Aly, inizio col commentare le note: inizialmente, quando ho letto che ti saresti presa una pausa ci sono rimasta male, ma leggendo le motivazioni ho capito tutto.
Stai tranquilla, davvero. Almeno per quanto mi riguarda, non abbandonerò questa storia per nulla al mondo, la seguirei anche se tu aggiornassi tra un anno.
Comunque mi dispiace infinitamente per tua zia... beh, in questi casi non si sa mai cosa dire, ma la morte fa parte della vita: va accettata, e bisogna conviverci.
Tu zia resterà per sempre nel tuo cuore, lo sai, vero?
Tralasciando ciò, vorrei passare alla storia, e ho intenzioni di farti una recensione davvero lunga, perché la meriti.
"- Il battito è regolare, signora, si sveglierà a momenti- il suono arrivò ovattato e distante alle mie orecchie, ma ero abbastanza lucida da capire che non era una voce familiare, non l’avevo mai sentita prima; ripensai ancora con gli occhi chiusi, alla frase che aveva appena pronunciato quella donna. Dove mi trovavo? Poteva esserci un solo posto in cui si parlava di battiti regolari e quant’altro, ed era un ospedale.
Con tutta la forza che avevo in corpo cercai di aprire le palpebre, pesanti quanto cemento. Non ci riuscii completamente, ma abbastanza da vedere nella fessura a forma di ellissi il volto della nonna che mi scrutava preoccupata.
- Credo stia aprendo gli occhi- disse girandosi alla sua destra.
Mossi di scatto la mano, e vidi che era stretta in quella di qualcun altro. Mi sentivo troppo debole per girare il capo però, e fui colpita da un lancinante mal di testa. Gemetti.
Sentii il rumore di scarpe di gomma sul pavimento, poi, una mano sul ventre, e al posto della nonna vidi una giovane donna, con un camice bianco e un lieve sorriso. – Signorina Fray, riesce a sentirmi?
Sì, avrei voluto rispondere, ma il mal di testa e la stanchezza che provavo dentro non me lo permisero, così cercai di annuire con il capo. Ci riuscii.
- Bene- disse quella che doveva per forza essere un’infermiera. – Adesso io la aiuterò ad alzarsi, va bene?
Mi mise le mani sotto le ascelle e con fatica mi tirò su, girando il cuscino in modo verticale e facendomi appoggiare sopra. Mi sentivo un po’ meglio, e le immagini diventavano più nitide. Scorsi una ciocca rossa alla mia sinistra: era Alyssa, e doveva essere lei a tenermi la mano. Infine vidi l’infermiera premermi sulle tempie qualcosa di ghiacciato, e finalmente, a quel tocco aprii del tutto gli occhi. Le orecchie si erano sturate, e la vista era tornata quella di sempre. Il mal di testa però, persisteva, e anche la stanchezza."
Questa parte è perfetta, l'ho adorata, davvero. Sei riuscita perfettamente a descrivere tutto, e ormai sai, che ti ammiro molto per questa tua dote che mi piacerebbe possedere altrettanto.
"- Vado ad avvisare gli altri che si è svegliata- intimò la nonna ad Alyssa.
- Gli altri chi?- domandai a quest’ultima una volta rimaste sole.
- Fred, Daniel e… Justin- disse calma.
- Voglio sapere cosa è successo prima. Con chi ero quando sono svenuta? Io ricordo di aver ricevuto una telefonata, e poi di essermi diretta da qualche parte con il nonno a casa di- mi bloccai scervellandomi per trovare una risposta.
- A casa di Justin- continuò Alyssa paziente.
Sì, ero a casa di Justin pensai iniziando a ricordare. – E che ci facevo a casa sua? Oh sì!- esclamai subito dopo. – Jeremy…- abbassai il tono di voce perdendomi con gli occhi nel vuoto. – Ricordo che stavamo in mansarda, Justin mi stava mostrando… Cosa mi stava mostrando?
Oh, avrei voluto darmi uno schiaffo.
Alyssa mi sorrise. – Perché non lo chiedi a lui?
- S-Sì- balbettai arrossendo. – Dov’è adesso?
- E’ nella sala d’attesa, e sono sicura che se prenderà anche solo un altro caffè, sarà lui ad essere ricoverato- ridacchiò. – Torno subito.
Non appena la mia amica chiuse la porta, sgattaiolai fuori dal letto, dirigendomi verso una porta che speravo desse accesso al bagno. La aprii; sì, per mia fortuna era un bagno, e al centro c’era uno specchio ovale, proprio ciò che stavo cercando. La mia faccia era più simile ad un morto uscito dalla bara, che ad una ragazza. I capelli bruni erano tutti scompigliati, gli occhi arrossati, e la pelle pallida quanto il cuscino su cui appoggiavo la testa.
Impresentabile, era la parola adatta."
Ahw, oddio, ogni volta che sta per arrivare Justin penso di sclerare sempre come un'ossessa. Ma Rosie che poi si fa tremila complessi per apparire carina... aaaaw.
"Dopo aver barcollato come una che si fa droga pesante, mi rimisi sotto le coperte asettiche, e qualche secondo più tardi la maniglia si abbassò lasciando entrare Justin all’interno della stanza. Non ha un bell’aspetto fu la prima cosa che pensai. Nonostante ciò, si sforzò di sorridermi e si avvicinò al letto.
- Ehi- dissi con la voce rauca, con la testa che sprofondava nel cuscino.
- Come stai?- mi domandò.
Male. – Bene.
Mi mise una mano in fronte, poi la lasciò scivolare sulle mie guance, diventate probabilmente scarlatte. – Sei pallida, e ancora un po’ accaldata.
Il cuore iniziò a battermi più forte del dovuto. Quell’affarino che misurava i battiti cardiaci iniziò ad emettere un rumore più veloce e fastidioso.
- Ehi, tranquilla- mi disse Justin a voce bassa.
Se ti allontanassi un po’, probabilmente lo sarei. La cosa stava prendendo una piega che non mi piaceva, così iniziai a pensare ad un discorso per sviare la situazione imbarazzante in cui mi ero messa. – Oh!- esclamai. – Tu... potresti dirmi cosa è successo prima che... insomma… prima che svenissi?
Lui sospirò girando la testa, poi ripuntò i suoi occhi su di me. – Tu adesso pensa a riposare- sussurrò.
In quel momento sentii le guance andare letteralmente in fiamme. – N-No, ti prego, non ricordo nulla… ed io voglio ricordare.
- Però promettimi che dopo ti riposi- mi disse guardandomi negli occhi.
Annuii ancora troppo scioccata da quel suo inaspettato lato gentile.
- Va bene- fece trovando una posizione comoda sulla poltrona accanto al letto. – Questa mattina è scomparso il reverendo Mayer, ricordi? Così ti ho chiamata, e ti ho chiesto di venire da me.
- E fin qui ci sono- lo bloccai.
- Poi siamo saliti in mansarda, e ti ho mostrato le lettere e le foto dei miei genitori che ho trovato nel baule. Poi ti avevo detto che secondo me c’era un collegamento a tutto ciò che stava accadendo. Ti avevo spiegato del gatto che avevamo, e che poi morì, proprio come il gatto della signora Hutcher. Ti avevo spiegato che prima di avere Juliet, mia madre perse una bambina al sesto mese di gravidanza, e mio… Jeremy voleva chiamarla Kim, come la bambina scomparsa. E infine il reverendo. Era stato lui a sposare i miei ge... mia madre e lui.
D’un tratto i ricordi inondarono il mio cervello come un fiume in piena. – Sì, sì, adesso ricordo.
Justin mi lanciò un’occhiata preoccupata. – Non ci pensare, è colpa mia. Non avrei dovuto coinvolgerti in tutto ciò.
- No. Non è colpa tua- sibilai. – Sta accadendo, siamo in pericolo, e non possiamo ignorarlo.
- Lui è mio padre, non il tuo. Tu non c’entri nulla!
- Sì ma è a me che sta inviando quegli stupidi biglietti!- sbottai iniziando ad innervosirmi. Non mi andava di essere trattata come una bambina. Non lo ero.
- Lo so- abbassò la voce e lo sguardo. – E non voglio che ti accada nulla.
Balbettai qualcosa di incomprensibile, di cui nemmeno io stessa colsi il significato. Gli buttai le braccia al collo, senza riuscire a controllare le mie mani, e la macchina dei battiti cardiaci che continuava ad aumentare con la frequenza. In quel momento, però, non m’importava se avesse saputo quanto il mio cuore battesse, volevo solo sentire il suo calore su di me, toccare la sua pelle. Lui rimase per qualche secondo col fiato sospeso, guardando dritto nei miei occhi, come se fossero l’unica cosa che avesse, l’unica che valesse la pena guardare. Poi, mi avvicinai sempre di più al suo viso, fino ad immergere la mia testa sulla sua spalla. Avrei potuto baciarlo, e lui avrebbe potuto fare lo stesso, io sapevo che lo voleva, eppure, qualcosa di potente me lo impedì. La paura, probabilmente. La paura di essere delusa ancora.
Rimanemmo così ancora un po’, un tempo che mi sembrò infinito, e mi lasciai cullare dalle sue muscolose braccia. Poi però, mi toccò spezzare quella magia, sarebbe potuto entrare qualcuno e non mi andava di sentire per l’ennesima volta quel fastidioso rumore della macchina dei battiti cardiaci impazzire letteralmente a causa della mia vergogna.
Justin mi fissò un istante. – Va tutto bene?- chiese.
- Certo, sono solo un po’ stanca…
- Riposati- detto questo mi stampò un delicato bacio sulla fronte."
no. NO. N O! I miei feelings... ci affogo dentro. Davvero, tu non puoi capire quanto io abbia sorriso inebetita difronte a questa parte. Continuavo a sbattere le ciglia e pensare: "Sta accadendo davvero? La mia ship preferita sta davvero attraversando un momento di tale dolcezza?". Dio mio, scrivine di più di scene così: fanno bene alle Josieators ahah. Sì, le Josieators sono le shippers di Josie (Justin e Rosie). Siamo folli, we know.
Ok, la nonna va a casa a prendere Melanie, passano i minuti e di lei nessuna traccia. Lì iniziavo già ad avere paura, ma poi leggendo l'ultima parte mi sono cagata sotto:
"Quando Daniel Lightwood arrivò alla casa del suo capo, notò che la macchina di quest’ultimo era stata sguaiatamente parcheggiata al centro della strada. Frenò di scatto pochi centimetri prima di tamponare la vettura. Aprì lo sportello e iniziò a correre lungo quella manciata di metri che lo separavano dalla casa. Quando arrivò all’ingresso vide che la porta era spalancata. Entrò accompagnato da una terribile sensazione.
- Capo!- urlò. – Signor Fred!
Nessuna risposta. L’unica cosa che udì furono dei respiri affannati provenienti dal piano di sopra. – Signora Helen?- disse spaventato.
Nessuna risposta. Di nuovo. Udì di nuovo quei violenti respiri, così senza pensarci due volte salì le scale, finché la sagoma rannicchiata di Fred Roy non gli si designò davanti. – Signor Roy- sussurrò avvicinandosi a lui.
L’anziano alzò il viso. Stava piangendo. Il ragazzo notò che erano apparse delle nuove rughe sul suo viso; adesso era costellato di rughe, rughe che occupavano ogni centimetro di quel volto quasi irriconoscibile. Sussultò, pensando di non averlo mai visto così vecchio. – Signor Roy, dica qualcosa, cos’è successo? Dov’è sua moglie?
L’uomo cercò con tutto se stesso di smettere di tremare. – L-L’ha p-p-presa.
- Chi? Chi l’ha presa?- sibilò Daniel. Non si era mai sentito in quel modo. La testa era più pesante che mai, le gambe sempre più deboli. – Fred…
In tutta risposta, l’uomo alzò un braccio tremante. Stringeva debolmente un pezzo di carta bianco. Il ragazzo glielo strappò dalle mani, e finalmente consapevole di ciò che stava accadendo lo lesse:
Ho preso la nonnina, ops."
Ti sei superata, davvero. Ho avuto i brividi per tutta la lettura. Era così... reale. Tu non puoi capire quanto mi sia immedesimata in questa parte, e quanto mi sia sentita male leggendo l'ultimo rigo. Io amo la nonna, e potrò sembrare una pazza manicomiata ma mi sono affezionata moltissimo a lei, come al resto dei personaggi, d'altronde. Sono rimasta allibita, angosciata, sconvolta... non me l'aspettavo, insomma, ma credo che una delle parti migliori di "Hurricane", sia che riesce sempre a sorprenderti e a lasciarti col fiato sospeso, capitolo dopo capitolo.
La cosa che adesso mi duole di più, è che dovrò aspettare un mese per sapere come continuerà... sarà dura, ma resisterò per te, promesso!
Non so, spero la recensione ti sia piaciuta, e spero tu ti rimetta al più presto Aly.
Ti voglio bene.
xx, Mel. |