Buongiorno cara Reika,
oggi sono io che passo la pausa caffè del pomeriggio in tua compagnia. E mi sono fatta una grossa risata, da brava infame, seguendo le peripezie dei soldati semplici all'osteria. Uno spaccato di vita vissuta, vera; forse lontano dall'aurea perfezione dei Santi di Athena (di alcuni, almeno), ma decisamente più tangibile e reale. Chi di noi non si è mai imposto una serata di sobrietà mentre gli altri alzavano il gomito di brutto (a tutta callara, come si dice da me)? Chi di noi non ha dovuto sorreggere la testa dell'amica che rispediva fuori tutto ciò che aveva ingurgitato, fregandosene dell'adagio "uno può bere di tutto, l'importante è non mischiare"? E chi non ha aspettato con pazienza, che la natura facesse il suo corso, magari aspettando fuori la porta dei bagni delle discoteche?
Sono momenti che conosciamo tutti, chi più chi meno; certo, nessuno di noi ha mai visto un morto fresco fresco sbucare alle nostre spalle in fila per il bagno, nemmeno a Carnevale, ed è anche questo che mi è piaciuto, la normalità - assurda - con cui Stylianos è tornato. Come se sua moglie gli avesse detto quello che Tilemachos aveva fatto alla sua povera pianta di limoni, e lui l'avesse seguito per spiegargli come si sta al mondo (la parte fuori di testa che ogni tanto si sveglia e dice la sua è convinta che Stylianos SIA tornato indietro dopo aver visto quanto retsina avesse bevuto la sua pianta. O almeno, mi dice che il padre del mio Kostas l'avrebbe fatto.).
E ho amato anche il percorso che hai fatto fare a questo capitolo, dall'infinitamente umano al divino. Dai vivi ai morti, passando per un pope morto - fresco fresco di giornata, direbbe qualcuno - che ancora non mi capacito come non si sia alzato e abbia aggiunto un "Ha ragione lui!" al discorso di Tilemachos.
E Morrigan. Per quel che ne sappiamo, non c'è stato il tempo di mettere assieme altri Santi, dopo la sfracazzata (= eliminazione totale et dolorosa) dei Santi d'Argento. E una si chiede giustamente perché, visto che il Santuario ci è mostrato come un brulicante formicaio di gente pronta ad ammazzare madre, padre, sorellina, cane e tre quarti della palazzina per uno straccio d'armatura. Anche per quella della Lucertola, che ha la calzamaglia rosa confetto che manco Heather Parisi.
Invece, dopo la battaglia al Santuario, non c'è più nessuno. Sono rimasti in quattro gatti. Dove diamine sono finiti tutti?! Hanno marcato visita e ciao, ci siamo visti?
Ma anche no.
E anche ammesso che uno, due, cinque, dieci abbiano disertato, gli altri?
M'è piaciuta questa ragazza, buttata nella mischia perché s'era liberato un posto (nemmeno stessimo parlando di un posto al Comune!) e che quindi non può avere le informazioni teoriche che ha Jabu. Mi piace vedere questo carattere spavaldo, di chi pensa "Io sono così", e se sono così, ci sarà un perché.
Marin mi sta dando sui nervi. Sempre di più. Non l'ho mai amata visceralmente come personaggio, ma qui me la stai rendendo odiosa. Si capisce dall'inizio che lancia il sasso a Shaina cosicché l'altra si sporchi le mani e apra le danze. Non so se questo sia proprio da Marin - e sospendo il giudizio perché bisogna anche vedere perché lei abbia messo in piedi tutto questo casino - ma muoverla in questo modo ti sta riuscendo bene.
E veniamo a Mask, e al suo triplo gioco che si profila all'orizzonte. Uno così è senza dubbio meglio averlo come nemico, che come amico. Perché con amici così, non abbiamo bisogno di nemici, ed un nemico, almeno è sincero. Non è la serpe in seno. E mi piace vedere che anche questo misterioso personaggio riconosca in lui il pericolo che il Cancro rappresenta. Anche da morto. Questa Signora non è scema. Affatto.
E lui. Mask. Che si prende gioco di tutto e tutti anche dopo aver salvato la pelle da quella chiazza d'olio, è meraviglioso, nella sua strafottenza, anche di fronte al timore - giustificatissimo - della povera Santuzza. Inizio a temere a chi appartenga quella voce di miele che si preoccupa di uno dei suoi soldati. Certo, tutto avrebbe un senso. Ma si vedrà.
Intanto, ti porgo le lamentele dell'Associazione Limoni, dell'Associazione Tavernieri che piantano i Limoni. e dell'Associazione Produttori del Retsina: non si fa. Non. Si. Fa. Non si versa il vino nei vasi degli alberi. Non. Si. Fa. Che gli alberi producono limoncello (aromatizzato al mosto di Aleppo, poi. Ah, che bontà!!) e poi non ci lamentiamo se i tavernieri tornano dai morti per dirne quattro ai soldatacci.
Ci sarebbero anche le lamentele di Malpomenê, che dice che i veri uomini bevono il Metaxa e non il Retsina, ma non tenerne conto. È che lei parla a difesa della categoria, ché il Metaxa costa di più!
E dopo questo delirio alcolico, che ne diresti di un bel caffè?
Alla prossima, ma si sbrighi, ché qui c'è gente che apsetta il prossimo capitolo. Tipo, io.
Un abbraccio. |