di scarto.
Quel che è peggio, qualcosa ci stava nuotando dentro. Dee Dee si affidò ai suoi sensi soprannaturali di mezza-vampira per cercare di capire cosa fosse quella strana forma che galleggiava sull’acqua nuotando verso riva: era un ratto. Ma, notò presto, non era l’unico. Ne vide subito un altro. Poi un altro ancora.
L’intelligente ragazza si accorse subito che tutti quei ratti, alcuni piccoli quanto una mano e altri grossi come pantegane, stavano convergendo tutti in un punto in fondo alla sala.
Qualunque cosa stia succedendo, non è positiva. Si disse. Questi animali portano malattie ed infezioni, dopo aver fatto un bagno in questa roba potrebbero portare anche una... pestilenza magica o qualcosa del genere.
Bisogna avvertire la città.
Realizzò improvvisamente con una punta di ansia. Se questi mostriciattoli risaliranno dalle fogne, la gente di Waterdeep sarà in pericolo.
Si voltò per spiegare al drow che dovevano andarsene subito ma dal suo sguardo preoccupato capì che anche lui aveva notato quella stranezza.
“Dobbiamo andarcene di qui.” Sussurrò lui. “Sono soltanto ratti, ma sono molti e il numero vince sempre.”
Cominciarono a fare marcia indietro per tornare da dove erano venuti, ma altri ratti stavano arrivando a nuoto... verso di loro. Ormai erano stati visti.
Il primo istinto di Dee Dee sarebbe stato la fuga, ma non voleva fare una figuraccia davanti al suo compagno di viaggio, nel caso in cui lui fosse riuscito a gestirli...
“CORRI!” esclamò il drow, e Dee Dee non se lo fece ripetere.
 
Girarono i tacchi e corsero nella direzione da cui erano venuti, senza voltarsi indietro.
I topi sono creature veloci, quando hanno un obiettivo. I due avventurieri in fuga se ne accorsero presto. Ma peggio ancora, sono creature intelligenti.
I ratti delle fogne di Waterdeep conoscevano bene il loro territorio e sapevano come lavorare in concerto per procurarsi del cibo; al primo bivio, il drow e Dee Dee videro che un’altra orda di ratti si stava riversando verso di loro anche da quella parte. Continuarono a correre.
“Il tuo... il tuo grillo magico... non ferve contro i ratti?” Domandò Dee Dee, ormai a corto di fiato.
“No, troppo intelligenti.” Fu la risposta stringata. “Solo insetti e aracnidi.”
Dee Dee avrebbe imprecato, ma era più importante conservare il fiato.
 
“Lì! Una scaletta!” Il drow le indicò un buco nel soffitto, da cui per pochi pollici scendeva una scaletta a pioli in metallo. Probabilmente più in alto c’era una botola che dava su un livello superiore delle fogne, o forse erano già prossimi alla Superficie? Per una volta, Dee Dee non se ne curò. Il drow unì le mani per farle da scalino e lei non se lo fece ripetere: usò quel punto d’appoggio per darsi lo slancio e saltare in alto, aggrappandosi alla scaletta. Era una fanciulla minuta e leggera, e nelle ultime settimane aveva allenato molto i muscoli delle braccia a forza di lezioni di scherma, quindi non fece fatica a tirarsi su. Avevano solo pochi secondi prima che i ratti svoltassero l’angolo e vedessero cosa stavano facendo, quindi salì in fretta gli scalini per fare posto all’elfo scuro.
Ma era troppo tardi. La fiumana di roditori strabordò oltre l’angolo in quel momento e se lui fosse saltato su l’avrebbero visto.
“Stai lì e non farti vedere!” Le intimò lui a mezza voce, mentre imbracciava rapido l’arco che portava sulla schiena.
Il guerriero affrontò l’orda di ratti con una tattica piuttosto semplice: cominciò a levitare. Staccarsi dal pavimento di qualche spanna inizialmente fu sufficiente a prendere alla sprovvista le creaturine, che potevano sciamare sotto e intorno alla loro preda ma senza riuscire a toccarla. Nel frattempo, l’arco magico cominciò a dardeggiare frecce luminose. Ogni freccia poteva colpire un solo ratto, ma sembrava che le munizioni fossero infinite: bastava che il drow pizzicasse la corda di luce che univa le estremità dell’arco, e una nuova freccia di luce si materializzava, pronta per essere scoccata.
Dee Dee si era raccolta i capelli perché non oscillassero fuori dal buco sul soffitto ed aveva incastrato i piedi in uno scalino, poi così a testa in giù si era sporta con attenzione per guardare la scena. C’era una ragione pragmatica: se il drow avesse voluto seguirla su per il cunicolo, lei avrebbe potuto dargli una mano o qualcosa del genere.
Va bene, forse era semplicemente curiosa. Ma anche preoccupata.
I ratti erano davvero intelligenti: stavano salendo l’uno sull’altro in una specie di montagnola per riuscire ad arrivare alla preda, e il cunicolo non era molto alto. Prima o poi l’avrebbero raggiunto, e la levitazione permetteva al drow di muoversi solo in verticale. Non poteva allontanarsi stando a mezzaria e scendere a terra l’avrebbe fatto sotterrare dalle bestiacce.
Ricordò quello che le aveva detto prima: il numero vince sempre.
A questo però, forse i topi non ci erano arrivati. O forse volevano mettere in atto una versione tutta loro del concetto l’unione fa la forza. Si ammucchiarono fino a diventare un’unica montagna di corpi, zampe e code intrecciate, e cominciò a succedere qualcosa. Divenne sempre più difficile capire dove finiva un corpo e iniziava l’altro, e a Dee Dee sembrò che si stessero fondendo insieme in senso letterale.
La cosa che si buttò sul drow non era più un ammasso di creaturine, ma un unico gigantesco ratto grosso come un bisonte, che si ergeva sulle zampe posteriori e camminava curvo per non colpire il soffitto con la testa. Il drow mormorò una breve parola e l’arco nelle sue mani si raddrizzò magicamente e divenne un bastone di legno. Lo tenne orizzontale davanti a sé per parare la prima possente artigliata del Re dei Topi, ma la forza del colpo lo sbalzò indietro di qualche metro, oltre Dee Dee. Lei fu svelta a ritirarsi nel suo cunicolo verticale quando il mostro avanzò, trattenne il respiro timorosa di fare qualsiasi rumore, ma quando il Re dei Topi passò oltre si sporse di nuovo per guardare. Il drow aveva toccato terra su una delle passerelle laterali (Incredibile, in questa situazione ancora si preoccupa di non camminare nei liquami, pensò Dee Dee scuotendo la testa), aveva agganciato il bastone dietro la schiena come al solito e stava estraendo la spada bastarda. Poi non vide più nulla, perché l’enorme pantegana le bloccava la visuale.
Intuì che stavano combattendo, e la cosa andò avanti per un po’. Quando veniva colpito, il ratto emetteva orribili stridii di dolore, suoni raccapriccianti che avrebbero riempito gli incubi di Dee Dee per molto tempo. Il corpo del ratto sembrava fatto di materia instabile, ogni tanto si muoveva come se avesse avuto dei parassiti sottopelle e alcune parti del suo corpo si scomponevano e ricombinavano. Quando il mostro si piegò sulle quattro zampe in seguito a una ferita particolarmente feroce, Dee Dee vide che anche il suo compagno drow non stava avendo vita facile. Era ferito e i suoi occhi dardeggiavano a destra e a sinistra in cerca di un punto vitale in cui colpire il Re dei Topi.
Il guerriero attaccò il mostro con una serie di fendenti aggressivi, costringendolo a una temporanea ritirata. Il mostro passò proprio sotto a Dee Dee, e a lei in quel momento sembrò di cogliere un’occasione.
Il grosso e tozzo collo del ratto era proprio sotto di lei.
Senza riflettere, si lasciò cadere a cavalcioni sulla bestia e affondò la spada lunga nella sua nuca, cercando il punto vitale come il drow le aveva insegnato.
Purtroppo non aveva considerato che il grosso mostro era solo un’orda di topi che si era conglomerata con l’aiuto di un po’ di magia selvaggia, non era un unico individuo con un’anatomia normale. Ricevette un grido di dolore come premio per i suoi sforzi, ma il suo colpo non era stato risolutivo come aveva sperato. La schiena del ratto si disgregò nel punto che aveva colpito e una manciata di pantegane si staccarono dal corpo principale per lanciarsi su di lei.
Forse il Re dei Topi aveva capito che era una strategia più vincente, o forse quegli animali potevano restare uniti solo per un breve periodo di tempo, ma dopo aver sepolto Dee Dee sotto un mucchio di ratti l’intero mostro si disgregò, tornando a essere una fiumana di roditori. Alcuni erano morti, ma troppo pochi, sempre troppo pochi. Dee Dee e il drow vennero sommersi da quell’onda nera di squittii, morsi, graffi, occhietti assetati di sangue e disgustose pelliccie imbevute di liquami.
A Dee Dee cominciava a mancare il respiro; colpire i ratti con la spada era impensabile, e anche con il pugnale stava ottenendo poco. Le sue ferite guarivano velocemente, ma non abbastanza da tenere il passo con i morsi e i graffi che riceveva ogni istante. Sentì che le maledette bestiacce stavano cercando di fare a brandelli i suoi vestiti e la sua carne. Poi, misericordiosamente, uno di quei mostriciattoli le fu strappato via dalla faccia un attimo prima che potesse affondarle gli incisivi in un occhio. Il drow era sopra di lei, mezzo coperto dai topi che gli si arrampicavano addosso, e stava bestemmiando nella sua lingua. Afferrò rudemente un braccio di Dee Dee e la tirò in piedi.
“Ti avevo detto di non muoverti!” Le gridò in faccia, cercando di scrollarsi di dosso le moleste creature.
Dee Dee gli avrebbe risposto per le rime, se la situazione fosse stata diversa, ma passare gli ultimi momenti di vita a giustificarsi non le sembrava una gran prospettiva. Preferiva concentrarsi sull’uccidere quanti più ratti possibile. Affondò il pugnale nel corpo di un roditore che stava dando la scalata al suo mantello.
“Non morirò contro dei topi.” Si lamentò il drow. “Diamine, qualsiasi cosa ma non un’orda di topi. Tieniti forte bamboccia, prendiamo l’uscita di emergenza!”
Detto questo, passò il braccio sinistro attorno alla vita della dhampir e le indicò un bracciale che portava al polso destro: era una fascia di cuoio con incastonata una grande pietra ovale e sottile, un opale nero.
“Premi la mano sulla pietra del bracciale.” Le ordinò, mentre allontanava qualche ratto a calci. “Attiverai un teletrasporto.”
“Dove andiamo?” Dee Dee dovette gridare per farsi sentire al di sopra degli squittii affamati.
Il drow le indicò con lo sguardo la massa di roditori che stava per rovesciarsi addosso a loro. “Via di qui, non ti basta?”
Dee Dee riflettè velocemente. Sì, le bastava. Poggiò il palmo della mano sulla pietra magica e poi strinse forte le dita intorno al polso del drow, pregando divinità in cui non aveva fiducia.


           

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Capitolo 16
*** 1363 DR: Uscito dagli incubi ***


1363 DR: Uscito dagli incubi


La prima cosa che Dee Dee provò fu un senso di nausea. Il teletrasporto che si attivava le fece l’effetto di essere presa in mano da un gigante e sballottata in aria.
La seconda cosa, fu la netta e inconfondibile sensazione di impattare nell’acqua fredda.
Per un momento restò paralizzata dalla confusione e dalla paura e l’acqua si richiuse su di lei, impregnando i suoi vestiti e tirandola verso il fondo... per fortuna il fondo era solo un paio di metri sotto di lei, e Dee Dee riuscì a darsi la spinta con i piedi e tornare a galla.
Emerse con qualche schiamazzo, ansimando per riprendere aria. Il drow era atterrato nell’acqua non lontano da lei, lo riconobbe perché aveva sempre intorno a sé quelle strane lucine danzanti. Lui aveva la testa fuori dall’acqua e si stava guardando intorno, annusando l’aria. Dee Dee si rese conto per la prima volta che l’aria aveva un odore molto strano. Si trovavano ancora nelle caverne, ma in un luogo che non aveva mai visto prima.
Il drow la prese per un braccio e la incitò in silenzio ad avviarsi verso la riva del fiume che scorreva pigramente. La riva era ripida e scivolosa, e le sue dita erano anchilosate per il freddo, ma il drow non le consentì di fermarsi a riposare. La trascinò fuori dall’acqua quasi di peso ed entrambi si ritrovarono seduti a prendere fiato su uno strato di morbido muschio.
“Non va bene essere qui.” Mormorò lui.
“Dove fiamo?”
“Quarto livello del dungeon.” Rispose il drow, strizzando il suo mantello impregnato d’acqua. Dee Dee imitò il suo esempio. “Il quarto livello è dove viene prodotto quasi tutto il cibo dell’Undermountain. Funghi, muschi, licheni e altri vegetali. Quindi è strettamente controllato e pieno di mostri. Dobbiamo stare molto attenti qui.”
“E perché fiamo venuti proprio qui?” Domandò lei, guardandolo con sospetto.
“I teletrasporti non funzionano nell’Undermountain. Stupida regola di un mago pazzo onnipotente che controlla, beh, buona parte di tutto quello che succede quaggiù. Ogni teletrasporto ti farà rimbalzare in un luogo casuale del dungeon.”
La giovane dhampir lo guardò con occhi spalancati e colmi d’orrore.
“Potevamo finire ovunque.” Sussurrò incredula.
“Sì. Ricordo di aver detto chiaramente uscita di emergenza.” Si giustificò lui.

Camminarono per un po’ in quell’oscurità vagamente rischiarata dai funghi fosforescenti che crescevano sulle pareti di roccia. Il drow si era liberato delle lucine danzanti e aveva raccomandato a Dee Dee di procedere con la massima furtività possibile, e soprattutto di non toccare nulla. Qualsiasi furto di cibo avrebbe richiamato i guardiani, se non l’avesse fatto la loro stessa presenza in quel luogo.
Dee Dee sospettava che il drow non sapesse bene dove andare. Si sentiva sempre più pessimista, in modo immotivato perché già altre volte aveva avuto la sensazione che si fossero persi... ma se l’erano sempre cavata, quindi perché stavolta avrebbe dovuto essere diverso? Scosse la testa, cercò di lottare contro quella sensazione, contro quel presagio di morte, ma non riuscì a liberarsene.
Svoltarono oltre una curva a gomito, allontanandosi dal fiume, e si ritrovarono in una caverna un po’ più larga. Lì, Dee Dee vide fugacemente una piccola figura nel buio. Fu solo un attimo, la creaturina si girò e scappò via, ma la ragazza credette che quella cosa fosse un bambino o forse una creatura delle stesse dimensioni. Un goblin? Non le era sembrato di riconoscere la testa spropositatamente grande di un goblin, ma che altro avrebbe potuto essere? Uno gnomo delle profondità?
Guardò il drow, pronta a chiedergli se anche lui avesse visto qualcosa, ma si trattenne: lui aveva insistito molto sul procedere in silenzio, e se la dhampir aveva visto qualcosa allora sicuramente l’aveva vista anche lui; dopotutto era più avvezzo di lei a procedere nei cunicoli del Buio Profondo.

Il drow invece non aveva visto nulla, ma aveva sentito qualcosa. Una lontana eco di risate che proveniva proprio da oltre la prossima svolta. Quel suono però aveva il sapore di un sogno, nessuno sarebbe stato così folle da ridere nel Buio Profondo.
Proseguirono. La caverna si allargava progressivamente intorno a loro, in modo quasi impercettibile, ma quando arrivarono alla svolta successiva videro che qui la grotta naturale si apriva in un ampio spazio dalla forma irregolare.
Dee Dee si fermò di colpo, come se lo sguardo di un basilisco l'avesse tramutata in pietra.
Davanti a lei c’era una bambina.

L’elfa la guardò per un lungo momento, con gli occhi sgranati. Quei capelli castani che cadevano in morbidi boccoli, quegli occhi color nocciola grandi e innocenti... Dee Dee l’avrebbe riconosciuta anche a distanza di cent’anni.
“Clariffe.” Sussurrò incredula, allungando una mano tremante verso di lei. “Oh, Clariffe, quale miracolo...?”
La bambina ricambiò il suo sguardo, ma nei suoi occhi c’era solo una profonda tristezza.
“Come hai potuto farmi questo, Dee Dee? Pensavo che fossi mia amica.”
La vocetta della bimba era come la ricordava. Ingenua, spaventata, disperata, pronta ad aggrapparsi a qualsiasi promessa della sua amica Dee Dee, anche se la ragazzina elfa aveva solo pochi anni più di lei e non aveva alcun potere nella città dei non-morti.
“Mi difpiace!” Dee Dee cercò di afferrare una spalla della bambina, ma quella si scostò, camminando all’indietro verso il centro della grotta.
“Mi hai uccisa, Dee Dee! Io mi fidavo di te!” La piccola le gridò contro, ma non c’era rabbia nel suo tono, solo completa e totale disperazione.
“Non... non potevo... mi difpiace cofì tanto, Clariffe.” Dee Dee cadde in ginocchio, accecata dalle lacrime per quel dolore che le si era riversato addosso senza preavviso, dopo anni che cercava di contenerlo, di non pensarci. “Mi hanno tenuta a digiuno per giorni. Efpofta alla luce del fole. Non ce la facevo più, Clariffe, la fame, il dolore... non fono ftata forte abbaftanza, quando ti hanno portata da me io non ero... non ero più... non potevo ragionare...”
“Nemmeno io potevo ragionare, alla fine.” La voce della bambina cominciò a cambiare, a farsi più flebile e gorgogliante. “Quando mi hai morsa e mi hai uccisa, quando poi mi hanno rianimata come un cadavere vivente, una bambola per la mia cara amica Dee Dee.”
L’elfa alzò lo sguardo, temendo quello che avrebbe visto: Clarisse non era più una bambina umana, adesso aveva l’aspetto di un fragile cadavere esangue, uno zombie, come quando il malvagio vampiro a cui doveva obbedienza l’aveva rianimata. Un premio per te, mia piccola. Le aveva detto, con quella sua voce melliflua e velenosa. Finalmente ti sei decisa ad obbedire, ora potrai stare con la tua amichetta per sempre.
Dee Dee ricordò l’orrore che aveva provato in quel momento e lo rivisse completamente, senza filtri, come se le stesse accadendo tutto per la prima volta. Come se non avesse rivissuto quella scena nei suoi incubi per anni.
“Ma anche allora non andavo bene alla mia amica Dee Dee. Mi hai uccisa di nuovo, mi hai rotta come una bambola. Io però non posso lasciarti.” La creaturina non-morta si avvicinò a Dee Dee, sporgendo le corte braccia di bambina verso di lei. “Non ci lasceremo più...”

Il drow, nel momento in cui aveva svoltato l’angolo della caverna, si era trovato davanti un panorama molto diverso.
La grotta non era una grotta, ma una collina coperta di boschi e prati, tinta dei colori del sole al tramonto.
Credevo che fossimo al quarto livello, pensò fra sé e sé, Possibile che invece mi sia sbagliato di grosso e ci troviamo nel leggendario livello di Willowwood, dove i portali si aprono sul cielo della Superficie e la luce del sole fa crescere una foresta nel mondo sotterraneo?
No,
realizzò un momento dopo. Anche se fossimo a Willowwood, dovrei comunque vedere le pareti di roccia che delimitano il dungeon. O siamo passati attraverso un Portale nascosto... oppure questa è un’illusione.
Udì di nuovo quella risata. Più avanti, oltre la cima della collina, doveva esserci qualcuno. Il drow sentì delle voci che parlavano, ma erano troppo distanti perché potesse capire le parole. Tuttavia gli sembrò di riconoscere le voci.
Turshana?
Si mosse lentamente, cercando di capire cosa stesse succedendo. Arrivato in cima alla collina non ebbe più dubbi. Le voci e le risate si tramutarono in urla e sotto il suo sguardo si dispiegò uno scenario che aveva visto molte volte, ma solo nella sua immaginazione.
Un enorme drago verde calava dal cielo. I bambini che correvano, terrorizzati, il soffio acido del drago che li investiva. Il vecchio Dren che correva incontro al pericolo, mettendo da parte la paura per proteggere il suo villaggio e la sua famiglia. Turshana che gridava il suo nome e seguiva il suo esempio, brandendo con coraggio la spada bastarda. E tutti gli altri, ovviamente; non li avrebbero mai lasciati combattere da soli. Era una comunità unita, solida, un esempio di speranza e di pacifica convivenza.
Tutti spazzati via. Dren schiacciato sotto il peso del drago che lo calpestava come un oggetto senza valore, Turshana quasi tagliata in due da una spazzata di coda. Zishan, sciocco giovane stregone, che pensava di poter penetrare le difese magiche di un drago con i suoi incantesimi. O forse voleva solo dare ai più giovani un’occasione per scappare.
Il drow rimase a guardare quella carneficina, assistendo impotente mentre persone che conosceva e stimava venivano massacrate. Il suo primo istinto sarebbe stato scendere in campo e attaccare il drago, ma sapeva che non sarebbe cambiato nulla.
“Non ho nemmeno la certezza che sia andata così.” Disse, ad alta voce. “È soltanto come l’ho sempre immaginato. E quel drago, maledetto rettile codardo... potevo ucciderlo una volta sola.” Si concentrò, ignorando le grida di dolore e di morte, cercò di fare silenzio nella sua mente sapendo che avrebbe sentito... quello... quel sussurro immondo che teneva in piedi l’illusione.
Estrasse la sua spada bastarda con una mossa fulminea e si girò, traboccante di rabbia.
“Però posso uccidere te.”

La visione intorno a lui era sparita. Non c’era più la collina coperta d’erba e fiori, non c’era più la luce del sole, era di nuovo nella grotta.
Il demone smise di sussurrare la sua litania di dolore e lo guardò con aria vagamente sorpresa.
Il guerriero scrutò quella figura dalle fattezze immonde, senza lasciarsi intimidire. Il demone era alto quasi il triplo di lui e aveva grosse e brutte ali da pipistrello, caratteristiche comuni a molti della sua razza, ma aveva qualcosa che agli occhi del drow l’avrebbe reso inconfondibile: quello sguardo di dolore e di perdita sul suo volto, un’espressione che poteva smuovere perfino pietà.
Non a me, pensò l’elfo scuro sollevando la spada.

Il drow cercò Dee Dee con lo sguardo. Era caduta a terra, in preda alle allucinazioni, ma sembrava ancora viva.
Bene, starà fuori dai piedi.
Soppesò la sua spada, sentendo che gli sembrava più pesante e meno maneggevole del solito.
Maledetto demone, hai soppresso la magia dei miei oggetti e delle mie armi. Ma adesso vedrai che non tutti i trucchi sono magici...

           

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Capitolo 17
*** 1363 DR: Uscire dall'incubo ***


1363 DR: Uscire dall’incubo


Il demone si riprese in fretta dallo stupore che la sua vittima designata si fosse accorta dell’inganno. Afferrò il suo enorme falchion con entrambe le mani e si lanciò all’attacco del drow a velocità incredibile. Riuscì a colpirlo una volta al fianco, ma gli altri attacchi andarono a vuoto perché lo sfuggente elfo scuro, dopo essere stato preso in contropiede dalla rapidità del demone, si abituò in fretta al suo ritmo. Il drow accusò il colpo al fianco, gemendo di dolore, ma continuò a combattere e fu ben attento a tenersi lontano dalle malvagie fauci del demone. Intanto, impugnò con entrambe le mani la bastarda, rinunciando alla velocità d’attacco per concentrare tutte le sue forze in un unico micidiale fendente; caricò quell’attacco di tutta la sua forza di volontà, pregando la sua Dea di concedergli il potere di infliggere un duro colpo al suo nemico, e la spada trovò la sua via oltre le difese del demone. Il fendente aprì uno squarcio in una coscia del demone e quello ululò di dolore, ma non si lasciò fermare. Ricominciò a sussurrare la sua nenia che mirava a tessere illusioni nella mente del nemico, ma stavolta il drow non si lasciò sopraffarre e rimase concentrato sulla battaglia. Il demone riuscì a colpirlo ancora una volta tagliando perfino la sua armatura di cuoio con un fendente orizzontale, ma per un po’ fu l’ultima; il drow lo incalzava senza tregua con quei fendenti mirati che non avrebbero dovuto essere magici, ma ferivano come se lo fossero. Diverse volte riuscì ad ingannare il mostro facendogli credere che lo avrebbe colpito in un punto, per poi invertire la manovra o cambiare posizione e attaccarlo altrove dov’era scoperto; sembrava che il demone non riuscisse a stare al passo di quell’avversario minuto e ricco di inventiva. Ad un certo punto il drow gli passò alle spalle con una finta ed uno scatto, e nonostante la sua scarsa altezza cercò di menomare il demone alle ali, per impedirgli di volare via. Riuscì a recidere solo la parte inferiore dell’ala destra, ma sperava che fosse sufficiente.
L’immonda creatura ringhiò di dolore e di frustrazione, sentendo che la vita cominciava a sfuggirgli; concentrò tutta la sua abilità per prendere l’avversario alla sprovvista e riuscì a mettere a segno un altro colpo devastante, un affondo che ferì gravemente l'elfo scuro al braccio destro e per un momento lo costrinse a retrocedere e a rinconsiderare la sua strategia, visto che non sarebbe più riuscito a reggere la spada con entrambe le mani... ma in quell’istante il drow percepì che la spada si faceva più leggera nella sua mano sinistra e che riusciva di nuovo a percepire la coscienza della sua arma senziente.

Ben tornata, amica mia, pensò con un sorriso predatore. Adesso quel rifiuto dell’universo imparerà che nessuno può frugare nella mia mente!
Ora che poteva nuovamente fare affidamento sul potere magico della sua lama, non aveva più bisogno di concentrare le proprie energie in ogni colpo e si gettò con furioso abbandono nel suo classico stile di combattimento: molti colpi, veloci, forse meno precisi ma comunque letali per un nemico come quello. Ora riusciva a colpire il demone molto più spesso e gli incantamenti della sua arma facevano il grosso del lavoro, intaccando l’essenza del demone con la loro magia.
Non fu una battaglia facile, il guerriero venne colpito ancora e molto duramente, il demone riuscì a perforare la sua armatura un paio di volte, ma ormai il drow vedeva chiaramente la fine della battaglia e non si fermò finché il nemico non crollò a terra, morto. Il corpo si sarebbe liquefatto a breve, ma per prudenza lo fece a pezzi; non sapeva se questo tipo di demone avesse la capacità di rigenerarsi.

 
Rinfoderò la spada e barcollò verso la dhampir, che senza più l’influenza del demone stava cominciando a riprendersi dalla terribile illusione che aveva vissuto.
“Per gli Dei!” Saltò in piedi quando vide il suo compagno ferito e coperto di sangue e di icore demoniaco. “Cofa è fucceffo? Ftai bene?”
Il drow annuì brevemente.
“Posso curare le mie ferite. Almeno, alcune di esse.” Si corresse, facendo una stima del suo stato di salute. “Però ho soprattutto bisogno di un bagno.”

 
Tornarono al fiume. Dee Dee si prese l’incarico di tenere d’occhio l’equipaggiamento del drow mentre lui si immergeva nelle acque fredde e cercava di togliersi pezzetti di demone dai capelli.
“Le tue ferite fono peggio di come penfaffi.” Commentò la ragazza, che se ne stava seduta sulla riva abbracciandosi le ginocchia. “Non dovrefti ftare in acqua.”
“L’acqua fredda ferma le emorragie.” La corresse lui.
“Ma potrebbe arrivare qualche moftro. Qualche... pefhe fotterraneo attratto dal fangue.”
Nascose il viso fra le ginocchia. L’odore di tutto quel sangue stava facendo strani effetti anche a lei.

È ferito, disse a sé stessa, cercando di rimettere a dormire i suoi istinti. Se bevo il suo sangue adesso morirà.
“Meglio morire puliti che vivere in queste condizioni.” Fu la risposta lapidaria. “Passami i miei vestiti, devo lavare anche quelli.”
“Ful ferio? Adeffo?”
“Non ho un cambio. Ho lasciato gli altri vestiti all’accampamento, come te, immagino. Dai, passameli.”
Dee Dee gli passò i vestiti, insieme al sapone che teneva sempre nello zaino e che trattava come se fosse stato un simbolo sacro, e attese con pazienza che lui terminasse il lavoro.
“Che cof’era quel moftro?” Domandò ad un certo punto, per rompere la noia.
“Un demone.” Spiegò lui. Evidentemente era in vena di parlare. “Sarebbe meglio che tu cominciassi a distinguere le creature che incontri, quantomeno a capire la differenza fra quelle che appartengono a questo mondo e quelle che vengono dai Piani immondi.”
Dee Dee rimase in silenzio per qualche istante, poi parlò di nuovo e la sua voce uscì tremula e quasi patetica.
“E... quella cofa che mi ha fatto? Cof’era? Ho rivifto cofe che non... che non avrebbero potuto...”
“Era un demone servo del dolore.” Approfondì lui. “Una creatura vigliacca e disgustosa che si nutre delle paure e degli incubi della gente. Ti costringe a rivivere momenti traumatici, oppure a vedere realizzate le tue peggiori paure. La cosa terribile è che, anche se sei abbastanza sveglio da capire che è un'illusione, ciò che vedi è così scioccante che ne rimani intrappolato
comunque. I poteri di questi demoni sono così grandi da riuscire a soggiogare qualunque creatura senziente, anche quelle che solitamente sono immuni agli inganni della mente.”
Dee Dee riflettè su quelle informazioni e le incamerò, giungendo a una conclusione inevitabile.
“Fe era cofì potente, io non farei mai riufhita a refiftergli. Anche con tutta la mia volontà... fenza di te farei morta.”
Il drow si rivestì dei suoi abiti ancora gocciolanti e si sedette accanto a Dee Dee.
“Lo sai... sono riuscito a resistere alle illusioni solo perché
sapevo cosa le stava generando. Avevo già affrontato in passato un mostro simile, e quella volta ero rimasto soggiogato anch’io dal suo potere, come te. Ma oggi l’odio che provo per quelle creature viscide e malvagie mi ha sostenuto nella battaglia, dandomi la forza di respingere il condizionamento mentale.”
La ragazza lo guardò incredula.
“Quindi... anche a te è fucceffo. Non fei fempre ftato infallibile?”
Il drow rispose con uno sbuffo divertito. “Non sono infallibile neanche adesso.”
“Ma come fei fopravviffuto quella volta? Dove hai trovato la forza?”
Lui la guardò come se non avesse capito il punto.
“Non l’ho trovata. Qualcun altro mi ha protetto, come oggi io ho protetto te. Come forse tu un giorno riuscirai a proteggere qualcun altro.”
Dee Dee sgranò gli occhi, incredula davanti a questa ammissione, scioccata per il tono tranquillo e quasi intenerito che il drow stava usando.
“Ma fei un drow. Non penfavo che le... infomma che le alleanze fra drow... foffero cofì. Penfavo che i deboli veniffero lafhati indietro.”
Lui non la contraddisse, ma rimase a lungo a pensare a una risposta.
“Quello che dici non è sbagliato, ma ogni persona ha la sua utilità. Io sono un guerriero, la mia mente non è allenata quanto quella di un mago, ma sono decisamente più letale nel combattimento. Un mago può essere potente quanto vuole, ma se incontra una creatura capace di resistere all’energia magica e quella creatura gli si avvicina troppo, addio mago. D’altro canto, ricordi lo sciame di topi? In quella situazione un mago avrebbe risolto il problema con qualche esplosione, mentre noi siamo rimasti impegolati in una marea di creature che ci avrebbero mangiati lentamente. Non si può giudicare l’utilità di un alleato da un’unica debolezza.” La guardò per un momento, poi aggiunse: “Avere degli alleati può salvarti la vita, quindi è un bene aiutarli, ma questo aiuto non deve esporti a un pericolo eccessivo. Non avresti dovuto attaccare quel gigantesco ratto, è stata una mossa inutile e pericolosa, avresti dovuto lasciarmi indietro e fuggire.”
Dee Dee lo guardò con aria disgustata. “Non l’avrei mai fatto!”
“Perché sei stupida.” Concluse lui. “Devi imparare a capire il nemico che hai davanti. Avresti dovuto accorgerti che quel ratto non aveva punti vitali, lo avresti notato se avessi osservato meglio il nostro scontro. Se non puoi ucciderlo, fuggire non è disdicevole.”
L’elfa continuò a guardarlo storto.
“Per Valaghar era
difdicevole. Abbandonare un alleato era difdicevole. Forfe avrei dovuto capire che non avrei potuto ucciderlo, ma non farei fcappata comunque.”
Il drow sospirò, scuotendo la testa.
“Allora sto sbagliando tutto con te. Devi imparare a mitigare i tuoi ideali con il buonsenso.”
Dee Dee non si degnò nemmeno di rispondergli, profondamente offesa.
“Mi chiamo Daren, comunque.” Disse lui, di punto in bianco.
L’elfa sbattè le palpebre un paio di volte.
“Cofa?”
“Ho detto che mi chiamo Daren. Sei sorda?”
Dee Dee rimase un momento sconcertata.
“Ma hai detto che non fi dice il proprio nome a perfone di cui non ci fi fida...”
“Non è proprio il mio
Vero Nome. Ma è il nome con cui mi sono sempre chiamato, e che ho sempre pensato fosse il mio. Non dico a nessuno il mio Vero Nome, ma questo puoi averlo. Te lo sei guadagnato, dopo una simile sfida sei a tutti gli effetti un’avventuriera del sottosuolo.”
“Oh.” Mormorò lei, presa in contropiede. “Ma quefto è folo il primo paffo. Io diventerò anche un’avventuriera famofa!” Scherzò.
Lui le concesse una breve risata.
“Dai, alzati. Non va bene stare troppo tempo nello stesso luogo. E c’è una cosa che devo controllare.”
Dee Dee si alzò e gli andò dietro, attendendo che lui spiegasse. Quel giorno sembrava in vena di chiarimenti. E infatti...
“Un demone servo del dolore si trattiene in un luogo solo quando in quel luogo si è svolta una battaglia, una razzia, una devastazione... o dove comunque c’è stata una grande concentrazione di dolore. Voglio capire che cosa è successo.”

Ah. Pensò lei, sentendo un nodo alla bocca dello stomaco. Quindi praticamente abbiamo affrontato i sintomi di un problema e non la causa... andiamo bene.
Per la seconda volta in poche ore, scoprì di essere più religiosa di quanto non credesse.


           

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Capitolo 18
*** 1363 DR: Due bionde piccole ***


1363 DR: Due bionde piccole


Dee Dee e il drow ripresero il cammino in silenzio, diretti nuovamente verso la caverna dove avevano combattuto il demone. Quando arrivarono, della creatura non restava più nulla, tranne un pezzetto di ala da pipistrello che il drow aveva reciso prima di dare il colpo di grazia a quella creatura immonda.
“Oh, bene.” Il guerriero raccolse quel macabro resto, con un certo interesse.
“Che fchifo, fai ful ferio?” Domandò l’elfa, storcendo il naso.
Il drow la guardò con sufficienza. “I pezzi di demone sono davvero utili per certi oggetti magici, lo posso piazzare bene al mercato di Skullport.”
“Che fine ha fatto il refto del corpo?”
“I demoni spariscono quando li uccidi.” Spiegò lui, con l’aria di ripetere una cosa ovvia e risaputa. “Si disgregano dopo qualche minuto e la loro essenza fa ritorno al loro Piano di provenienza, probabilmente l’Abisso. Ma se recidi un pezzo del loro corpo prima che muoiano, quel pezzo rimane quasi sempre lì dove è caduto; si stabilizza, in un certo senso. Non so perché.”
“Fa comunque fchifo.” Dee Dee rimase sulla sua posizione.
“Anche tu, ma io non sono così scortese da dirtelo.” La zittì lui.
Dee Dee gli rivolse uno sguardo assassino. Non amava i commenti sul suo aspetto, era già abbastanza insicura per via del suo colorito cadaverico e delle occhiaie causate dalla perenne stanchezza.
“Quefto non mi fembra efattamente il luogo di un maffacro.” Osservò lei, per cambiare argomento.
Il drow evocò le sue lucine danzanti e le usò per illuminare meglio l’ambiente. Entrambi potevano vedere nel buio, ma c’erano dettagli che potevano sfuggire alla loro vista soprannaturale, ad esempio i colori.
“Ah no?” Lui indicò qualcosa sul pavimento della grotta. Dee Dee notò solo allora che era ricoperto da un leggero e soffice strato di muschio. “Guarda queste aree in cui il muschio ha una tonalità diversa. Ha assorbito qualcosa che non era la normale umidità dell’aria. Qualche liquido è colato in alcuni punti e scommetterei che era sangue.”
“Ma non mi fembra che fia ftato calpeftato...”
“Io ed il demone abbiamo combattuto solo pochi metri più in là... nemmeno lì sembra calpestato. Questo vegetale deve avere una rapida capacità di recupero, visto che non rimangono tracce su di esso.” Osservò il guerriero. “Ma guarda la disposizione delle macchie di colore diverso; in alcuni punti sono perfettamente circolari, con altre macchie sempre circolari tutt’intorno, come se delle gocce di sangue fossero cadute dall’alto e avessero generato degli schizzi. Qualcuno che viene ferito e cade a terra non produce macchie di questa forma, né a questa distanza le une dalle altre.”
Dee Dee ci pensò un po’, ma poi scosse la testa.
“Parli per indovinelli.”
“Impara a pensare in tre dimensioni, ragazzina. Io sospetto un combattimento aereo, o quantomeno uno dei due schieramenti doveva trovarsi a una certa altezza rispetto al terreno.”
Entrambi alzarono lo sguardo. La volta era completamente immersa nell’oscurità ed era troppo alta perché potessero vedere qualcosa, anche con i loro occhi capaci di vedere al buio.
“Rimani qui.” Ordinò il drow, poi si alzò lentamente nell’aria facendo appello ai suoi poteri di levitazione.
“Ah! Afpetta! E fe arriva qualcofa?” Dee Dee lo fermò prendendolo per una caviglia, prima che si allontanasse troppo.
“Ti sembra educato afferrare la gente per i piedi? Se arriva qualcuno combatti, e se non ci riesci urla.” Il drow si scrollò dalla sua presa e fluttuò sempre più in alto fino a scomparire alla vista.
 
Daren salì verso la volta di pietra della caverna vuota, sentendosi fastidiosamente esposto. Quello che trovò lassú, però, lo ripagò del rischio. Il soffitto della caverna non era un’unica volta compatta, ma presentava stalattiti, diversi livelli di terrazze di pietra e alcove, il tutto parzialmente modificato in modo artificiale, probabilmente con metodi artigianali e non con la magia.
Quassù ci viveva qualcuno, si rese conto. A giudicare dagli spazi, qualcuno di grosso.
Trovò conferma della sua teoria quando cominciò a trovare i cadaveri.
Le creature sembravano grossi pipistrelli antropomorfi. Grossi, insomma, in realtà non più di un uomo (o di un drow), sebbene decisamente più tozzi. I loro corpi erano ormai in avanzato stato di decomposizione, ricoperti di funghi necrofagi, ma si riusciva ancora a intravedere la pelliccia rossastra di cui un tempo erano ricoperti.
Desmodu. Comprese il drow, osservando i resti delle creature e la conformazione del loro insediamento. Non aveva mai visto un desmodu, ma sapeva che erano creature pacifiche e riservate. Probabilmente si occupavano della raccolta del cibo, ma cosa li ha uccisi?
Trovò altri cadaveri, stavolta più grossi, ma simili ai primi.
Per gli Dei... quelli erano bambini. Questi invece sono adulti, o forse anziani. Ma sono pochi... troppi pochi adulti in relazione ai bambini. Questi sono guerrieri uccisi nella battaglia? O anziani scartati perché inutili, come i bambini? Chi li ha uccisi, e che fine hanno fatto gli altri esemplari adulti?
Continuò a cercare, ma non notò nulla di saliente. Non c’erano nemmeno ferite rivelatrici sui cadaveri, ma questo poteva essere un indizio importante a modo suo.
Nessuna ferita, quindi uccisi con il veleno, con magia necromantica o... con qualcos’altro di cui non sono a conoscenza.
Alla fine, trovò qualcosa di interessante. Ragnatele che ricoprivano una piccola porzione di roccia. Non nel modo in cui solitamente vengono tessute le ragnatele, non in un posto dove potessero facilmente catturare insetti o piccoli animali... ma tutte concentrate in un punto, come se fossero state messe a formare una barriera difensiva.
Che cosa può aver spaventato dei ragni? Non sono creature intelligenti, pochi hanno interesse a minacciare degli animaletti, inoltre non dovrebbero risentire dell’effetto maligno di un Demone servo del dolore... quindi perché cercare riparo? Semplice istinto?
Poi un pensiero improvviso lo colse:
Perché non sono usciti a mangiare i cadaveri dei desmodu? Forse non sono più qui, forse dietro queste ragnatele non c’è un’alcova come le altre ma un vero passaggio per il livello superiore, o per un’altra caverna di questo livello.
Be’, di sicuro non ho voglia di avere a che fare con dei ragni, e difficilmente sarebbero dei testimoni attendibili.

I drow sono creature furtive capaci di arrivare alle spalle di quasi qualsiasi creatura senza essere scoperti, ma in qualche modo la presenza di Daren aveva messo in allarme o aveva attirato gli abitanti del cunicolo. Una marea di piccoli ragnetti si riversò fuori, passando fra i buchi delle ragnatele. Il drow si diede una spinta contro la parete, per rimanere a fluttuare a mezz’aria lontano da qualsiasi appiglio di pietra. Non aveva alcun desiderio di essere sommerso dai ragni, o peggio mangiato vivo.
I minuscoli aracnidi inizialmente si dispersero all’uscita della loro alcova, ma poi si ricompattarono a formare una specie di conglomerato. Daren li osservò con disgustato interesse: non aveva mai visto dei ragni fare così, e nella città sotterranea di Menzoberranzan ne aveva visti molti. Quando il conglomerato cominciò a prendere la forma di un ragno gigante, l’elfo scuro imprecò fra i denti e la sua mano corse istintivamente alla spada che teneva legata alla schiena: dopo la sua disavventura con il Re dei Topi, sembrava che questo comportamento stesse diventando un’abitudine per tutte le creaturine dell’Undermountain...
Provò ad estrarre la spada, sorridendo dell’ironia della vita. Combattere un ragno gigante con un’arma ricavata dall’esoscheletro di un altro ragno gigante... ma la spada si rifiutò di uscire dal fodero. Daren diede un altro strattone. L’arma sembrava pesare una tonnellata nella sua mano.
Ma che, sei seria? Inviò questo pensiero alla spada senziente. La spada aveva un suo codice morale e non si lasciava sguainare per combattere creature che, a suo giudizio, non erano nemiche.
La risposta dell’arma magica fu l’equivalente emotivo di una scrollata di spalle.
Il grosso ragno prese rapidamente forma: il suo corpo era grande poco più del torace di Daren, ma le zampe lunghe lo rendevano nel complesso di taglia quasi umana. Era abbastanza disgustoso, ma l’occhio clinico del drow lo catalogò come una specie di ragno che non aveva mai visto (e ne aveva visti molti). Il ragno rimase fermo, come se stesse studiando quello strano bipede che fluttuava a mezz’aria, poi si mosse rapido come un fulmine verso la prima superficie orizzontale disponibile. Daren pensò che stesse fuggendo, ma quando vide che si era fermato su una delle piattaforme dei desmodu, rimase incuriosito a guardare quello strano comportamento. Il ragno cominciò a cambiare.
Di nuovo? Questo ragno soffre di qualche malattia magica, per cui non riesce a restare nella stessa forma più di una manciata di secondi?
La forma del ragno si stirò e si allungò, assumendo sembianze più familiari, più... umanoidi. Le sembianze di una ragazza.

Se Daren non l’avesse vista trasformarsi sotto ai suoi occhi, avrebbe pensato che fosse una ragazzina umana. Era perfino più bassa di lui, bionda e minuta come una bambola. Il suo sguardo però era tutt’altro che da bambola.
“Sei Daren, vero?” Domandò lei come prima cosa.
Questo prese davvero alla sprovvista il drow solitario. Non erano in molti a conoscerlo, tanto meno quelli che avrebbero potuto distinguerlo da qualsiasi altro drow.
“Cosa te lo fa pensare?”
La ragazza-ragno si leccò nervosamente le labbra.
“Non sono molti i drow che girano da soli nell’Undermountain, troppo pericoloso. E poi la tua spada, beh, lo percepisco che è fatta con quello che resta di un mio simile.”
“Non... non era un tuo simile, qualunque cosa tu sia. Non era senziente.” Spiegò, come a volersi giustificare. “A proposito, che cosa sei?”
“Dammi del cibo.” Fu l’unica risposta. “Sono rimasta bloccata in quel cunicolo senza uscita per giorni, per non farmi prendere dal demone. Ora non lo sento più, ma potrebbe tornare, dobbiamo andarcene in fretta. E sto morendo di fame.”
Il drow frugò un po’ nel suo zaino, poi le lanciò un blocco di carne essiccata. Qualunque cosa purché lei non decidesse di mangiare lui.
“Non tornerà, è andato. Morto.” Chiarì.
La ragazza afferrò il pacchetto di cibo e cominciò a divorarlo, grattando la carne dura con i suoi piccoli denti da umana. Dopo qualche momento sembrò recepire la risposta di lui.
“Cosa? Morto? Mi prendi in giro?”
Il drow scrollò le spalle e si guardò intorno, indicando un un ampio gesto del braccio la desolazione intorno a loro.
“È stato il demone a distruggere questo insediamento di desmodu? Si è nutrito delle loro paure?”
La ragazza scosse la testa, lentamente. “No, e non credo che uccida in quel modo. Non si porterebbe dietro un’arma, altrimenti.” Ragionò, ingoiando un altro boccone. “Questa gente è stata attaccata da un gruppo di Illithid.”
Daren raggelò. Se c’era una cosa che gli faceva orrore al mondo, più dei ragni, più dello sporco, più delle melm... ok, quasi quanto le melme, erano i malvagi mostri psionici noti come Illithid. Creature aliene dalle teste tentacolari, che sapevano leggere nella mente e piegare la volontà delle persone riducendole in schiavitù, e spesso usavano i loro poteri psionici per torturare i nemici... o per uccidere.
I corpi senza ferite. I bambini morti, gli adulti scomparsi. Catturati come schiavi! Realizzò in quel momento. Avrei dovuto arrivarci.
“Cosa ci facevi qui? In un villaggio desmodu?”
“È uno dei territori che tengo d’occhio.” Spiegò lei, finendo di mangiare. “Ci siamo già incontrati, ma solo di sfuggita. Sono Lizy, guardiana della porta inferiore.” Si presentò.
Qualcosa scattò nella mente del drow e riuscì a distogliere i pensieri dalle sue congetture sugli Illithid.
“Lizy? Ma certo, sei una cameriera al Pick and Lantern, giusto?”
Diamine, non metterò più piede in quella taverna, se mettono un ragno a servire ai tavoli. Però un maschio drow è abbastanza saggio da sapere quando tenere per sé simili pensieri.
Lei lo guardò storto. “Sì, lavoro per il Pick and Lantern come cameriera, esploratrice cartografa, e libera professionista per la città di Skullport come guardiana della porta inferiore.”
“Mi sorprende che tu riesca a sbarcare il lunario con questi lavori da fame.” Commentò lui, lanciandole un altro blocco di carne. “Allora, che farai per questi Illithid?”
La ragazza lo guardò incredula.
“Che dovrei fare? Farò rapporto. Un contingente di Illithid si è spinto fin qui per reclutare schiavi per la loro schifosa città, che dovrei farci? Skullport deve saperlo. Qualcun altro deve prendere il posto dei desmodu e occuparsi della vegetazione di questa caverna.”
Daren sospirò, scuotendo la testa.
“Chi vorrebbe venire a lavorare quaggiù, sapendo che i guardiani non li proteggono?”
“I guardiani non proteggono!” Ribattè lei sulla difensiva. “I guardiani... guardano. Il nostro compito è fare rapporto alla città di Skullport se individuiamo dei problemi che da soli non possiamo risolvere. Finché la città resta al sicuro, chi se ne frega di cosa succede alle fattorie. Manderanno qualcun altro a curare il raccolto. Degli schiavi.”
“E quante monete speri di raggranellare con il tuo fantastico rapporto Gli Illithid hanno massacrato un villaggio di coltivatori e mi sono nascosta in un buco per giorni?”
“C’era un demone!” Protestò la ragazza a gran voce.
“Una scusa valida, ma pur sempre una scusa.”
“E tu cosa ci fai qui, invece? Nemmeno tu sei al tuo posto, guardiano della porta superiore. Dovresti stare negli strati più superficiali dell’Undermountain a controllare che nessun pericolo eccessivo cada su Skullport dal mondo di sopra.”
Il drow sospirò, colto in fallo.
“Detesto ammetterlo ma hai ragione. Un teletrasporto impazzito ci ha portati qui.”
Ci?”
Daren indicò verso il basso. “Ho una persona che viaggia con me. Una ragazzina.”
“Allora dovresti tornare giù prima che qualcosa di grosso arrivi a mangiarsela.” Consigliò lei. “E visto che non sei pratico di queste zone, forse potrebbe servirti l’aiuto di una esploratrice cartografa che conosce bene gli strati inferiori, come me... in cambio di favori futuri, magari.”
Lui riflettè su quella proposta, poi annuì.
“Stavo pensando anche a qualche favore immediato. Potresti spiegarmi come arrivare a Skullport, potresti disegnare delle mappe per mio conto seguendo le mie istruzioni, e io potrei, diciamo, fare in modo che tu scriva un rapporto molto migliore, molto più remunerativo. Sei interessata?”
Lizy lo guardò con sospetto, ma anche con interesse.
“Potrei esserlo.”


           

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Capitolo 19
*** 1363 DR: Scegliere una via ***


1363 DR: Scegliere una via


Dee Dee aveva l'impressione di essere rimasta lì in attesa del nulla per ore. Probabilmente erano stati solo alcuni minuti, ma la giovane dhampir si sentiva nervosa e pericolosamente esposta. La caverna era vuota e non c’era un posto dove nascondersi, quindi si era appoggiata ad una parete cercando di appiattirsi il più possibile; traeva un minimo di sicurezza dall'idea di avere almeno le spalle coperte, anche se la sua schiena era stranamente umidiccia per il contatto con il muschio che cresceva in tutto il quarto livello dell’Undermountain.
“Spostati subito da lí, sciocca ragazzina!” Le gridò una voce dall'alto. Dee Dee la riconobbe, era la voce del drow. Non che avesse bisogno di riconoscere la voce, il tono era inconfondibilmente suo.
Con uno sbuffo di fastidio, fece quello che le veniva detto. Il drow stava scendendo in quel momento dal soffitto e a lei sembrò che stesse calando un po’ troppo in fretta per il suo stesso bene. In effetti lui cadde a terra e fece una capriola per attutire il colpo, segno che non aveva tratto il massimo dalla sua capacità di levitazione. Dee Dee comprese il motivo quando lui le si gettò quasi addosso e le strappó il mantello dalle spalle, buttandolo a terra. Stupita da quella foga, la ragazza si girò a guardare: il suo mantello era ricoperto da una specie di polverina vegetale che lo stava corrodendo, o forse digerendo.
“Colpa mia, avrei dovuto dirti di non toccare le pareti.” Spiegó lui. Raccolse i capelli di Dee Dee in una specie di coda e con il pugnale li tranciò di netto all'altezza della nuca. Fu tutto così rapido che la ragazza non ebbe neanche il tempo di protestare.
“Ehi! Ma… mi piacevano i miei capelli!”
“Certo, ma se non volevi che quelle cose risalissero fino alla tua testa…” lui le mostró le ciocche che aveva reciso: le punte erano state già bruciate (già per almeno una spanna) e quella polvere stava risalendo lentamente verso la mano del drow. Lasciò cadere i capelli biondi a terra, pulendosi la mano contro i calzoni. “Non scoraggiarti, ricresceranno.”
Sì… lentamente. Pensó Dee Dee con mestizia. Ci erano voluti diciott'anni perché arrivassero laggiù… sigh. Un'altra delle poche cose belle della mia vita, andata.
“Ful ferio la gente mangia quelle cofe affaffine?”
Daren le concesse un sorriso amaro.
“Se pensi che qualcosa ti mangerà, cerca di mangiarla prima tu!”
Dee Dee rifletté su quella filosofia di vita, trovandosi a pensare che dopotutto avesse un senso. Il drow fece per dire qualcos'altro, ma improvvisamente lei impallidì e indicò qualcosa alle sue spalle, con il dito tremante: “Quello rientra nella categoria?”
Lui si voltò: un grosso ragno stava scendendo lentamente dal soffitto, calandosi da un filo di ragnatela.
“Ah, quella. Non credo, finora non ha cercato di mangiarmi. È una creatura senziente, potremmo esserci utili a vicenda.”
Dee Dee mantenne il suo scetticismo finché la creatura aracnide non toccó terra e si trasformò sotto i suoi occhi in una graziosa giovane donna umana.
Dei. Non so se voglio davvero vivere qui.

L’elfa dhampir si prese qualche momento per studiare la nuova arrivata e percepì che l'altra stava facendo la stessa cosa con lei.
Alla fine fu la donna-ragno a rompere il silenzio: “Se tu sei un vampiro, come credo, allora io non sono commestibile per te e tu non lo sei per me.” Dichiaró. “Questa è una buona base per una pacifica collaborazione.”
Dee Dee rimase senza parole davanti ad un simile approccio. Non era certamente il criterio con cui in Superficie si stipulavano alleanze.
“Fe io foffi un vampiro, non potrei bere il tuo fangue ma cercherei comunque di rifucchiare la tua energia vitale. Tutto ciò che è vivo attira i vampiri come il fuoco attira le falene. Ma per fortuna io fono folo una dhampir.”
L'altra ragazza sembró molto colpita da quella risposta.
“Allora ti ringrazio per aver corretto le mie lacune. Non eri tenuta a farlo. Mi piacerebbe rimanere in termini amichevoli con te. Il mio nome è Lizy e sono un’aranea.”
La parola “aranea” non disse nulla a Dee Dee, ma aveva notato con la coda dell'occhio che il suo compagno drow aveva accennato un assenso con il capo, quindi finse di sapere di che cosa stesse parlando prendendo nota di chiedere lumi a lui, più tardi.
Poi ricordò che lui era un gran bugiardo, restio a concedere informazioni.
“Io mi chiamo Dee Dee. Ti chiedo fcufa, ma non fo cofa fia un’aranea”. Ammise. Magari la ragazza, Lizy, sarebbe stata più cordiale, visto che Dee Dee le aveva appena rivelato delle informazioni in modo gratuito.
“Tranquilla. Praticamente io sono un ragno gigante senziente capace di prendere forma umana.”
La spiegazione era semplice e piuttosto ovvia, ma non aggiungeva nulla a quello che l’elfa aveva già capito da sola. Dee Dee la guardò con grande interesse; non c'era niente, nell'aspetto dell'altra ragazza, che lasciasse trapelare la sua natura aracnide.
“Forte. Cioè, quindi… come un… un ragno mannaro, ma al contrario?”
Seguí un momento di silenzio. Poi Daren scoppió a ridere, ma cercando di non fare troppo rumore.
“Che hai da ridere adesso?” Domandò Lizy, piccata.
Il drow cerco di riprendere fiato. “Eh… è che… sto immaginando un umano che morde un ragno… e il ragno che con la luna piena diventa umano e mormora oh merda…” Non riuscì a spiegarsi oltre, piegato in due dalle risate.
Lizy borbottò qualcosa che suonava sospettosamente come imbecille.
“No, non come un ragno mannaro al contrario. Per la verità la mia razza è stata creata con la magia dagli esperimenti dei maghi umani, proprio per combattere i drow.” Nel dirlo, lanciò un'occhiataccia all’elfo scuro.
“Non so quanto possa aver funzionato.” Commentò lui. “Metà dei maschi drow che conosco scapperebbero orripilati davanti a una donna-ragno, mentre all'altra metà verrebbe duro. Quale risultato speravano di ottenere i maghi umani?”
Lo sguardo di biasimo di Lizy non vacillò nemmeno un po’.
“Le aranea sono state create per spiare e combattere i drow, ma quando abbiamo esaurito la nostra utilità gli umani ci hanno dato la caccia. È orribile che tu cerchi di mettermi a disagio per la mia natura, con tutto quello che ha passato la mia gente per colpa vostra.”
“Io sono una persona orribile.” Ammise lui, incrociando le braccia sul petto in quello che per la sua cultura era un segno di resa. “Allora, guardiana della porta inferiore, che mi puoi dire di questo livello? Come si arriva a Skullport da quaggiù?”
“Dobbiamo raggiungere l'isola in mezzo al lago che c'è più a sud. L'isola è una gigantesca stalagmite che collega al soffitto di questo livello, e lì ci sono delle sottili spaccature attraverso cui si può passare.”
“Tu puoi passarci in forma di ragno, o in forma di sciame di ragni come hai fatto per nasconderti dal demone… ma io? E lei?” Domandó, indicando Dee Dee.
“Non sono così stretti. Ci potete passare entrambi. Però ci sono tre problemi: il primo è che il lago è occupato dai kuo-toa che ne hanno fatto un allevamento di pesci. Io e te possiamo ottenere un lasciapassare mostrando i distintivi di Guardiani, che ci identificano come presenze neutrali al servizio di Skullport, ma Dee Dee non verrebbe fatta passare.”
“Uhm… un modo lo potremmo trovare.” Ipotizzò Daren.
“Il secondo problema è che su quell'isola vive un enorme mostro, un otyugh.”
“E questo sarebbe un problema? Un singolo otyugh, tanto varrebbe tirare sassi a un cane.”
Lizy alzò gli occhi al soffitto.
“Sei un po’ supponente.”
“Riconosco la mia abilità contro un nemico singolo e abbastanza grosso da essere un bersaglio facile.” Rettificò lui. “Così come riconosco la mia inutilità contro… uno sciame, o un moccioso che frigna.”
“Hai degli strani nemici.” Commentò la bionda, lentamente. “Ma la tua ammissione mi lusinga, visto che posso rientrare in una delle due categorie.”
“Chi lo sa, magari in entrambe!” Rispose lui a mezza voce.
Perché si comporta così con Lizy? Si domandò la dhampir. Che cosa si sono detti lassù? Da quando sono scesi, si è comportato da stronzo con lei, peggio di come fa con me.
Dee Dee riflettè su questa cosa che aveva notato, ma non aveva una risposta da darsi. Forse non sapeva abbastanza su Lizy per farsi un’idea di lei, ma fino a questo momento l’aranea le stava piacendo abbastanza. A Daren invece non piaceva.
Forse è perché le loro rispettive razze sono nemiche naturali. Si disse, non troppo convinta.

Daren non si era reso conto di star tenendo un comportamento peggiore del solito, ma era vero che Lizy non gli piaceva molto.
Non aveva ragioni per odiarla o per volerle male, ma lei era così fastidiosamente neutrale nelle sue decisioni.
Diamine, posso tollerare una persona buona. A fatica, ma la posso tollerare. Almeno si schiera per qualcosa, ha un cazzo di scopo nella vita. Pensò, occhieggiando l’aranea. E una persona malvagia, quantomeno, spesso ti darà un buon motivo per ucciderla, minacciando te o la tua gente. Ma una come lei? Cosa dovrebbe farsene il mondo di una come lei?
Non sapeva perché stesse provando tanto fastidio per l’atteggiamento della donna, non aveva mai provato sentimenti simili per i comuni cittadini di Skullport, né di nessun altro luogo.
Alla fine ci arrivò.
È un’avventuriera. È abbastanza in gamba da muoversi da sola per il Buio Profondo, la sua scarsa performance contro illithid e demoni non è significativa, nessuno potrebbe combattere da solo contro nemici del genere. È una persona forte ma non fa alcun uso della sua forza, se non curare il suo orticello. È un intollerabile spreco.
Mi sta sulle palle. Gli ignavi e gli egoisti mi stanno sulle palle. Se fosse debole lo capirei, ma non lo è.
Dei, quasi quasi è meglio Dee Dee con il suo lavaggio del cervello da paladina.

Inconsapevole di aver fatto qualche passo avanti agli occhi del drow (sebbene solo per contrasto e non per merito suo), Dee Dee riprese il discorso che il guerriero aveva lasciato cadere.
“Hai detto tre problemi. Qual è il terzo?”
Lizy tacque per un momento, cercando le parole. “Beh… il punto è che quegli… quegli stretti cunicoli sono…” la frase si spense in un borbottio imbarazzato. Dopo qualche secondo di silenzio pesante, si fece coraggio e concluse: “Quei cunicoli sono il posto dove Skullport butta la spazzatura e alcuni… scarti.”
“Scarti e spazzatura non sono la stessa cosa?” Domandò il drow, volendo vederci chiaro.
“Ehm… no. Un altro tipo di scarti.”
Sul volto del guerriero si dipinse lentamente un’espressione di puro disgusto. “No.”
“Oh. Un ostacolo insormontabile?” Lo provocò l’aranea, con voce flautata.
“Non striscerò su per cunicoli verticali, stretti e arzigogolati, in mezzo ai rifiuti di un’intera città e alla cacca di… di… qualsiasi cosa, goblin inclusi.”
“I goblin sono il meno.” Confermò la ragazza. “Io posso trasformarmi in uno sciame di ragnetti, riesco a evitare quasi tutto, ma tu, eh… sei magro ma non incorporeo.” Ridacchiò lei.
“Francamente fa molto fchifo anche a me.” Intervenne Dee Dee.
“Come? Non puoi diventare una nuvola di gas?” Lizy sembrava un pochino dispiaciuta per lei.
“No.” Sospirò Dee Dee. “Non fono cofì fimile a un vero vampiro. Per la prima volta in vita mia, devo dire purtroppo.
“Non c’era un’altra spaccatura verticale che collegava i livelli inferiori con quello dove si trova Skullport?” Chiese il drow. “Avevo sentito dire…”
“C’è, ma l’estremità che si apre sul terzo livello adesso è controllata dagli Agenti dell’Occhio.” L’aranea scosse la testa. “Nominalmente potremmo passare, io e te, siamo pur sempre persone che lavorano per Skullport, facendo quindi gli interessi di tutte le società palesi e segrete della città... compresa la compagnia di schiavisti. Però puoi immaginare quanto poco siano affidabili.”
“È ridicolo che possano rivoltarsi contro di noi, l’ordine dei guardiani esiste perché gli Agenti dell’Occhio hanno affrontato una guerra contro i Ladri dell’Ombra che avevano il covo nelle fogne, e anche perché si dice che alcuni anni fa un gruppo di avventurieri che venivano dalla Superficie abbia distrutto un’organizzazione di schiavisti Yuan-ti, che faceva capo a Zstulkk Ssarmn.” Raccontò il drow. “Ma, quella è solo una voce.”
“Zstulkk Ssarmn che è uno dei leader dell’Anello di Ferro? Quel Zstulkk Ssarmn?” Boccheggiò Lizy.
Dee Dee non sapeva di chi stessero parlando ma immaginava che dovesse essere un pezzo grosso.
“Ripeto, è solo una voce. Ma il punto è che a tutti fa comodo che Skullport e le sue zone limitrofe rimangano il delicato microclima che sono ora, senza interferenze dalla Superficie o da altre città del Buio Profondo. Per questo esiste il nostro lavoro, e la nostra neutralità deve essere garantita da mancanza di interesse personale in una qualsiasi delle fazioni di Skullport. Per questo è importante che facciamo qualcosa se degli illithid si permettono di invadere le fattorie del quarto strato, da cui proviene buona parte del cibo della città.”
“Cof’è un illithid?” Chiese Dee Dee, ma la sua domanda fu completamente ignorata.
“E quindi tu pensi che dovremmo passare dal Pozzo e sbucare tranquillamente in mezzo a un appostamento di schiavisti Agenti dell’Occhio?” Insistette l’aranea, senza accorgersi che la sua voce era diventata più acuta per il nervosismo.
Il drow scrollò le spalle. “Ti stavo solo fornendo uno spaccato di attualità.”
“E la tua amica?” Lizy indicò l’elfa con un cenno del capo.
Daren spostò lo sguardo da Lizy a Dee Dee.
“La ragazzina non viene in ogni caso. Nè su per i canali di scolo, né se dovessimo passare dal Pozzo sbucando vicino al covo di quelli dell’Occhio.”
“Cofa? E dove dovrei andare?” Dee Dee quasi gridò, tremando di rabbia. “Fmetti di ignorarmi! Fono qui! Dimmi, dove dovrei ftare?”
Daren si guardò intorno.
“Ti lascerei qui, ma potresti essere mangiata dai funghi, per non parlare degli altri mostri che infestano questo livello. No, ho ragione di credere che ci siano altre fattorie di desmodu qui intorno, e forse accetteranno di ospitare Dee Dee per qualche tempo, in cambio di qualche favore. In questo insediamento distrutto ho trovato appigli per pipistrelli giganti, ma niente cadaveri di pipistrelli e niente guano. Non allevavano pipistrelli giganti qui, ma i desmodu solitamente lo fanno, questo significa che ci sono altre comunità nei paraggi.” Concluse le sue supposizioni spostando lo sguardo sull’aranea.
Lei sembrava colpita.
“Hai buone capacità deduttive. Sì, se non sono stati catturati anche loro… dovrebbe esserci un altro insediamento, non molto lontano.”
“Bene, allora. Non perdiamo altro tempo. Prima scarico Dee Dee in un posto abbastanza sicuro, prima possiamo andare a fare del lavoro vero.”
Dee Dee cercò di protestare, ma capì che era inutile.

********
Nota: Mi rendo conto che la situazione politica di Skullport non è semplice da capire, e la maggior parte di quello che ho descritto non è canon (sebbene alcune cose lo siano). Altre cose sono mie invenzioni oppure avvenimenti accaduti nelle mie campagne di D&D.
Un breve riassunto cronologico:
1353 DR: un gruppo di avventurieri distrugge una organizzazione schiavista yuan-ti. In quel momento il suo capo non era nel covo quindi non viene ucciso.
1362 DR: la compagnia schiavista nota come Agenti dell'Occhio interrompe bruscamente il sodalizio con i Ladri dell'ombra dell'Amn perché avevano cercato di fregarsi troppo a vicenda. La loro alleanza derivava dalla necessità di far fronte al potere di un'altra compagnia che qui non viene citata. A seguito di questo conflitto di scala piuttosto grande, vengono interrotti i collegamenti via nave fra Waterdeep e Skullport (prima erano collegate da una nave che passava attraverso un Portale, come descritto nei capitoli 4, 27 e 28 di Jolly Adventures), e da una serie di chiuse che consentono alle navi di scendere attraverso cunicoli inondati d'acqua, ma anche quella via per ora è preclusa. Da questo momento qualunque mercante, se vuole viaggiare da Waterdeep a Skullport o vice versa, deve attraversare a piedi il dungeon. Ma per ora di contatti mercantili non ce ne sono, la situazione è considerata ancora pericolosa per i mercanti della superficie (cioè più pericolosa di prima).
Sempre nel 1362 DR viene istituita la figura professionale dei Guardiani, cioè persone ufficialmente non schierate con nessuna organizzazione (anche se quasi certamente lo sono e questa cosa viene accettata chiudendo un occhio, a patto che non si comportino secondo un conflitto di interesse). Il compito dei Guardiani è controllare che non arrivino influenze esterne potenti a Skullport. Non si vuole ripetere l'evento di avventurieri che scombinano il tessuto sociale, oppure organizzazioni della superficie o di altre città del sottosuolo che vogliono prendere potere a Skullport.
1363 DR (anno corrente in questa storia): viene fondato l'Anello di Ferro, una organizzazione schiavista e mercantile di cui uno dei capi è lo yuan-ti la cui organizzazione era stata distrutta 10 anni prima.
Sempre nel 1363 DR un contingente di illithid attacca e prende in schiavitù alcuni desmodu. Queste creature avevano il compito di badare alla produzione di cibo di una caverna del quarto livello, che è il livello dove quasi tutto il cibo viene prodotto. Probabilmente gli illithid hanno attaccato non tanto per il cibo quanto proprio per catturare schiavi, non si sa perché proprio desmodu, ma si configura comunque come un'invasione da parte di un'altra città del sottosuolo, quindi sarebbe sempre materia di interesse dei Guardiani.

           

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Capitolo 20
*** 1363 DR: Na na na na na na na na ***


1363 DR: Na na na na na na na na


Il drow, l'aranea e la dhampir camminarono senza rivolgersi la parola per alcuni minuti. I desmodu erano una razza riservata e prudente, non volevano rischiare di spaventarli con atteggiamenti minacciosi. Cercavano di camminare nel più perfetto silanzio, per non attirare strane bestie su di loro e vicino al covo dei desmodu. Ad un certo punto Dee Dee aveva cominciato a rabbrividire per il freddo (era ancora bagnata dopo l’atterraggio nel lago e poi aveva perso il mantello), e il drow le aveva prestato il suo mantello per evitare che sbattesse i denti facendosi sentire da tutto il dungeon.
“Dopo la prossima svolta dovremmo esserci” Lizy avvertí sottovoce gli altri due.
Daren non dubitava che avrebbero trovato le persone che cercavano, la giovane esploratrice conosceva quel livello meglio di lui; dubitava che le avrebbero trovate ancora vive, e anche un quel caso... sarebbero riusciti a convincere i desmodu a collaborare? Quel clan conosceva già Lizy, e questo avrebbe potuto giocare a loro vantaggio, ma non sarebbe stato facile convincere quelle creature riservate a rivelare informazioni sul loro stesso popolo a un elfo scuro, e nemmeno ad ospitare una mezza-vampira.
 
Il villaggio c’era. Gli stridii dei pipistrelli giganti salutarono l'arrivo dei tre in quella grotta, avvertendo i loro coinquilini desmodu che degli estranei avevano appena sconfinato.
Umanoidi simili a grossi pipistrelli senza ali si calarono dalla volta rocciosa della cava, cercando appigli lungo le pareti oppure planando grazie alle membrane che avevano fra le braccia e le gambe.
Presto il gruppetto si trovò circondato da queste creature, che puntavano contro di loro strane lance.
“Veniamo in pace.” Esordì Lizy, aprendo le braccia per mostrare che non intendeva impugnare le armi.
I desmodu esitarono. Daren percepì la loro incertezza.
Non sono creature aggressive. Pensò, incrociando le braccia sul petto in un gesto che per la sua razza significava resa, o dichiarazione di non belligeranza. Non ci attaccheranno per primi, e sono confusi dall’eterogeneità del nostro gruppo.
“Sappiamo cosa è accaduto ai vostri vicini… o parenti… ma non siamo coinvolti in quegli avvenimenti.” Intervenne. “La ragazza è una Guardiana e lavora per Skullport. Anch’io lo sono, come lei. So che non corre buon sangue fra gli elfi scuri e i desmodu, ma sono qui come inviato neutrale.” Affermò.
Lizy annuì per confermare la sua versione.
“Il drow non sta mentendo. I veri responsabili di quella tragedia…”
“Sappiamo.” La interruppe uno di loro, cimentandosi nella lingua comune del sottosuolo. Era un desmodu particolarmente grosso, e aveva sul volto il segno di una cicatrice recente. Gli altri fecero un passo di lato per lasciare che si avvicinasse ai tre avventurieri. “Creature con tentacoli che uscivano da faccia.” Raccontò, con la sua voce profonda che si alternava ad acuti stridii quando cercava di pronunciare certe parole. “Deboli guerrieri, ma forti con loro arti oscure. Colpivano nella testa.” Rafforzò il concetto picchiettando un dito contro la fronte. “Facevano fare cose sbagliate a tribù. Molti guerrieri deposto armi e seguito invasori, docili come pipistrello addestrato.”
Dee Dee stava imparando la lingua del sottosuolo grazie agli insegnamenti del drow, ma faceva ancora fatica a capire i discorsi complessi o troppo veloci. Il modo di parlare del grosso mostro era piuttosto semplice, ma la sua voce era insopportabile, con quegli stridii che si infilavano a sorpresa fra una parola e l’altra. Presto si rese conto che faceva fatica a seguire il discorso nel suo insieme.
“Illithid.” Spiegò Lizy. “Schiavisti che dominano la mente, e quello che non riescono a dominare, lo distruggono. Tu quindi li hai visti?”
Il guerriero annuì tristemente.
“Tuyy grande vergogna per questo. Guerriero protettore di tribù, forte coraggio resiste a controllo di mente; allora mostri-tentacoli colpito mente di grande pipistrello amico di Tuyy, fatto capovolte e Tuyy caduto, pipistrello mai fatto così prima. Guerriero picchia testa contro grossa roccia che sale da fondo di grotta, non vero nemico, grande vergogna. Tuyy dorme-morto. Mostri-tentacolo pensa morto, perché non cattura. Uccide bambini, uccide vecchi, porta via guerrieri e donne-guerrieri, anche artigiani e coltiva-muschio. Tutta tribù morta o cattura. Quando Tuyy sveglia, parenti di altra tribù portato in grotta di loro. Ma Tuyy non guerriero protettore di questa tribù.”
Il suo racconto sgrammaticato fu seguito da un momento di silenzio mentre i tre esploratori raccoglievano il senso delle sue parole e le trasformavano in immagini nella mente.
“Beh, è una storia drammatica ma… quindi non sai da che parte siano andati?” Domandò Lizy.
Il desmodu scosse la testa, facendo oscillare tristemente le orecchie. “Non potuto cercare tracce. Creatura molto male rimasta in grotta. Se Tuyy avvicina, creatura di male mangia ricordi e uccide con spada e denti aguzzi.”
“Un demone servo del dolore era rimasto nella grotta per nutrirsi della paura e della disperazione residue rimaste lì.” Intervenne Daren. “Ma ora è morto.”
“Il nero parla difficile.” Il desmodu gli mostrò i denti. “Lingua di veleno. Tuyy parla solo con femmina-bassa.”
Ehi!” Protestò Lizy, ma venne ignorata.
Il drow non si aspettava niente di diverso. I desmodu erano rari, quasi estinti, e non in piccola parte per colpa degli elfi scuri. Tuttavia c’era qualcosa che non lo convinceva nel desmodu, non riusciva a capire cosa fosse e questo lo frustrava, ma sentiva che c’era qualcosa che gli sfuggiva…
“Tuyy prega grande Vesperian protegge tribù, anche in mano a mostri.” Mormorò il guerriero, portando la grossa mano all’altezza del cuore, dove un rudimentale pendaglio di legno di fungo dondolava sul suo petto.
In quel momento, ogni pezzo andò al suo posto.
Guerriero protettore della tribù. Ricordò il drow, riflettendo sulle parole che Tuyy aveva scelto per descrivere sé stesso. Il senso del dovere verso la sua comunità, al punto che si vergogna di aver fallito… E ha resistito a un assalto mentale degli illithid. E che altro? Aveva un pipistrello gigante come amico.
Vesperian dev’essere il suo dio.
Mi chiedo se sia consapevole di essere un un guerriero consacrato.

 
“La nostra intenzione è scoprire che fine abbiano fatto i tuoi compagni, e recuperarli, se possibile.” S’intromise nuovamente il drow.
Lizy lo guardò in modo strano, Dee Dee sgranò leggermente gli occhi, e a lui quasi scappò un sorrisetto. Quasi.
“Ho detto che non intendo parlare con te, nera creatura.” Insistette Tuyy. “Sarai anche al servizio di Skullport, ma i drow non agiscono mai senza un interesse personale.”
“Forse il mio interesse personale è fare in modo che gli illithid non scoprano troppe cose sui dintorni di Skullport. Forse io vivo lì.”
“Se fosse solo questo ti basterebbe avvertire la città, o scappare come fanno sempre i vili ragnetti della tua specie.”
“Sono piacevolmente sorpreso dalla tua improvvisa padronanza di linguaggio.” Ora il drow sorrise apertamente. “Parlare con me ti fa bene.”
Il desmodu lo guardò senza capire. Poi si accorse che tutti i suoi compagni lo stavano guardando con vari gradi di sorpresa e perplessità, e anche Lizy e Dee Dee.
 
“Cosa… cosa nemico fatto parlare Tuyy?” Balbettò, senza capire.
“Nella tua lingua drow e nemico si dicono nello stesso modo? Wow, davvero forte come cosa… ma in sottocomune drow si dice drow e nemico si dice nemico.” Puntualizzò Daren. “E tutti ci stanno guardando strano perché fino a questo momento abbiamo parlato nel linguaggio che usi per pregare il tuo dio.”
Tuyy gli rivolse uno sguardo scettico, non sapendo cosa rispondere.
“Dio di desmodu parla lingua desmodu.” Rispose, sulla difensiva. “Drow ancora menzogne.”
“Io però non parlo la lingua desmodu, e tu non parli bene il sottocomune, quindi come hai fatto a capirmi così bene?”
Il desmodu ci pensò un po’.
“Il nero fa arti oscure con la mente, come mostri-tentacoli.” Il grosso desmodu si avvicinò al drow, torreggiando su di lui dall’alto dei suoi nove piedi d’altezza. Il drow dovette alzare la testa per continuare a guardarlo in faccia.
“Anche se sei grosso, non mi fai paura.” Scandì lentamente. “Noi andremo a cercare gli illithid che hanno osato arrivare così vicini alla nostra città e rapire i servi che coltivano il nostro cibo.” Spiegò, come se fosse un fatto. “Non ci serve il permesso dei desmodu, non ci serve aiuto, ma ci serve un posto sicuro dove lasciare lei.” Indicò Dee Dee senza distogliere gli occhi dal massiccio uomo-pipistrello.
I desmodu si avvicinarono un po’ di più a Dee Dee, cercando di capire chi o cosa fosse. Erano mossi solo dalla curiosità, ma lei li trovò comunque un po’ spaventosi.
Tuyy passò accanto al drow, ostentando sicurezza nel porgergli il fianco, e si fermò davanti a Dee Dee. Quando la sua testa simile a quella di un pipistrello si avvicinò al volto della piccola elfa, lei chiuse gli occhi un po’ disgustata. Aveva visto di peggio in vita sua, ma non molto di peggio. Il desmodu l’annusò sonoramente.
“Tuyy capisce.” Mormorò alla fine. “Drow va a cercare mostri-tentacoli, drow vuole che lascia qui suo cucciolo.”
 
Sia Dee Dee che Daren rimasero in silenzio attonito per qualche secondo, poi reagirono con veemente indignazione.
“Non fono il fuo cucciolo!” Protestò la dhampir, alzando la voce.
“No di certo.” Rincarò il drow. “Lei è solo… lei è…”
“Debole per alleata o guardiana. Niente forza, puzza di paura.” Considerò il guerriero, raddrizzando la schiena e rialzandosi in tutta la sua altezza. “Giovane per amante, non odore di magia, quindi inutile. Ma odore di guardiano nero su di lei.”
“Le ho solo prestato il mio mantello.” Spiegò lui.
“Femmina non-guardiana inutile.” Ribadì il desmodu. “Debole, non maga. Ma ancora viva e con mantello di guardiano nero. Quindi tua tribù. Giovane, quindi tuo cucciolo.” Insistette, difendendo la sua deduzione.
“Ma sei cieco o cosa, non lo vedi che io sono nero e lei è pallida?” Sbottò Daren, al culmine della sopportazione.
Lizy gli diede una gomitata, con discrezione. “I desmodu non hanno il concetto di famiglia di sangue.” Gli sussurrò. “I loro figli sono di tutta la tribù. Avete una forma simile e viaggiate insieme, per lui questo basta a chiamarvi tribù. Forse chiamerebbe così anche me, se non sapesse che sono un’aranea.”
Il drow gemette, accettando quella logica assurda.
“D’accordo. D’accordo. Allora, questo cucciolo…” riprese, sempre indicando Dee Dee “che non è il mio cucciolo ma non c’è verso di farvelo capire, quindi lasciamo perdere… lei deve stare in un posto sicuro. Non in città. E deve nutrirsi di sangue, circa, ogni due o tre giorni.”
Prevedibilmente, questo non piacque ai desmodu.
“Come, sangue?” Borbottò uno.
“Cosa sono ‘giorni’?” Un altro cominciò a chiedere in giro.
“Cucciolo è malato?” Ipotizzò un terzo.
I tre avventurieri non capivano la lingua desmodu, ma la loro agitazione era palpabile.
Dee Dee affondò il viso nelle mani, sentendosi imbarazzata e umiliata. L’elfo scuro ci mise un po’ a far tornare la calma.
“Non è malata, è… di una tribù che mangia cibo e beve sangue. Ogni tanto. Può berne un po’, senza uccidere.” Per dimostrarlo, si tirò su la manica destra e porse il polso alla dhampir.
“Co… cofa ftai facendo?” Sussurrò lei.
Lui le rispose nella lingua comune della Superficie.
“Hai bevuto solo qualche topo, ore fa, e da allora abbiamo fatto un bagno nell’acqua fredda, abbiamo combattuto e camminato, quindi sarai stanca. Quel poco sangue animale che hai bevuto non ti basterà un giorno. E io sto per partire, forse per giorni, o settimane.” O potrei non tornare affatto, pensò, ma si rifiutò di dirlo. “Voglio ritardare il più possibile il momento in cui avrai bisogno di nutrirti di loro, e intanto abbiamo occasione di dimostrargli che puoi bere sangue senza uccidere. Avanti.” La incitò, porgendo di nuovo il polso.
L’odore del sangue appena sotto la pelle era dannatamente invitante, e Dee Dee comprese che il suo ragionamento era sensato. Non si fece pregare. Poggiò una mano sull’avambraccio del drow e l’altra sul suo palmo, ricevendo una stretta incoraggiante in risposta. Poggiò la bocca sul polso, cercando al tatto la vena, poi morse.
 
Fu questione di pochi secondi. Dopo qualche sorso si ritrasse, sapendo che non doveva esagerare se non voleva andare incontro a quella sensazione di nausea che il troppo sangue drow le causava. Era stato un procedimento molto discreto, nell’insieme. Non aveva versato una sola goccia, né fatto versi animaleschi, e quando ebbe finito il suo compagno drow sembrava ancora in buona salute.
Questo in effetti contribuì a calmare i desmodu.
Si consultarono fra loro, alla fine un anziano (probabilmente in cima alla gerarchia sociale) si fece avanti e prese la parola.
“Il cucciolo resterà. La nostra tribù la terrà al sicuro.” Daren si accorse con sollievo che almeno parlava il Sottocomune meglio di Tuyy. “Ma la tribù di Tuyy non è la vostra tribù, né la nostra. Se Tuyy vorrà venire con voi dovrete lasciarlo fare, e impegnarvi di tenerlo al sicuro… come noi faremo con lei.” Pretese, indicando la giovane dhampir con un cenno della mano.
 
Daren rifletté su quella proposta di negoziazione, riconoscendola per quello che era.
Uno scambio di ostaggi. Non li credevo capaci di una simile raffinatezza. Il vecchio sapeva che Tuyy vorrebbe venire con noi, e ha accettato di tenere Dee Dee come assicurazione per la sopravvivenza del guerriero.
Per gli Dei, ma questi non sanno proprio
nulla dei drow?

“Mi sembra onesto.” Rispose, accettando il patto. “Ma non so quanto un guerriero potrà esserci utile. Contavo di basarmi soprattutto sull’inganno. Ma dovremo camminare nel Buio Profondo per giorni, e Tuyy potrà spianarci la strada.”
“Guardiano nero vuole ingannare mostri legge-mente?” Tuyy fece una smorfia di derisione. “Tuyy prende loro teste molli e schiaccia come funghi piccoli.”
Daren gemette a quella prospettiva. Cominciava a pensare di non aver fatto un buon affare.

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Nota: I desmodu di questa storia sono scesi a patti con il maggior consorzio mercantile di Skullport per produrre il cibo per la città (in pratica sono poco più che schiavi), e questo li pone relativamente al sicuro dai drow e da altre razze predatrici. Siccome questo accordo c'è da generazioni, la loro vita è diventata più semplice e sono arrivati a sapere poco delle altre razze. In questo capitolo dimostrano di non conoscere la differenza fra drow ed elfi. I desmodu hanno una pelliccia che può essere di diversi colori, da un marrone quasi nero fino al rossiccio chiaro, quindi pensano che anche il colore della pelle dei drow possa avere sfumature.

           

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Capitolo 21
*** 1363 DR: Per un po’ niente lezioni, e forse neanche sopravvivenza ***


1363 DR: Per un po’ niente lezioni, e forse neanche sopravvivenza


Dopo aver affidato Dee Dee alle riluttanti cure dei desmodu, i due Guardiani e Tuyy si ritirarono per una specie di concilio di guerra.
“La prima cosa da fare è andare a Skullport.” Annunció il drow.
“Ecco, questa me la devi spiegare.” Pretese la sua collega esploratrice. “Devi dire addio a qualcuno?”
“Non mi abbasserei mai a tanto.” Sbuffò lui. “No, devo procurarmi degli oggetti. E tu, mia cara Lizy, devi disegnare per me.”
Lei gli rivolse uno sguardo perplesso. “Ma per quale diamine di motivo…”
“Cosa è disegnare?” Intervenne il grosso guerriero desmodu.
Lizy gli mostrò una mappa. Essendo una mappa del sottosuolo, aveva diversi foglietti volanti attaccati alla superficie, che indicavano zone sopraelevate e soppalchi.
“Credo che voglia una cosa del genere. Questa è una mappa di Skullport, e tecnicamente è un disegno.” Spiegó lei.
Il desmodu guardò la mappa come se l'unico utilizzo che gli venisse in mente avesse a che fare con l'igiene personale.
“Pezzo di cosa fragile con linee, non aiuta a uccidere mostri-tentacolo.”
“Non voglio uccidere i mostri-tentacolo.” Lo corresse il drow. “Se cominciamo a ucciderli sarà la guerra. Skullport non se lo può permettere.”
Tuyy piegò le braccia davanti al petto gonfiando i muscoli in modo intimidatorio. “Uccidere teste di tentacoli. Riprendere tribù. Questo fa Tuyy.”
“Tuyy ci prova e muore.” Lo avvertí Daren. “E tutta tribù di Tuyy muore. È questo che vuoi?” 
Il desmodu prese quel commento come una provocazione e rimase solido nella sua posizione.
Lizy guardò l'uno, poi l'altro, poi sospirò sconsolata.
“Dei, sul serio devo scegliere fra un pazzo che vuole ingannare degli illithid e un suicida che vuole attaccarli?” Mormorò.
“Dovresti stare dalla mia parte, Lizy, per un motivo molto semplice: il mio piano prevede un rischio davvero minimo per te, mentre se Tuyy vorrà il tuo aiuto in combattimento potrai considerarti già morta.”
La bionda fece un verso di supponenza e sdegno. 
“Potrei semplicemente decidere di andarmene. Probabilmente avere una paga un po’ più alta non vale questo rischio.”
“Oppure potresti considerare che, se collabori, avrai la mia amicizia.” Le propose l'elfo scuro.
Questa volta Lizy rise apertamente.
“E chi non vorrebbe l'amicizia di un elfo scuro!” 
Daren scrollò le spalle come per levarsi di dosso la sua opinione. 
“Sto per andarmi ad infilare in mezzo agli illithid per liberare persone che non conosco e di cui non mi importa. Cosa pensi che farei per i miei amici?”
Questo effettivamente la lasciò senza parole, come se fosse un'argomentazione fuori dal mondo.
“Ma sei un drow.” Rispose, dopo aver balbettato un po’.
“Sì. Grazie per averlo notato. Faccio del mio meglio per accentuare il nero naturale della mia pelle…” scherzò lui, indicando sé stesso da capo a piedi con un gesto della mano.
“Ma quanto ti piace ascoltare il suono della tua voce.” Sospirò l’aranea. “Va bene, immagino che tu sia troppo egocentrico per morire.”
Per morire contro degli illithid, di sicuro. Concordó il drow, ma si limitò ad annuire. Poi si voltò di nuovo verso Tuyy, riprendendo il discorso interrotto.
“Mettiamo in chiaro una cosa, desmodu. Io so come si arriva alla città degli illithid, tu no. Io ho un piano sensato, tu no. Quindi decido io cosa facciamo.” L'elfo scuro affrontò a muso duro il grosso uomo-pipistrello, puntandogli un dito contro il torace.
“Guardiano nero piccolo e debole. Tuyy decide.”
Daren sfoderò le spade corte con una mossa lenta e deliberata.
“Ah, è così che si stabiliscono le gerarchie fra la tua gente? Va bene, desmodu, il piccoletto qui ti sta sfidando. Sconfiggimi e prendi il comando!”

Dieci minuti dopo, un desmodu con un grosso bernoccolo sulla testa armeggiava per aprire una botola ben nascosta nel soffitto della grotta. 
“Questa via per città. Su. Questa tribù usa questa via per portare cibo a mercanti.”
“Beh, questo è un enorme sollievo.” Sospirò il drow. “Le altre vie non erano molto praticabili.”
“Tuyy mai andato in città.” Il grosso guerriero sembrava a disagio.
“Bene, perché non ci verrai nemmeno stavolta.” Tagliò corto Daren. “Attireresti troppo l'attenzione, e gli smaliziati cittadini di Skullport ti ruberebbero anche le mutande… che probabilmente non hai.”
Tuyy aggrottò la fronte, e nel suo caso si trattava di un lavoro considerevole. “Poi guardiani parte senza Tuyy.”
“Tranquillo, abbiamo un patto.” Daren gli diede una manata amichevole su un braccio. “Se non rispetterò la mia parte dell'accordo, la tribù potrà tenere in ostaggio Dee Dee.”
Lizy lo guardò con un'espressione trasparente, che diceva E magari è proprio l'occasione che aspettavi per liberarti di lei, ma Tuyy gli credette. Dopotutto era un'anima semplice.

Risalire un cunicolo quasi verticale non era un problema né per un ragno né per un drow, entrambi abituati a vivere nei cunicoli del Buio Profondo. La scalata nel complesso duró solo pochi minuti, ma Daren aveva un po’ il fiatone quando finalmente sbucarono in un angolo di un cortile nella zona occidentale del Cuore di Skullport. 
Era il cortile del magazzino di una compagnia mercantile, quindi ovviamente Lizy e Daren vennero fermati e interrogati. Il loro ruolo di Guardiani gli consentì di passare fornendo solo una spiegazione sommaria.
“Alcuni desmodu sono scomparsi.” Spiegó Lizy. “Non sappiamo se siano fuggiti, morti o se siano stati presi. Io voglio indagare, quella zona è responsabilità mia.”
“E il drow? Perché collabora con te?” Domandò uno dei mercanti, un mezzo-drow che aveva l'aria di essere prevenuto verso tutto il mondo.
Daren gli rivolse un sorriso da mascalzone. “Abbiamo un accordo, io e lei.” Fece l'occhiolino, lasciando intendere che avessero un accordo di natura sessuale.
Il mezzosangue reagì con un moto di disgusto.
Lizy andò a parlare con il capo di quella corporazione mercantile, lasciando indietro Daren. Il mezzo-drow si avvicinò cautamente a lui.
“Lo… lo sai che quella è un ragno?”
Daren sfoderò un altro sorriso lascivo. “Certo. Mica toccherei mai un'umana. Uhm, senza offesa per i tuoi antenati.”
Il mercante scosse la testa borbottando qualcosa sulla depravazione dei drow, e si allontanò come se Daren avesse la lebbra.
L'elfo scuro raggiunse Lizy, che aveva appena finito di parlare con un tizio grassoccio che poteva sembrare un umano ma probabilmente non lo era. Indossava le ricche vesti di un capo-gilda e aveva una spilla che rappresentava una quadrato con dentro un fungo, simbolo che lo identificava come un mercante di cibo e droghe, e ai lati del fungo le sue iniziali in argento. Era il simbolo di una compagnia mercantile importante, ma Daren viveva a Skullport da troppo poco tempo per averne memorizzato il nome. 
“Andiamo. Non perdiamo tempo.” Lizy gli fece un cenno. “Siamo in missione, ed ogni compagnia mercantile di Skullport finanzia i nostri compensi.”

Come prima cosa, Daren volle passare in un negozio di pozioni ed oggetti magici. Uno dei pochissimi di Skullport.
Chiese a Lizy di aspettare fuori e comprò un paio di pietre magiche che appoggiate contro la fronte avevano il potere di modificare parzialmente la memoria. Erano oggetti molto comuni a Skullport, specialmente fra i truffatori. 
Aveva intenzione di commissionare anche un oggetto magico più potente, pensato per proteggersi contro alcuni poteri subdoli degli scorticatori mentali; non ne era completamente certo perché i poteri mentali degli illithid erano diversi dagli incantesimi, ma in teoria, un oggetto che lo rendesse immune a determinati danni al suo fisico e alla sua mente, avrebbe dovuto proteggerlo anche se quei danni fossero stati opera dei poteri psionici. L'immunità, dopo tutto, è qualcosa di più profondo di una semplice difesa magica.
L'oggetto che gli serviva era qualcosa che non si trovava facilmente in commercio: l'intento era rendere il suo fisico temporaneamente un po’ più simile a quello di un non-morto. Non si stupì, dunque, di essere reindirizzato dal mercante di oggetti magici verso una particolare struttura fuori da Skullport. 
“Ci sei mai stato, alla casa dell'Alchimista?” domandò il negoziante di oggetti magici.
Daren scosse la testa.
“No? Beh, devi uscire dalla città, seguire il fiume e poi te la trovi sulla sinistra; cioè, non per forza lungo il fiume, puoi anche prendere i cunicoli, ma a te che sei un drow conviene seguire il fiume...” Il negoziante, un duergar molto in là con gli anni, gli strizzò l'occhio con aria complice “...se non vuoi finire nel covo di quelle pazze tue simili, e quando dico covo, non intendo quello caldo e morbido che hanno fra le gambe!” Concluse, ondeggiando in un accenno di gesto osceno.
Daren rimase impassibile mentre raccoglieva i suoi acquisti.
“Gli anni ti hanno reso incredibilmente gioviale, vecchio mio.” Commentò in tono neutro.
“Ah! Sono un mercante.” Confermó il duergar con un sorriso esagerato.
Daren non si lasciò incantare. I duergar sono bastardi misantropi per definizione; il drow era certo che, appena gli avesse voltato le spalle per uscire, il nano grigio sarebbe tornato a guardarlo con il consueto disprezzo.

L'idea di andarsi ad infilare nel covo dell'Alchimista non lo faceva impazzire. Era un mercante, certo, ma era pur sempre notoriamente un vampiro.
Tuttavia aveva davvero, davvero bisogno di quell'oggetto magico. 
Seguí il corso del fiume imprecando mentalmente contro gli argini stretti e i mostri che ogni tanto provavano a trascinarlo in acqua. Ad un certo punto, una specie di grosso anfibio riuscì quasi a strappargli via uno stivale. Se ne andò con il segno di un calcione sul grugno.
La casa dell'Alchimista era ben segnalata, ma anche protetta da uno scorpione metallico. Daren lo osservò per un lungo momento, aspettando che quella specie di automa facesse la sua mossa, ma lo scorpione si accontentó di squadrare il drow con i suoi occhi luminosi ed emettere uno strano verso metallico.
Il grosso costrutto si fece da parte, lasciandolo passare.
Incerto sul da farsi, Daren proseguì verso la casa dell'Alchimista, tenendo d'occhio lo scorpione con la visione periferica.

Il grosso portone di ferro battuto e legno di fungo aveva appesi parecchi cartelli, perlopiù scritti in sottocomune e in comune.
Cercasi donatori di sangue, recitava uno, poi prometteva: Buona retribuzione e sopravvivenza garantita.
Un altro, più curioso, recava scritto: Suicidi assistiti solo su appuntamento. Garantita assoluzione di ogni debito.
Daren non aveva bisogno di chiedersi perché qualcuno potesse scegliere di farsi togliere la vita da un vampiro: a Skullport i debiti non erano una cosa da prendere alla leggera, significavano la morte per una persona e l'estinzione o la schiavitù per la sua famiglia. Poter estinguere un debito limitando le morti a una, era di certo un gran vantaggio per i sopravvissuti.
Si comprano e si assumono schiavi, diceva un altro cartello, per un periodo massimo connaturato alla razza.
C'erano altri annunci, ma molto meno compromettenti. Daren non sapeva cosa pensare di quell'approccio pragmatico alla situazione sociale di Skullport; di certo era una cosa normale per un mercante, ma non per un vampiro.

All'interno si aspettava un arredamento lugubre e pacchiano, invece trovò una linda e luminosa saletta. Lungo le pareti c'erano delle poltroncine ricavate da funghi scavati, e in fondo alla stanza un bancone simile a quello che si potrebbe trovare in una taverna.
Al bancone c'era una donna umana, forse sui venti o venticinque anni, graziosa ma anonima. I capelli castani e gli occhi color nocciola non rivelavano nulla di particolare sulle sue origini.
Aveva il colorito pallido di qualcuno che vive lontano dalla luce del sole, ma a parte quello sembrava in salute.

“Nome, affiliazione e motivo della visita.” Pretese l'umana, vedendolo avvicinarsi.
Nella stanza non c'era nessun altro, quindi Daren decise che doveva star parlando con lui.
“Non possiamo saltare direttamente al motivo della visita?” Domandò lui, appoggiando un gomito al bancone e rivolgendo alla donna un sorriso affascinante.
Lei lo guardò come se avesse avuto davanti un soprammobile non troppo di classe.
“Ma certo, sei un classico misterioso drow che si crede importante. Va bene, signor Nafein.” Gli concesse, usando un nome drow comune come la polvere, l'equivalente drow di John Smith per gli umani. “Una sola domanda preliminare.” 
Estrasse una bacchetta magica da sotto il bancone e glie la puntó contro con nonchalance.
Daren notó immediatamente due cose: la prima, era che la bacchetta era stata assicurata al polso dell'umana con una catenella. Nessuna chance di disarmarla. La seconda, era che lei aveva uno strano scintillio negli occhi, probabilmente un incantesimo di divinazione.
Capì subito che era il caso di rispondere con la verità.
“Sei un seguace di Vhaeraun?”
Lui allacciò lo sguardo in quello della donna e rispose sinceramente: “No.”
Lei mugugnó qualcosa, poi annuì. “Sei qui per conto di un seguace di Vhaeraun, o per qualcuno che agisce per loro conto?”
“Non era una domanda sola?” La provocò lui, per alleggerire la tensione.
La donna lo guardò con aria minacciosa, e Daren all'improvviso si ricordò che gli riusciva difficile tenere testa a una femmina, quando la femmina in questione indossava quello sguardo di avvertimento.
“No. Non ho nulla a che fare con il culto di Vhaeraun.”
Le pupille della donna brillarono un'ultima volta e poi lei abbassò la bacchetta. Daren capì che gli aveva creduto.
“Bene. Cosa posso fare per te, allora?”
“Di certo non hai l'attitudine che mi aspettavo da un mercante verso un cliente nuovo.” Ammise lui, poggiando entrambi i gomiti sul bancone.
“Se sei qui per fare quattro chiacchiere, ti avverto che ho anche altre cose da fare.” Lo rimbrottó lei. “Sono l'assistente personale dell'Alchimista.”
“Domando scusa. Sono qui perché mi serve un particolare oggetto magico e in città mi hanno detto che qui si traffica con la necromanzia.”
“Può darsi.” La donna scrollò le spalle. “Spiegami cosa ti serve.”
Daren glie lo spiegó.
“Sì, il concetto mi è familiare.” Confermó lei, dopo averci pensato un po’. “Credo esista una magia per fare quello che ti serve, anche se è una magia da sacerdoti. Non abbiamo un oggetto simile pronto al momento, ma posso chiedere all'Alchimista oppure a sua sorella se accettano la commissione. Aspetta qui.” Gli raccomandò, poi si dileguò uscendo da una porta che aveva alle spalle.
Daren andò a sedersi su una delle poltroncine, guardandosi intorno a disagio. Era una delle situazioni più strane in cui si fosse mai trovato, e lui ne aveva viste parecchie di cose strane.

           

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Capitolo 22
*** 1363 DR: Ferisce più la penna della spada ***


1363 DR: Ferisce più la penna della spada


Il drow rimase in attesa in quella sala fastidiosamente illuminata per un tempo che gli parve infinito. Non si considerava un tipo impaziente, ma di certo la ragazza se la stava prendendo comoda.
Alla fine tornò, e con buone notizie.
“L’Alchimista preparerà l’oggetto che ti serve. Dammi qualche altra specifica.” Prese una pergamena dal bancone e si preparò a scrivere appunti.
Daren e l’assistente dell’Alchimista discussero per qualche minuto di che tipo di oggetto potesse essere più utile, se una cintura, un anello, una fascia per la fronte o altro. Alla fine trovarono un accordo. L’importante era che non fosse immediatamente visibile, quindi la cosa migliore sarebbe stata indossare l’oggetto sotto ai vestiti.

Daren anticipò un terzo del pagamento, dietro richiesta della donna. Acquistò anche un paio di pozioni già pronte che avrebbero risvegliato magicamente l'intelligenza; poi, dopo essersi accertato che il suo oggetto magico sarebbe stato pronto entro un paio di giorni, si voltò per andarsene.
“Aspetta. Tu sei un avventuriero?”
Il drow si girò di nuovo verso l’umana e le rivolse uno sguardo di biasimo.
“Sono un guerriero che esplora le gallerie, non un perditempo che va in giro a cercare il senso della vita.” Specificò.
La donna rispose all’occhiataccia mantenendo la sua espressione neutra.
“Come vuoi, signor filosofo.” Biascicò. “Mi chiedevo se fossi interessato a un’opportunità lavorativa.”
Frugò dietro al bancone e ne tirò fuori una pergamena arrotolata e chiusa da un nastro blu. La svolse e ne lesse il contenuto, come un banditore:
“Cercasi avventurieri coraggiosi per recupero materiali rari. Buona retribuzione.” Scandì chiaramente. Poi tornò al suo tono di voce normale: “Segue una lista delle componenti più richieste. Come… particolari minerali, polveri metalliche, scaglie di bestie delle profondità, succhi gastrici di cose, roba così.”
“Hm.” Daren ci pensò un attimo. “Potrebbe interessarmi. La retribuzione?”
“Dipende.” La donna aprì il foglio poggiandolo sul bancone e lo dispiegò per bene passandoci sopra con le mani. “Alcune cose sono difficili da reperire, altre servono in gran quantità. Bisogna vedere caso per caso. Solitamente l’Alchimista paga bene, o in alternativa si può usufruire di sconti sulle nostre produzioni di pozioni e oggetti magici.”
Questo per il drow era ancora più interessante, quindi chiese un paio di pergamene come quella da portar via. Una per sé e una per Lizy: magari avrebbe accolto con piacere la possibilità di recuperare materiali preziosi, mentre svolgeva il suo lavoro da guardiana nelle caverne inferiori.

Quando tornò in città (passando nuovamente per il fiume e con rinnovata irritazione), trovò Lizy nel punto di ritrovo che avevano concordato: la sede della Compagnia della Guardia, l’organizzazione priva di gerarchia a cui entrambi appartenevano.
La sede assomigliava più a una taverna che ad un ufficio, ma nessuno dei due era così folle da voler provare la cucina del cuoco mezzorco. La gente di Skullport andava lì soprattutto per bere, o per raccogliere informazioni sulle gallerie circostanti, così da poter pianificare in sicurezza le future spedizioni commerciali.
Ogni volta che un Guardiano raccoglieva informazioni rilevanti aveva l’obbligo di fare rapporto, quel rapporto andava recapitato (in forma scritta od orale) ai funzionari in servizio al piano superiore della sede, dove i Guardiani venivano sottoposti a incantesimi per rivelare eventuali menzogne. Dopo essere stato analizzato dai funzionari, il rapporto veniva inviato alle principali gilde mercantili che finanziavano la Compagnia. Solo dopo aver avuto il benestare di ogni gilda maggiore, o dopo una settimana in assenza di comunicazioni, i rapporti venivano appesi alle pareti della sede e potevano essere consultati dagli avventori (Guardiani e non). Poteva capitare quindi che i Guardiani stessi non sapessero che cosa avevano scoperto i loro colleghi, se non dopo una decina di giorni, ma in realtà le informazioni trapelavano comunque grazie al passaparola.

“Spostiamoci in un luogo più privato.” Esordì Daren appena la vide ad un tavolo. “E vedi di non ingerire alcolici. Mi servi lucida.”
“Con calma e per favore.” Sbottò Lizy, stanca del suo tono autoritario.
Il drow ingoiò una risposta sarcastica e indicò alla ragazza di seguirlo in una saletta privata. Lizy si portò appresso la sua pinta di sidro di afidi saccarini. Avrebbe potuto continuare a bere più tardi.
“Hai preso delle pergamene vuote?”
Lizy estrasse dallo zaino le pergamene che aveva preso e le poggiò sul tavolo. Non che le avesse comprate; le aveva prese da quelle che la Compagnia metteva a disposizione degli esploratori per fare rapporto.
“Certo che hai otto zampine e sono tutte corte.” Commentò il drow, riconoscendo il marchio in fondo alle pagine. Avrebbero dovuto scrivere e disegnare sull'altro lato.
“Faccio la cameriera e rischio la vita per tirare su qualche moneta in più.” Gli fece notare lei. “Tu che lavoro fai?”
Daren lasciò vagare lo sguardo per lo stanzino, probabilmente per non incrociare quello di lei.
“Uccido cose.” Disse, stringato.
“Ah… e ti pagano bene?”
“Non è proprio che mi paghino. Mi tengo quello che trovo sulle mie vittime.”
Lizy lo fissò per un lungo momento.
“E allora scusami, perché uccidi su commissione se la retribuzione è così incerta?”
“Non ho detto che uccido su commissione.” Rispose lui, lapidario.
Lizy impallidì improvvisamente.
“Cioè sei un banale brigante?”
Daren si sporse verso di lei dall'altra parte del tavolo, parlandole con fare cospiratorio.
“Perché, scusa, cosa cambia fra qualcuno che uccide su commissione e qualcuno che uccide perché vuole farlo?”
Lizy si tirò indietro, a disagio.
“La stessa differenza che passa fra un esecutore, che è praticamente un dipendente, uno che mette a frutto delle capacità per uccidere qualcuno che è già condannato a morte… e un… un cane sciolto che decide chi vive e chi muore giudicando a sentimento.”
Daren si concesse un sorriso divertito.
“Quindi chi può decidere chi vive e chi muore? Solo chi ha potere politico in questa città?”
“Beh… sì.” Lizy aprì le braccia in segno di scuse. “Cerca di vederla dal mio punto di vista. La gente ha bisogno di qualche certezza, devo sapere a chi non devo pestare i piedi.”
Questa volta l'elfo scuro scoppiò proprio a ridere.
“Che tenera. A Menzoberranzan, la città dove ho passato più di metà della mia vita, bisogna costantemente guardarsi le spalle e sospettare di chiunque. Se ti va bene, chi cerca di ucciderti ha un interesse nel farlo. Se ti va male, lo fa perché non gli piace la tua faccia, o perché hai urtato il suo orgoglio. O perché qualcun altro ha urtato il suo orgoglio e tu passavi di lì nel momento sbagliato.”
Lizy rabbrividì senza volerlo.
“E te ne sei andato da Menzoberranzan per riproporre quel modello culturale qui?”
“Perché no? Dal mio punto di vista, questa è una città di incauti.” Le fece notare lui. “A parte ovviamente i cittadini più furbi, o i drow che vivono qui, anche se di solito le due categorie coincidono.”
“Presuntuoso.” Commentò l’aranea. “Skullport è piena di briganti come te.”
Daren non rispose, si limitò ad indicare le pergamene con un gesto della mano.
Lizy prese il primo foglio del suo piccolo mucchio, lo lisció per bene e prese in mano una barretta di grafite.
Il drow estrasse dalla scarsella le pozioni magiche per rinfrancare l'intelletto, quelle che aveva acquistato dall’Alchimista, e ne porse una a Lizy.
La ragazza lesse l'etichetta e fischió. “Accidenti. Spero che tu non ti aspetti che io contribuisca a queste spese.”
“No, naturalmente. Il piano è mio.” Daren stappò la sua pozione e mimò un brindisi verso l’aranea, poi si scoló il filtro magico alla goccia.
Lizy esitó un istante, poi seguí il suo esempio.
La sensazione della propria mente che si apriva a nuove e inesplorate possibilità, dei ragionamenti che si facevano più scattanti e sicuri… Daren e Lizy passarono alcuni secondi in completo silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto, a contemplare questo stato di grazia.
“Wow.” Soffiò il drow. “Potrei diventare dipendente da questa roba.”
“Anch’io.” Concordó la donna. “Beh, sono troppo povera per farlo davvero, quindi si fa per dire.”
“Insomma, sono già intelligente di solito, ma ora mi sento un genio… meno male che questa pozione non accentua anche il buonsenso, altrimenti starei già rinunciando al mio piano.”
“Oh, bene. Ottimo.” 
“Tieni a bada il sarcasmo, mia pavida e reticente alleata.” Ridacchiò lui. “Come ti ho già detto il rischio per te è minimo. Ma ora mettiamoci al lavoro, non c'è tempo da perdere.”

Lizy cominciò a disegnare cartine topografiche su indicazione del drow. Le sue descrizioni erano molto precise, certamente per merito della pozione. Ad un certo punto estrasse dalla tasca una delle due preziose pietre magiche che potevano servire a modificare la memoria ma, si degnó di spiegare, potevano anche accentuarla. Premette la pietra contro la fronte e per i successivi minuti fornì alla cartografa informazioni di una precisione certosina.
Lizy lavorò alacremente per molti minuti, anche quando l'effetto della pozione si esaurí e i suoi tratti divennero meno professionali.
Quando finalmente il drow si dichiarò soddisfatto del suo lavoro, avevano riempito tutte le pergamene con disegni di quartieri cittadini e mappe delle caverne naturali, tutto accompagnato da annotazioni in Sottocomune.
Lizy sospirò, massaggiandosi il polso e le dita della mano destra.
“Che lavoro! Ma che cosa abbiamo… che cosa ho disegnato?”
“Lo saprai presto, ma per il momento meno sai e meglio è per te.”
Lizy non ne fu contenta. Ma non aveva intenzione di rischiare.
 
 
Alcune ore dopo, molti metri più in basso

Dee Dee si svegliò dopo sei ore di sonno incredibilmente ristoratore. Una notte completamente senza incubi non le capitava da… mai. Scoprí di essere mezza sepolta sotto i corpi addormentati dei cuccioli di desmodu, che erano alti quasi quanto lei e larghi il doppio. A differenza degli adulti, erano coperti da una morbida lanugine, e al tatto erano piacevolmente caldi.
Era la prima volta che non soffriva il freddo durante il sonno ed era anche la prima volta che si sentiva così accolta in un gruppo sociale. I desmodu avevano deciso che la dhampir era un cucciolo, e la stavano trattando come tale, facendola dormire nella piccola caverna protetta dove tenevano i loro piccoli e i giovani ancora incapaci di combattere. Sperava davvero di non dover restare lì anche durante il giorno. La sera prima le era sembrato di essere relegata in prigione, ma era troppo stanca per obiettare. Dopo una buona “notte” di sonno, risvegliandosi in quel mucchio di enormi cuscini caldi, il suo malumore aveva iniziato a vacillare.
Si era ripromessa di alzarsi presto, appena si fosse svegliata, ma quanto sembrava difficile alzarsi adesso… e non solo per il peso che le gravava addosso.
Dee Dee richiuse gli occhi, dicendosi che per una volta avrebbe anche potuto dormire qualche minuto in più.

           

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Capitolo 23
*** 1363 DR: Dire addio a nessuno ***


1363 DR: Dire addio a nessuno


Lizy aveva lavorato duramente per produrre quelle cartine, e il drow senza dire nulla le aveva raccolte, messe in un cilindro porta-pergamene, e se l’era portate via.
L’aranea poteva solo sperare che fosse per il meglio, ma essere lasciata all’oscuro dei piani non le piaceva per niente.
“E ora dove vai?” Aveva chiesto, vedendo che lui si alzava per uscire dalla taverna.
“Non porteremo con noi queste mappe. Vado a riporle in un luogo sicuro, perché sono la nostra assicurazione. L’unica cosa che potrà garantirmi la sopravvivenza.”
Lizy non indagò oltre. Se quelle mappe erano così importanti, lui non le avrebbe mai detto dove intendeva portarle, e lei cominciò a chiedersi se fosse meglio sapere o non sapere.
Alla fine, aspettò che il drow fosse uscito, poi si focalizzó sulle sue capacità sovrannaturali e il suo corpo si scompose in una piccola orda di ragnetti. 
I corpicini minuscoli e neri si confondevano perfettamente contro le pietre scure degli edifici, nel buio quasi completo della città. Seguire il drow era più difficile del previsto, perché muoversi in forma di sciame nelle gallerie era molto più facile che farlo in una città a tre livelli, in mezzo alla folla che rischiava continuamente di schiacciarla. Spesso i ragnetti dovevano nascondersi nelle crepe per non farsi calpestare, e questo rallentava il suo movimento d’insieme, perché non poteva lasciare indietro delle parti di sé. Inoltre, per qualche motivo, in città il drow non riteneva necessario accendere le sue lucine magiche.
Forse perché in città c’è luce, pensò lo sciame; Forse nel buio completo non ci vede, anche se è un drow. Avrà un problema alla vista? O forse non è affatto un drow, ma finge soltanto?

Quando infine Daren lasciò il perimetro della città, Lizy si sentì davvero sollevata.
Lui aveva evocato le lucine danzanti, come sempre quando si recava nei tunnel, inoltre la sua traccia non era più confusa da quelle di innumerevoli altri cittadini, quindi per i sensi aracnidi dell’esploratrice seguirlo ormai era uno scherzo.
Lizy conosceva abbastanza i tunnel del terzo livello del dungeon, almeno quelli che circondavano la città; non era proprio la sua zona di competenza, ma era già stata lì altre volte. La sua prospettiva però era sensibilmente diversa dal solito, e non era certa di dove stessero andando.
Ad un certo punto… non avrebbe saputo spiegarlo, ma si trovò come a sbattere contro una barriera invisibile. Non era una vera barriera, non come uno scudo di forza magica, era come qualcosa che influenzasse la sua mente. Lizy si concentrò; doveva trattarsi di un incantesimo che teneva lontani i ragni e le creature simili, aveva già incontrato magie del genere… ma non riuscì in alcun modo a imporre la sua volontà su quella barriera.
Chiunque l’avesse lanciata, doveva essere un incantatore potente.
Lo sciame di ragnetti che era Lizy oscillò avanti e indietro, friggendo per l’indignazione, poi si allontanò verso una zona più sicura.

Daren non sapeva che Lizy l’avesse seguito, ma anche se l’avesse saputo, non era dell’umore giusto per curarsene. Percorse alcuni cunicoli stretti e contorti, prima di sfociare in un’apertura leggermente più grande.
Si aspettava di trovare qualcuno qui, e infatti una voce femminile gli impose di fermarsi.
La voce aveva parlato in Sottocomune, ma aveva le cadenze musicali e insieme aspre dell’accento drow.
“Scopri il viso e dichiara le tue intenzioni!” Gli ordinò la femmina.
Daren la sbirciò di sottecchi; aveva un viso grazioso, ma banale, e non riusciva a ricordare se l’avesse già vista. L’importante era che non fosse Li’Neerlay, ma la fiera guerriera dei Cavalieri dalla Chioma Argentea non si sarebbe mai sognata di fare un turno di guardia, come i comuni mortali.
Ovviamente non era Li’Neerlay. Sollevato, Daren non accennò nemmeno a togliersi il cappuccio dalla testa.
“Percorro la via segreta.” Rispose invece. “Non puoi vedere il mio volto, perché non è rischiarato dalla luna.”
La drow sgranò gli occhi a queste parole, ma non mosse obiezioni quando lui passò oltre. Era nuova nel tempio, non aveva mai visto prima un Incognito, ma come tutti sapeva della loro esistenza. Il maschio aveva recitato le parole giuste, quindi lei gli cedette il passo senza indagare sulla sua identità.

Daren superò allo stesso modo un altro posto di guardia, poi senza preavviso il suo cunicolo sbucò in una caverna incredibilmente ampia. Un tempo era stata una città, una enclave netherese che si era schiantata al suolo sprofondando nel terreno; parte di essa si trovava dove ora c’era la cava di Skullport, parte invece si era distaccata ed era crollata un po’ più a nord-est, creando la caverna dove lui si trovava ora. Delle case dell’epoca non era rimasto nulla, probabilmente si erano polverizzate già all’impatto, e la caverna era rimasta vuota e spoglia per millenni. Di recente, quella zona era stata colonizzata dalla chiesa di Eilistraee, che in realtà già la pattugliava da secoli. Ora avevano costruito dei veri e propri edifici, notò Daren con una certa curiosità. I lavori erano iniziati otto anni prima e sicuramente tutto ciò che serviva era già stato creato, ma sembrava che il tempio si stesse espandendo ancora.
Ottimisti, si disse con un sospiro. Non era sua intenzione essere sarcastico, ma la sua natura lo imponeva.
Qualcuno gli rivolse occhiate sospettose mentre si muoveva fra gli edifici, ma lui proseguì dritto fino al tempio vero e proprio, ignorando la piccola folla di drow, mezzi-umani, halfling e altri disperati.

La sacerdotessa che cercava, la potente e famosa Qilué Veladorn, era impegnata in un concilio di guerra. Il piccolo tempio nel quartiere delle sacerdotesse era aperto ai fedeli, sebbene non avrebbe mai potuto contenerli tutti, ma le stanze private dietro l’altare no.
Non che fosse una cosa strana. Il culto di Eilistraee aveva più nemici che amici, sia nella città sotterranea che nei suoi dintorni.
Chi saranno i nemici stavolta? Di nuovo i mostriciattoli di Ghaunadaur? O quei seguaci di Selvetarm che stanno muovendo i primi passi nell’Undermountain? Oppure ci buttiamo sul classico, i cultisti di Lolth? Di sicuro c’è l’imbarazzo della scelta. Ah, perché non gli Agenti dell’Occhio, se si sono dati nuovamente al traffico di schiavi?, forse questo è il periodo in cui arrivano le carovane da sud. Beh, in quel caso, sarà meglio non chiedere; essere un Guardiano mi causerebbe un conflitto di interessi.
Daren attese con calma che la sacerdotessa terminasse il suo incontro privato con i suoi consiglieri e collaboratori stretti. Lui non aveva nessuna autorità per pretendere l’attenzione della sacerdotessa, e in realtà non aveva nemmeno fretta, perché terminare questa fase del piano avrebbe significato dover andare a cercare gli illithid.

Quando finalmente le porte delle stanze private di Qilué si aprirono e lei e le sue consigliere uscirono, Daren si fece avanti e accennò un inchino davanti alla bella drow.
“Signora, una parola?” 
Qilué lo guardò con aria sorpresa, ma non contrariata. Aveva riconosciuto la voce.
“Ma certo. Seguimi, ho un po’ di tempo.” Gli fece cenno di entrare nelle stanze da cui lei era appena uscita.

Solo quando furono all’interno, lontani da occhi indiscreti, Daren abbassò il cappuccio scoprendo il suo viso.
“Sono lieta di vederti.” Esordì la religiosa. “Non avevamo tue notizie da…” la sua voce si spense lentamente, soffocata dall’imbarazzo. Una strana sensazione, per lei.
“Questo benvenuto mi sorprende, pensavo di non esservi più utile ormai.” Rispose il drow, in tono più amaro di quanto avesse voluto. Si rimproverò mentalmente; non si era spinto fin lì per litigare con la sacerdotessa.
Qilué gli rivolse lo stesso sguardo di compatimento che, alcuni mesi prima, gli aveva fatto andare il sangue alla testa per la rabbia.
Beh, di certo non mi sta rendendo le cose facili!
“Non sono qui per discutere ulteriormente le tue decisioni passate, o quelle di chicchessia.” Mise subito in chiaro. “Puoi crederci o no, ma io ho una vita al di fuori di questo dannato tempio.” Sbottò. 
“Lo spero.” Sussurrò lei, con un sorriso gentile. Daren dovette lottare per tenere a freno la rabbia.
Sì, è vero, ho una vita soprattutto grazie a te. Ma se tu fossi così pignola da rimarcarlo, almeno potrei odiarti, invece per me hai solo quello sguardo di compatimento. Rimuginò, occhieggiando la femmina con tutto il rancore che si era concesso di provare. Non era più arrabbiato con lei, non come lo era stato i primi tempi, ma la donna lo aveva deluso e questo non poteva essere cancellato, di certo non dall’inutile gentilezza di Qilué. Se tu me lo avessi detto fin dall’inizio che ero solo uno strumento l’avrei accettato. Sono un maschio drow, sono stato educato per essere uno strumento. Ma farmi credere che eri migliore e poi usarmi, è stato meschino. 
“Sono qui perché ho bisogno che tu tenga questo.” Porse alla sacerdotessa il cilindro di cuoio che conteneva le mappe disegnate da Lizy. “Contiene dei documenti segreti che non devi assolutamente leggere, per la tua sicurezza. Se tutto va bene, fra un mesetto o anche meno sarò di ritorno e mi riprenderò questo oggetto. Se però io dovessi morire a breve, voglio che tu faccia delle copie di questi documenti, anche con la magia se serve, e voglio che vengano appesi ad ogni angolo di Skullport. Non fate sapere a nessuno chi li ha appesi, perché sono informazioni pericolose.”
Qilué Veladorn prese il cilindro che il guerriero le porgeva. Per un momento lui credette che fosse sul punto di obiettare qualcosa, ma poi si limitò ad annuire.
“Se tu dovessi morire, come potrei saperlo?”
Daren scrollò le spalle davanti a quella domanda stupida.
“Immagino che la dea saprebbe dirtelo.”
“Lo saprebbe?” Insistette lei. Daren colse una punta di speranza nel suo tono di voce. All’improvviso comprese il motivo di quella domanda.
“Non è così facile sradicare qualcosa dal proprio cuore.” Ammise a bassa voce. “E nonostante il mio risentimento, io capisco le sue ragioni e le tue. Il pragmatismo è qualcosa che conosco bene. Solo… non me lo aspettavo, e mi ha fatto male.”
Qilué rimase senza parole a questa ammissione. Il guerriero non le aveva mai parlato in questo modo, a cuore aperto, o almeno non più dall’ultima volta in cui qualcosa lo aveva profondamente turbato. Ma era stato prima di Li’Neerlay, prima della bambina, prima che la sua stessa dea decidesse di agire alle sue spalle.
Qilué stava per dire qualcosa, ma la porta delle sue stanze si spalancò senza preavviso.

“Qilué, stanno arrivando! Li hanno visti scendere al terzo livello! Sono…” la femmina drow che era appena entrata si congelò e la sua voce si spense all’improvviso quando vide chi c’era insieme alla sacerdotessa.
Daren ricambiò il suo sguardo cauto e colmo di disagio, sentendosi più o meno allo stesso modo. 
“Che cosa ci fai qui?” Gli domandò la donna, in tono gelido.
“Anche per me è un piacere vederti, Li’Neerlay.” Ironizzò lui, rivolgendole un inchino esagerato.
“Se sei qui per vedere la bambina, sai che non te lo permetterò.” Chiarì subito lei. “A meno che tu non…”
“Che io non converta il mio piccolo cuore oscuro alla bontà e alla gentilezza, lo so.” Rispose Daren, accennando una risata. “Sei così divertente. Pensi che mi importi qualcosa di te o di quella piccola, inutile creatura.” Mia figlia, lo corresse una vocina nella sua mente, ma il suo volto rimase impassibile e fermo in quella smorfia di pacifica derisione. “Un giorno smetterai di giocare con le bambole, capirai che non sei nemmeno una vera guerriera e che il mondo non è il posto idilliaco che pensi tu. Se quel giorno vorrai venire da me a implorare protezione, sarà meglio che la tua bella bocca produca qualcosa di meglio che sciocche parole sulla bontà e sulla giustizia.”
Li’Neerlay boccheggiò in silenzio per alcuni secondi, incapace di credere che lui avesse davvero detto quello che lei aveva sentito. “Come… come osi, tu, per chi mi hai preso…?”
“Per una prostituta. Non è quello che sei?” Rincarò lui.
“Adesso basta!” Intervenne Qilué, mettendosi in mezzo fra i due. “Tu, maschio, non mi interessa quale affare sei venuto a proporre, nessuno può parlare in questo modo ad una sacerdotessa!” Lo rimproverò, inventando al volo una storia di copertura per la sua presenza lì. “E tu, mia cara amica, per favore attendi che io abbia terminato di parlare con costui. La tua presenza qui tira fuori il peggio del suo linguaggio, è evidente.”
“Ma che interesse può avere qui uno come lui…?”
“Mi dispiace, Li’Neerlay, ma devo chiederti di fidarti di me e basta.” Le ribadì la somma sacerdotessa, gentilmente ma con fermezza.
E certo. Tutti devono fidarsi di te. Pensò Daren, riflettendo sull’ironia di quella rivendicazione.
Li’Neerlay gli rivolse un ultimo sguardo stizzito e se ne andò, ma non prima di avergli ricordato che sarebbe stato molto meglio per la sua anima cercare il perdono e il pentimento fintanto che era ancora in vita.
Daren la guardò uscire, e giudicò che fosse molto arrabbiata dalla forza con cui si sbattè la porta alle spalle.
Odio i Cavalieri dalla Chioma Argentea.” Mugugnò. “Riescono a essere bigotti perfino se la loro dea è nominalmente uno spirito libero.”
“Li’Neerlay non è bigotta.” Qilué cercò di calmarlo. “Come le sue compagne e i suoi compagni, è solo convinta che seguire una via del Bene sia la cosa migliore che una persona possa fare, per sé stessa e per gli altri. Crede in un mondo migliore, come me.”
Daren le rivolse uno sguardo vuoto.
“Il vostro ottimismo è una cosa che non ho mai condiviso nemmeno in tempi migliori, figuriamoci ora.”
Qiluè sospirò, poi andò a riporre il cilindro porta-pergamene in uno scrigno munito di lucchetto. “Mi dispiace. Lei non può sapere che sei un Incognito.”
“No, ovviamente. Questa è la definizione di Incognito.” Riconobbe lui. “Ma non puoi nemmeno chiedermi di provare rispetto per una donna che ha giaciuto con una persona che disprezza e che ritiene malvagia, solo perché la sua dea glie l’ha chiesto. O perché tu glie l’hai chiesto.”
Qilué scosse la testa, e nei suoi occhi tristi il guerriero vide uno sguardo quasi di scusa.
“Noi dobbiamo fare quello che Lei ci chiede, perché confidiamo sempre che sia per il meglio.” Spiegò semplicemente, aprendo le braccia in un gesto di religioso abbandono. “Ho dedicato tutta la mia vita a seguire le indicazioni della dea, forte in questa mia convinzione.”
Daren era un maschio drow, la creatura più lontana che ci sia dall’idea di devozione sacerdotale. Nella cultura della sua città natale, Menzoberranzan, i maschi venivano attivamente scoraggiati dal tentare qualsiasi approccio ai misteri divini, e questo si traduceva in una grande limitazione al loro potere sociale e personale. Solitamente i maschi drow vivevano invidiando le femmine dalla culla alla tomba; ma sentendo quel discorso accorato, Daren si ritrovò a pensare che essere destinate alla casta sacerdotale fosse più una maledizione che una fortuna.
Dopotutto, se non puoi dire di no a una divinità, a cosa serve poter dire di no in generale? 


******************
Nota: i Cavalieri dalla Chioma Argentea (Silverhair Knights) sono effettivamente una Classe di Prestigio comparsa su Dragon #315, c'è una breve descrizione qui.
Gli Incongniti invece sono una mia invenzione, non una Classe di Prestigio ma semplicemente i membri della chiesa che, dovendo svolgere spesso missioni come spie o infiltrati, è meglio che rimangano sconosciuti anche agli altri fedeli. Gli Incogniti sono spesso Ladri, qualcuno può essere un Agente Divino o simili CdP basate sulla furtività. Sebbene possano essere sia buoni che neutrali, gli Incogniti spesso sono più capaci di scendere a compromessi rispetto alle sacerdotesse, ai Silverhair Knight o alle Danzatrici della Spada

           

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Capitolo 24
*** 1363 DR: Di come Steekaz, il famoso goblin esploratore dei molti mondi, entrò in possesso della Chiave di Endamion che cambiò il corso della sua vita futura ***


1363 DR: Di come Steekaz, il famoso goblin esploratore dei molti mondi, entrò in possesso della Chiave di Endamion che cambiò il corso della sua vita futura


Tuyy non era tranquillo. I due guardiani gli avevano promesso che non sarebbero partiti senza di lui, ma promettere è facile e ormai erano passati due giorni.
Non avrei dovuto fidarmi di due non-desmodu. Si rimproverò il guerriero, imbronciato e infastidito. 
Dee Dee lo raggiunse poco dopo. Aveva imparato in fretta a muoversi nell’insediamento desmodu. Loro si spostavano fra le diverse piattaforme grazie alla loro capacità di tendere le loro membrane di pelle e usarle per planare, oppure arrampicandosi facendo presa sulle rocce con i loro possenti artigli; lei non aveva né membrane né artigli, ma era sempre stata capace di arrampicarsi abbastanza bene e nelle settimane precedenti aveva dovuto affinare questa sua dote.
“Stai bene, cucciolo.” La salutò Tuyy. Lei aveva imparato che i desmodu salutavano i loro simili prendendo atto del loro stato di salute. Convenevoli come “buongiorno” non avevano senso per la loro cultura, visto che i loro giorni erano sempre uguali, dedicati alle stesse attività.
“Anche tu ftai bene, Tuyy. Ma perché non vuoi imparare il mio nome?”
“Cuccioli non hanno nome. Solo adulti.” Rispose stringatamente lui, e in tono un po’ supponente.
“Io non diventerò più alta di cofì!” Protestò lei.
Questa volta il grosso guerriero abbassò il volto al suo livello per guardare negli occhi Dee Dee. Il suo fiato sapeva leggermente di muschio e di cose dolciastre.
“Guardiani bassi come te, ma adulti. Adulto sopravvive da solo. Cuccioli e anziani non fa. Tu odore di paura, tu sa che non sopravvive da sola. Guardiano nero tratta te come cucciolo, Tuyy sente da suo odore.”
Dee Dee gli rivolse uno sguardo offeso. “Venendo qui ho incontrato un vero cucciolo. Non fapeva nemmeno tenere in mano una fpada, ho dovuto riportarla dai fuoi genitori tenendola per mano, e il guardiano nero me l’ha fatto fare, da fola.”
Tuyy si raddrizzò, tornando a guardarla dall’alto dei suoi nove piedi di statura.
“Tu cucciolo di guerriero. Molto meglio di cucciolo normale. Quasi come adulto. Ma non come adulto-guerriero. Cucciolo di guerriero più pericolo di adulto che raccoglie muschio. Cucciolo di guerriero più tempo ancora per diventare adulto che sopravvive da solo.”
Dee Dee ci mise un po’ a processare quel discorso costruito alla meno peggio, ma alla fine comprese quello che lui voleva dirle: aveva scelto uno stile di vita che la esponeva a rischi maggiori rispetto a un comune cittadino o agricoltore, quindi avrebbe dovuto dimostrare di valere più di essi prima di essere considerata adulta.
Ma che fregatura! Pensò fra sé e sé, sbuffando.

Più tardi, quello stesso giorno, Lizy e Daren tornarono al villaggio desmodu. Tuyy accolse il loro arrivo come una gradita sorpresa; ormai non ci sperava più.
“Guardiani ora parte con Tuyy a cercare mostri-tentacoli.” Esordì, vedendoli arrivare.
“Buongiorno anche a te.” Rispose Lizy, che era già di cattivo umore per essere stata lasciata all'oscuro dei piani del drow.
“Tuyy porta sua lunga lancia e infilza mostri-tentacoli come verme su spiedo.”
Daren rabbrividì per il disgusto davanti alle abitudini alimentari del desmodu, e con il pollice destro sfiorò l'anello magico che indossava sempre all'anulare: gli forniva ogni giorno le energie di cui aveva bisogno, sopperendo al bisogno di nutrirsi, cosa di cui nel Buio Profondo non avrebbe mai fatto a meno. Non era più abituato al “cibo” del sottosuolo e ormai lo trovava pessimo.
“Tuyy porta lunga lancia per combattere i mostri che troveremo lungo la strada.” Lo corresse il drow. “Ma se ti azzardi ad attaccare gli illithid senza il mio permesso, rovinando il mio piano, l'ultima cosa che farò prima di morire sarà infilarti quella lancia nel culo e castrarti da dentro con una improbabile manovra a uncino.”
Lizy si girò di spalle, coprendosi la bocca per nascondere una smorfia di disgusto. Aveva un'immaginazione troppo vivida.
Tuyy non prestò orecchio alla minaccia, o forse la sua comprensione del Sottocomune era troppo limitata.
“Piccoletto nero grande guerriero, ma non può impedire Tuyy di salvare sua tribù. Tribù è tutto.”
Già… che bella idea, cercare di intimidire un paladino. Dannazione, so fare meglio di così. Si rimproverò il drow. Come diavolo si faceva a comunicare con qualcuno senza intimidire o usare il sarcasmo, che tanto non lo capisce? Uhm…
“Attaccare direttamente gli illithid sarebbe un suicidio tattico. Lasciami tentare a modo mio, se fallirò e non riuscirò a recuperare la tua tribù potrai attaccarli con la tua lancia.” Propose. Anzi, per la verità suonava più come un ordine.
Il grosso uomo-pipistrello annuì, accettando quelle condizioni. Sembrava intimamente convinto che si sarebbe arrivati allo scontro fisico, comunque.
“Partiremo subito.” Decise. “Abbiamo già perso abbastanza tempo. Dee Dee, ho bisogno che tu mi restituisca il mantello che ti ho prestato.” Tese una mano verso la giovane dhampir, in attesa.
Dee Dee si strinse nel mantello, incerta. “Ma… avrò freddo fenza…”
Daren però era preparato a questa obiezione e a Skullport aveva fatto spese. Si tolse il suo nuovo zaino dalle spalle e ne estrasse un mantello nuovo.
“Prendi questo. Ti terrà al caldo, è fatto apposta.” 
Dee Dee si avvicinò cautamente e prese il mantello che il drow le porgeva. Era morbido e non pesava più di quello che aveva ora, ma era spesso e soffice e sembrava molto caldo. Arrossì leggermente per l'imbarazzo di ricevere un ennesimo favore.
“Grazie ma… perché?”
Daren mantenne la sua espressione neutra e distaccata. “Perché mi serve riavere il mio. È magico e mi servirá contro gli illithid. Prenderne uno nuovo e non magico per te era il metodo più veloce ed economico per risolvere la cosa, alla fine ti serve solo uno straccio per il freddo.”
Dee Dee si slacció il mantello magico e, nel toglierlo, si accorse che la sua sete di sangue stava tornando a farsi sentire con prepotenza.
Accidenti… la magia di questo oggetto mi aiutava a resistere alle tentazioni e tamponava le mie debolezze. Adesso dovrò cavarmela da sola.
Va bene, posso farcela. Posso farcela senza aiuti. È anche ora che lo faccia.

Indossò il mantello nuovo, trovandolo caldo e morbido come le era sembrato.
Non sarà magico ma non è uno straccio. Esistono animali pelosi anche nel sottosuolo, a parte i pipistrelli? Non sembrano peli di pipistrello. 
“Perché mi hai preftato un mantello magico?” Domandò sorpresa, restituendo al guerriero il suo prezioso manto.
“Perché no?” Daren scrollò le spalle. “Sei una persona da cui è facile recuperare un prestito. Non puoi esattamente rifiutarti, giusto?”
“Fuona come una minaccia.” Mormorò la dhampir, esitante.
In risposta, Daren le rivolse un sorriso inquietante e un cenno di assenso. 
Dee Dee soppresse un brivido. C'era qualcosa nel drow che la disturbava profondamente. Era quel suo comportamento incostante. A volte mi sembra quasi che abbia a cuore la mia vita. Ragionó la giovane, stringendosi le braccia intorno al corpo sotto la privacy del mantello nuovo. Altre volte lascia intendere che se facessi un passo nella direzione sbagliata potrebbe farmi molto male. Se devo basarmi sul suo comportamento finora, non mi ha mai veramente fatto nulla a parte le botte durante l'allenamento… ma quello penso sia normale. E poi vuole recuperare i desmodu, è una cosa che approvo, mi piace questa gente. Dee Dee spostò lo sguardo sulla caverna in cui era ospite, notando molti musi di pipistrelli che li guardavano dall'alto con circospezione. Si trovava bene con quella tribù pacifica e avrebbe voluto aiutarli anche lei in qualche modo. Ma quali sono le sue vere motivazioni? Che cosa sta nascondendo?
Il drow tiró fuori un altro involto dallo zaino e lo lanciò in braccio a Dee Dee. Lei lo svolse con curiosità e scoprì che si trattava di un completo nuovo di vestiti resistenti pensati per gli esploratori, con molte tasche discrete e asole rinforzate in cuoio per far passare le corde da arrampicata. In mezzo ai vestiti c'era anche un pezzo di sapone.
“Ah. E ti pareva.” Commentò con voce monocorde, rigirandosi il sapone in una mano.
“Quando tornerò non intendo andare in giro con una persona che puzza di desmodu, quindi fanne buon uso. Mi fa già abbastanza schifo che tu sia un'elfa.” Spiegó usando la lingua comune della Superficie, che Dee Dee comprendeva ma i desmodu no.
“Oppure potrefti darmi della polvere di carbone e un paio di once di carognaggine, cofí potrei camuffarmi da drow.” Ribatté Dee Dee, che non sopportava gli insulti verso il suo aspetto fisico.
Daren rimase un momento spiazzato dalla risposta, poi scrollò le spalle e sorrise come se avesse appena sentito una bella battuta. “Un paio di once… ah… che carina. Dai gente, siamo in partenza.” Schioccò le dita, richiamando all'ordine Tuyy e l’aranea.
Il grosso desmodu non vedeva l'ora di partire ed era già pronto. Come Daren si mise in cammino verso una caverna laterale, il guerriero lo seguì con entusiasmo.
“Ehi, innanzitutto non sono il tuo cane!” Sì lamentò Lizy, allungando il passo per stare in pari con gli altri due.
 
Dee Dee li guardó andare via, sentendo già una punta di nostalgia. Nonostante tutto, sperava che tutti e tre tornassero indietro vivi. Era così difficile trovare alleati nel sottosuolo.

*****


Erano trascorsi ormai due giorni di cammino nei cunicoli ed i tre esploratori si erano lasciati alle spalle da tempo il loro dungeon, spingendosi nelle zone più selvagge del Buio Profondo. Si stavano spostando verso nord-ovest e nel contempo stavano scendendo verso gallerie più profonde, molto più in basso dei nove strati dell’Undermountain che si trovavano poco al di sotto della Superficie.
La loro meta era l’insediamento illithid di Ch’Chitl, situato a circa diciotto miglia di profondità sotto alle Montagne della Spada. Se Skullport e Ch’Chitl fossero sorte all’aperto e in una tranquilla pianura, la distanza fra le due città sarebbe stata di centoventi miglia o poco meno; una strada percorribile in cinque giorni di marcia costante. Purtroppo non solo Ch’Chitl si trovava molto più in profondità, c’era anche da considerare il problema della non linearità delle strade nel sottosuolo. Un avventuriero inesperto poteva camminare per un’intera giornata nelle caverne per poi scoprire di essere finito in un vicolo cieco. Trovare la strada non era facile e non c’erano mai certezze. A volte si doveva rinunciare a percorrere una galleria “solo” perché era stata invasa da mostri antropofagi. Altre volte creature elementali o capaci di scavare la roccia modificavano la conformazione dei tunnel.
Fortunatamente, Daren sembrava conoscere la strada abbastanza bene. O comunque era bravo a lasciarlo credere.

In due giorni di strada avevano già incrociato le armi con una coppia di troll delle caverne che, a quanto pare, cercavano un posto per fare le loro cose da troll, e poi avevano evitato di stretta misura un gigantesco verme purpureo che scavava voracemente nella roccia sopra di loro. Avevano dovuto rimanere perfettamente immobili sperando che la bestia se ne andasse senza percepirli… per lo spavento Lizy si era scomposta in una marea di ragnetti e ci era voluto quasi un quarto d’ora prima che si ricomponesse.
“Come fai a essere sicuro che gli illithid che ho visto fossero proprio di Ch’Chitl?” Domandò Lizy durante una delle loro soste, mentre lei e Daren sistemavano il campo e il desmodu montava la guardia.
“All'inizio non ne ero certo.” Ammise lui. La donna gemette come un animale ferito, ma il drow continuò senza darvi peso. “Però Ch’Chitl è la città illithid più vicina a Skullport, quindi era la destinazione più probabile... e Tuyy ha cominciato a trovare delle sporadiche tracce. Un ciuffo di pelo fulvo, poi una scheggia di pietra che secondo lui si è staccata dalla punta di una lancia desmodu.”
“Non molto consistenti, come tracce.” Mugugnó lei.
“Quante tracce speri di trovare sulla nuda roccia?” Ribatté il drow, infastidito.
L'aranea era un'esploratrice abbastanza navigata e naturalmente sapeva che seguire una pista nel Buio Profondo era tutt'altro che facile, ma questo non significa che fosse soddisfatta della situazione.
Per fortuna il piccolo alterco venne interrotto dall'arrivo di Tuyy.
“Tuyy trovato questo. Credo spia.” Il desmodu teneva in mano una figuretta che si agitava e dimenava come un pesce, ma era di forma umanoide. La creaturina era bassa quanto uno gnomo ma aveva la pelle grigia, la testa un po’ troppo grossa e una fila di denti aguzzi. Un goblin delle profondità. “Piccoletto pensa che Tuyy non vede. Tuyy vede lui e vede sua strana luce. Piccoletto è magico.” Il desmodu diede uno scossone al goblin, sbatacchiandolo come una bambola di pezza.
Daren e Lizy studiarono il goblin, che aveva un'espressione infuriata e disperata insieme.
“Non vedo nessuna luce.” Ammise infine lei. “Come mai pensi che sia magico?”
“Tu non vede bene. Piccoletto ha luce intorno, brutta. Se non magico, forse velenoso.”
“E da quando le cose velenose…” cominciò Lizy, ma il drow la interruppe:
“Non è velenoso e non è magico. È soltanto malvagio. La luce che vedi è la sua aura, Tuyy; puoi vederla perché il tuo dio ti concede di riconoscere i malintenzionati… per non farti cogliere di sorpresa.”
“Guardiano nero parla di cose che non sa.” Tuyy s’irrigidí. “Non conosce dio di Tuyy.”
Daren sospirò, massaggiandosi le tempie con le mani. Non solo il modo di parlare del desmodu lo costringeva a cercare continuamente di tradurre le sue parole in concetti sensati, ma anche i concetti che esprimeva gli davano sui nervi.
“Questa è una capacità che tutte le divinità buone concedono ai loro paladini. Lo fanno per comune buonsenso. Non ho mai incontrato un guerriero consacrato che non avesse questo semplice potere.”
Il desmodu non sembrava convinto, ma mise da parte il discorso e tornò a concentrarsi sul suo prigioniero.
“Piccoletto parla vero, oppure piccoletto morto. Spia? Ladro? O vuole uccide nel sonno?”
Il goblin sputò per terra e poi rispose in un Sottocomune abbastanza rozzo e inframmezzato da imprecazioni in goblinoide: “Te brutto merda di orog lascia Muzcio! Arrrgh uccide te gola e struppa te carogna!”
Il desmodu non capì una parola e decise di rispondere sbattendo la creatura contro una parete, come avvertimento. Il goblin finì con la faccia spappolata sulla roccia e il suo naso si ruppe con un rumore raccapricciante.
“Oops.” Mormorò Tuyy. “Piccolo coso grigio troppo rompe-facile.”
“Il suo accento era tremendo e non posso assicurare di aver capito proprio tutto.” Esordì Daren in tono gentile, cercando di rendersi utile. “Ma credo che ti abbia ordinato di lasciarlo andare, altrimenti ti avrebbe tagliato la gola e poi avrebbe stuprato il tuo cadavere. Di certo, questo ci dice molto sulla sua percezione delle proprie capacità e delle proprie dimensioni…”
Lizy gemette mentre il desmodu si ingrugniva sempre di più, man mano che il drow traduceva.
“Nessuno parla così a guerriero di tribù. Piccoletto vuole che Tuyy lascia. Bene, Tuyy lascia.”
I tre avevano montato l'accampamento su una piazzola sopraelevata rispetto alla più vasta galleria sottostante. Il desmodu si avvicinò al bordo della sporgenza e lanciò giù il goblin svenuto, come un sacchetto d’immondizia. Per la forza del lancio il mostriciattolo sbatté prima contro la parete dall'altra parte del cunicolo, poi riprese la sua caduta verso il pavimento di roccia quasi sei metri più in basso.
Daren e Lizy si sporsero con discrezione a guardare.
“Secondo te è morto? Perché se è morto io me lo mangerei anche.” Azzardò l’aranea.
“Nah, mi sembra che stia ancora respirando.” Rispose il drow, che ci vedeva molto bene al buio.
“Lo sai, se tu non avessi sempre intorno queste lucine fluttuanti, attireremmo molto meno attenzioni indesiderate.” Lo rimproverò lei. In realtà era un'implicita domanda.
“Lo so.” Fu la sua laconica risposta. “Ma confido che il tuo chiacchiericcio e il passo pesante di Tuyy attirino l'attenzione molto più delle mie luci.”
Lizy prese atto della sua decisione di non scucirsi, e fece spallucce. Nell’Undermountain soltanto i folli non avevano segreti.

Dopo aver riposato un po’ per recuperare le forze e fare il punto della situazione, la strana compagnia si rimise in marcia.
Scesero dalla piattaforma e notarono che il corpo del goblin non si trovava più lì. Le tracce di sangue indicavano che se ne fosse andato sulle sue gambe, non che fosse stato trascinato via, quindi molto probabilmente era ancora vivo.
Ebbero la conferma di questo sospetto quasi un'ora dopo, quando, arrivati ad un bivio, da entrambe le strade gli si riversò addosso una marea di piccoli razziatori goblin inferociti. Dietro di loro, un hobgoblin tracotante berciava ordini alle sue truppe. Evidentemente era il capo; ogni tanto accadeva che qualche hobgoblin reietto trovasse un nuovo scopo nella vita imponendosi come re di una tribù di goblin. I suoi cugini più piccoli e codardi non erano abituati ad unirsi per ribellarsi al comando di un capo forte.
L’hobgoblin però non aveva calcolato che i piccoli e pavidi goblin erano guerrieri indisciplinati e capaci di abbattere solo avversari più deboli di loro; non avevano né la preparazione militare né la mentalità per resistere ad un contrattacco. E in quel momento, i tre avventurieri stavano falciando le sue truppe senza grande fatica.
Il grosso uomo-pipistrello li teneva a distanza con la sua lancia rudimentale ma senza dubbio funzionale. La donna umana, una cosetta bionda che lui aveva pensato di tenere come schiava di piacere, si era trasformata in un ragno gigante (facendogli subito cambiare idea su quella cosa della schiava di piacere) e aveva fatto cadere addormentati tutti i goblin che la stavano circondando. Ogni volta che un nemico provava ad avvicinarsi a lei, finiva intrappolato nelle ragnatele che sapeva lanciare con maestria.
Il drow aveva estratto due spade corte gemelle e si teneva sulla difensiva, abbattendo con un colpo chiunque fosse così folle da avvicinarsi.
L’hobgoblin guardò quello scenario con occhio critico, trasse le sue conclusioni ed optò per una ritirata strategica.
I goblin udirono il loro capo comandare la fuga e fu come se non aspettassero altro: nel giro di un attimo, gli attaccanti scomparvero con la stessa rapidità con cui erano apparsi, lasciandosi alle spalle solo una distesa di goblin svenuti, intrappolati, addormentati o morti.
Il ragno gigante che era Lizy cominciò ad avvolgere i morti nelle sue ragnatele, formando dei bozzoli. Daren ricordò il suo commento sul volersi mangiare il goblin morto e rabbrividì. Non sarebbe mai stato a suo agio vicino ad un ragno che mangiava creature umanoidi, anche se apprezzava che mangiasse solo quelle morte per mano altrui. Perché aveva tenuto d'occhio Lizy durante il combattimento e si era accorto che l’aranea usava preferibilmente delle tattiche non letali.
All'improvviso, dal nulla, un ultimo goblin uscì dal suo nascondiglio e si gettò sul drow, credendo di prenderlo alla sprovvista e di riuscire a colpirlo in qualche punto vitale. Aveva mirato alle gambe; un piccoletto intelligente, pensò Daren con stupore. Ma il drow ovviamente aveva sentito i suoi passi incerti e non si era lasciato cogliere di sorpresa. Paró l'attacco del piccolo guerriero e rispose schiaffeggiandolo alla tempia con il piatto della lama. La forza del colpo lo mandò a terra, strappandogli un patetico pigolio. Il goblin scosse la testa per allontanare lo stordimento e si rialzò per attaccare di nuovo.
“Che cosa abbiamo qui? Un goblin coraggioso?” Domandò il drow in Sottocomune, chiedendosi se il nemico capisse la lingua.
“A me sembra un goblin ostinato.” Intervenne Lizy, di nuovo in forma umana. “Buttalo giù e andiamo via.”
Daren però non le diede retta e permise al goblin di attaccarlo ancora, limitandosi a parare i colpi. Alla fine si stancò di quel gioco e, con una mossa esperta, intrappoló la spada del mostriciattolo fra le sue due lame e la strappò dalla sua presa. La spada cadde a terra con un rumore metallico, rimbombando nel silenzio.
Contro ogni possibile aspettativa, il goblin ringhiò e attaccò l'elfo scuro a pugni.
“Un goblin pazzo, allora.” Riconobbe il drow. Il piccoletto era talmente minuto che Daren riuscì a tenerlo a distanza semplicemente mettendogli una mano sulla fronte.
“Voi ucciso tribù di Steekaz!” Ringhiò il goblin, in un Sottocomune quasi passabile. “Steekaz guerriero di tribù non ferma finché voi morti!”
“Oh piantala.” Il drow lo spinse via e il goblin caracolló indietro, finendo di nuovo per terra. “La maggior parte dei tuoi compagni sono ancora vivi.”
“Allora loro vede come grande guerriero Steekaz uccide voi e diventa primo guerriero di tribù.” Rincaró il goblin, ripartendo all'attacco. Stavolta Tuyy si fece avanti e lo afferrò per una gamba, sollevandolo a testa in giù.
“Cosa è tu, scemo di villaggio?”
Il goblin indossava un elmo di recupero che ricordava vagamente una pentola, e che era evidentemente troppo grande per lui. Quando si ritrovò appeso a testa in giù, l'elmo penzoló per un attimo e infine cadde.
“Sei un bambino.” Osservò Daren, guardando meglio il goblin. “Per questo sei così minuto.”
“Steekaz nove anni! Guerriero di tribù.” Insistette il piccoletto, dimenandosi.
“I goblin non raggiungono l'età adulta fino ai quindici anni. Ma capisco che tu sappia a malapena contare.” Obiettò il drow. “Tuyy, lascialo andare.”
“Tuyy lascia andare piccoletto come prima lascia andare altro? Contro parete?”
“No. Mettilo a terra e basta.” Lo fermò il drow, prima che il desmodu sbattesse il goblin come uno straccio.
“Piccoletto continua ad attacca. Se Tuyy lascia andare contro parete, forse smette di fare idiota.”
“Non puoi farlo. Ha cercato di uccidermi quindi ora è mio. Mettilo giù.”
Tuyy lo mise giù con una certa delicatezza, ma continuò a tenerlo per una spalla.
“Non può lui tuo. Avere schiavi sbagliato.”
“Non è il mio schiavo. Lui è il mio… uh…” il drow guardò il piccoletto riflettendo velocemente. Poi schioccò le dita, frugò nella sua scarsella e tirò fuori una vecchia chiave di metallo legata ad una cordicella di cuoio consunta. Mise la cordicella intorno al collo del goblin, lasciando che la chiave gli penzolasse all'altezza dell'ombelico. “Lui è il mio portachiavi.”
Seguí un silenzio basito da parte dei suoi compagni.
“Cosa è porta-chiavi?” Domandò il desmodu.
“Una cosa che viene attaccata a una chiave per poterla identificare velocemente. Di solito un portachiavi è piccolo ma facile da afferrare, colorato o comunque riconoscibile.”
“E tecnicamente questo goblin rientra nella descrizione.” Convenne Lizy, che sembrava molto divertita dall'intera vicenda.
Il desmodu non era convinto, ma non mosse altre obiezioni e lasciò andare il goblin.

Steekaz, incurante di essere stato nominato portachiavi ufficiale del drow, raccolse rapidamente la sua spada, diede un ultimo calcio alla caviglia di Tuyy e scappò verso uno dei tunnel.

“Il tuo portachiavi ha preso il largo, drow.” Commentò Lizy con flemma.
Daren scrollò le spalle. “Capita spesso di perdere un portachiavi. Non importa, non valeva molto.”
“Ma quella chiave?”
“Ah boh. Negli strati superiori dell’Undermountain c'è un lichene appiccicoso che copre un’area vasta come… come Tuyy, così a occhio. Si sposta lentamente da una stanza all'altra e spesso gli restano attaccati piccoli oggetti. Mi piace vedere cosa trasporta, sono come vestigia di avventurieri sconosciuti. In un paio di mesi ho raccattato cinque monete di rame, un bottone e quella chiave.”
“Quindi non sai cosa apra…”
Daren fissò lo sguardo nel tunnel dove il goblin era sparito. “No. Potrebbe essere qualsiasi cosa, uno scrigno del tesoro o una porta di una città lontana… o forse la cintura di castità di una persona morta da tempo. Chi lo sa. Più probabilmente non apre nulla. Mi piaceva la sua fattura elaborata e l'ho presa.”
“Ti piace una cosa inutile e la prendi? Sei proprio uno spazzino.”
“Ammetto le mie debolezze.” Disse il drow in segno di resa, incrociando le braccia sul petto. “È anche il motivo per cui giro con la dhampir.”
Lizy rise alla sua battuta, anche se la giudicò piuttosto meschina.

Steekaz il prode guerriero goblin corse lungo il tunnel in direzione del suo villaggio, ma progressivamente cominciò a riconsiderare quella decisione. Il suo villaggio era composto da pusillanimi che obbedivano a uno schifoso hobgoblin e non sapevano combattere in trenta contro tre nemici. Steekaz non aveva una così grande padronanza dei numeri ma nella sua mente il concetto era ben chiaro: il suo era un villaggio di incapaci.
Steekaz deve trovare un villaggio migliore, decise. Steekaz si avventura nelle gallerie e trova nuovo villaggio.
Devió dal suo cammino, cominciando a procedere a caso verso zone inesplorate. A modo suo era davvero lo scemo del villaggio.
Presto avrebbe cominciato a sentire i morsi della fame e l'arsura della sete, e avrebbe compreso che la sua idea era stata una follia… ma non ne ebbe il tempo. Un'altra creatura sentiva i morsi della fame e aveva individuato nel goblin un ottimo spuntino. La belva, simile a un grosso felino con troppe zampe, rimase acquattata su una sporgenza seguendo con lo sguardo ogni mossa del piccoletto. Stava per saltargli addosso quando, per somma fortuna di Steekaz, un pezzettino di roccia friabile cedette sotto gli artigli della bestia e rimbalzò a terra, attirando l'attenzione del goblin.
Steekaz alzò lo sguardo e vide la bestia. Veloce come solo un goblin terrorizzato può essere, scattò in avanti in una fuga disperata. L'animale fu subito alle sue spalle, raggiungendolo in pochi balzi, ma Steekaz si buttò a terra e rotolò di lato, dove aveva visto un buco nel pavimento. Per sua fortuna il buco si rivelò essere un pozzo dalle pareti irregolari e il goblin un po’ rotoló e un po’ cadde verso il fondo.
Il pozzo era profondo solo tre metri, e la bestia aveva due lunghi tentacoli uncinati che le sporgevano dalle scapole. Infilò uno dei tentacoli nel pozzo, cercando di agganciare il goblin; lo mancó di stretta misura. Steekaz rispose menando una spadata contro il tentacolo, ma in quell'ambiente stretto non riusciva a maneggiare bene una spada che per lui era lunga, e anche se riuscì a colpire la preda non era in grado di scalfire la sua pelle coriacea.
È la fine. Si rese conto. Steekaz mai grande guerriero. Oh, come Steekaz vuole essere altrove...
In quel momento, la chiave che portava al collo si illuminò di una luce fioca, come se si fosse svegliata da un lungo sonno. Accanto a Steekaz un intero pezzo di parete rocciosa si illuminò e divenne inconsistente. Steekaz provò a toccarla con una mano e con grande sorpresa vide che la mano affondava laddove avrebbe dovuto esserci solida pietra. Il goblin venne risucchiato all'interno del portale magico, senza capire cosa stesse succedendo.
Ma questa è un'altra storia.


           

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Capitolo 25
*** 1363 DR: Kalokagathìa (Parte 1) ***


1363 DR: Kalokagathìa (Parte 1)


Tuyy precedeva i suoi compagni, andando in avanscoperta. Fra i tre era certamente il meno furtivo e silenzioso, ma era anche il migliore a trovare tracce. E più andavano avanti, più tracce trovavano. Gli illithid evidentemente avevano imposto agli schiavi una marcia forzata; Tuyy stava trovando sempre più tracce di sangue a forma di orme di desmodu.
Ad un certo punto, le sue orecchie sensibili captarono un suono che non aveva mai udito prima. Incuriosito, girò la testa in quella direzione e si sforzó di ascoltare meglio: quel suono era troppo armonico per essere il verso di un animale, troppo anche per un richiamo di accoppiamento. Eppure Tuyy si sentì suo malgrado trascinato verso quel suono.

Lizy e Daren, che lo seguivano a distanza, lo videro scartare verso una galleria laterale e si scambiarono uno sguardo perplesso. 
“È quella la strada per Ch’Chitl?” Domandò sottovoce la donna.
Il drow scosse la testa, pensieroso. “Seguiamolo. Forse ha trovato qualcosa.”

Tuyy camminó nell'oscurità per alcuni minuti, guidato solo da quel suono celestiale. I desmodu non producono musica per diletto, anche se alcuni spontaneamente a volte intonano dei canti per pregare il loro Dio. Ad ogni modo Tuyy non aveva mai udito una melodia così complessa e ammaliante.
Non appena Daren riuscì a captare la musica a sua volta, velocizzó il passo per raggiungere il suo compagno di viaggio. 
“Tuyy, aspetta!” Cercò di afferrarlo per un polso, ma il desmodu semplicemente se lo trascinó dietro. “Dannato bestione testa di granito! Molte creature usano la musica per attirare le prede.” Cercò di far ragionare il desmodu, ma Tuyy non lo stava ascoltando. Daren consideró seriamente la possibilità di colpirlo alle caviglie con il piatto della lama, ma vista la determinazione del desmodu forse avrebbe dovuto spezzargliele per fermare la sua avanzata. Non era il caso. 
Daren stava pensando ad un altro modo per farsi ascoltare da Tuyy, ma si accorse che ormai era tardi: si erano appena lasciati alle spalle la galleria stretta dov'erano, per entrare in una cava molto più ampia e quasi perfettamente circolare. All'interno della grotta, che risplendeva di luce soffusa, una singola creatura stava suonando un'arpa di fattura superba. Ai suoi piedi, una moltitudine di altre creature simili a lei erano sedute sul pavimento e ascoltavano la musica con aria estasiata.
Tuyy si fermò di colpo: non aveva mai visto creature simili e questo aveva riacceso la sua naturale prudenza, anche se quegli omuncoli gli parevano mingherlini e poco pericolosi.
Nemmeno Daren sapeva cosa fossero quelle creature, ma aveva una maggiore esperienza del mondo e con un solo sguardo suppose correttamente che appartenessero ad una qualche razza fatata. Si concentrò sul folletto che suonava l'arpa, perché era il più visibile: era quasi sicuramente un maschio, per altezza e corporatura era simile ad un elfo e la sua pelle chiara rifletteva leggermente la luce, come se fosse argentea piuttosto che bianca. I capelli erano lunghi e fluenti, ma abbastanza incolti, e gli abiti della creatura erano semplici e chiaramente ricavati da tessuti vegetali. Considerato che i vegetali nel Buio Profondo erano solo licheni dalle fibre troppo corte oppure liane che cercavano di strangolare chiunque si avvicinasse, quella scelta di vestiario rivelava una presa di posizione coraggiosa e ponderata. Questo fatto da solo avrebbe spinto chiunque a pensare che la creatura potesse essere una fata, ma l'indizio più rivelatore erano le ali da falena che scendevano dalle scapole fin sotto al bacino.
Interessante, non ho mai visto folletti come questi. Chissà a quale razza appartengono e perché vivono quaggiù.

Il folletto terminò il suo assolo all'arpa e aprì gli occhi, beandosi dell'ammirazione dei suoi pari. Daren notó subito che i suoi occhi erano completamente neri, come pozzi di oscurità, eppure a loro modo riuscivano ad essere molto espressivi.
Quegli occhi catapultarono la sua mente indietro negli anni, costringendolo a rivivere ricordi dolorosi.

“Devi fare qualcosa riguardo a quel tuo marmocchio!”
“Oh, Daren, non essere così duro con lui. È solo un bambino.”
“Non sono arrabbiato per la mostarda nei miei stivali. È solo uno scherzo infantile, tra l'altro la sua natura fatata lo spinge a fare questo tipo di marachelle, lo so. Quello che mi preoccupa è che poi lui ti guarda con quegli occhioni neri grandi come laghi, ti fa quella tenera espressione dispiaciuta e tu credi davvero che sia pentito.”
“Stai dicendo che un bambino di sette anni mi sta volontariamente mentendo?”

“Sì! Sì, maledizione, non hai abbastanza figli da sapere che iniziano a mentire già a tre anni? Alcuni anche prima! Se non cominci ad educarlo diventerà un mascalzone convinto di poterla sempre fare franca grazie al suo bel faccino.” S’infervoró. Solitamente non avrebbe mai parlato così ad una femmina, ma questa volta la preoccupazione stava avendo la meglio sulla sua educazione. “E la cosa peggiore è che potrebbe essere vero. Potrebbe davvero riuscire a rigirarsi chiunque.”
La femmina distolse lo sguardo, ma Daren sapeva che avrebbe riflettuto seriamente sulle sue parole. Lei teneva conto della sua opinione, specialmente quando le parlava con tanta brutale sincerità.


Il drow si costrinse a tornare alla realtà, scuotendo la testa. Chissà come se la cava Luel ora che non è più il più piccolo della famiglia, si chiese con un sorrisetto scaltro. 
Ma ora una questione più pressante richiedeva la sua attenzione: le creature fatate si erano accorte dell'arrivo dei tre avventurieri. 
Lizy tirò una manica di Daren e si sporse a sussurrargli all'orecchio: “Che strano, non mi sembrano armati.”
Daren si accorse che l’aranea aveva ragione, ma la cosa non era nemmeno lontanamente rassicurante. I folletti però si stavano mostrando schivi e timorosi, alcuni si erano alzati in tutta fretta ed erano fuggiti attraverso gallerie minori. 
Ah, bene. A quanto pare la somiglianza con Luel è solamente fisica. Notó Daren, ricordando il carattere curioso e sfacciato del ragazzo.
Il folletto che suonava l'arpa si alzò con tutta calma e si avvicinò al gruppetto, mostrando più coraggio dei suoi compagni. “Benvenuti, stranieri.” Esordì nella lingua comune del Buio Profondo, sfoggiando un sorriso accomodante. “Se venite in pace, il popolo dei gloura vi accoglierà in pace.”
“Gloura… ho sentito parlare del vostro popolo.” Lizy si fece avanti, mostrando le mani aperte per far vedere che non era armata e non intendeva lanciare incantesimi. “I pacifici folletti delle profondità. Ho sentito dire che a volte prestate aiuto a chi ne ha bisogno.”
Il folletto si rivolse a lei direttamente, guardandola con dolcezza. “I gloura prestano aiuto a chiunque ne abbia bisogno, a patto di non correre pericoli nell’avvicinarci.” Nel frattempo gli altri folletti, vedendo che al loro compagno non stava succedendo nulla di male, cominciarono a uscire dai loro nascondigli ed a riempire nuovamente la caverna. Il gloura che sembrava essere il capo, quello che si era avvicinato agli avventurieri, si fece portavoce del gruppo: “Posso chiedervi, a nome dei miei fratelli, che razza di creature siete?”

I tre rimasero leggermente spiazzati. Fu Lizy la prima a recuperare la parola. “Io sono un’aranea. Il maschio dalla pelle scura è un elfo drow e il nostro compagno grosso è un desmodu.”
A Daren, quella domanda puzzava di menzogna. Le aranea erano più comuni in Superficie, i desmodu erano rari in generale, ma i drow... possibile che questo gruppo fosse talmente isolato da non aver mai sentito parlare del malvagio popolo degli elfi scuri?
A quanto pare sì; in fin dei conti non c'erano città drow nelle vicinanze. I gloura più intraprendenti si avvicinarono ai tre, soprattutto a Daren e Lizy.
“Sembri un essere umano!” Disse una femmina gloura, prendendo in mano una ciocca dei capelli biondi della donna. “Una volta mio padre ha conosciuto un umano e mi ha raccontato come sono.”
“Questo invece sembra un folletto.” Commentò un'altra, avvicinandosi a Daren. Si azzardò perfino ad accarezzargli una guancia. “Così affascinante… mi piacciono i tuoi capelli d'argento.”
Daren s'irrigidí. Non gli piaceva che la gente lo toccasse senza permesso, ma percepiva che da parte dei folletti c'era solo innocua curiosità.
“La leggenda vuole che un tempo gli elfi miei antenati fossero folletti.” Rispose stringatamente alla femmina. “Ma non so se sia vero.” La risposta gli uscì con voce assente, perché stava pensando ad altro; c'era qualcosa che non lo convinceva, nel gloura con l'arpa. Qualcosa nel suo sorriso gli sembrava semplicemente… fuori posto.
Decise di osservarlo bene, e la sua intuizione trovó conferma in un dettaglio quasi insignificante: il musicista aveva un ninnolo al collo. Si trattava di un ciondolo di pietra dura con inciso un simbolo arzigogolato, che ad un osservatore poco attento sarebbe sembrato solo un vezzo estetico. Probabilmente non sarebbe nemmeno apparso come magico se testato con un incantesimo di divinazione come Individuazione del Magico, comprese Daren; perché non lo era. Era un oggetto infuso di potere psionico, il potere soprannaturale che originava dalla mente e che era tipico degli illithid e di altre creature aliene. L'elfo scuro non avrebbe saputo riconoscere l'oggetto per quello che era, se non avesse visto simboli molto simili a quello nella città degli illithid.
“Vogliate scusarmi.” Disse con tono flautato, facendosi largo fra i gloura che gli si erano accalcati intorno. Si avvicinò all’arpista, che gli rivolse uno sguardo curioso e un sorriso leggermente tremante.
Daren rispose al sorriso, fingendo intenzioni amichevoli. Ma quando fu abbastanza vicino, con un gesto fulmineo della mano afferrò la pietra che il gloura portava al collo e tirò con forza, strappando la cordicella di fibre intrecciate. 
Si aspettava che il folletto fosse in realtà un illithid o un mostro di qualche tipo, ma scoprì che la realtà era ben peggiore: il gloura era esattamente un gloura. Solo che, a differenza di tutti i suoi compagni, la sua aura risplendeva di malvagità.

Non appena i suoi occhi si posarono sulla verità dell'anima corrotta del gloura, il drow ebbe una visione fulminante delle sue azioni future:
Un contingente illithid spadroneggiava in quella stessa grotta. L'arpista riscuoteva un compenso in gemme e oggetti incantati, ma i suoi compagni andavano incontro ad un destino ben diverso. I gloura erano stati catturati e ridotti in schiavitù, incatenati con manette di ferrofreddo; una crudeltà gratuita, il ferrofreddo era il materiale più nocivo per i folletti, perché scavava nelle loro natura magica provocando dolore a quelle creature indifese. Ma il dolore più grande si leggeva nei loro occhi, nei loro spiriti: era il dolore di essere stati traditi da un fratello.
Prima ancora di rendersene conto, il drow aveva sfoderato la spada bastarda e menato un fendente letale contro il gloura. Solitamente non uccideva qualcuno prima di averlo interrogato, ma l'orrore della scena che aveva appena visto gli aveva scatenato un senso d'urgenza: doveva a tutti i costi impedire che accadesse, e se quello scenario era destinato a verificarsi nel futuro, forse il folletto non aveva ancora dato segnale agli illithid di venire a raccogliere gli schiavi. Forse… 
Ma le sue speranze erano piuttosto sciocche. Se ci avesse pensato un momento, avrebbe capito che il traditore si era preso il rischio di avvicinarsi a loro solo perché non voleva che gli altri si disperdessero per timore degli estranei; no, doveva fare in modo che restassero dov’erano per essere catturati dagli illithid.

I gloura rimasero a guardare impotenti mentre quello strano ma amichevole elfo nero affondava la spada nel petto del loro compagno, caricando quel colpo di tutto il suo disprezzo. Non appena i loro occhi attoniti realizzarono che era successo per davvero, urla di orrore e di disperazione cominciarono ad alzarsi dai folletti che avevano assistito alla scena, diffondendosi presto in tutta la caverna.
Il drow lasciò che il caos montasse intorno a lui come un ciclone. Conosceva l'effetto del panico diffuso: i gloura erano creature pacifiche e non l'avrebbero attaccato. Piuttosto, avrebbero fatto il possibile per allontanarsi da lui in tutta fretta.
Ed infatti accadde proprio questo: terrorizzati, i folletti ricominciarono a sciamare di corsa verso le varie gallerie che confluivano nella grotta. Tutti tranne una: una femmina di gloura si gettò sul corpo dell’arpista, in lacrime. Il drow era ancora lì, con la spada macchiata del sangue del folletto, e la femmina sembrò accorgersene solo in quel momento. Alzò lo sguardo sull'elfo scuro, gli occhi neri erano due pozzi di paura, ma non accennó a fuggire; si strinse al petto la testa del suo compagno e chinò il capo come se si aspettasse di morire.
Daren si sentì gelare davanti a quella scena terribile, ma aveva vissuto troppo a lungo per lasciarsi destabilizzare dalla paura altrui.
No. Sono più forte di così. Si disse, facendosi animo. Se lei lo ama così tanto da volerlo seguire nella morte, quanto sarebbe più terribile scoprire che lui voleva venderla agli illithid? Io invece sono solo un estraneo, e il mondo è un posto crudele.
Lasciò la fata a piangere il suo compagno e cercò di capire se il suo intervento fosse stato tempestivo oppure no.
Altre urla terrorizzate cominciarono a risuonare dai cunicoli.
Evidentemente no.

           

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Capitolo 26
*** 1363 DR: Kalokagathìa (Parte 2) ***


1363 DR: Kalokagathìa (Parte 2)


Daren si fece strada attraverso i folletti presi dal panico; non era difficile, si aprivano intorno a lui come se fosse stato la Morte in persona. Cercò di raggiungere Tuyy e Lizy, doveva dirgli degli illithid e del perché aveva ucciso il gloura. Vedeva bene il desmodu perché svettava su tutti gli altri con la sua corporatura massiccia, ma Lizy si confondeva facilmente nella folla.
Fu lei a trovarlo, o meglio, gli si buttò addosso. Daren non se l'aspettava e si ritrovò per terra, con una creatura mezza donna e mezza ragno che gli gravava addosso.
Non aveva mai visto Lizy nella sua forma ibrida e quell’immagine gli fece perdere un altro pezzetto della poca fiducia che aveva nelle donne. L’aranea aveva ancora un corpo da essere umano, ma osservando bene il suo volto si riusciva a notare che la bocca sembrava dipinta e che una sottile spaccatura attraversava verticalmente il viso dal naso al mento.
Quando Lizy parlò, Daren scoprì che quella che sembrava la parte inferiore del suo viso erano in realtà due larghi e piatti cheliceri. La sua vera bocca era dietro i cheliceri e lui non aveva alcun desiderio di vederla.
“Per quale diavolo di motivo hai ucciso quella creatura? Che cos'hai nella testa?”
“Illithid!” Rispose, annaspando sotto il peso della ragazza.
Lizy spalancò gli occhi, temendo che il drow fosse sotto il controllo mentale di quei mostri.
Tuyy si avvicinò a grandi passi e con una sola mano possente riuscì a sollevare l'aranea dal drow. “Gloura che fa strani rumori aveva luce brutta.” Cercò di spiegare. “Se guardiano nero non uccide, Tuyy fa.”
Lizy spostò lo sguardo da Tuyy a Daren, sconcertata, e per non rischiare si trasformò in una marea di ragnetti e fuggì verso una delle uscite.
“Bah! Femmine!” Sbottò il drow, rialzandosi. “A quanto pare saremo io e te contro un contingente illithid, amico mio.” Daren tese un braccio per indicare al desmodu il fondo della grotta, dove i gloura stavano cominciando a riemergere dai cunicoli. Qualcosa nelle gallerie li aveva terrorizzati, abbastanza da spingerli di nuovo nella caverna dove era morto il loro amico.
“Mostri-tentacoli arriva per prende piccoli ometti con ali?”
“Sì. E mi raccomando, è importante che nessun illithid sopravviva. Credo che siano…” Daren cercò di ricordare con precisione la visione che aveva avuto “una mezza dozzina, con un paio di grossi mostri psionici che usano come bestie da caccia. Non farti ingannare dal loro aspetto, sono molto intelligenti.”
Parole al vento. Il desmodu era già partito alla carica. Daren gemette immaginando già la disfatta del suo alleato.
Sono molto più intelligenti di te. Pensó con un sospiro. E allora andiamo.
 
All'inizio gli illithid erano concentrarti sul radunare i gloura come un cane da pastore raduna le pecore, cercando di farli convogliare verso uno specifico cunicolo che piegava subito verso il basso. Alcuni cercarono di fuggire, ma la maggior parte di loro era terrorizzata oppure sotto controllo mentale. Furono i loro mostri da guardia ad accorgersi per primi dell'arrivo del desmodu e del drow.
I due cerebrilith si lanciarono con ferocia verso i guerrieri, riconoscendoli come una potenziale interferenza. Assomigliavano vagamente a degli enormi umanoidi che camminavano poggiandosi sui piedi e sui pugni, avevano le ossa all'esterno del corpo anziché all'interno, e per stazza non avevano nulla da invidiare ai desmodu. Tuyy bloccò l'assalto del primo cerebrilith facendo affidamento sulla sua mole e la sua forza: quando il mostro gli si lanciò addosso a fauci spalancate, Tuyy usò l’asta della sua lancia per intercettare il morso. La creatura morse soltanto il legno e il metallo.
L'altro cerebrilith non ebbe maggior fortuna, perché anche se il drow non era un avversario forzuto e solido come il desmodu, quantomeno era più sfuggente. Il morso della bestia mancò di larga misura il minuto elfo scuro.
Tuyy sganciò la sua arma dalla morsa del nemico e menó tre fendenti devastanti in rapida successione, usando entrambe le estremità della sua strana lancia desmodu, la notbora, che aveva una lama dritta da un lato ed un uncino dall'altro. Il mostro sarà anche stato una creatura intelligente, ma non aveva previsto che un combattente corpulento e pesante come il desmodu potesse essere così veloce nei suoi attacchi. Tre brutti tagli sulle zampe anteriori furono il monito che gli serviva per cominciare a prendere sul serio il guerriero, e per di più quando aveva cercato di ripararsi il volto con una zampa il desmodu lo aveva morso. Morso! Il cerebrilith ringhiò, mostrando una chiostra di zanne molto più spaventose dei piccoli denti aguzzi di Tuyy.
Daren, d'altro canto, aveva fatto della velocità e della destrezza il fulcro del suo stile di combattimento: muoveva la spada bastarda con la grazia e la rapidità di un danzatore, ma i suoi colpi erano tutt'altro che leggeri. Il cerebrilith che lo aveva preso di mira improvvisamente si ritrovò ad invidiare il suo compagno.
I ruggiti di dolore delle bestie avevano attirato l'attenzione degli illithid, ma avevano già i loro affari a cui badare. Soltanto uno di loro venne incaricato di gestire i due molesti predoni, che secondo la mentalità di quelle grette creature dovevano essere lì per rubare i loro schiavi.
L’illithid si sfregó le mani con cupidigia e i tentacoli che aveva al posto della bocca fremettero di impazienza, come se avesse davanti un compito triviale ma remunerativo. Focalizzó tutta la sua attenzione sui suoi poteri mentali, cercando la forza dentro di sé, e in pochi secondi decise come indirizzare il suo potere psionico: avrebbe dominato la mente dei due guerrieri, facendo sì che obbedissero a lui, e così la città avrebbe avuto due nuovi schiavi per le fosse dei combattimenti.
Il ragionamento dello schiavista non era sbagliato: solitamente i guerrieri si addestrano nelle arti marziali, nell'uso delle armi, perfezionano le tattiche belliche del corpo-a-corpo, fortificano il loro fisico e non la loro mente. Quello che non sapeva era che Tuyy era fortemente motivato dalla sua missione e dal suo odio per la viscida razza dei “mostri-tentacoli”, e Daren era cresciuto in una città dove se permettevi a qualcuno di leggerti nella mente potevi considerarti già bell'e morto, quindi chiunque cercava di imparare a resistere alle intrusioni mentali.
Si concentrò per lungo tempo per intessere al meglio il suo incantesimo psionico, ma purtroppo solo alla fine si accorse che era stato tutto inutile. I due guerrieri stavano continuando a combattere, ignorandolo bellamente. Un moto di indignazione sorse spontaneo nell'animo dell’illithid, ma lui subito lo soppresse. L'orgoglio era una stupida debolezza delle razze inferiori, gli illithid comprendevano che i vantaggi della collaborazione erano ben superiori alle sciocche rivalità fra pari. I suoi compagni avevano assistito al suo fallimento, ma anziché muovergli critiche ne avrebbero tratto una lezione sui loro nemici e su come combatterli.
Nel frattempo anche i cerebrilith, creature intelligenti, avevano modificato la loro tecnica di combattimento per adattarla a nemici così efficaci nell'attacco. Facendo appello ai loro poteri psionici innati, modificarono la loro struttura fisica per diventare creature ectoplasmatiche, solo parzialmente tangibili. Daren e Tuyy continuarono a cercare di colpirle, ma ora le loro armi passavano attraverso i cerebrilith come se affondassero in una sostanza solo un po’ più densa dell'aria. Riuscivano comunque a ferire i mostri, ma soltanto i colpi più devastanti potevano penetrare l'essenza collosa delle bestie e andare ad intaccare davvero il loro corpo fisico.
Gli illithid, a loro volta, stavano rivalutando quale tecnica usare con i due combattenti scatenati. Uno di loro provò ad inviare onde di energia caotica per confondere le loro menti, ma senza riuscire a fare presa. Un altro concentrò i suoi poteri per scatenare fra le sue mani una scintilla elettrica, poi la fece estendere attraverso l'aria in una linea perfettamente dritta che colpisse entrambi gli attaccanti. Tuyy riuscì a scansarsi malamente dalla traiettoria di quel fulmine psionico, ma venne comunque colpito di striscio e ne uscì un po’ bruciacchiato. Il drow invece aveva molta esperienza nell'evitare i trucchetti dei maghi e scartò di lato proprio al momento giusto, schivando agevolmente l'attacco.
Prendendo atto che i tentativi di confondere o dominare mentalmente i nemici non stavano funzionando, mentre un attacco diretto aveva danneggiato almeno il desmodu, gli altri illithid decisero per una strategia comune: riversarono ondate di potere psionico direttamente nella testa dei guerrieri, con una forza tale che avrebbe dovuto spappolare i loro cervelli. Tuyy e Daren erano ostinati e resistenti, ma nemmeno loro potevano far fronte a un simile attacco congiunto senza risentirne almeno un po’; il desmodu in particolare avvertì la forza di quel colpo come se la sua testa venisse schiacciata fra un maglio e un’incudine. Il drow barcollò sotto la forza di quell'attacco e per un momento sentì la mente completamente sconnessa dai sensi; sentiva che sarebbe potuto morire se avesse mollato il colpo. Ma no, non poteva morire. Il suo odio per gli illithid lo sosteneva, e anche se non era in grado di formulare pensieri coerenti al momento, era come se il suo corpo mantenesse una traccia della sua forza di volontà e della sua cocciutaggine. Il suo fisico lottó, e sopravvisse.
Daren scosse la testa per schiarirsi le idee e riuscì appena in tempo a farsi forza per resistere ad un nuovo attacco psionico dei cerebrilith. Rispose attaccando furiosamente il mostro che gli stava più vicino, e fu così che ne rimase solo uno. Tuyy al suo fianco stava combattendo con la stessa ostinazione e ferocia, ma non con altrettanto successo. Dopo aver ucciso il mostro davanti a sé, il drow andò ad aiutare il suo alleato e insieme affondarono le armi nell'ultimo cerebrilith. La bestia non riuscì a reggere l'assalto combinato dei due guerrieri e perì sotto le loro lame.
Caduti i cerebrilith, Daren poteva vedere chiaramente che davanti a lui erano usciti tre illithid da una galleria, e più lontano alla sua sinistra ce n’erano altri due. Tre, in realtà, ma uno di quei tre si era allontanato per condurre via i gloura sotto controllo mentale. Gli illithid di solito sono forti quando possono attaccare da lontano, ma deboli e fragili nel corpo a corpo, quindi era il momento giusto per attaccarli con violenza.
Tuyy evidentemente la pensava allo stesso modo. Si lanciò verso il gruppetto più lontano, caricando con la notbora puntata in avanti come una lancia. La lama dritta e affusolata della sua arma si conficcò nel fianco di uno dei due illithid; Tuyy liberò la sua arma muovendola verso l’esterno, squarciando la carne molle di quella creatura aberrante.
Waela mal’ai!, gridò mentalmente il drow. Idiota di un folle. Partire in carica quando si tiene a malapena in piedi!
Daren doveva riflettere su cosa fare, e doveva decidere in fretta. La cosa più logica e tatticamente migliore sarebbe stata buttarsi in mezzo ai tre illithid che aveva di fronte e usare le sue abilità da guerriero per colpirli tutti e tre in rapida successione, ma sarebbe stato più sicuro che lui e Tuyy si aiutassero a vicenda. Inoltre, il paladino non avrebbe resistito ad un altro colpo, era chiaramente allo stremo.
Se non faccio qualcosa per aiutarlo morirà, ma se ora vado a curarlo perderò l’occasione di affrontare tre illithid con una mossa imprudente e quindi inaspettata. Daren strinse la presa sull’elsa della spada, ma non di proposito; la sua mano era attraversata da spasmi nervosi, anche in conseguenza degli attacchi mentali. Se diamo agli illithid il tempo di riorganizzarsi e di reagire alla morte dei cerebrilith, il pericolo sarà maggiore e probabilmente Tuyy verrà ucciso lo stesso… e anche io. Se lo lascio fare gli illithid lo abbatteranno, ma mi farà guadagnare tempo, per allora potrei aver già ucciso questi tre. Se agisco subito.
Guardò il desmodu che apriva il fianco dell’illithid con la punta della notbora, mentre un altro nemico si preparava ad attaccarlo con un nuovo attacco mentale.
F’sarn waela mal’ai, ammise con un sospiro, e scattò con la velocità di un gatto verso il suo compagno d’avventura. Tuyy non si accorse che il drow l’aveva raggiunto, perché era troppo impegnato ad attaccare e a restare ostinatamente in piedi. Se ne accorse solo quando la piccola mano dell’elfo gli afferrò un brandello della membrana che univa il braccio sinistro alla gamba. In quell’istante tutto il suo corpo venne pervaso e attraversato da una scossa di energia risanatrice, che arrivò dritta alla testa risalendo dalle vene e dalla spina dorsale, come un’onda d’urto. Non era stata dolorosa ma nemmeno troppo piacevole; gli aveva lasciato addosso l’impronta di una sensazione stranissima, come se il suo corpo avesse appena starnutito. Eppure ora la sua mente era fresca e riposata come prima del combattimento, il mal di testa era scomparso e anche le bruciature della scossa elettrica erano guarite.
“Magie di piccolo nero è fastidio come lui.” Sorrise a denti stretti, e Daren decise di interpretarlo come un ringraziamento.
“L’offerta di castrarti da dentro è sempre valida.” Rispose in amicizia, alzando la bastarda per combattere l’illithid ancora sano.

Gli illithid cercarono di allontanarsi da loro per continuare ad attaccare con le loro onde mentali, ma i due guerrieri ormai avevano capito come resistere a quegli attacchi. Uno degli schiavisti riuscì quasi ad assoggettare Tuyy al suo controllo, ma non appena Daren si accorse che gli occhi del paladino stavano andando fuori fuoco, identificò l’illithid che stava cercando di controllarlo e lo aprì in due come un budino.
“Non posso combattere bene se devo tenerti d’occhio!” Si lamentò il drow, gridando contro il desmodu. Tuyy si sentì offeso perché non sapeva nemmeno cosa fosse successo, avrebbe voluto rispondergli male senza sapere nemmeno cosa dire, e guardandolo Daren si accorse che i suoi occhi stavano andando fuori fuoco di nuovo. Entro pochi secondi il desmodu sarebbe stato un burattino nelle mani degli illithid e questa volta non aveva idea di chi fosse il responsabile.
Il desmodu, ignaro della volontà aliena che stava già infiltrandosi nella sua mente, agganciò con l’uncino della notbora l’illithid davanti a lui per evitare che scappasse e lo affettò con tre rapide mosse. “Tuyy grande guerriero. Parole di guardiano è vento di culo di troll.” Si vantò, fiero della sua mossa. Daren però se n’era già andato, per correre verso gli altri tre illithid che avevano pensato bene di alzarsi in aria con i loro poteri di levitazione. Di certo si credevano al sicuro.
Il drow rinfoderò la bastarda e sganciò dalla spalla il bastone che portava sempre con sé. Mormorò la frase di comando e il bastone magico mutò forma, trasformandosi in un arco lungo. Daren non sapeva quale dei tre avesse preso il controllo del desmodu, quindi dovette scegliere a caso il suo bersaglio.
Una freccia che sembrava fatta di pura energia luminosa scoccò in direzione di uno dei tre illithid. Il mostro si ritrovò con un piede perforato e ululò di dolore, ma anche attraverso il dolore riuscì a trovare la forza per dirigergli contro una folata di energia gelida. Il drow non riuscì ad evitare il colpo e ne rimase mezzo congelato, ma il suo continuare a muoversi gli consentì di scrollarsi di dosso quasi subito quella sensazione di torpore. Uno dei suoi compagni notò con piacere che questa tecnica sembrava funzionare e si affrettò ad imitarlo, mentre il terzo era troppo impegnato a tenere Tuyy sotto dominazione. Finalmente il cervello di quella creatura inferiore aveva capitolato, e l’illithid poteva comandarlo come un burattino.
Tuyy attaccò l’elfo scuro con un fendente micidiale della notbora, ma Daren sapeva che sarebbe potuto succedere e si era preparato a dover schivare i fendenti del confuso desmodu.
La cosa positiva era che, essendo stato attaccato in modo piuttosto palese da due illithid, ora sapeva molto bene quale dei tre tenesse Tuyy sotto controllo. Lanciare frecce mentre si trovava così vicino al guerriero era pericoloso, ma era un rischio che doveva correre.
Scoccò cinque frecce in rapida successione, più di quante sarebbe stato in grado di scagliarne normalmente, ma aveva un oggetto magico che gli permetteva di muoversi a velocità fulminante per un periodo limitato di tempo. Tuyy ovviamente approfittò della sua distrazione per attaccarlo, ma a metà dell’affondo vacillò e perse la presa sulla notbora; l’illithid che lo controllava era stato colpito al torace, alla spalla destra e alle braccia. Sebbene non fosse morto, la sua concentrazione era stata spezzata e il desmodu era libero.

Questo è quello che intendevo col tenerti d’occhio.” Rincarò il drow, parlando aspramente al suo compagno.
Tuyy non ebbe modo di rispondere, perché furono entrambi investiti da due folate di energia gelida che per poco non li misero in ginocchio. Il terzo illithid, quello appena colpito da Daren, approfittò di quel momento per bere una pozione risanatrice.
“Sto cominciando a odiarli!” Sbottò l’elfo scuro.
Tuyy non rispose: il guerriero gestiva l’odio alla sua maniera. Raccolse la sua lancia da terra, la sollevò con un braccio e con un unico gesto possente la scagliò attraverso l’aria come un giavellotto. La notbora penetrò nel ventre dell’illithid che lo aveva ammaliato con la sua magia psionica, infilzandolo come uno spiedino. Il colpo di Tuyy era certamente devastante e carico di tutto il suo risentimento, ma purtroppo l’illithid era ancora vivo e ora l’arma del desmodu era fuori portata.
“Dai, te lo tiro giù io.” Promise il drow con un sorriso ferino, e ricominciò a bersagliare il nemico con le sue frecce di energia.
Fedele alla parola data, non si fermò finché il mostro fluttuante non fu morto; una freccia nel torace, una al collo e una dritta in un occhio, per sicurezza. La levitazione si interruppe e il corpo cadde a terra, mentre Daren dirigeva altre due frecce verso uno dei due illithid rimasti.

I due schiavisti si guardarono negli occhi, considerarono i loro tre compagni morti, e decisero saggiamente di tentare la fuga fluttuando verso l’alto. Nella volta della grotta c’era una piccola apertura, grande a sufficienza per far passare un essere umano o una simile creatura.
Solo che ora quell’apertura non c’era più: era stata completamente ostruita da una fitta coltre di ragnatele.
Trovarsi la strada sbarrata così era uno spiacevole imprevisto, e gli illithid odiavano gli imprevisti. Tuttavia uno dei due odiò molto di più le cinque frecce che lo infilzarono come un puntaspilli mentre pensava a come aggirare l’ostacolo.
Una missione abbastanza semplice si stava rivelando un incubo per i due schiavisti, e divenne anche peggio quando l’illithid più malconcio si vide piovere addosso un nugolo di ragnetti. Cominciò ad agitare le braccia, senza ottenere alcun effetto, e i morsi dolorosi delle minuscole creature gli impedivano di concentrarsi per evocare i suoi poteri mentali.
L’altro illithid evocò una fiamma fra le mani e la incanalò in un’onda di fuoco verso il cunicolo invaso dalle ragnatele, bruciando all’istante quei fastidiosi fili collosi. Purtroppo, questa buona idea fu del tutto vanificata dal successivo attacco del drow; solo quattro frecce colpirono il bersaglio, ma furono sufficienti per fargli perdere i sensi.
Lo sciame di ragni continuò a mordere l’illithid rimasto, infiltrandosi sotto i vestiti e sotto la pelle. Sopraffatto dal dolore e probabilmente dall’orrore, anche l’ultimo schiavista perse i sensi e cominciò a fluttuare lentamente verso terra come il suo compagno.

Lizy tornò in forma umana non appena riuscì a staccarsi dal corpo dell’illithid; lo sciame di ragnetti si radunò in un punto, ammassandosi come una montagnetta, e quel mucchio si trasformò nell’aranea dall’aspetto umano.
Daren e Tuyy non c’erano più. Lei non lo sapeva, ma erano andati ad inseguire l’ultimo illithid rimasto, quello che tempo prima si era staccato dagli altri per occuparsi degli schiavi.
L’aranea decretò che aveva già rischiato fin troppo per i suoi gusti, e decise di aspettarli lì in quella grotta. Anzi, era tentata di frugare i cadaveri degli schiavisti e del gloura, in cerca di oggetti di valore. Per come la vedeva lei, quell’avventura le stava portando molti più fastidi e pericoli che benefici, e se la meritava una qualche ricompensa.


           

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Capitolo 27
*** 1363 DR: Kalokagathìa (Parte 3) ***


1363 DR: Kalokagathìa (Parte 3)


Lizy tagliò la gola agli illithid stesi a terra, per assicurarsi che fossero morti davvero. Poi cominciò a frugare nelle loro tasche, raccogliendo un discreto bottino in gemme preziose e anelli che forse erano magici, ma più probabilmente erano infusi di potere psionico. Stava per spostarsi a frugare anche il cadavere del gloura, quando si accorse che c'era un altro folletto semi-sdraiato sul corpo dell'arpista: Lizy non poteva vederlo bene perché le dava le spalle, ma dal tono dei suoi singhiozzi sospettava che fosse una femmina.
Frugare un cadavere che veniva ancora pianto sembrava una cosa di cattivo gusto perfino a lei. Si avvicinò alla gloura in lacrime e le poggió cautamente una mano sulla spalla. Lei non sussultò nemmeno.
“Perché?” Domandò invece, facendosi sentire a fatica fra i singhiozzi. “Perché fare una cosa così crudele?”
“Non lo so.” Rispose Lizy a bassa voce. “Non l'ho capito.”
“Cosa c'è da capire?” Intervenne Daren, che era appena tornato nella caverna e aveva udito il commento di Lizy. “Non mi piaceva la sua faccia.”
Il drow sembrava un po’ malconcio dopo lo scontro con gli illithid, chiaramente la vittoria aveva avuto il suo prezzo. Tuyy lo seguiva pochi passi indietro, trainandosi dietro il cadavere dell'ultimo illithid. Daren gli rivolse una breve frase nel linguaggio che solo loro due capivano e che Lizy non riuscì a decifrare, poi si avvicinò a grandi passi alla femmina gloura.
“Rivendico tutto ciò che si trova in questa caverna.” Annunció in Sottocomune, scandendo chiaramente le parole. “Vattene adesso, ragazza gloura, o anche tu apparterrai a me.”
La femmina rabbrividì, stringendo più forte il corpo del compagno. “Se devi uccidermi come hai ucciso il mio amato, allora fallo.” Mormorò, in tono spento.
Daren rimase impassibile, ma dentro di sé stava imprecando.
Lutto? Vith, ci mancava di dover gestire il tuo lutto. Nel Buio Profondo nessuno ha tempo per piangere, sciocca!
“Ma che dici, io non ti ucciderò. Una cosetta graziosa come te.” Il drow fece scostare Lizy, si accovacció accanto alla gloura e le accarezzò una guancia. Lei tremò di disgusto al suo tocco e si rifiutò di guardarlo. “Ti prenderò come schiava, insieme a questi due.” Sussurrò, indicando Tuyy e Lizy con un cenno del capo. Poi afferrò la ragazza per i capelli, per costringerla a guardarlo negli occhi. “Ti taglierò quelle fastidiose ali, così non potrai fuggire via da me. E non ti farò mai sentire la mancanza del tuo compagno, te lo prometto…” si leccò le labbra rivolgendole uno sguardo viscido. Finalmente la gloura stava cominciando a mostrare paura. Daren calcó la mano, stringendo più forte la presa sui suoi capelli e avvicinandosi per sussurrarle all'orecchio: “Potrei cominciare ora. Potrei possederti accanto al cadavere del tuo amato. Pensi che gli dispiacerà?”
La gloura cominciò a dimenarsi, sopraffatta dall'orrore, e Daren lasciò che gli sfuggisse di mano. Avrebbe potuto cercare di trattenerla, ma lui voleva che se ne andasse. E lei se ne andò, fuggì come una disperata, un po’ correndo e un po’ volando.

Daren si alzò con tutta calma, spazzolandosi i vestiti con le mani. Ferire e terrorizzare creature inermi non gli faceva piacere, ma la paura è sempre il modo migliore per riaccendere l’istinto di sopravvivenza. Lo sguardo del drow si spostò sul cadavere del folletto, il motivo per cui la femmina era rimasta nella grotta incurante della battaglia. 
È tutta colpa tua. Pensò, con disprezzo. L'arrivo degli illithid, il dolore di quella fanciulla e il mio, e Tuyy che è quasi morto nello scontro… tutto questo per la tua ricompensa. Diede un calcio alla testa del cadavere, spezzandogli il collo. Che tu sia maledetto. Avevi un popolo che ti amava e ti ammirava. Che tu sia maledetto finché non avrai capito ciò che hai fatto.
Lizy si avvicinò con cautela. “Ehi, va tutto bene? Non è che gli illithid ti hanno scombinato il cervello?”
Daren scosse la testa. “No, sono un po’ ferito ma sono lucido.”
“Ah… va bene… allora forse ti mancano le nozioni di base. È inutile prendere a calci un cadavere, perché insomma, è già morto. I cadaveri si frugano in cerca di tesori.”
Daren le rivolse uno sguardo vacuo. Lizy lo stava davvero trattando con condiscendenza? “Oh, per la miseria.” Sospirò. “Se vuoi prendere ciò che apparteneva al gloura, allora anche questo è suo.” Le lanciò un sacchetto che conteneva alcune gemme e oggetti di potere, che nella sua visione sarebbe stato la ricompensa del gloura. L'aveva trovata indosso all'ultimo illithid, quello che si era attardato per organizzare il trasporto degli schiavi. 
Lizy afferrò il sacchetto al volo e l'aprì, lasciandosi sfuggire un fischio di ammirazione. “Perché questo tesoro apparteneva al folletto? Non ti ho visto frugare il cadavere.”
“Era il suo compenso per aver venduto i suoi compagni agli illithid.” Spiegó brevemente il drow. “E tu ti meriti un ringraziamento per l'aiuto che ci hai dato.”
Lizy soppesó il sacchetto in una mano e poi lo fece sparire nel suo zaino. “Sei diventato ricco con questo atteggiamento?”
“Sono diventato ricco uccidendo cose.” Le ricordó Daren. “Andiamo, ci sono questi cadaveri illithid da nascondere e poi dobbiamo proseguire nel nostro viaggio.”
Lizy lo aiutò a nascondere i cadaveri. Tuyy provò a dare una mano, ma sembrava incapace di capire il concetto.
“No, non puoi infilzare le loro teste sulle stalagmiti!” Lo rimproverò l’aranea.
“Resto di corpo nascosto. Tu detto Tuyy nasconde corpi. Detto nulla di teste-tentacoli.”
Lizy prese le teste e andò a nasconderle con i corpi. “Noi non vogliamo lasciare tracce, lo capisci?” Spiegó con pazienza.
“Se mostri-tentacoli capisce che noi può uccidere loro, loro restituisce tribù di Tuyy.” 
“Neanche per sogno!” Daren si schierò con Lizy. “Hai visto quanto è stato difficile uccidere questi, ed erano in pochi! Non possiamo allarmare un'intera città. Manderebbero un contingente a distruggerci. Decine di illithid!”
“E non è facile spaventare quei mostri, non sono mica ragazzine indifese.” Disse Lizy, lanciando una frecciatina al drow.
Finirono di nascondere i cadaveri e le teste.

Camminarono diverse ore finché, arrivati ad un bivio, Daren decise di fare una deviazione e prese il cunicolo di destra anziché quello di sinistra. Scoprirono presto la ragione: c'era un corso d'acqua potabile, una rarità nel sottosuolo. L'acqua significava poter riempire gli otri, dissetarsi per bene, e, nel caso di Daren, anche lavare sé stesso e i suoi abiti. I drow sono abbastanza maniacali con la pulizia.
Decisero di accamparsi lì. 

Stabilirono di alternarsi nel fare la guardia e a Lizy toccò il primo turno. Si aspettava da un momento all'altro che il loro piccolo accampamento venisse scoperto e attaccato dagli illithid, oppure che i gloura li stessero seguendo per vendicarsi. Non accade nulla di tutto ciò.
Alcune ore dopo rientrò all'accampamento per farsi dare il cambio. Tuyy era sveglio e l'aspettava, mentre Daren si era rincantucciato in un angolo, ufficialmente per dormire. Non stava dormendo, ma il fatto che avesse detto di volerlo fare era stato preso come un segnale del suo volersi isolare.
“Pensavo che qualcuno ci avrebbe seguiti.” Disse Lizy a bassa voce, avvicinandosi al desmodu. “Invece non ho visto nessuno.”

Daren stava guardando nella sua sfera di cristallo. L'oggetto magico gli restituiva immagini molto nitide, nemmeno deformate dalla convessità della sfera. 
Il bardo suonava un violino, ad occhi chiusi, rapito dal suono della sua musica. Era in piedi sul tavolo di una taverna. Intorno a lui, un gruppo di umani cantavano e alzavano i boccali. Il drow non poteva sentirli, ma vedeva le loro bocche muoversi senza sosta; difficile che fosse una conversazione.
Il bardo aprí gli occhi, due pozzi neri come la notte, senza iride o sclera, solo neri. 
Si mise a battere un piede sulla tavola e iniziò a cantare a sua volta. Altri boccali si alzarono. Evidentemente la sua esibizione era apprezzata, la sua stranezza del tutto accettata.
Una bambina di circa sei anni, orecchie a punta e grandi occhi verdi, se ne stava seduta in mezzo a quella folla di umani e in qualche modo era riuscita a procurarsi una ciotola di honimud. Era un dolce tipico della zona, a base di panna, miele, frutta secca e farina d'orzo, e quella ciotola probabilmente era il fabbisogno nutritivo di una settimana per un essere umano adulto. La piccola stava mangiando quella pappa dolce con una mano perché non c'erano cucchiai della giusta misura per lei, e si era sporcata mezza faccia.

Quella scena gli strappó un sorriso, ma anche un senso di fastidio.
Bene, sì, ottimo, è così che tieni d'occhio tua sorella. Pensò il drow, rimproverando mentalmente il bardo. Dovrei avvertire i su… sua madre. I pensieri scartarono di loro spontanea volontà, e il drow faticò parecchio per riprenderne il controllo. Abbandonò la sfera, appena in tempo per sentire che Lizy era tornata e stava parlando con Tuyy.

“Beh, i gloura.” Stava dicendo Lizy. “Non sanno cosa hanno rischiato, credo. E non mi stupirebbe se volessero tenerci d'occhio o vendicarsi.”
“Tuyy non conosce piccoli omini con ali.” Disse lui. “Ma Tuyy sembra che loro non combatte.”
“Sì ma… chi lo sa… il loro amico ucciso davanti a tutti in quel modo. Perché non avete voluto spiegare il motivo di quel gesto? E perché terrorizzare la sua compagna?”

Daren sospirò, infastidito dalle interferenze dell’aranea.
“Perche…” alzò la voce in modo che lei lo sentisse. “Mi piace che la gente abbia paura di me. Mi scatena un brivido in mezzo alle gambe.” Disse in tono volutamente viscido.
“Fai schifo!” Lo rimproverò Lizy, con una smorfia disgustata. “Ti comporti come un bulletto da due soldi. E non posso nemmeno pensare che lo fai perché non hai nessun vero potere, ti ho visto aprire un illithid come una sardina! Che motivo hai di fare così?”
Daren scrollò le spalle. “La compagnia di Tuyy mi impedisce di essere malvagio quanto vorrei, e lasciar credere che potrei esserlo è la migliore alternativa.”
Lizy lo guardò in silenzio mentre ricomponeva i suoi averi, mettendo la sfera nella scarsella e il giaciglio nello zaino.
“Faccio il prossimo turno di guardia.” Annunció l'elfo scuro. “Ne ho piene le scatole di voi due.”

Lizy recuperò il sacco per dormire dal suo bagaglio e lo stese accanto al desmodu. Si sentiva più al sicuro così. 
Tuyy le restó accanto in silenzio mentre lei faceva l'inventario del bottino che aveva raccolto; sembrava che il grosso guerriero non avesse alcun interesse in quelle ricchezze. Alla fine, quando lei ormai si preparava a dormire, il desmodu le parlò sottovoce con quella sua strana intonazione borbottante. 
“Popolo di desmodu non ha parola per drow. In lingua desmodu le razze non-desmodu si chiamano solo Amici o Nemici. Finché razza non si conosce, non c'è parola. Drow si chiama Nemici.” Lizy ascoltò affascinata quel discorso, era sempre interessante capire come gli altri popoli organizzassero il linguaggio, e di conseguenza la percezione del mondo. Però non capiva dove lui volesse andare a parare. “Gloura io direi Amici. Tranquilli, buoni, quasi tutti. Solo uno cattivo. Drow invece sempre Nemici, ucciso molti desmodu, anche se ora uno di loro non-cattivo. Tuyy crede non-cattivo, non ha aura brutta. Ma drow in generale sempre Nemici, tu capisci?”
Lizy scosse la testa, lentamente. “Capisco quello che stai dicendo, ma non perché.”
Tuyy dovette fare uno sforzo per comprendere la sua risposta.
“Tuyy spiega. Gloura non aveva parola per drow. Nemmeno per desmodu e aranea. Loro oggi visto prima volta. Loro non sapeva Amici o Nemici. Ora loro sa.”
Lizy socchiuse le labbra in un muto “oh” di stupore.
“Se tu vedi razza buona e pensi Amici, non vuoi che loro vede razza malvagia e pensa Amici.” Continuó Tuyy. “Molto pericolo. Se loro primo drow vede non-nemico, molto pericolo.”
Lizy guardò verso l'oscurità. Da qualche parte, il drow era andato a sistemarsi per fare la guardia. Non troppo vicino, perché il rumore del ruscello era un ostacolo e avrebbe coperto l'arrivo di eventuali aggressori. Sperò che non fosse nemmeno troppo lontano.

Daren stava facendo la guardia. Molti pensieri cercavano di distrarlo ora che era solo e senza altri stimoli. La sua mente minacciava di partire per la tangente nel completo silenzio e nella noia delle gallerie vuote.
Accidenti, pensò ad un certo punto. Avevo in mente di usare la sfera per controllare come sta Dee Dee. 
Oh, beh. Non dovrei pensarci, deve imparare a badare a sé stessa un minimo. Sono certo che sta bene.
Daren scosse la testa, scrollandosi via i suoi dubbi, e si concentrò sul suo compito. Le ore seguenti trascorsero tranquille, senza brutte sorprese. 

           

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Capitolo 28
*** 1363 DR: “Sono certo che sta bene” ***


1363 DR: “Sono certo che sta bene”


Il giorno della partenza dei tre non-proprio-eroi, Dee Dee si era ritrovata ad affrontare il problema della sete di sangue. Senza più il supporto magico del mantello della resistenza che fortificava sia il suo corpo che la sua volontà, il pensiero del sangue le rimbalzava per la mente come una scheggia impazzita.
I desmodu avevano un’alimentazione a base vegetale e questo riduceva le sue possibilità di trovare una preda uscendo a caccia, e con il passare dei giorni aveva dovuto arrendersi al bisogno ed esporre il suo problema agli anziani della tribù.
Scoprì che avevano già progettato una soluzione, e si erano accordati con alcuni fra i membri più vigorosi della tribù per permetterle di bere un po’ del loro sangue. I desmodu erano creature massicce e con moltissimo sangue in corpo, quindi prendendo un paio di sorsi da ciascuno, Dee Dee riusciva a saziarsi senza indebolire nessuno di loro. Era un po’ difficile fermarsi una volta che iniziava a bere, ma quello sforzo di volontà era il minimo che potesse fare per ricambiare il loro sacrificio.
Quella situazione, tuttavia, stava cominciando a pesarle. Essere così dipendente dalla carità altrui non era nelle sue corde; avrebbe voluto trovare un’altra fonte di nutrimento e fare anche qualcosa di concreto per ripagare quella gente.

Trovò la sua occasione qualche giorno più tardi. I desmodu si nutrivano di muschi e bacche, ma occasionalmente anche di piccoli animali e di pesce, e in particolare il fiume sotterraneo rappresentava una preziosa fonte di nutrimento; era pieno di vita, e anche l’acqua stessa era un bene indispensabile.
Quel giorno, dopo essere scesa da una parete liscia e infida (si allenava tutti i giorni nell’arrampicata e stava diventando davvero brava), Dee Dee era atterrata sana e salva nella zona dei coltivatori di funghi. Lì aveva sentito che qualcuno stava organizzando una spedizione di pesca e di raccolta dell’acqua. Non che stesse imparando la lingua, ma aveva fatto amicizia con un giovane desmodu che sognava di diventare un guerriero e che ora la accompagnava ovunque traducendo per lei i discorsi degli altri desmodu.
Dee Dee aveva uno spiccato talento naturale per le lingue; aveva imparato le basi del Sottocomune in poche settimane. Nonostante ciò, il linguaggio dei desmodu era completamente alieno per lei, sembrava fatto di borbottii e acuti squittii... a volte le sembrava perfino che alcuni suoni fossero troppo acuti perché lei potesse udirli.
“Vorrei prendere parte a quefta fpedizione di pefca.” Disse, manifestando il suo interesse per una piccola avventura che rompesse la routine.
Il suo amichetto, Myyfr, le diede una sonora pacca sulla schiena, facendole quasi perdere l’equilibrio. “Sei una brava un-giorno-guerriera.” Le disse, con generosità. “Se la spedizione non troppo pericolosa è-probabile, i vecchi della tribù daranno il permesso anche a te.”
Myyfr parlava il Sottocomune molto meglio di Tuyy, ma aveva ancora qualche problema con la costruzione delle frasi. Dee Dee non ci faceva più caso ormai, perché il giovane aveva i suoi metodi per farsi capire chiaramente.
Quello spintone te lo potevi risparmiare, pensò infatti con una punta di rancore, ma fu attenta a non mostrarlo. Myyfr cercava ogni pretesto per rimarcare la sua forza fisica, perché era l’unica cosa in cui le fosse effettivamente superiore.

All’inizio si erano presi di punta. Myyfr era una specie di figura di riferimento per i cuccioli della tribù, era il più vecchio fra loro ed era il più forte, nonché l’unico che avesse già un’infarinatura di arte bellica. Dee Dee era un “cucciolo di nemico”, non veniva considerata pericolosa perché tutti la credevano poco più che indifesa, ma Myyfr aveva voluto mettere subito in chiaro che in caso di necessità avrebbe potuto sottometterla facilmente. Una mattina Dee Dee si era svegliata con il suo grosso piede che le premeva sul petto; gli unghioni affilati le arrivavano quasi al collo, e Myyfr la guardava dall’alto con un sorrisetto compiaciuto.
Senza scomporsi, Dee Dee aveva battuto a terra il tallone destro, facendo scattare una piccola lama fuori dalla punta del suo stivale, e aveva alzato la gamba facendo in modo che la punta di metallo gli solleticasse la pelle della coscia. Lui non se l’aspettava, e il suo ghigno si era congelato in una smorfia di disagio.
“Fe non mi levi fubito quefto piede dal petto, ti apro un fecondo buco del culo.” Gli aveva detto lei, con il suo tono più freddo e minaccioso.
Myyfr era sbottato in una risata forzata, per far credere agli altri cuccioli di essere solo sorpreso e non spaventato, e da quel giorno erano diventati amici. Più o meno. Se non altro, il desmodu aveva cominciato a rispettarla.

“Se danno il permesso a te, forse anche a me.” Stava dicendo Myyfr. “Dopotutto anche io sono un-giorno-guerriero.”
Dee Dee gemette. Myyfr voleva venire con lei solo per orgoglio, mentre lei aveva motivazioni molto più serie. Sperava davvero che gli anziani della tribù non le avrebbero proibito di andare, a causa delle insistenze di quell’adolescente entusiasta.
Per fortuna, gli anziani acconsentirono alla richiesta di Dee Dee ma non al capriccio di Myyfr. Probabilmente avevano capito da soli le motivazioni della ragazza. Un desmodu che riusciva ad arrivare alla terza età, era di certo un desmodu saggio.

Quel pomeriggio una coppia di pescatori, scortati da un guerriero e da Dee Dee, partirono dal rifugio protetto della grotta per addentrarsi negli stretti cunicoli verdeggianti del Quarto Livello, diretti verso le rive del fiume Sargauth.
Purtroppo per loro, un altro piccolo gruppo di creature quel giorno aveva avuto la buona idea di andare a caccia. Ma non di pesci.

Dee Dee aveva catturato il suo primo pesce, un animale piatto e bitorzoluto e per nulla appetitoso. Non aveva idea di come fosse il sangue dei pesci, ma era ben decisa a scoprirlo.
Urgh. È freddo. Inghiottì a forza il primo sorso, provando un po’ di disgusto.
Il sapore in sé non era male, a parte sapere un po’ troppo di pesce. La consistenza era quasi quella del sangue normale, ma il vero problema era che fosse disgustosamente freddo. Dal secondo sorso, Dee Dee cercò di trattenerlo in bocca qualche secondo prima di berlo, in modo che si scaldasse almeno un poco, e in effetti così era un po’ meglio. Il pesce si divincolò con tutte le sue forze, ma poche creature riuscirebbero a sfuggire alla presa di un succhiasangue affamato.
Appena prima che l’animale morisse, Dee Dee se ne staccò e lo lanciò nella cesta intrecciata che i desmodu avevano portato. Il pesce di Dee Dee atterrò in mezzo agli altri, più vivaci e vitali. Lei notò con un’occhiata che tutte le prede avevano più o meno le stesse dimensioni; non più grandi di un gatto. Per un’elfa, uno di quei pesci sarebbe stato un pasto sufficiente, ma erano ben miseri bocconi per creature grandi come i desmodu. Probabilmente sarebbero rimasti lì almeno un’ora, giudicò, dalle dimensioni della cesta.
Si rimise a pescare. Per una volta, aveva la possibilità di bere a sazietà.

Si accorse che qualcosa non andava, quando i pesci smisero di finire nelle trappole. Le trappole per pesci dei desmodu erano molto ingegnose, difficili da individuare nella corrente, quindi se non c’erano più pesci significava che qualcos’altro li stava allarmando o spaventando. I pescatori erano troppo in gamba per avvicinarsi all’acqua, doveva essere qualcos’altro.
All’improvviso, dalle acque nere del fiume sbucarono quattro creature che sembravano lucertole umanoidi, aggressive e pronte a uccidere.
Eh, misericordia! Ma non si può mai stare tranquilli!
Dee Dee si stupì di scoprire che il suo primo pensiero era di fastidio, non di paura. Stava diventando coraggiosa, oppure pazza? Ad ogni buon conto, sfoderò la sua spada con una notevole prontezza di riflessi.
Si aspettava un attacco fisico, ma il lucertolone più vicino si limitò a fissarla in modo inquietante con i suoi quattro occhi acquosi. Dee Dee non immaginava che simili creature potessero avere poteri magici, e fu questo il suo errore: il suo corpo venne investito da un’ondata di puro dolore, una sensazione che le fece mancare il fiato e quasi la paralizzò. Ma la ragazza ormai era un’esperta nell’ignorare i disagi e i bisogni del suo corpo, e si scrollò di dosso il dolore con la forza della volontà.
Impugnò meglio la spada e si lanciò all’attacco del più vicino, buttandosi nell’acqua bassa senza esitazione. Il suo primo colpo andò clamorosamente a vuoto; il letto del fiume era roccioso e scivoloso e lei non aveva considerato che rimanere in equilibrio avrebbe richiesto tutta la sua attenzione, impedendole di dare il meglio in combattimento. Per fortuna era a piedi nudi, una condizione necessaria per entrare e uscire dal fiume per recuperare le trappole, e quindi era un po’ più stabile sui sassi levigati piuttosto che se avesse avuto gli stivali. Più stabile, ma anche più sensibile al freddo.
Il phaerlock le si lanciò addosso, cercando di ghermirla con i suoi artigli acuminati. Dee Dee cercò di proteggere i suoi organi vitali, e per evitare che una zampata le squarciasse il collo accettò di essere ferita malamente ad un braccio. Per fortuna non era il braccio che reggeva la spada.
Decise che, visto che ormai il nemico l’aveva ingaggiata, poteva anche fare qualche passo indietro e tornare sulla terraferma; altrimenti presto avrebbe perso sensibilità ai piedi a causa dell’acqua fredda. Per come la vedeva lei, l’importante era che il mostro non attaccasse i poveri pescatori.
Nel frattempo uno dei poveri pescatori aveva agganciato un phaerlock con un’artigliata e l’aveva finito con un morso che gli aveva praticamente strappato la gola.
Ah. Sembra che io abbia sottovalutato questa gente. Pensò, provando un minimo di conforto. Va bene, allora devo dimostrarmi all’altezza!
Schivò e parò con la spada il successivo attacco del nemico, cercando un’apertura in cui infilarsi per attaccare. Quando il phaerlock spalancò la bocca in modo intimidatorio per cercare di morderla, Dee Dee colpì con un fendente orizzontale, aprendogli una brutta ferita proprio in faccia. La creatura portò le mani uncinate alla faccia, gemendo in modo raccapricciante. Purtroppo il colpo della dhampir non era stato sufficiente a uccidere.
Il mostro sembrò raccogliersi in sé stesso e Dee Dee venne investita di nuovo da quella sensazione di dolore, un indolenzimento che pervadeva tutto il corpo dalle ossa alla pelle, questa volta con fitte ancora più forti concentrate nella parte bassa del volto. La dhampir capì con una realizzazione improvvisa che quello che sentiva era il dolore del suo nemico; in qualche modo doveva avere il potere di forzare una connessione empatica, o qualcosa del genere. Anche questa volta, a fatica, riuscì a resistere.
Creatura miserabile. Se ti uccido metterò fine alle tue sofferenze.
Dee Dee scosse la testa, provando pietà e disgusto per il suo avversario che ora stava cercando di allontanarsi. Lo inseguì nella sua fuga per finirlo, ben decisa a non lasciar andare libera una creatura assassina e impazzita dal dolore. Il phaerlock era veloce ed atletico, ma l’elfa non era da meno. La spada lunga gli trafisse la schiena, trapassandolo da parte a parte.

Quando la dhampir tornò dai desmodu, anche loro si erano già sbarazzati degli sfortunati (e stupidi) assalitori.
“Tu stai bene, cucciolo?” Domandò il guerriero del gruppo.
Assomigliava molto a uno dei loro convenevoli, ma stavolta Dee Dee capì che era una domanda. Si premette una mano sul braccio ferito, per fermare la perdita di sangue.
“Uhm, certo. Fto bene, è folo un graffio.”
Il desmodu sorrise a labbra strette. Un sorriso che mostrasse i denti era un segno di minaccia nella loro cultura, ma l’espressione del guerriero ora rivelava solo soddisfazione e orgoglio.
“Un giorno sarai brava guerriera. Se non ti butti in acqua è meglio.”
Dee Dee arrossì leggermente.
“Beh… il Guardiano mi ha tanto raccomandato di lavarmi.”
Non si aspettava che i desmodu capissero la battuta. Invece la capirono, e risero perfino.

           

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Capitolo 29
*** 1363 DR: Champion of Lloth starter pack ***


1363 DR: Champion of Lloth starter pack


Lizy non era tranquilla. Impossibile esserlo, visto che ormai secondo il drow erano molto vicini alla città degli illithid. Si erano già spinti molto più in profondità di quanto Lizy fosse mai stata, e la cosa la inquietava.
“Sei sicuro di volerlo fare?”
Daren le rivolse uno sguardo esasperato. “Per l’ennesima e ultima volta, Lizy, sì. Sono sicuro. Ora stai zitta, devo concentrarmi.” Mise una mano nella scarsella e con due dita afferrò una piccola pietra levigata, una calcite verde intagliata a forma di disco. Stava per posarsela sulla fronte quando Lizy lo interruppe di nuovo.
“Concentrarti su cosa?”
“Su come ucciderti lentamente una volta che avremo finito qui!” La provocò. “Cinque minuti di silenzio, è chiedere troppo?”
Lizy mise il broncio, piantando i piccoli pugni contro i fianchi. Il drow abbassò la voce e si avvicinò a lei, abbastanza perché Tuyy non sentisse. “Pensa ad un modo per tenere alla larga il desmodu.”
“Cosa? Cosa?” Sibilò Lizy. “Non ci si può semplicemente liberare di lui. Sai com’è testardo!”
“Sei una donna, inventati una bugia decente.” Il drow congedò le obiezioni di Lizy con un gesto della mano. “E soprattutto non disturbarmi per i prossimi minuti. Devo modificare alcuni miei ricordi passati e mi occorre concentrazione per creare immagini nuove e plausibili nella mia mente.”

Il giorno dopo avvistarono la prima pattuglia illithid, chiaro segno che ormai erano molto vicini alla città, di certo entro poche ore di cammino.
“Si suppone che io sia qui per una missione diplomatica” ragionò Daren, “non per infiltrarmi come un ladro. Tuttavia se mi mostrassi a loro adesso e mi facessi scortare alla città, ti lasceremmo indietro” disse guardando Lizy “e questo non deve succedere. Quindi sarà meglio che ci avviciniamo furtivamente un altro po’. Questa mossa avrebbe i suoi lati positivi, dimostrando che sono in grado di arrivare vicino alla loro città inosservato; sarebbe una valida intimidazione. Ma rimane il problema di Tuyy.”
“Non c’è modo di convincerlo a restare indietro!” Sbottò Lizy sottovoce. “Non sente ragioni!”
Il drow sospirò. “È quello che temevo. Posso facilmente farlo passare per un mio servitore o schiavo, il problema è che lui è una testa calda e potrebbe partire all’attacco senza preavviso.”
“Parlagli allora. Ricordagli il vostro patto. Non è stupido come sembra.”
“Oh? Tu dici?”
Lizy annuì, guardandolo con la sua espressione più seria. “Sì. Ne sono convinta. Nonostante la sua apparenza barbarica è molto perspicace.”
Daren scrollò le spalle, dichiarandosi sconfitto. “Va bene. Chi sono io per giudicare qualcuno dalle apparenze? Gli parlerò e decideremo un piano. Ma…”
“Ma?”
“Spero che sappia muoversi senza fare rumore.” Concluse Daren con un mezzo sorriso.

Tuyy sapeva muoversi senza fare rumore, più o meno. Alle orecchie sensibili dell’elfo scuro, i suoi passi suonavano pesanti come colpi di tamburo, i lunghi unghioni dei piedi aggiungevano un fastidioso ticchettio dopo ogni passo e infine stridevano contro la roccia quando alzava il piede per muovere il passo successivo. Qualcosa come tumpf-tikitiki-skree. Gli illithid e i loro schiavi però non lo sentirono, e questo era l’importante.
Rischiarono un po’ di più quando incontrarono un’altra pattuglia di guardie con un illithid, un drow e cinque quaggoth, creature umanoidi simili a orsi. L’illithid chiaramente teneva le altre creature sotto controllo mentale, certamente nè il drow nè i quaggoth erano lì di loro spontanea volontà.
Daren fece cenno ai suoi compagni di fermarsi e di stare in silenzio, perché temeva il fine udito del suo simile. Ma forse la dominazione mentale col tempo aveva attutito i suoi sensi, perché non si accorse di nulla.
Povere creature, pensò Daren con un sospiro. Mi piacerebbe attaccare questo illithid e ucciderlo, ma quanto lontano potrebbero andare gli schiavi, senza equipaggiamento e senza cibo? No, devo dare la precedenza alla mia missione… stavolta.
Mi piacerebbe molto vedere questa città distrutta prima di lasciare questo mondo.

Continuarono per la loro strada con ancora maggiore attenzione. Le caverne erano sempre più popolate da quaggoth che presumibilmente erano sotto il controllo mentale degli illithid, ma abbastanza consapevoli dei loro bisogni da organizzarsi in piccole bande per cercare cibo o mettere in piedi rozzi accampamenti.
“Quando arriviamo a Ch’Chitl?” sussurrò Lizy al drow.
Era un sussurro appena udibile, ma risuonò nelle sue orecchie sensibili come se l’aranea avesse parlato in tono normale. Purtroppo nessuno dei suoi due compagni capiva il linguaggio gestuale dei drow, quindi Daren dovette rispondere parlando a bassa voce:
“Credo che ci siamo già. La città è su due livelli, quello superiore è solo un intrico di gallerie abitate dagli schiavi quaggoth e raramente pattugliata dagli illithid. Il piano inferiore è dove vivono loro, la città vera e propria. Ci sono delle scale che conducono alle diverse grotte della città inferiore.”
L’idea di essere già nella città strappò a Lizy un gemito di terrore. Non aveva pensato di doversi avvicinare così tanto.

Presto cominciarono a vedere una strana luminescenza avanti nel tunnel, davanti a loro. O almeno, Tuyy e Daren la vedevano, perché era generata da incantesimi di pura malvagità.
“Incantesimi psionici a protezione della prima scala.” Sussurrò Daren con un filo di voce.
Lizy annuì con espressione seria. “Non capisco dove siano, ma non ho molta voglia di andare oltre.”
“Fallo solo quando ti darò il segnale. Andrà tutto bene, sei qui solo per rappresentanza.”
Lizy annuì di nuovo, passandosi una mano sul viso. “Intanto comincio a richiamare altri ragni. Mi ci vorrà meno di un minuto.” Promise, nascondendosi in una piccola alcova sopraelevata.
Il drow fece cenno al desmodu di avvicinarsi. “Tu ed io andiamo, ora. Hai paura?”
Tuyy scosse la testa. “Paura no. Questo è che-si-deve-fare, quindi questo è che-si-fa. Nervoso, un po’. Dopo altri mostri-tentacoli in grotta di gloura, Tuyy pensa forse noi muore e basta.”
“Ah. Bene.” Mormorò Daren senza alcuna inflessione. “Questo nervosismo è l’unica cosa che proverai d’ora in avanti al posto della paura. Tienitelo caro. È la sottile barriera che separa la tua stupidità dalla tua tomba.”
“Piccolo nero parla difficile ma Tuyy sicuro che dice cose da stronzo.”
L’elfo scuro scrollò le spalle. A questo non poteva ribattere.

Daren e Tuyy si incamminarono apertamente verso quell’aura verdognola che brillava di malvagità. In accordo col loro piano, Tuyy era disarmato e aveva un atteggiamento sottomesso e abbattuto, perché doveva fingere di essere prigioniero del drow.
Il loro passaggio fece alzare un coro di ringhi e versi indecifrabili tutto intorno a loro, da gallerie che ad un primo sguardo potevano sembrare vuote. Daren riconobbe i versi intimidatori dei quaggoth; quegli esseri bestiali parlavano il Sottocomune, ma quando si trovavano davanti una preda potenziale cominciavano a fare versi animaleschi e raccapriccianti. Una di quelle creature di forma vagamente ursina si lanciò sui due avventurieri, cadendo dall’alto, da uno sperone di roccia nascosto. La spada di Daren gli tranciò una gamba prima ancora che atterrasse, ma Tuyy reclamò quella vittima per sé afferrando il mostro per le spalle e trascinandolo via dal drow. Il quaggoth non fece in tempo a reagire, né ad accorgersi di cosa stava succedendo: Tuyy spostò una mano sulla nuca del nemico e accompagnò la sua caduta sfracellandogli il cranio contro la roccia. Tre altri quaggoth si lanciarono contro i nemici, credendo di avere un vantaggio per via della superiorità numerica. Tre altri quaggoth morirono in fretta.
“Queste bestiacce non conoscono la paura.” Avvertì Daren, senza mostrarsi troppo preoccupato. Tuyy gettò di lato un altro cadavere e scrollò le enormi spalle.
Nemmeno lui.

Il drow e il desmodu avanzarono lentamente ma con costanza verso le scale che conducevano al piano inferiore di Ch’Chitl, facendosi largo fra i quaggoth in caccia. Quando erano ormai solo a un paio di metri dalla fenditura nel suolo roccioso, una creatura comparve come per magia levitando sopra all’imbocco della scala a chiocciola.
Era un illithid, chiaramente, anche se sembrava pallido in modo malsano. Daren pregò che Tuyy non facesse stupidaggini.
Ma forse Lizy aveva ragione, forse il desmodu era intelligente almeno un po’, perché Tuyy si attenne al loro piano, rimanendo al suo fianco.
L’illithid allargò le braccia e i tentacoli che aveva davanti alla bocca ondeggiarono come se avesse parlato. Un’ondata di energia negativa emanò da lui, espandendosi a cerchio fino a raggiungere Daren e Tuyy e tutti i quaggoth che avevano intorno. I mostri morirono sul colpo, avvizzendo come prugne secche. Quelli che invece erano troppo lontani per essere colpiti dal Cerchio di Morte si dispersero, e Daren si domandò se il nuovo arrivato avesse preso controllo delle loro menti, visto che di solito non temono la morte.
Il drow abbassò la spada verso terra, studiando l’illithid con interesse. Lo scorticatore mentale rispose con uno sguardo ugualmente intenso, ma rivolto ad entrambi.
L’illithid parlò ai due in Sottocomune, ma era a malapena comprensibile per via della sua voce bassa e gorgogliante. “Voi siete più forti della marmaglia. Ma Ch’Chitl è più forte di voi. Dunque sarete schiavi, o morirete.”
Daren pulì brevemente la lama della spada sul pelo di un quaggoth morto, e con grande sorpresa dell’illithid, la rimise nel fodero. Poi rivolse all’illithid un accenno di inchino.
“Sarebbe una scelta poco saggia. Io sono un inviato di pace, ma non uno sprovveduto.” Ribattè, nella stessa lingua.
“Un inviato drow che viaggia con un desmodu.” Osservò lentamente lo schiavista.
Daren agitò una mano verso Tuyy come se la sua presenza non avesse importanza. “Non badate al mio servo. Nel Buio Profondo può sempre servire una guardia del corpo. Ma sono io l’unico di cui vi dovete preoccupare… io e coloro che rappresento.”
L’illithid rimase in silenzio. Si trattava di una tecnica per far sentire a disagio il suo interlocutore, ma Daren dopo aver atteso alcuni secondi ritenne di poter ricominciare a parlare.
“Vengo dal dungeon che si estende intorno a Skullport. Voi avete preso qualcosa che per noi ha grande valore.”
I tentacoli dell’illithid ondeggiarono di nuovo. “Skullport pretende qualcosa e manda un solo piccolo drow.”
“Skullport può crollare sulla testa di Halaster Neromanto.” Scandì lentamente il drow, incrociando lo sguardo dell’illithid. Quello sguardo sembrava ghiaccio. Gli occhi pallidi, già solitamente gelatinosi e viscidi, sembravano addirittura morti. È un non-morto! Il pensiero balenò nella testa di Daren come una scheggia incontrollata. Ovviamente era solo una supposizione, ma volle fidarsi del suo intuito. Dei, per una volta sono felice di non avere paura.
Fece un enorme sforzo di volontà per mantenere un’espressione neutra e tranquilla. Ne andava delle loro vite e del buon esito di quella missione. “Io sono qui per conto del Consiglio che guida il mio culto.”

L’illithid, che in realtà era un alhoon, un illithid mago che aveva raggiunto lo stato di lich, reagì a quelle parole come se il drow gli avesse appena chiesto di fare una donazione benefica per una scuola materna di quaggoth.
“Il vostro culto.” ripetè disgustato, come se il concetto stesso di fede religiosa gli facesse apparire il drow ancora più squallido.
Daren trovò conferma della sua teoria; tutti gli illithid sono molto religiosi… tranne gli illithilich, che solitamente sono dei fuoricasta, lontani dalla condivisione mentale che caratterizza i normali illithid, e facilmente lontani anche dalla religione.
In un’altra città, il tuo stesso popolo ti darebbe la caccia, pensò, ma quel pensiero non era accompagnato da alcuna compassione; era solo normale che i viventi odiassero i lich. A Ch’Chitl, invece, gli alhoon occupavano posizioni di potere. Quindi stavano parlando con una figura importante, una buona cosa per la loro missione.
“Risparmiatevi questa insolenza. Chiunque possiate essere, il vostro potere impallidisce davanti a quello della Regina Ragno!” Ribattè Daren, in tono ispirato. “E se non dovessi fare ritorno da questa missione, ne avrete la prova.”
L’alhoon non si scompose di un millimetro.
“Una minaccia? Non sono divertito, drow.”
“Nessuno lo è, quando un drow lo minaccia.” Daren ritorse l’obiezione contro di lui, ricordandogli implicitamente la pericolosità del suo popolo. “Avete preso gli schiavi desmodu a cui anche noi davamo la caccia.”
L’illithilich fece un gesto noncurante con la mano. “Noi siamo arrivati prima. Mettete in pericolo la vostra vita per raccattare una manciata di schiavi? Ci sono altri desmodu in quei cunicoli.”
Daren sentì Tuyy che si irrigidiva, al suo fianco. Il desmodu non amava sentir parlare così del suo popolo, come se una persona valesse l’altra, come se fossero tutti solo oggetti da raccogliere. Il drow capì che doveva chiudere la conversazione in fretta, perché il sanguigno guerriero non avrebbe resistito ancora per molto.
“Ma noi li vogliamo tutti.”
“Il ragno è talmente ingordo da seguire le sue piccole prede fin nella tana del serpente.” L’alhoon lo disse in tono di provocazione, come se non considerasse il drow o il suo culto un vero pericolo.
“I desmodu hanno informazioni sul Quarto Livello del dungeon, un luogo strategico che chiunque dovrebbe conquistare se avesse mire di potere lassù.”
“Informazioni?” Ora l’alhoon sembrava divertito. “Come qualsiasi schiavo del Quarto Livello.”
Daren s’irrigidì e finse nervosismo. Non era una cosa difficile da fingere, in quella situazione.
“Non dirò una parola di più, sull’argomento. Hanno informazioni che servono a noi e che non vogliamo leggiate nella loro mente. Me ne andrò di qui con ogni singolo desmodu che avete in città, altrimenti sarà la guerra.”
Di nuovo, i tentacoli del mostro ondeggiarono, ma stavolta sembrava una risata.
“Oh, la guerra. Quale minaccia! Rassegnatevi drow, i desmodu servono a noi.”
“Sono schiavi come tutti gli altri!” Protestò Daren.
“Le loro voci non lo sono.” Lo zittì l’illithid.
Questa informazione improvvisa illuminò la mente del guerriero come se qualcuno avesse acceso una candela, e finalmente ogni pezzo andò al suo posto. Ma certo… i gloura. Le loro voci sono speciali, il loro canto innesca reazioni particolari. E i desmodu, sanno produrre suoni così acuti che nemmeno le mie orecchie da elfo possono udire. Che cosa se ne fanno, gli illithid? Non importa. Sono affari loro, l’importante è che sarà difficile fargli cedere i prigionieri.
“I vostri affari vi appartengono, ma quelle creature no.” Si costrinse a dire, mettendo da parte le sue congetture pericolose. Se l’illithid stava provando a leggergli nella mente, voleva fargli sapere che non gli interessava indagare le motivazioni di Ch’Chitl. “Per noi, loro rappresentano informazioni, quindi sono qui per pagare con la stessa moneta.”
L’illithid avrebbe sollevato un sopracciglio, se la sua razza li avesse avuti.
“Informazioni? Cosa pensate di potermi dare, che io non possa prendere mangiando il vostro cervello?”
Daren lasciò intravedere un sorriso rassegnato. “Lo so. Ma non sono uno sprovveduto; non sono per voi, le informazioni. Sono per i vostri nemici.”
Questa rivelazione a sorpresa per un momento colse l’altro in contropiede. “Voi mentite, elfo scuro.”
“Mentire a chi può leggermi nella mente?” Scrollò la testa con un sorriso da folle. “Mi prendete per stupido? Il mio culto è in possesso di informazioni sulla vostra città. Planimetria, difese, tutto. Controllate i miei ricordi, se volete. Decine di cartine e mappe con spiegazioni dettagliate, tutte depositate fra le mani del Consiglio, e saranno vendute ai vostri nemici… se io non torno sano e salvo con tutti i desmodu.”
“Quali nemici ha Ch’Chitl nel Porto delle Ombre?” Inzigò, come a voler sottintendere che non ce ne fossero.
“C’è una pergamena, sulla bacheca principale di Skullport, che promette una somma di denaro esorbitante a chiunque possa distruggere Ch’Chitl; sicuramente chiunque abbia affisso quel cartello pagherebbe una buona cifra per informazioni vitali sulla città.” Cominciò, studiando l’espressione dell’alhoon. Il malefico schiavista non lasciò trapelare nulla. “Sfortunatamente, è probabile che quell’avviso l’abbiate apposto proprio voi illithid, per attirare ingenui avventurieri o per individuare i possibili nemici della città.”
Seguirono diversi secondi di silenzio tombale, alla fine l’alhoon mosse i tentacoli in un modo che poteva esprimere divertimento, o forse fastidio.
“Ah. Un ragno intelligente.” Ammise in tono offensivamente incredulo.
Daren non raccolse la provocazione.
“Le sacerdotesse che servo sono in contatto con una forza d’attacco Githyanki.” Rivelò, citando una razza extraplanare che era nemica giurata degli scorticatori mentali.

Quasi non fece in tempo a finire di parlare, che sentì una forza aliena e martellante cercare di infilarsi nel suo flusso di pensieri. Cercò di resistere, ma senza troppa convinzione. La sonda mentale dell’illithid entrò, sfondando le sue deboli barriere, e Daren si ritrovò costretto a vivere di nuovo i suoi ricordi.

Il drow si inchinò davanti a una sacerdotessa, che indossava le vesti dell’alto clero della Regina Ragno. “Va’, dunque, servo. Porta a compimento la missione. Ogni giorno divineremo i tuoi progressi con la magia. Se dovessi morire, o fallire, venderemo la planimetria della città ai Githyanki. Il culto di Lloth deve prosperare, ha bisogno di denaro…” concluse, lasciando intendere che anche in caso di fallimento sarebbero riuscite ad averne un guadagno. “E quando quella città e tutti i suoi disgustosi abitanti saranno cenere, non importerà più quali informazioni avranno estorto ai nostri desmodu. Se dunque vuoi davvero tentare la strada della diplomazia… buona fortuna.” La sacerdotessa ridacchiò, come se non credesse nemmeno per un momento nel suo possibile successo. “Dì pure agli illithid che, se restituiscono gli schiavi, non venderemo le mappe ai loro nemici.”
Il drow gettò una fugace occhiata al tavolo dietro alla religiosa; era completamente coperto di pergamene, fittamente disegnate o scritte, e rappresentavano la planimetria di una città.
L’illithid la riconobbe: era proprio Ch’Chitl. Anzi, Ch’Chitl com’era diventata dopo l’ultimo attacco githyanki di circa un secolo prima, quindi erano mappe aggiornate.
“Mia signora, ho il timore che non ci crederanno.” Obiettò rispettosamente il maschio, tenendo lo sguardo umilmente verso terra.
“Allora digli la verità: che la restituzione degli schiavi gli farà guadagnare tempo. Tutto il tempo che impiegherai a tornare da noi. Quasi venti giorni, se ho fatto bene i calcoli.” Gli fece cenno di andarsene.
Il drow si profuse in un secondo inchino, ma prima di allontanarsi volle dare voce a un altro suo dubbio che lo pungolava: “Padrona, perdonate i miei timori, ma… se gli illithid dovessero sospettare che venderete le informazioni ai Githyanki subito, senza attendere il mio ritorno?”
La sacerdotessa lo guardò con occhi velenosi e lo colpì in pieno viso con un manrovescio, cogliendolo di sorpresa. Il drow era sbilanciato e per poco non cadde di lato sotto questo assalto irrazionale.
“Stolto! Pensi che riveleremmo agli illithid i nostri piani, mandando un messaggero lì da loro, se avessimo intenzione di non rispettare l’accordo? No, venderemmo le informazioni ai Githyanki e basta! Non avrebbe senso rischiare di attirarci l’ira e magari la vendetta degli scorticatori mentali ammettendo il nostro coinvolgimento.”
“Domando perdono, padrona. Non ci ero arrivato.” Mormorò il maschio con un filo di voce.
La sacerdotessa lo congedò di nuovo, ma si sentiva dal suo tono di voce che era compiaciuta di sé stessa. “Sei solo un maschio, e un guerriero per di più. Non pretendere di capire cose troppo difficili per la tua mente. Il tuo compito è obbedire e mettere la tua vita o la tua morte al servizio della Regina Ragno.”
“Lloth sia lodata!” Rispose lui, con tutto il cuore, poi uscì dalla stanza.


Anche l’illithid uscì dalla sua mente, visibilmente disgustato.
“Fedeli! Siete solo cani, felici di farvi usare dai parassiti.”
Il drow all’inizio non rispose; l’assalto mentale l’aveva lasciato troppo scombussolato e nauseato. Ma dovette farsi forza, perché ne andava della sua vita.
“Pensatela come volete. Ma io sono qui per servire Lloth e dare il mio contributo a espandere la Sua grandezza. Con la mia vita o con la mia morte, ho la possibilità di renderle un servigio e intendo farlo!”
“Una vita di schiavitù, drow. Questo vi farebbe sentire realizzato? Perché è questo che vi attende a Ch’Chitl!” Promise l’illithid, e si concentrò per soggiogare la volontà del drow.
Solo che, questa volta, fallì.
Daren sorrise, un sorriso da pazzo. Allargò le braccia, e quello era il segnale per Lizy.
Uno sciame di ragni, alcuni piccoli come un’unghia e altri grandi quanto un cane, si riversarono nella grotta e accerchiarono il drow, alcuni arrampicandosi proprio sul suo corpo. Perfino Tuyy fece due passi indietro, a disagio.
“Ci restituirete gli schiavi, altrimenti io morirò adesso, e la vostra città verrà attaccata dai Githyanki fra… poche ore, o forse minuti.” Promise Daren, lasciando che quelle creature gli zampettassero addosso. “Pensateci bene, se collaborate guadagnerete molti giorni per riorganizzare le vostre difese e cambiare l’assetto della città.”
“Oppure potrei uccidere questi ragni e farvi catturare.” Lo corresse l’alhoon.
“La mia morte è una formalità. Anche se sarò schiavizzato e tenuto qui, la mia missione sarà fallita e la vendetta di Lloth calerà su di voi.” Un ragno grosso come un ratto si arrampicò sulla testa di Daren e pizzicò la fronte dell’elfo scuro con i cheliceri.

L’alhoon si scoprì a maledire la sua sfortuna, quel giorno. Stava provando qualcosa che un illithid assurto allo stato di lich avrebbe dovuto essersi lasciato alle spalle da tempo: orrore.
Non aveva paura del drow, ma il fanatismo cieco dei fedeli lo preoccupava. Ch’Chitl non sarebbe sopravvissuta ad un altro raid githyanki, non dopo quello già avvenuto un secolo prima, che aveva visto la distruzione del loro Cervello Antico. La comunità si era ripresa a malapena, grazie agli alhoon che avevano preso il potere, mangiando il Cervello Antico e assumendo le sue conoscenze.
Ma questo significava anche che ora erano loro al potere, quindi era loro che i githyanki sarebbero andati a cercare.

Daren ottenne i suoi schiavi desmodu. Tutti, fino all’ultimo.
Ma prima di lasciarli andare, l’illithid impose una maledizione su tutti loro: i loro movimenti sarebbero stati rallentati, ogni loro azione fisica e mentale avrebbe richiesto un maggiore tempo e un maggiore sforzo per essere portata a termine.
Sapeva che questa maledizione sarebbe stata facilmente annullata da una sacerdotessa potente, ma non ce n’era alcuna nei paraggi; il drow avrebbe impiegato il doppio del tempo a tornare dalle sue padrone.
E chissà, magari le sacerdotesse avrebbero preferito ucciderlo per il suo handicap, anziché sprecare un incantesimo per un semplice maschio.
Un’eventualità che avrebbe dato all’illithilich almeno un po’ di soddisfazione.

           

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Capitolo 30
*** 1363 DR: Non avrei mai un’altra scelta se non rialzarmi ***


1363 DR: Non avrei mai un’altra scelta se non rialzarmi


Erano giorni, ormai, che la lenta carovana procedeva sulla via di casa. La maledizione dell’alhoon poteva sembrare una cosa da poco, ma in realtà era una bella spina nel fianco per qualcuno che doveva attraversare il Buio Profondo. La lentezza nel camminare si rifletteva anche in una lentezza dei riflessi, una cosa terrificante se si è costantemente circondati da predatori.
Per fortuna erano una comitiva numerosa, ed ogni desmodu, anche se non addestrato alle arti della guerra, era comunque capace di difendersi a colpi di unghiate e morsi.
Lizy era l’unica ad essere un po’ in paranoia per la maledizione dell’illithid, anche perché si chiedeva chi avrebbe accettato di liberarli dalla maledizione. Non conosceva molti incantatori, solo qualche misero autodidatta. La magia a Skullport era... disincentivata. Soprattutto quella molto vistosa o potente.
Dopo un paio di giorni prese il coraggio a due mani e parlò a Daren delle sue preoccupazioni.
“Conosci qualcuno che sarebbe disposto a farmi questo favore, anche a pagamento?” Domandò infine, zampettando nervosamente.
Il drow la guardò in silenzio, con espressione torva. Lizy si era accorta che qualcosa non andava; dalla loro partenza da Ch’Chitl, lui non le aveva mai rivolto la parola, e alle sue domande aveva risposto controvoglia e a monosillabi.
“Parliamone quando saremo molto più vicini a casa” propose.
“È proprio la strada invece a preoccuparmi!” Insisté lei. “Se qualcuno ci stesse inseguendo? Se incontrassimo mostri al di là della nostra possibilità?”
“Preoccupati invece di cosa faranno gli illithid se ci dovessero stare divinando e carpissero le tue parole. Dobbiamo mantenere la nostra facciata fino alla fine.”
Questo era un discorso che Lizy aveva già sentito, infatti dalla partenza da Ch’Chitl era sempre rimasta nella sua forma originale: un ragno grande quasi quanto un essere umano.
Non aveva capito che probabilmente era questo il motivo per cui il drow mostrava disagio nel rivolgerle la parola.
“Ma tu pensi che sia prudente procedere così lentamente? E se in questi giorni invece facessero divinazioni per capire dove si trova il tuo culto e dove si trovano i githyanki e…”
“In quel caso scoprirebbero che una cellula del culto di Lloth è stanziata nella zona settentrionale del terzo livello del dungeon, come da ultimi rapporti di Valek’r e Talayna. Quanto ai githyanki, vivono sul Piano Astrale e non sono così sciocchi da lasciarsi divinare.”
La risposta di Lizy fu solo silenzio.
“Tu leggi i rapporti dei nostri colleghi, vero?”
Altro silenzio.
“Mannaggia ai sandali di Ilmater, ragazza, non hai un minimo di buonsenso?”
“E chi ce lo ha il tempo per leggere.” Borbottò il ragno, agitando i cheliceri con evidente nervosismo.
“Allora ti aggiorno: Valek’r e Talayna… ah, loro sono guardiani della porta settentrionale.”
So chi sono.” S’intromise l’aranea, in tono risentito.
“...Hanno scoperto che una cellula del culto di Lloth si è infiltrata nell’Undermountain e ha preso possesso di alcune grandi stanze del dungeon. Da lì non è immediato arrivare a Skullport visto che di mezzo c’è il territorio controllato dagli Agenti dell’Occhio, ma non bisogna sottovalutare le risorse dei miei simili.”
“Quindi se gli illithid volessero verificare la presenza di drow seguaci della Regina Ragno…”
“Già.”
“Sei un bastardo.”
“Faccio l’interesse di Skullport.”
“Contro i tuoi stessi simili?”
Daren fece spallucce. “Contro i miei concittadini, per la precisione.”
“Uh? Come fai a saperlo?”
L’elfo scuro ci pensò un momento, poi giudicò che fosse un’informazione abbastanza innocua.
“Per il modo in cui chiamano la dea, Lloth. Solo i drow di Menzoberranzan la chiamano in quel modo.”
Lizy fece schioccare i cheliceri, di nuovo. “Perché?”
“Il culto di Lloth è molto forte in quella città, anzi, è l’unico culto consentito. Credendo di avere un rapporto particolare con quella divinità, i drow di Menzoberranzan hanno leggermente cambiato il suo nome. Per differenziarsi.” Perché la fondatrice della città aveva davvero un rapporto particolare con la sua dea, pensò, e quel pensiero se ne portò dietro un altro: Ma non è che la città se ne ricordi, quindi perpetuano questa tradizione senza alcun motivo. Come molte tradizioni.
“Interessante.” Commentò Lizy, e suonava davvero interessata. “Mi affascinano queste cose. Prima di fare l’avventuriera avevo pensato di fare la maga, così ho pagato per avere accesso ad alcune biblioteche, in Superficie; leggendo però mi sono accorta che mi interessavano più i popoli che la magia. Così ho cominciato a viaggiare.”
Daren si stupì di questa informazione. Era raro che qualcuno nel Buio Profondo decidesse di raccontare spontaneamente qualcosa su di sé. Tanto più che fra lui e Lizy non c’era molta intimità.
“Allora forse non dovresti vivere a Skullport. Forse dovresti riprendere a viaggiare. Come mai ti sei fermata qui?”
Lizy sgambettò avanti e indietro, in modo un po’ nervoso.
“Storia lunga. Ti annoierei.”
Daren riconobbe che era una frase in codice per non mi va di parlarne. “Una volta sono stato alla biblioteca di Gravenhollow, anche se ci sono rimasto per poco tempo.” Raccontò, per cambiare argomento. “Se sei un tipo studioso dovresti andarci, è impressionante. Ma si occupa soprattutto di ciò che accade nel Buio Profondo.”
Lizy ci pensò un po’, alla fine annuì. “Riprendere a viaggiare potrebbe essere una buona idea, soprattutto se pensi che gli illithid potrebbero cercarci.”
Per la prima volta da quando erano partiti, il drow le rivolse una specie di sorrisetto.

Per il resto della giornata camminarono in silenzio. I desmodu non si facevano sentire, era come scortare una mandria di fantasmi. Il loro morale se non altro era quello.
Tuyy era abbastanza ottimista che la comunità riuscisse a riprendersi da quel duro colpo, ma i suoi compagni lo erano un po’ meno; avevano perduto tutti i loro bambini ed erano stati trascinati in schiavitù in una marcia forzata, solo parzialmente coscienti. Alcuni non si erano ancora ripresi dagli strascichi della dominazione mentale, altri erano solo avviliti per la vergogna. Prima o poi il sollievo di essere vivi e liberi avrebbe preso il sopravvento, ma per ora la fiducia nel futuro era ancora un pensiero lontano.

Con il passare dei giorni, le paure di Lizy si acquietarono un po’ e Daren ritrovò sicurezza in sé stesso, almeno a giudicare dal suo comportamento meno rigido.
Il fatto che nessun mostro fosse stato tanto ardito da attaccare un branco di decine di desmodu aveva fatto in modo che tutti cominciassero a sentirsi un po’ più al sicuro, traendo conforto dalla reciproca presenza.
“Quanto manca da arrivare?” Chiese un giorno Tuyy. Lizy non poteva alzare le spalle perché in forma di ragno non le aveva, quindi rispose a voce:
“Non lo so. Camminando lentamente e in una forma diversa dall'andata, ho un po’ perso l'orientamento.”
Daren rimase a guardare in silenzio mentre i due si scambiavano opinioni.
Così ti sei ricordato della nostra esistenza.
Il pensiero lo colse di sorpresa, e se ne vergognó.
E questa da dove mi è uscita? Ha appena ritrovato la sua tribù. Era la nostra missione, l’unico motivo per cui ci siamo trovati a viaggiare insieme, ed ora si è conclusa. Tuyy non mi deve nulla.
Si allontanò dagli altri due, addentrandosi per qualche decina di metri nelle gallerie, da solo. Non si sentiva in pericolo perché comunque il branco di desmodu non era molto lontano, ma aveva bisogno di non avere intorno nessuno, per riflettere.
Quale diavolo è il mio problema? Perché da quando siamo partiti da Ch’Chitl sento questo senso di… incompiutezza? Come se ci fosse qualcosa fuori posto, qualcosa in sospeso? È andato tutto bene.
Rimandò a mente il suo colloquio con l’illithilich, analizzando i suoi ricordi per capire dove potesse essere l’elemento che lo faceva stare in tensione. A livello razionale non trovava nulla di sbagliato in quello che era successo, nulla che lasciasse intendere strascichi futuri (o non più di quanti fosse ragionevole aspettarsene). Provò allora a rianalizzare tutta la scena, ma concentrandosi sui suoi sentimenti; all’epoca, sul momento, aveva dovuto fare del suo meglio per ignorare qualsiasi reazione emotiva, davanti a una creatura capace di leggere nel pensiero era assolutamente mandatorio indossare una maschera, anzi congelare qualunque sensazione ed emozione finché il pericolo non fosse passato. Ed ora era passato.
Quindi che cosa poteva essere...?
I ragni, realizzò infine.
Il pensiero di tutti quei ragni che gli zampettavano sul corpo scatenò in lui un brivido di disgusto.
Il ricordo di quella sensazione tattile trascinò con sé memorie che sperava di avere sepolto, un incidente a cui non pensava più da decenni.

La sacerdotessa sarebbe stata bellissima, se un ghigno malvagio non le avesse deturpato il viso. Era una cosa prevedibile per una drow, ma era anche un infallibile disincentivo per il desiderio maschile. Lei non stava sorridendo a lui, questo Daren lo sapeva bene. Sorrideva perché stava assaporando il terrore del suo nuovo giocattolo, il potere che aveva su di lui. Le mani di Daren erano legate, ma questo era normale. Lei stava sopra di lui e accarezzava il suo petto con le belle dita affusolate, graffiandolo con quelle unghie lunghe e curate. Anche questo era normale, anzi, era un gesto quasi gentile. Ma Daren non si faceva illusioni: molti maschi erano entrati nella camera da letto di quella religiosa, e pochissimi ne erano usciti sulle loro gambe. Quelli che erano sopravvissuti raccontavano storie raccapriccianti su di lei, ma tutte le storie concordavano su un punto: solo chi riusciva a soddisfarla poteva sperare di essere risparmiato, riutilizzato per giochi futuri. E anche in quel caso, dopo qualche altro giro nelle sue stanze, sparivano anche loro.
Catturare le attenzioni della bella Zebeyana era una sventura mortale, ma un soldato semplice doveva fare quello che gli veniva ordinato. Daren aveva avuto sfortuna, forse era passato dal corridoio sbagliato al momento sbagliato, e la custode della cappella di casa Maevret l’aveva notato. Lei era la sacerdotessa di rango più alto ad eccezione della Matrona e della sua figlia maggiore, quindi era nel suo diritto trascinare qualsiasi comune servitore nella sua stanza e ucciderlo.
Daren era a torso nudo e senza scarpe, ma la femmina era ancora completamente vestita. Dalle larghe maniche della sua veste cominciarono ad uscire decine di ragnetti, che si sparsero zampettando sul corpo inerme del maschio. Il guerriero ora era paralizzato dall’orrore, sentiva quelle creature che brulicavano sul suo petto, sulla gola, sulle coperte del letto. Molti altri stavano risalendo dal pavimento. La sacerdotessa portò una mano al suo inguine, tirando il bordo dei calzoni. Daren sentì che tutto il sangue gli confluiva via dal cervello e la sua visione si faceva sfocata; stava rischiando un attacco di panico all’idea che qualche ragno si potesse infilare dentro i suoi pantaloni.
“Tu mi soddisferai, oppure i ragni cominceranno a mangiarti. Il loro veleno farà funzionare tutto a dovere.” Ridacchiò lei, stuzzicando con una mano la parte che le interessava. “Ma purtroppo alla fine sarai morto.”
Daren deglutì, aveva le labbra serrate, per paura che qualche aracnide gli si infilasse in bocca. Già stavano camminando troppo vicino alle sue orecchie, sul suo viso, nei suoi capelli. Non poteva rispondere in alcun modo, ma tanto sarebbe stato inutile.
Era il tipo di soldato che piaceva a lei: giovane, quindi inesperto, perfettamente sostituibile, sia come guardia di palazzo che come amante. Zebeyana si alzò dal letto e cominciò a sbottonarsi l’abito.
In quel momento, per fortuna, qualcuno bussò alla porta.


All’epoca quel rumore aveva rotto l’atmosfera, e ora il ricordo di quel rumore aiutò Daren a tornare nel presente. Si accorse che ormai il resto del gruppo lo aveva quasi raggiunto, ma lui non se la sentiva di vedere nessuno. Riprese a camminare, per non farsi vedere in quello stato; era certo di avere in faccia un’espressione troppo trasparente.
I ragni che mi camminavano addosso, a Ch’Chitl, devono aver ricordato al mio corpo la stessa sensazione di quel giorno. Non ho più paura dei ragni… ma il disagio rimane.
Questa cosa mi ha fatto stare peggio di quanto avessi previsto, ma non posso prendermela con Lizy, le ho chiesto io di farlo.
Sospirò, scuotendo la testa, e si diede mille volte dello stupido.
Certo, razionalmente lo so. Razionalmente… ma temo che non mi basti. Se solo…
Esitò, colto di sorpresa da quel pensiero.
Se solo... cosa? Non so nemmeno cosa voglio.
No, non è qualcosa che voglio.
È qualcosa che
mi manca.
Se solo… avessi qualcuno con cui parlare.
Arrivare finalmente a questa ammissione lo lasciò senza fiato, come dopo una lunga corsa.
Ricordava la sensazione di avere qualcuno con cui potersi confidare, qualcuno sempre pronto a chiedergli “come stai?” o “che hai che non va?”. All’epoca pensava che queste domande gli dessero fastidio, ma ora si accorgeva che tutto questo aveva un senso, che era giusto. Razionalmente poteva essere un fastidio, ma emotivamente c’era la consapevolezza che a qualcuno importasse di lui.
“Una volta non mi serviva tutto questo.” Sussurrò, portandosi una mano alla fronte. Le sue labbra si piegarono contro la sua volontà e gli scappò un risolino nervoso. “Dei, che razza di creatura sono diventato?”
Dos doera natha xsa’us darthiiri. Rispose una voce nella sua mente. Era la voce di un altro ricordo, la voce di un suo vecchio amico, ora non più amico. Sei diventato un maledetto darthiiri.
Con quale astio An’drar l’aveva detto! Ma Daren si ripeté quelle parole con incredulità e quasi un’ombra di divertimento.
Dannazione a me. Se il problema è tutto qui, non devo fare altro che ignorarlo. Tanto, che altro posso fare? Non posso tornare indietro, posso solo andare avanti, e c’è ancora della gente da riportare a casa.

Nonostante le buone intenzioni, quando la comitiva raggiunse il luogo dove si erano accampati all’andata, Daren insisté per fermarsi. Approfittò di quel fiumiciattolo per lavarsi a lungo e con insistenza. L’acqua gelida gli fece presto perdere sensibilità, ma era una buona cosa: non sarebbe uscito finché la sua pelle non avesse dimenticato la sensazione di centinaia di ragni le sciamavano addosso.

           

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Capitolo 31
*** 1363 DR: La maledizione ***


1363 DR: La maledizione


Avevano camminato per più di due settimane per arrivare dall’Undermountain a Ch’Chitl, e ora ci avrebbero messo quasi il doppio; il fatto che conoscessero la strada era un grande aiuto, ma una carovana si muove sempre più lentamente di un singolo avventuriero, anche se si tratta di una carovana senza bambini o anziani. C’era sempre qualcuno che si feriva, si perdeva o si incastrava da qualche parte.
Daren aveva scoperto che i suoi limitati poteri non erano sufficienti a dissolvere la maledizione dell’illithilich, vuoi perché si trattava di magia psionica anziché arcana, vuoi perché il loro nemico era un incantatore decisamente più esperto. Aveva fatto quell’esperimento in segreto, su sé stesso, perché temeva quel risultato; e ovviamente non aveva detto nulla a Lizy. L’aranea era già abbastanza pessimista così.

Un giorno, al termine di una lunga marcia e mentre tutti si stavano sistemando in una grotta laterale per dormire, il drow si propose per fare il primo turno di guardia.
“Questa grotta ha un solo ingresso, è facile da difendere. A proposito, bel lavoro Lizy, trovare un posto come questo è stato un bene per tutti.”
Un ragno non può essere molto espressivo, nemmeno volendo, quindi Lizy manifestò il suo stupore attraverso il tono di voce: “Mi stai facendo un complimento?”
“Te lo meriti, no? Sai quanto do importanza a questo tipo di cose.” Ammise lui, chiaramente di buon umore. “Riposati, ora. È stata una lunga marcia oggi e ci siamo fermati a malapena.”
Quell’improvvisa generosità continuava a sembrare strana a Lizy, ma era vero che si sentiva molto stanca. E poi, che motivo aveva l’elfo scuro di raggirarla? Avevano portato a compimento una missione difficile e pericolosa, per mutuo beneficio, e tutto andava bene.
Lizy si ritirò in un angolo e cominciò a tessere una ragnatela su cui andare a dormire.

Daren attese finché non fu certo che tutti i suoi compagni di viaggio fossero immersi nel sonno. Fare la guardia si stava rivelando un compito noioso e inutile, e lui pregò che continuasse ad essere così. Aveva altre cose per la mente.
Non avrò un’altra occasione. Non troveremo più una sistemazione come questa, che mi permetta di fare la guardia da solo mentre tutti gli altri dormono.
Andò a piantonare la soglia dell’antro, dove la caverna si restringeva fino a diventare galleria. Cercò di rilassarsi. Da molto tempo teneva in piedi barriere costruite con la rabbia e il risentimento, era giunto il tempo di liberarsene.
Doveva pregare.
Non era semplice. Dal concepimento di sua figlia, aveva perso qualcosa del suo rapporto con la divinità; non la fede, ma la fiducia. Il senso di tradimento gli aveva fatto erigere quei muri, e ora non era semplice farli cadere per chiedere un favore. Il poco orgoglio che aveva si stava ribellando al pensiero.
Ma non tutto poteva girare intorno a lui, e lo sapeva. Nell’Undermountain nessuno avrebbe rimosso una maledizione del genere a decine di persone, anche per non attirare l’attenzione del potente mago malvagio Halaster Neromanto, e a Skullport la magia era scoraggiata se non proibita.
Non so se sono pronto a riallacciare i rapporti con te, e non so nemmeno se tu lo desideri. Cominciò, parlando nella sua mente alla sua Dea. Non so come prenderai il fatto che mi rifaccio vivo solo perché ho bisogno di qualcosa, ma…
Il suo flusso di pensieri si interruppe, perché la sua mente venne avvolta e invasa da una sensazione di calore. Non era un calore brutto, era… confortante. Daren stava provando una sensazione di malinconia e benessere insieme, quello che si prova quando si torna a casa dopo molto tempo.
Oh, andiamo… sei proprio una barda. Pensò, con un sorriso amaro. Capace di affascinare. Non mi hai mai voltato le spalle, io l’ho fatto. È questo che vuoi dirmi? Che posso tornare quando voglio?
La sensazione permase, questa volta il drow percepì chiaramente un moto emotivo simile alla soddisfazione e all’affetto.
Non prendermi in giro. Sei una Dea, hai troppe cose a cui pensare per amare davvero i mortali. Forse credi di amarci, ma non è vero. L’amore di un Dio è come il sole. Se si concentrasse su una sola persona, la farebbe bruciare.
Non siamo altro che pedine per te, anche se capisco questa cosa del bene superiore.

Prese un respiro profondo, e un po’ alla volta decostruì un altro pezzo della sua barriera.
Non me ne sono mai andato, Signora. Sono ancora il tuo servitore. Il mio cuore è ancora tuo, ma non signifca che mi fidi di te. Non per la mia vita. Per il destino del mondo sì, ma per la mia piccola vita no. Devo capire qual è il mio posto, come mortale e come drow. Sono successe troppe cose di recente e devo poter pensare lucidamente, per questo non sono pronto a far tornare le cose… come prima.
Mi serve tempo.
Ma mi serve anche un favore. Questa volta è per il bene superiore di noi mortali. Una faccenda minore per te, ma per me ora è vitale.
Percepì che da parte della sua divinità c’era interesse, forse bendisposizione.
Mi hai detto tu che i tuoi seguaci devono prestare aiuto alla gente.
Evidentemente era la cosa giusta da dire.
Daren avvertì un improvviso capogiro, così forte che dovette appoggiarsi alla parete per non cadere. La sensazione era quella di essere presi e rivoltati all’indietro all’interno della propria testa. Il capogiro era accompagnato da un senso di nausea, come se fosse stato in piedi sul ponte di una nave, e un momento dopo... era diventato uno spettatore all’interno del suo corpo.
La possessione era proprio come la ricordava; come se la sua coscienza non avesse la forza di estendersi fino agli arti e alla pelle, come se tutto lo spazio del suo corpo fosse invaso da un’energia bruciante e accecante che separava il suo io pensante da tutto quello che aveva sempre considerato suo. Cercare di riprendere il controllo del suo corpo sarebbe stato come cercare di indossare un’armatura incandescente. La possessione non causava dolore di per sé, ma sentiva che la sua essenza vitale veniva consumata dal contatto prolungato con quella cosa, con quell’entità. Lottare contro quell’intrusione sarebbe stato il suo primo istinto, ma avrebbe solo peggiorato le cose, quindi si sforzò di calmarsi e lasciò che l’entità prendesse il controllo.
Non dovrebbe essere così. Il pensiero attraversò la mente di Daren, ma non era un pensiero suo. Per una sacerdotessa non sarebbe così. Riuscirebbe ad agire in concerto con me, anziché farsi solo usare.
L’entità costrinse le labbra del drow a muoversi, agitò le mani del corpo ospite per completare l’incantesimo. Non appena ebbe finito di sussurrare quella litania, un’ondata di energia argentea scaturì da loro illuminando la caverna. Non era stata una cosa eccessivamente scenografica, solo una specie di nebbia che si spandeva in circolo e svaniva poco dopo, ma toccò ogni singolo essere vivente nella grotta prima di scomparire discretamente.
Il drow percepì che quell’altra coscienza si ritraeva, lasciandogli di nuovo il controllo del suo corpo. La separazione non era meno traumatica della possessione.

Quindi è così che si sente un guanto, quando qualcuno sfila la mano. Immaginò, appoggiandosi ancora alla parete di pietra per fermare la sensazione che il pavimento stesse ondeggiando. Non riusciva a trovare un paragone più calzante.
Mosse un passo in avanti, esitante. La sensazione di rollio non voleva passare, e la sua mente si stava oscurando. Doveva raggiungere uno dei suoi compagni, uno qualsiasi, prima di…
L’elfo scuro riuscì a raggiungere il desmodu più vicino e a svegliarlo, più o meno. I suoi sensi erano offuscati e le gambe cominciavano a non rispondergli più. Inciampò in un sasso e cadde a peso morto sul desmodu, che si svegliò di colpo in allarme.

Sulle prime, il desmodu pensò che un nemico lo stesse attaccando, e si alzò in tutta fretta dando uno spintone al corpo inerme dell’elfo scuro. Quando però si accorse che Daren era svenuto e che le sue armi erano ancora inguainate, decise che qualcosa doveva averlo attaccato, forse proprio un illithid, visto che il drow era privo di sensi ma non sembrava avere ferite fisiche.
Il desmodu lanciò l’allarme, svegliando tutti e mettendo in grande agitazione i suoi compagni.
Tuyy prese subito il controllo della situazione e andò a verificare se ci fosse qualcuno nella galleria, Lizy si nascose nelle ombre al meglio delle sue possibilità.
Dopo molti interminabili secondi, i desmodu cominciarono a calmarsi un po’, ma l’intera grotta era pervasa da una sensazione di paura e di attesa: qualcuno stava per attaccarli?
Alla fine, con molta cautela, dopo aver esplorato ogni anfratto della grotta e della galleria che riportava ai cunicoli principali, Tuyy e gli altri ammisero che probabilmente non c’erano pericoli immediati.
Perfino Lizy uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò a Daren per controllare cosa fosse successo. Il suoi sensi di ragno non erano come quelli umani, non poteva tastargli il polso per capire se ci fosse battito, ma il suo corpo era ricoperto di peluria, come tutti i ragni, e quella peluria ultra-sensibile percepiva i movimenti dell’aria e i suoni; Daren stava ancora respirando, ne era certa.
“Guardiana-ragno.” La chiamò uno dei desmodu. “Cosa è successo al nemico?”
Lizy fece schioccare i cheliceri, incredula. “E io come faccio a saperlo? Voi non avete trovato nemici?”
Tuyy si avvicinò ai suoi vecchi compagni di viaggio, scuotendo la testa. “Vryyn dice cosa successo a Guardiano drow.” Spiegò.
“Ah, lui. Non lo so, buon Vryyn, so che è vivo ma non so perché sia privo di sensi… svenuto.” Si corresse, vedendo che il desmodu stava facendo fatica a seguirla.
“Forse è malato. Se è malato, fa malati tutti noialtri.” Ipotizzò il desmodu, nervosamente.
Il desmodu solitamente non hanno chierici, quindi non vivono serenamente la possibilità di ammalarsi.
Il quel momento Lizy notò una cosa. Si sentiva… normale. Per la prima volta da giorni, poteva muoversi come se non fosse più immersa nella melassa. All’inizio non se n’era accorta, perché essere normali non è una cosa di cui ci si accorge facilmente, ma era una sensazione incredibilmente liberatoria.
“Forse ho capito. Non è malato.” Si affrettò a dire, per tranquillizzare i suoi scaramantici compagni. “La maledizione dell’alhoon ha avuto termine. Il drow è svenuto proprio ora, è una strana coincidenza. Forse l’alhoon lo odiava così tanto che ha fatto in modo che, quando fosse finita questa maledizione, il drow sarebbe svenuto.” Buttò lì, perché le sembrava l’unica spiegazione. “Come una… maledizione nella maledizione.”
Il desmodu la guardò senza capire.
Lizy ripetè tutto più lentamente, con parole più semplici. Alla fine, grazie all’intuito di Tuyy per le cose spirituali e la maggior comprensione del Sottocomune di altri desmodu, riuscirono a capirsi e presero per buona quella teoria.
“Guardiano-nemico è molto sfortunato.” Mormorò un desmodu.
“Speriamo non attacca la sfortuna a noi.” Disse un altro, poi fece un curioso gesto scaramantico mettendosi le mani aperte sulla punta delle orecchie. Altri desmodu lo imitarono.
Tuyy gridò qualcosa nella lingua desmodu, e qualunque cosa avesse detto sembrò rimettere gli altri in riga. Si sistemarono nuovamente per riposare, decidendo dei nuovi turni di guardia.

Il giorno dopo, il drow non si era ancora svegliato e i desmodu decisero di portarselo dietro di peso. Non erano entusiasti della cosa, nessuno si sentiva al sicuro dovendo trasportare un infido drow sulle spalle, quindi Lizy prese in custodia le sue armi giusto per sicurezza.
Tuyy ricordava la strada, quindi procedettero senza problemi per tutto il giorno.
Quando si fermarono di nuovo per riposare, finalmente Daren si svegliò.
“Oh, buongiorno. Sorgi e brilla, non si usa dire così?” Lo salutò Lizy, zampettandogli intorno.
Daren si alzò a sedere, massaggiandosi la testa con una mano.
“Forse lo dicono quei…” mugungò una definizione irripetibile “...dei preti di Lathander. Per un drow è una bestemmia.”
Lizy avrebbe fischiato, se avesse avuto le labbra. “Mi sembra che tu ti sia ripreso alla grande.”
Daren sbattè gli occhi un paio di volte.
“Puzzo di desmodu.” Fu il suo unico commento. “Non vedo come potrei stare alla grande.”
Lizy ridacchiò. La risata di un ragno era un suono raccapricciante, per il drow.
“Smetti di lamentarti. In un primo momento hanno pensato tutti che fossi morto! La cosa ci ha messi in una posizione difficile…”
“Da qui sapete tornare nell’Undermountain anche senza di me.” Ribattè il drow. “Sono sorpreso che mi abbiate portato con voi, a dirla tutta.”
“Sì beh. Tuyy.” Spiegò Lizy, con inflessione neutra. Non c’era bisogno di specificare altro.
Urgh. Un debito con il pipistrello. Ci mancava questo. Pensò Daren, facendo una smorfia. Se solo fossi riuscito a mantenere il controllo e a non perdere i sensi.
Magari questo non lo racconto a Dee Dee.


C’era ancora tempo, però, per decidere cosa raccontare a Dee Dee e cosa no. Prima di tornare a riprendere la ragazza, Daren doveva andare a Skullport con Lizy ed entrambi dovevano scrivere il loro rapporto. L’elfo scuro era certo che avrebbero ricevuto un premio extra, o addirittura un aumento di stipendio, per quell’avventura.
Certamente un aumento di stipendio sarebbe stata una scommessa interessante per i loro datori di lavoro: non si sa mai quanto a lungo possa vivere un Guardiano.


*********************
Nota: a questo punto della storia, se avete letto l'altra mia storia Jolly Advendures - Le allegre avventure di Johel e Holly, dovreste aver riconosciuto la maledizione di Daren come "parente" della maledizione di Nenshalee Yril'Lysaer, come descritta nel capitolo Radici (Parte 7) - ovvero Atto sesto: il sangue della progenie oscura.
Lo stesso Holly afferma di soffrire ancora della maledizione più di quanto sarebbe lecito aspettarsi dopo quasi ventimila anni, nel capitolo Epilogo (Parte 8) - ovvero Quando tua nonna morta ti sblocca l'archetipo "damigella in difficoltà", anche se la maledizione si è molto indebolita dall'epoca di Nenshalee, e in verità già nel capitolo 1, La comparsa dello Spirito Agrifoglio, Johel chiede all'amico se "lei" lo ha posseduto e se non è troppo pericoloso.
A questo punto dovreste avere tutti gli elementi per fare due più due, se già non l'avete fatto da tempo, ma voglio lasciarvi con il mio homebrew della maledizione Marchio della Progenie Oscura così come si presenta nel 1372/73 DR (epoca 3.0/3.5 per intenderci), visionabile qui.

           

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Capitolo 32
*** 1363 DR: Amicizia condizionata ***


1363 DR: Amicizia condizionata


“Cosa scriviamo nei nostri rapporti?” Domandò Lizy sottovoce, picchiettando la punta della piuma contro un foglio di pergamena immacolato. “Quanto è bene essere sinceri?”
Anche con il suo fine udito da elfo, Daren dovette sforzarsi per sentirla, al di sopra del caos della taverna. Erano in una saletta privata, come quando avevano disegnato le mappe, ma quel giorno la folla di avventori stava facendo del suo peggio.
Quella di Lizy era una buona domanda, ed era una questione su cui l’elfo scuro aveva riflettuto a lungo, quindi espose all’aranea il suo punto di vista:
“Io scriverei tutto quanto, facendo passare la cosa come se fosse stata una tua idea con la mia collaborazione, anziché il contrario. Eccetto che non occorre parlare di Dee Dee, né dei gloura, non vorrei che qualcuno qui in città decidesse di volerli come schiavi.”
“E Tuyy? Cosa scriviamo di lui?”
Daren si strinse nelle spalle. “Scriverei solo che abbiamo reclutato un esploratore desmodu per rintracciare i suoi compagni. Non è una buona idea rivelare che i desmodu hanno un così buon guerriero. È il tipo di informazione che genera paranoie come Porca miseria, i desmodu hanno un capo forte e carismatico, potrebbero ribellarsi, dobbiamo toglierlo di mezzo.”
Lizy non sembrava preoccupata all’idea. Anzi, aveva incrociato le braccia sul tavolo e guardava il suo collega con un sorrisetto ironico.
“Ah, quindi Tuyy è un grande guerriero.”
“Per gli standard dei desmodu.” Specificò Daren.
“Un capo carismatico!” Lo punzecchiò lei.
“È così che Skullport lo vedrebbe!” Insistè il drow.
“Sarà felice di sapere che hai una così alta opinione di lui.” Continuo a provocarlo lei.
“Ti taglio la gola nel sonno?” Sbottò il drow.
Lizy allargò le braccia e gli rivolse un sorriso di scuse, capendo che non doveva pressarlo troppo.
“Cosa ne dici se scrivi tu il tuo rapporto, e poi io vedo cosa hai scritto e stendo il mio?” Suggerì all’elfo scuro. “Così saremo certi di scrivere due versioni coerenti.”
“O così o vice versa, una cosa vale l'altra.” Approvò lui. Intinse il suo pennino nell'inchiostro e cominciò a scrivere.

Prima di depositare i rapporti, Daren volle andare a recuperare i disegni e le planimetrie della città degli illithid; ormai loro avrebbero dovuto già aver cambiato la disposizione delle loro difese e forse anche la conformazione cittadina vera e propria, quindi non c'era nulla di male a depositare quei documenti specificando che erano documentazione obsoleta e allegata solo allo scopo di confermare la loro versione dei fatti. Se poi qualche idiota avesse voluto utilizzare quelle mappe per qualcosa di diverso da scopi accademici, il problema sarebbe stato solo suo.
Questa volta Daren non incontrò persone sgradite nel tempio della sua Dea, e non dovette fare conversazione con nessuno. Per un momento considerò di raccontare a Qilué dell'inizio di ravvicinamento che aveva avuto con la loro Dea, ma poi decise che erano solo affari suoi. Forse la Signora aveva deciso di riferirlo alla sua sacerdotessa prediletta, ma a Daren non importava di farlo e non gli importava che Qilué lo sapesse. Le disse solo che la missione era andata a buon fine.
Una volta di nuovo in possesso delle mappe ebbe cura di scrivere su ogni foglio che si trattava di informazioni non aggiornate e che avrebbero potuto essere cambiate nel frattempo. Dove nei titoli c'era scritto Ch’Chitl, aggiunse la specifica fino al mese di Marphenot dell’anno della Viverna.

Prima di sera Daren e Lizy avevano consegnato i loro rapporti al funzionario di turno, al piano superiore della sede della Compagnia della Guardia. La loro versione era abbastanza vicina alla verità da superare con successo gli incantesimi di divinazione di routine.
“Torniamo giù, adesso?” Propose il drow. “Oppure le nostre strade si separano qui?”
Lizy scosse la testa, pronta a ribattere con la sua controproposta.
“Sono stanca dal viaggio, e noi due abbiamo affrontato una missione degna di questo nome. Voglio dormire in un letto vero stanotte, e magari prima passare la serata in taverna. Vuoi unirti a me? In taverna intendo, non a letto.”
“Perché no?” Riflettè lui. “Saranno almeno due mesi che non tocco alcol e lo sanno gli Dei se non ne ho bisogno. E sappi che avrei accettato solo la taverna comunque.”
L’invito di Lizy gli sembrava un po’ strano, dopotutto il viaggio non li aveva resi grandi amici e lui ancora non apprezzava certi tratti caratteriali dell’aranea. Però non pensava nemmeno che lei rappresentasse un pericolo, quindi quel suo dubbio accendeva solo la sua curiosità.

Andarono a bere in un locale incastrato nell’angolo nordoccidentale del livello inferiore della città, nel quartiere del porto. In quella zona c’erano solo magazzini delle piccole o grandi compagnie commerciali, oppure dei negozi che sorgevano ai piani superiori dove la città era meglio frequentata. Il porto era un quartiere povero, vi bazzicavano soprattutto i servitori dei mercanti che arrivavano in città e gli avventurieri spiantati. Un tempo c’erano anche più avventori provenienti dalla Superficie, ma dopo la chiusura dei commerci con il porto clandestino di Waterdeep quella particolare clientela non si vedeva più.
Il locale si chiamava Questers’ Club, forse un rimando al fatto che i suoi frequentatori erano soprattutto avventurieri. Eppure, all’interno non era affatto come Lizy se l’era aspettato. I locali per avventurieri tendevano a essere neutri nell'arredamento, per venire incontro ai gusti più disparati e non indisporre nessuno. Il Questers’ Club aveva invece un tocco molto personale e coraggioso. Anziché molti piccoli tavoli tondi o quadrati, come tutte le taverne, aveva lunghe tavolate con panche altrettanto lunghe, come un refettorio. I tavoli erano molto larghi; se qualcuno voleva parlare con un compagno di viaggio, anziché uno di fronte all’altro avrebbero dovuto sedersi uno di fianco all’altro, perché era impossibile udirsi da una parte all’altra del tavolo, visto il baccano che c’era. Questo, in qualche modo, garantiva un po’ di privacy, ma faceva anche in modo che nessuno potesse sedersi e starsene completamente solo.
Il baccano non era dovuto solo al chiacchiericcio degli avventori, ma soprattutto alla musica, se si poteva chiamare musica. Una donnina graziosa stava intonando una canzone dal palco in fondo alla sala. Era un’umana vestita di abiti sgargianti, con improbabili capelli di un azzurro argenteo e un fisico a clessidra che l'avrebbe resa interessante… se non fosse stata trasparente. Lizy la fissò imbambolata per alcuni secondi.
La creatura si lanciò in una serie di gorgheggi arditi, che solo una voce ultraterrena avrebbe potuto sostenere.
“È… una banshee?” Balbettò l’aranea, paralizzata sul posto.
“Come?” Daren dovette gridare per farsi sentire al di sopra della musica. “Devi parlare più forte!”
“Ti ho chiesto se è una banshee” ripetè Lizy, prendendo coraggio.
“Non essere sciocca!” La rimbrottò Daren. Lui parlava ad alta voce, ma Lizy faceva comunque fatica a sentirlo. “Le banshee urlano, ma non cantano così bene. Yrga è una cantora spettrale. Non sapevo che fosse qui in tournée.”
Uno degli altri avventori si girò verso di loro e fece cenno a Daren di tacere. Da dietro sembrava una persona normale, ma quando si girò a guardarli, Lizy vide che aveva gli occhi rossi come braci e tre minuscole corna appena sotto l’attaccatura dei capelli. La ragazza sussultò e si guardò intorno, chiedendosi che tipo di clientela frequentasse quel posto. All’inizio non ci aveva fatto caso, ma molti di loro avevano fattezze spaventose, che suggerivano un’origine diabolica o una natura mostruosa. C’erano alcuni umani, ma erano una sparuta minoranza. L’oste era un mezzodrow così vecchio da apparire decrepito, e Lizy si chiese se non fosse morto anche lui. Un mezzorco che sicuramente aveva un po’ di sangue draconico in corpo stava servendo pietanze sconosciute alla gente seduta ai tavoli. La cantora spettrale gorgheggiò le note finali della sua canzone dal tono epico e drammatico. Nel silenzio rapito che seguì, l’aranea comprese che la sala era ancora affascinata dalla sua musica. Poi cominciarono a scrosciare applausi, e Lizy scelse quel momento per lasciarsi cadere su uno sgabello al bancone.
“In che razza di posto mi hai portata?” Domandò, reggendosi al bancone con una mano come se avesse paura di cadere.
“Stai tranquilla, Yrga è in grado di controllare la sua voce. Potrebbe controllarci la mente con la sua musica, ma sceglie di non farlo.”
Lizy guardò il drow come se fosse pazzo.
“Ti sentiresti più tranquilla se ti dicessi che a quest’ora lo spettacolo finisce?”
“Sì, diamine, sì, mi sento molto più tranquilla.” Poi abbassò la voce. “Anche perché vorrei parlarti.”
Il drow sollevò le sopracciglia, senza nascondere il suo stupore. Dunque i suoi dubbi erano leciti: c’era un motivo dietro lo strano invito di Lizy.

Presero posto in un angolo del tavolone centrale, vicino al palco ormai vuoto. Lizy ordinò una cena abbondante, il primo pasto caldo e decente da settimane. Daren aveva sempre con sé il suo anello del sostentamento e non necessitava di mangiare, ma prese un boccale di birra nanica perché nessuna magia può sostituire l’alcol.
“Allora, di cosa volevi parlarmi?”
“Non è che dobbiamo per forza parlarne adesso. Magari quando sarai alla seconda o alla terza birra.”
“Sono un drow e non ho motivo di ubriacarmi. Non ci sarà una seconda birra.” Le anticipò Daren.
“Oh, va bene, allora.” Lizy cedette alle sue insistenze. “Volevo parlarti di quella ragazza che viaggia con te, quella… Dee Dee.”
Daren corrugò la fronte, sorpreso. Era l’ultimo argomento a cui avrebbe mai pensato. Incuriosito, fece cenno a Lizy di continuare.
“Lei è molto giovane.” Cominciò l’aranea. “E mi sembra determinata a voler vivere a Skullport.”
“Tremendamente determinata.” Confermò lui.
“Tu invece non vivi a Skullport, voglio dire, per la maggior parte del tempo non ci vivi.” Continuò Lizy, ma all’elfo scuro sembrava che stesse girando intorno al punto della questione senza troppa fretta di arrivarci.
“Ci passo con una certa frequenza, ma non capisco questo cosa c’entri, io e Dee Dee viaggiamo insieme solo temporaneamente. Finché non avrà imparato a cavarsela.”
“Sì, infatti.” Lizy si umettò le labbra. “Allora, non prenderla nel verso sbagliato… io vi ho visti insieme solo per poche ore ma ho visto il modo in cui ti rivolgi a lei, il fatto che le hai comprato dei vestiti nuovi perché non aveva un cambio, e le hai cercato un posto sicuro anziché portarla a Ch’Chitl. Se lei fosse… stavo solo pensando, lei vuole vivere a Skullport, ma non conosce la città. Se lei fosse mia figlia, vorrei che imparasse a cadere fintanto che ha ancora una rete di sicurezza.”

Daren guardò la biondina per alcuni interminabili secondi, del tutto a corto di parole. Il chiacchiericcio della taverna sembrò sfocare in lontananza, riusciva ad udire solo il sordo rimbombo del suo sangue che pompava nei padiglioni auricolari. Fu assalito da una sensazione di capogiro e di nausea, come se stesse… avendo un attacco di panico, ma questo ovviamente non era possibile.
Che cosa diamine aveva appena detto l’aranea?
E che cos’era a scatenargli quella reazione di rigetto?
Il fatto che Lizy avesse appena implicato l’esistenza di un rapporto affettivo fra il drow e la sua giovane allieva, di sicuro. Ma anche quello che Lizy gli aveva suggerito di fare.
Sono così trasparente? Si domandò, vagliando con la mente le terrificanti implicazioni della cosa. Quale pericolo potrei attirare su quella ragazzina, se mostrassi che il suo futuro non mi è indifferente? Se vivrà a Skullport si farà dei nemici, è inevitabile, non posso caricarla anche dei miei. E che cosa dovrei fare per prepararla a questo? Per prepararla a Skullport?
Purtroppo, in realtà lo sapeva.
“È… è troppo presto.” Si costrinse a dire, ingoiando il nodo che sentiva in gola.
La sua affermazione sapeva di pallida scusa, e per qualche secondo la sua compagna di bevute non seppe come rispondere.
“Come dici tu.” Lizy distolse lo sguardo, non desiderando premere oltre sull’argomento. Poi si azzardò ad aggiungere: “Purché non diventi troppo tardi.”
Il drow si sentì avvampare di rabbia a questa risposta supponente.
“È troppo presto perché prima deve imparare a combattere.” Specificò, fulminando Lizy con lo sguardo. “Ed è troppo presto perché ancora non si fida di me.”
L’aranea spalancò la bocca in un poco elegante “oh” di stupore.
“Ci avevi già pensato, allora?”
Questa volta fu il drow a distogliere lo sguardo. “Certo. Conosco Skullport e conosco me stesso. So che sono in grado di insegnarle… anche questo. Qualunque sia il costo. Quello che non so ancora, è se lei sarà abbastanza forte.” Sospirò. “Ma hai ragione tu. È meglio scoprirlo in una situazione di sicurezza.” Poi Daren si sporse verso l’aranea, con fare cospiratorio, per sussurrarle all’orecchio: “Ma nel caso in cui ti venisse in mente di parlare con altri della cosa, così come ora ne hai parlato con me… chiediti prima se ti sembra che io dia più valore alla sua vita, o alla tua.” Allontanò il viso da quello di Lizy, notando con soddisfazione che lei era diventata ancora più pallida del solito. Lui era pur sempre un drow, dopotutto. Incatenò lo sguardo della donna nel suo e le dedicò un sorriso che non aveva nulla di allegro. “Sarebbe un peccato se la nostra amicizia dovesse finire ancora prima di iniziare.”

           

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Capitolo 33
*** 1363 DR: Non avere una casa, ma tornarci comunque ***


1363 DR: Non avere una casa, ma tornarci comunque


Lizy e Daren rimasero a Skullport per quella che poteva essere la loro ultima notte di sonno in due letti veri, prima di tornare ad avventurarsi nel dungeon, ognuno per la sua strada.
Il mattino dopo, di buon’ora, tornarono alla sede della compagnia mercantile in cui c’era una botola che portava direttamente al livello delle fattorie, dove vivevano i desmodu e molti altri servi che coltivavano e raccoglievano il cibo.
“Non credo che ti permetteranno di salire per questa via insieme a Dee Dee” notò l’aranea, mentre precedeva il drow nella discesa quasi verticale.
“Non importa, faremo il giro lungo.” Anticipò lui, riferendosi alla strada che avevano percorso il giorno prima; arrivando da Ch’Chitl ad un certo punto il gruppo si era separato ad un bivio; Lizy e Daren avevano deciso di proseguire verso il terzo livello dell’Undermountain, mentre i desmodu avevano preso la galleria in leggera discesa che portava al quarto livello. “Non le farà male, esplorare un po’ il vero Buio Profondo.”
Arrivarono ad un punto di quel camino naturale in cui il cunicolo si allargava un pochino e si piegava in una discesa più dolce, quasi orizzontale. Era un breve tratto, ma permetteva di riposarsi un poco.
“Perché lei?” Chiese Lizy di punto in bianco. Dalla sera prima era rosa dalla curiosità.
“Perché, chi? Cosa?” Il drow la raggiunse su quel piccolo spiazzo e le rivolse un’occhiata perplessa.
“Parlo della dhampir. Perché viaggi con lei? Chi te lo fa fare? Mi dai l’impressione di essere un solitario, insomma, non fai parte di quel… gruppo… dei tuoi concittadini, poi mi hai detto che uccidi ma non per conto di qualcuno, non hai mai fatto menzione di avere né amici, né partner di lavoro, né un gruppo a cui fare riferimento… e per carità, sono affari tuoi e rispetto la tua indipendenza, ma quindi perché lei?”
“Questi invece sono affari tuoi?”
“Hai minacciato la mia vita se avessi parlato a qualcuno di lei, quindi scusa se mi sento coinvolta.” Ribattè Lizy, offesa.
Daren scrollò le spalle, approfittandone per far riposare un po’ le braccia.
“Le sto insegnando a sopravvivere, quindi per il momento è sotto la mia responsabilità.”
“E perché?”
“Che piattola. Perché me lo ha chiesto, se proprio vuoi saperlo.”
Lizy non riuscì a nascondere un’espressione sorpresa e un po’ delusa.
“Ah. Tutto qui? Te lo ha chiesto. Mi immaginavo qualcosa di più… grosso.” Tentò, agitando una mano nell’aria.
Il drow inarcò un sopracciglio.
Lizy ci riprovò, rifiutando di fare la figura della stupida: “Sai, come… che foste accomunati da un segreto terribile, o che doveste collaborare per una missione segreta, o che almeno c’entrasse un patto con una creatura sovrannaturale.”
Daren mantenne l’espressione perplessa e rincarò con uno sguardo che esprimeva pietà.
“E secondo te, una qualunque di queste cose è più inusuale di un’avventuriera che chiede a qualcuno di insegnarle a fare l’avventuriera?”
Lizy fece per rispondere, ma scoprì di non avere una risposta. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, considerando l’obiezione dell’elfo scuro.
Sembrava una sciocchezza, una cosa da niente, ma in effetti non aveva mai visto o sentito di un avventuriero che chiedesse a qualcuno di insegnargli qualcosa.
“Per la miseria.” Bisbigliò alla fine. “Dove l’hai presa? Ne voglio una anch’io.”
Daren rise brevemente. “Non dirlo, è una rottura di scatole!”
“Non lo pensi davvero. Uno che se ne sta sempre per conto suo, si fa carico di qualcun altro? Si vede che è un balsamo per il tuo ego.”
Daren sospirò e le rivolse un ghignetto strafottente. “Pensala come vuoi. Certo, il drow è così pieno di sé che se potesse scopare con uno specchio lo farebbe. A me sta bene se lo pensi. Non posso nemmeno negarlo.” Continuò, con un sorriso che sapeva di resa. “Ma io non voglio appartenere ad un gruppo né uccidere su commissione perché le mie azioni sono una mia responsabilità, non di qualcun altro. Non deve valere necessariamente in entrambi i sensi, ti pare?”
Lizy riprese la discesa, pensando in silenzio a quello scambio di battute. Certo, non doveva necessariamente funzionare in entrambi i sensi, ma di solito era così. Nessuno a cui affibbiare la responsabilità, ma anche nessuno di cui prendersi carico. Alla fine della discesa, quando toccarono terra al quarto livello, si decise a fare al drow quella domanda che le premeva in testa da un po’:
“Sul serio, faresti sesso con uno specchio?”
“È solo un modo di dire, iblith.” Rispose secco, rivolgendole un insulto che in lingua drow significava escremento, ma anche persona non-drow.
Certo che farei metaforicamente sesso con uno specchio. Pensò il drow, mantenendo i tratti del viso impassibili e rilassati. Ma sarebbe una cosa senza sentimento.

Dee Dee aveva raccolto tutti i suoi averi, ma non aveva uno zaino in cui metterli. Quindi aveva fatto un fagotto e aveva legato il tutto con le stringhe che usava per tenere i suoi vecchi stivali aderenti alle gambe. Quegli stivali ormai erano da buttare, dopo settimane nell’Undermountain e fin troppo spesso anche nelle fogne. Avevano camminato su troppe melme e trappole e avevano fatto troppi bagni nell’acqua putrida, per essere ancora utilizzabili. Però aveva tenuto le stringhe, perché una delle prime cose che aveva imparato era che un’avventuriera non possiede mai abbastanza cordame. Che fosse per diminuire la circolazione sanguigna in un arto ferito, per una riparazione di fortuna allo zaino o alla tenda, o per strangolare qualcuno, le fascette di cuoio o di tessuto resistente erano una manna dal cielo.
'Non puoi fare sempre conto sulla tua capacità sovrannaturale di guarire rapidamente,' le aveva detto Daren all’inizio del suo addestramento, 'un giorno potresti perdere questa caratteristica, o potresti viaggiare insieme a una persona normale che non guarisce da sola per magia. Impara come funziona il corpo delle creature come elfi o umani: una volta che sai come funziona, lo puoi aggiustare o lo puoi rompere.'
Dee Dee aveva fatto tesoro di queste informazioni, perché su una cosa era sostanzialmente d’accordo con lui: rompere un corpo è molto facile, ma aggiustarlo, quella è una vera sfida.
Aveva deciso di tenere anche i suoi vecchi vestiti, più o meno per lo stesso motivo: una volta lavati con cura potevano diventare delle buone bende di recupero. Non tutti possono permettersi il lusso di avere un kit con gli strumenti giusti per il primo soccorso. Dee Dee non aveva molti soldi suoi, e comunque non aveva un posto dove spenderli.
Quindi ora se ne stava lì, con il suo fagotto di vecchi vestiti e con i pochi altri averi che possedeva, seduta su una stalagmite in compagnia di Tuyy. Aspettava che il drow tornasse a prenderla, ma non si sarebbe stupita poi molto se lui avesse deciso di non farsi vedere. Certo, avevano un accordo, ma lui avrebbe potuto scegliere di disattenderlo oppure avrebbe potuto lanciarle una sfida costringendola a cercare di tornare da sola al primo livello del Dungeon. Francamente, Dee Dee non si sentiva in grado di affrontare una simile prova da sola, non credeva di essere pronta. Se il suo compagno d'avventura aveva deciso diversamente, un po' questo la lusingava, ma soprattutto la terrorizzava.
Per fortuna, il drow non aveva simili aspettative su di lei. Quando ormai la dhampir credeva di essere stata piantata in asso, cominciò a sentire delle voci in lontananza; voci che le sembrava di conoscere.

“Ma tu non hai capito assolutamente nulla della vita. Qualsiasi cosa è più buona se la friggi.” Stava dicendo una voce femminile e un po’ acuta.
“È questo il problema: una volta che una cosa è fritta, non sai se in origine fosse buona, marcia, o addirittura velenosa. La pastella è la polvere luccicante del cibo.” Rispose la voce maschile.
“No, non puoi paragonare una vile sostanza magica che crea illusioni, con una diretta emanazione dei Piani Celesti come la pastella per friggere.”
Le voci arrivavano attutite e distorte, ma Dee Dee era certa che venissero dalla galleria che portava al fiume.
“Ecco, adesso mi è venuta fame.” Continuò la donna.
“Cosa parlo a fare con te, ho capito che voi aranea mangiate qualsiasi porcheria, anche i goblin morti.”
“Beh? Beh? Tu non mangi cose morte?”
“Sì, ma non cose morte da due settimane! E smetti di parlare di mangiare creature senzienti, che siamo arrivati e spaventi la gente.”
“Ah, io spavento la gente.”
Dee Dee resistette all’impulso di andare incontro ai due, ma si sporse il più possibile per cercare di guardare nella direzione da cui sarebbero arrivati. Tuyy mosse le orecchie, certamente li aveva sentiti, ma non fece commenti.
Poi apparvero, svoltando da dietro un angolo. La caverna si apriva all’improvviso in quel punto, e i due si trovarono nell’accampamento desmodu quasi senza accorgersene.
“Ah, ecco.” Commentò il drow, guardandosi intorno. “Bene allora… arrivederci e speriamo di incontrarci il meno possibile, guardiana della porta inferiore.”
Lizy annuì, senza mostrare troppo dispiacere per quel commiato. “Spero di non vederti più sconfinare qui, guardiano della porta superiore.” Gli fece eco, poi si diresse a passo sicuro verso gli anziani della tribù che si stavano avvicinando.
Daren la guardò allontanarsi per un momento, fece un cenno di saluto agli anziani, poi sondò la caverna con lo sguardo per cercare Dee Dee.

La dhampir fece un cenno con la mano e scese dalla stalagmite. Daren si avvicinò a lei e a Tuyy, senza nascondere la sua sorpresa.
“Ehi. Che fai qui? Pensavo fossi tornato dalla tua tribù.”
“Tuyy aspetta guardiano per dire cose. Intanto Tuyy dice a cucciolo come missione con teste-tentacoli. Missione bene, Tuyy pensa.”
“Sì. Bene… diciamo che non poteva andare meglio di così, ma non significa che sia andata bene.” Il drow non riuscì a contenere un moto di pessimismo.
“Anche Tuyy pensa. Mezza tribù morta. Ma questo prima. Missione andata meglio di come era se non facevamo.”
“E che discorso è…” sibilò Daren, il suo modo per dire e grazie al cazzo, “...qualsiasi cosa è meglio che non fare niente.”
“Poteva che Tuyy e guardiani moriva, e tribù restava in schiava di mostri. Questo peggio.”
Daren sbuffò e scrollò le spalle. “Sì, boh, hai ragione.” Ma vivere senza provare sarebbe davvero stato meglio?, pensò, ma non lo disse. Di sicuro Tuyy la pensava allo stesso modo. “E tu, Dee Dee? Vedo che sei sopravvissuta.”
La ragazza sbattè le palpebre un paio di volte, senza capire.
“Beh, ma certo, che pericoli c’erano qui? Ovvio che fono fopravviffuta.”
Daren annuì, accettando quella spiegazione, anche se non esisteva un luogo completamente sicuro nel Buio Profondo. Se lei percepiva quel luogo come privo di pericoli, o era molto ingenua oppure aveva imparato ad affrontare certe minacce e ormai le riteneva alla sua portata.
Questo si scoprirà col tempo, si disse l’elfo scuro, al momento non c’è fretta.

I tre camminarono in silenzio fino al villaggio un tempo devastato della tribù di Tuyy. Gli schiavi liberati si erano rimpadroniti della loro casa solo il giorno prima, ma da allora si erano dati da fare per liberare la zona dai cadaveri secondo le loro tradizioni funerarie (disporre i corpi in un’altra grotta per concimare i funghi) e ora stavano iniziando a ripulire la caverna dalle infestazioni animali e ad effettuare le prime riparazioni.
“Allora addio, Tuyy.” Lo salutò Dee Dee, porgendogli una mano. Il desmodu non comprese il gesto.
“Tu stai bene anche domani, cucciolo.” Gli rispose invece. Era il modo in cui il suo popolo salutava qualcuno al momento del commiato.
“Io ti devo ancora un favore.” Disse il drow, rivolgendosi al grosso desmodu nella lingua che solo loro parlavano, il celestiale. “Hai insistito tu per riportarmi indietro, giusto?”
“Volevo una missione senza perdite.” Rispose il guerriero, giocherellando con la notbora. “Non mi devi nulla, come io non devo nulla a te per aver organizzato la cosa, guardiano. Ognuno ha fatto il suo lavoro.”
Daren annuì, accettando la sua logica. Era un modo di pensare molto duro e privo di fronzoli, ma lo capiva.
“Allora addio.” Gli disse in sottocomune.
“Tu stai bene anche domani, nemico, ma Tuyy spera non vede più nemici in caverne di desmodu.” Fu l’onesta risposta. “Cosa mette paura a desmodu non-guerrieri.”
E vorrei ben vedere. Si disse Daren, nel rimettersi in cammino con Dee Dee. Poteva sentire gli sguardi dei desmodu sulle loro spalle, mentre seguivano con discrezione la loro uscita di scena. Ah, dov’è uno specchio quando ne ho bisogno…

Daren guidò la sua inesperta compagna di viaggio lungo i cunicoli del Buio Profondo, facendo un largo giro che permise loro di tornare al primo livello del dungeon. Ci vollero quasi due giorni, ma alla fine sbucarono da un camino verticale che si apriva in una immensa grotta abitata da pipistrelli giganti.
“Altri defmodu?” Domandò la ragazza, guardandoli volare in lontananza.
“No, quelli non sono i pipistrelli dei desmodu.” Rispose lui. Era la prima volta che parlavano da quando erano partiti, perché muoversi nei cunicoli naturali del Buio Profondo aveva messo in soggezione la dhampir. “Sono pipistrelli giganti che vivono qui. Dobbiamo scalare le pareti di questa grotta, lassù…” indicò un punto in lontananza e probabilmente a mezza altezza verso la volta della grotta “c’è una porta che conduce nuovamente nel dungeon. Non sarà difficile trovarla, è una porta costruita da nani, quindi è ben salda e visibile.”
“E i pipiftrelli?”
“Ah, cercheranno di mangiarci. Ma non vorrei ucciderli, fungono da cuscinetto fra le creature dell’Undermountain e il mondo là sopra.”
Si fecero strada nella gigantesca grotta, camminando lentamente a causa del terreno accidentato e irregolare. Il colore dei loro mantelli ricordava quello della roccia sotto di loro e stando accucciati potevano assomigliare a delle rocce, quindi muovendosi piano e in silenzio i pipistrelli non si sarebbero accorti di loro.
Impiegarono più di un’ora per attraversare la caverna in questo modo, ma alla fine giunsero alla parete sul lato nord-ovest.
“Ora scaliamo.” Sussurrò Daren.
Dee Dee era pronta: aveva passato le precedenti settimane ad allenarsi nelle arrampicate.

Dopo diversi minuti finalmente arrivarono in cima, senza problemi e senza aver fatto rumore, ma ovviamente la dhampir non ricevette una parola di complimento per i suoi sforzi.
Il drow scassinò la porta che li avrebbe ricondotti nel dungeon vero e proprio, poi si fece da parte indicando a Dee Dee di precederlo pure, con un ampio gesto del braccio.
“Ma io non fo dove fiamo.” Ribattè lei, spiazzata.
“Vero, ma voglio vederti provare. Non sarebbe male se tu imparassi ad orientarti, non puoi camminare sempre in luoghi che hai già visto una volta.”
Dee Dee gemette. “Ma quante cofe devo imparare?”
La risposta del drow fu secca e frustrante, ma era proprio quella che Dee Dee si aspettava: “Tutte.”

Fu presto chiaro che Dee Dee non era particolarmente brava ad orientarsi. Non che ci si potesse aspettare molto, visto che non era mai stata in quella zona del dungeon. Daren la portò in un corridoio non molto distante, poi disse con aria risolutiva: “Qui ci sei già stata, è vicino a dove hai abbattuto quell’ogre” e attese con pazienza che lei rimettesse insieme le sue memorie.
“Ma è ftato più di un mefe fa!”
“E allora? Le informazioni importanti hanno una scadenza?”
Dee Dee sospirò, e si rimise a cercare la strada.

Dopo un’ora il drow si arrese e la riportò alla stanza con il golem di carne draconica, dove avevano montato il campo.
“Eccoci qui. Spero che stavolta tu abbia memorizzato dei punti di riferimento.”
Lei annuì. In teoria sapeva come fare, ed in una caverna naturale ci sarebbe riuscita meglio, ma quei corridoi artificiali le sembravano tutti identici e le confondevano la mente.
Controllarono il loro accampamento, ma le loro cose non erano state toccate, nemmeno le provviste. La presenza del drolem sembrava essere un forte disincentivo, perfino per gli insetti spazzini.
“Allora, adeffo mi racconti com'è andata la miffione per recuperare i defmodu?” Chiese la ragazza con entusiasmo, dopo che ebbero sistemato le loro cose.
“Ma come, Tuyy non ti ha già detto tutto?”
“Fí ma… a modo fuo. Cofe come Nemico detto nemici tefte-tentacoli che loro doveva lafhiare compagni, perché fe no nemici dava difegni ad altri nemici e nemici attacca villaggio di nemici tefte-tentacoli. Non poffo dire di averci capito un’acca.” Daren diede un colpo di tosse che assomigliava sospettosamente a una risatina.
“Bello. Sarebbe divertente se fosse un bardo.”
“Però mi ha detto che fei fvenuto. Non mi ha detto perché. Mi fembra che tu ftia bene ora, però… ftai bene?”
Il drow rimase un po’ scioccato a questa domanda.
“Perché me lo chiedi?”
“Perché non dovrei? Fei un mio alleato, almeno finché non cambierai idea.”
Sei la prima che me lo chiede, pensò, e invece disse: “Sì, sto benissimo. Forse era un effetto collaterale della maledizione dell’illithid.”
Non posso fare conto su di lei. Non so se sia abbastanza forte.
“Quale maledizione?”
“Che, Tuyy non ti ha raccontato proprio niente?!”
Daren passó la successiva mezz'ora a raccontarle tutto, ma tacque sulla faccenda dei gloura.
Non so se sia abbastanza forte, ma è troppo presto per scoprirlo. Pensò, ripetendosi quello che aveva già detto a Lizy. Non si fida ancora abbastanza di me.

******************************** Fine...? ********************************



Nota dell'autrice: Sì, è la fine. Non della loro avventura, ma di questa storia. Sto scrivendo i successivi capitoli. Ho scelto di fare così per due motivi:
1) Le storie troppo lunghe, e non concluse, possono spaventare il lettore;
2) Intercorre un lasso di alcuni mesi fra questa storia e l'inizio della prossima. Se Daren o Dee Dee decidessero di raccontarmi cosa hanno fatto in quei mesi, sarebbe più facile aggiungere nuove oneshot o storie brevi fra queste due storie piuttosto che inserire retroattivamente capitoli in una storia lunghissima.

Spero che voi affezionati lettori e affezionate lettrici continuiate a seguirmi. Grazie per la vostra attenzione.

           

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