Un altro capitolo con una nuova marea di sensazioni ad avvolgere il lettore e la storia stessa, quello che ci hai regalato cara Capo Rouge.
Il Tempo, padrone di ogni cosa, che scandisce gli attimi di vita delle persone, nel bene e nel male.
E cominciamo con un ricordo, avvolto appunto nel tempo, che era stato preso in giro da André, in un lontanissimo pomeriggio tedioso per lei, che doveva impratichirsi sulle declinazioni in latino. Lui che le era venuto in soccorso aggirando l’ostacolo, portando indietro le lancette di tutti gli orologi di palazzo Jarjayes per recuperare un po’ di tempo da passare insieme.
Un ricordo che riemerge alla memoria di Oscar, in quel luogo che non riconosce, e dove è stata portata perché non stava bene, essendo ancora febbricitante.
Lei, che era corsa dietro al tempo, sperando di raggiungere qualcuno che, tempo prima, da lei si era allontanato, e con il tempo lei aveva provato, sulla sua stessa pelle, quanto e cosa significasse il distacco da lui.
Era stata una corsa fatta anche contro il tempo per poter raggiungere quel qualcuno che dava significato alle sue giornate, arricchendole di tanti piccoli particolari che riemergevano a ondate nella memoria.
Lui, l’unica persona che sapeva chi lei fosse, forse anche meglio di se stessa, che spesso brancolava in un buio fatto di domande alle quali non sapeva dare risposte.
Ma era arrivata fuori tempo massimo: ormai non sussisteva più nulla da fare. Il tempo aveva decretato la morte e con essa anche tutte le sue speranze di poter essere, proprio grazie a lui, davvero qualcuno di diverso da come tutti l’avevano sempre vista.
Madame Roma è colei che tenta, con la sua arguzia, di far aprire Oscar, ora che ha preso un po’ più di confidenza con lei. Ha compreso che la persona cercata rivestisse un ruolo veramente importante nella vita di Oscar, la quale mai si è lasciata sfuggire alcunché, forse perchè era l’unico a vedere l’unicità della persona che si nascondeva dentro e dietro l’uniforme, e forse anche percependola come donna, come la bellissima donna che era, nonostante non usasse alcuno degli abbigliamenti e ornamenti tipicamente femminili.
Curioso il suo tentativo di far indossare ad Oscar quello splendido abito, confezionato in serica stoffa tutta da accarezzare, come avrebbe accarezzato il corpo che dentro si fosse trovato. Una curiosità per lei che avrebbe voluto vedere tutta la bellezza di cui poteva rivestirsi Oscar, anche in funzione del fatto che aveva notato l’atteggiamento dei due nobiluomini che le stavano appresso, ognuno in maniera differente, ma indifferenti entrambi per lei che nella mente e nel cuore aveva evidentemente un suo ideale ben preciso.
Ma Oscar rifugge da certi atteggiamenti e soprattutto da certi pensieri ai quali mai si abbandona. Non è il momento né dell’abito né dell’eventuale ricevimento di cui le ha accennato Madame Lemonde. Ha solo bisogno di schiarirsi le idee con una passeggiata che la porti lontano da lì.
Ma anche la passeggiata si rivela un trabocchetto, poiché scopre una verità alla quale mai avrebbe pensato.
Casualmente, a un ragazzino indiano cadono delle lettere nella fanghiglia di quella strada che, insieme a Fersen, sta percorrendo, quando l’occhio cade sul nome del destinatario. Oscar viene colta da una sorta di follia nel voler a tutti i costi cercare di capire chi e soprattutto quando avesse consegnato le lettere da spedire. Assistiamo alla sceneggiata all’ufficio postale, dove apprende, con non poco stupore, che le lettere fossero da André state consegnate affinché venissero spedite in date prestabilite. Un ulteriore colpo al cuore: le lettere avevano continuato ad arrivare a Nanny, nonostante il decesso del nipote, il quale si era premurato, nel caso gli fosse capitato qualcosa, di continuare almeno per un po’ ad essere di sollievo a sua nonna, la quale avrebbe avuto l’impressione di averlo ancora vicino e presente.
André si era preso gioco del tempo ancora una volta, perlomeno di quello che costituiva il loro passato. Il futuro pareva non essere contemplato per loro. Ma il presente, cosa lei ne avrebbe fatto del suo presente, ora che avvertiva su di sé la cappa pesante dell’abbandono? Quel vestito da indossare poteva essere la scappatoia per provare a essere altro dalla se stessa che era sempre stata, il tempo per pensarsi donna, come forse lui l’aveva sempre vista, e per lei il tempo di pensarsi purtroppo sola.
Poi l’incontro, anche qui casuale, con i due soldatacci di Brest, di cui ha rammentato le voci, mentre si rivolgono ad alcuni mocciosi di strada, e tutti, osservandosi, si riconoscono.
Il tentativo di sapere è insistente, allettante, la mente ha ripreso a ragionare. E qui Oscar si gioca il tutto per tutto, rischiando. Ma le parole di quegli energumeni le portano la triste verità che possa essere stata lei la causa di quanto accaduto ad André, per ripicca per gli eventi di Brest, anche se ancora non comprende quale sia stato il vero ruolo di quei soldatacci. Non può sfiorarla il pensiero del folle e assurdo pestaggio, sfociato poi in una inaudita violenza ai danni di André che aveva fatto temere per la sua vita, ma si focalizza su quanto è successo durante la missione per portare il carico di polvere da sparo, durante la quale quei due hanno dato “a quell’idiota d’un soldato il fatto suo”.
Non può però fare nulla se non allontanarsi velocemente da quei due, in preda all’angoscia, sotto la pioggia che ha ripreso a scorrere e che nasconde le sue lacrime mescolate ai pensieri che sempre e tutti la riportano ad André.
Anche questo ulteriore passaggio ci lascia con il cuore appesantito, poiché vediamo Oscar in preda al suo tormento interiore, e che non può confidare a nessuno, pensando che se lui non se ne fosse andato tanto tempo prima, ora non si troverebbe in quella situazione di folle dolore, non convincendosi ancora che la donna per la quale si è allontanato, mettendo addirittura un oceano come distanza massima, era lei e solo lei, lei che aveva lui sempre mezzo passo indietro, ma sempre presente, vivo più che mai.
Un caro saluto. |