Mia carissima Shilyss,
Vengo a te con mesi di ritardo – così tanti che ho finanche orrore a contarli, quindi mi concedo i miei dieci minuti di indulgenza quotidiani e stendo un velo pietoso per non pensarci – come può testimoniare la mia browser history con questo capitolo aperto, a memento, da quel dì. Mi ripropongo sempre di prendermi il giusto tempo, però, ahimè, il giusto tempo, lo si può aspettare all’infinito, pertanto eccomi qui comunque, col tempo che non è giusto ma che è quello che sono riuscita a conquistarmi. Anche se ci sono tante cosine più recenti partorite dalla tua penna su cui non vedo l’ora di posare i miei occhietti miopi, ricomincio da qui, perché ormai è una questione in sospeso tra me e il tempo di cui necessito di riappropriarmi con qualcosa si bello. E perché questa storia mi ha incantata. Sarà la suggestione della cecità (il mio Saramago interiore fa ciao ciao con la manina) o sarà la delicatezza dolorosa che sboccia di fronte a quello che si percepisce come inevitabile, una maledizione – una malattia – che non dà scampo. O sarà anche la suggestione, la potenza lirica, di un inizio che è già una sequela di addii, e che dopo tutti questi mesi – sempre quelli che non contiamo – ancora mi risuona in cuore.
Oltre che per l’eco emotiva che ancora risuona, mi riallaccio al precedente capitolo perché, laddove quello si presentava come un’introduzione in medias res, o finanche in una fase risolutiva delle cose; questo mette in scena l’antefatto della vicenda, il ricordo della prima sera – vivido come il vestito rosso di Sigyn. E mi piace da morire (DA. MORIRE.) che l’anello di congiunzione tra il presente e il passato, tra un antefatto e l’altro, sia per mezzo di Balder il Buono. Mi piace non solo perché Balder dà l’idea di quanto fosse giovane Loki al tempo in cui tutto iniziò, ma perché questo terzo fratello che spesso passa inosservato, dimenticato nell’ombra, incarna – per analogia e traslazione – un’istanza della cecità, della vista che si affievolisce e non coglie più. E spero davvero di rincontrare più questo giovane sinora posato e relativamente obbediente, solo con la smania di andare a farsi ammazzare prima del tempo.
Tu già sai quanto a me piacciano i tuoi piccioni; potrei sdilinquirmi per pagine e pagine su entrambi e su ciascuno dei due singolarmente presi. Qui Loki la fa da padrone, in entrambi momenti della vita che tu hai messo in scena e che lasciano intravedere tramite la tua maestria, un’ evoluzione, una maturazione di questo personaggio nella sottigliezza, pur preservandone intatta l’identità. Il personaggio, certo, è affascinante di suo; ma nelle tue mani questo Ingannatore brillante che tende a rimanere ingannato da solo acquista uno splendore che ammalia, che persuade più della sua lingua d’argento.
Ho un debole per i pragmatici che tendano ad essere spietati; ho un debole per i dialettici; ed ho un debole altrettanto grosso per i pianificatori. Come potrei non avere un debole per questo tuo ragazzo, quando lo tratteggi in modo così vivo, complesso e credibile, senza mai innalzarlo agli altari poco credibili della celebrazione adorante fine a sé stessa? E non è neppure un cattivone bello e tenebroso circondato da dei bonaccioni un po’ fessi. No. Loki è un personaggio fatto e finito, con le sue complessità che traspaiono da ogni parola, da ogni azione, da ogni intenzione (ah! I piani!); ed in quanto personaggio fatto e finito conquista la scena non perché così sia stato deciso dall’alto, ma perché è inevitabile in un pezzo ben costruito con un personaggio ben costruito, con altri personaggi altrettanto ben costruiti. Insomma, il tuo Loki è un grande personaggio, che si muove in un mondo che non è il Paese dei balocchi ed è circondato da altri personaggi altrettanto grandi. Sopra a tutti Odino.
Ti ho già detto altrove quanto mi piaccia il tuo Odino ed il sottile contrappunto, la rete di rispecchiamenti e riflessi, che si gioca tra lui e Loki? Se non te l’ho detto, te lo dico adesso. E se te l’avevo già detto, beh, è una di quelle cose che non fa male ripetere!
Il giro di frase, tra i tanti, che stasera mi porterò nel cuore e che mi ha consolata, tra i tanti, di una giornataccia:
Ecco perché Padre Tutto era lì. Per ristabilire l’ordine, per ricordare agli amici e ai nemici che i patti andavano rispettati sempre, fino in fondo, a qualunque disperato costo. Alcuni l’avrebbero chiamata vendetta.
Dà il senso di un mondo, di un ethos, del potere e dell’influenza effettiva degli Æsir, di quello che vogliano dire davvero la virtù e l’onore dei vecchi poemi. Dà il senso pregnante dell’altra faccia della fedeltà, tanto per rimanere in tema di contrappunti e contraltari.
Spero, promitto et iuro di non farti (e soprattutto di non farmi) aspettare tanto prima della mia prossima visita su queste tue meravigliose spiagge del Nord. Perché è davvero sempre un grandissimo piacere, che fa bene al morale ed all’anima.
Nel frattempo, ti mando un abbraccio forte,
Sherry |