Ti aggrappi a una macchina per non morire. Ma di notte, quando l’unico eco è quello dei tuoi pensieri – e delle macchine, ma quelle non le senti nemmeno più: il loro rumore è scomparso nella patina di apatia in cui ti sei avvolto, scolorendo inevitabilmente su uno sfondo sempre uguale – la domanda rimbomba ferocemente nella tua mente debilitata. È vita, questa?
La risposta non arrivi mai a comprenderla, forse troppo ovvia e dolorosa per essere pronunciata ad alta voce, e tu ti bei di un sonno senza sogni, impersonale. Ti svegli e lei è lì, a guardarti. Sempre, senza eccezione. Buffo che sia lei la tua costante, buffo che a te importi, buffo che tu lo ammetta senza problemi. Ma la situazione non fa affatto ridere, in fin dei conti, non trovi?
Dawn si fa trovare ogni mattina davanti a te, un sorriso tremulo sul volto pallido e gli occhi pieni di parole mai dette. Tende sempre la mano. Tu non hai mai la forza – né la voglia – di prenderla. E lei la lascia cadere sulla sua gonna, ogni volta.
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