Immersa nell’elenco di cose da fare, Gwen si perse il momento esatto in cui lui entrò.
“Isabel” disse, senza alzare gli occhi dal registro, “è l'ora di andare a letto, su”.
“Ma mamma, hai detto che potevo restare fino alla fine! Me lo prometiste!”
“Siamo alla fine, cariño. Non c'è più nessuno”
“Non è vero, è appena entrato un signore” disse la bambina, con tono piatto.
Gwen alzò gli occhi di scatto e lo vide, in piedi al centro della stanza. Ben.
Fu come se qualcuno avesse premuto il tasto del muto sul telecomando: ogni rumore sparì, ad eccezion fatta di quello del suo galoppante cuore. Anche le immagini sembravano andare a rallentatore, mentre lo vedeva avvicinarsi sempre di più al bancone.
Deglutì. Aprì la bocca, poi la richiuse. Strinse con forza il registro appoggiato alla scrivania, per ancorarsi a qualcosa di tangibile, concreto; per convincersi che non si stava immaginando niente.
“Ciao, Gwenny” disse lui, inclinando lievemente la testa, con un sorriso appena accennato ma gli occhi svegli, vivi, vigili.
“Ben” fu tutto quello che riuscì a dirgli in risposta. Si alzò in piedi, sì schiarì la gola e aggiunse: “Ciao. Che cosa ci fai qui?”